Notiziario






Olivi e microbi alleati contro la siccità

  • 10 December 2025
  • Andrea Visca, Gaetano Perrotta, Luciana Baldoni, Ornella Calderini, Annamaria Bevivino

La capacità delle piante di affrontare condizioni di stress idrico dipende non solo dalle loro caratteristiche fisiologiche, ma anche dalle interazioni complesse con i microrganismi presenti nel suolo e nelle radici, veri e propri “alleati invisibili” che aiutano le piante a resistere quando l’acqua scarseggia. 

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Dialoghi sull’ Agroindustria: “Le piante come biofabbriche per la produzione di vaccini e altri biofarmaci di interesse terapeutico”

Il molecular farming non è più solo una tecnologia di nicchia, ma una piattaforma matura e in rapida evoluzione che può avere un impatto rivoluzionario sulla salute globale, offrendo una soluzione a basso costo, sicura e scalabile per la produzione dalle piante di vaccini e altri farmaci essenziali. 

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Verità, mezze verità e falsità sull’agricoltura nella tv pubblica

  • 10 December 2025
  • Stefania Masci, Emidio Albertini, Daniele Rosellini, Eleonora Cominelli, Vincenzo D’Amelia, Silvia Giuliani, Roberta Paris, Laura Rossini, Francesco Sunseri (*)

Sabato 29 novembre 2025 è andata in onda una puntata di “Indovina chi viene a cena” dedicata al tema “Partigiani contadini”. I firmatari hanno apprezzato l’attenzione verso le risorse genetiche locali, il ruolo delle banche del germoplasma e il principio di benefit sharing, strumenti fondamentali per la conservazione e la condivisione della biodiversità agricola.
Riteniamo però necessario intervenire su come la trasmissione ha rappresentato genetica e miglioramento genetico, contrapposti in modo semplicistico ai “partigiani contadini”, presentati come unica alternativa “pura” e virtuosa. Questa dicotomia rientra in un filone mediatico ormai consolidato: da un lato i “custodi della natura”, dall’altro le multinazionali, descritte come predatrici di biodiversità. Una narrazione ideologica che riduce la complessità del settore agricolo.
Molte affermazioni risultano fuorvianti. Si sostiene, ad esempio, che i semi delle ditte sementiere siano “manipolati, ibridi e sterili”, mentre quelli “contadini” sarebbero “autentici”. In realtà la sterilità interessa solo poche colture (banane, uva, cocomeri apireni); gli ibridi non sono sterili, semplicemente generano una discendenza eterogenea secondo le leggi di Mendel, non conveniente per chi li vuole coltivare. Si sono diffusi perché garantiscono vantaggi reali: produttività, uniformità, resistenza a malattie e stress, grazie al “vantaggio dell’ibrido”, vero per tutti gli esseri viventi.
Gli agricoltori acquistano semi nuovi non perché non abbiano alternative, ma perché il seme autoprodotto può perdere purezza genetica, contaminarsi o veicolare malattie. Le ditte sementiere garantiscono all’acquirente la purezza del seme, la sua qualità e la sua germinabilità: offrono quindi un servizio professionale, che ha naturalmente un costo.
Fuorviante anche la distinzione morale tra un miglioramento genetico “buono” (pubblico) e uno “cattivo” (privato). La selezione genetica si basa su principi scientifici condivisi: attribuire una valenza etica diversa agli stessi strumenti in base a chi li usa crea diffidenza ingiustificata e ingiustificabile.
Inaccurata anche la parte sulle banche del germoplasma: non regalano semi alle multinazionali, ma li distribuiscono gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. Forniscono piccole quantità non per nascondere qualcosa, ma perché la loro funzione non è la produzione di grandi volumi, bensì la conservazione, lo studio e la diffusione del materiale genetico. Inoltre, i semi “antichi”, spesso presenti nelle banche del germoplasma, non sono automaticamente migliori: possono presentare caratteristiche positive insieme ad altre negative. Il miglioramento genetico serve proprio a combinare più tratti vantaggiosi in una stessa varietà coltivata.
Queste inesattezze sono probabilmente la conseguenza di una carente preparazione agronomica di base, indispensabile per comprendere come funzionano realmente le produzioni agricole, siano esse condotte da piccoli agricoltori o su larga scala.

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L’accordo sulle NGTs e la strategia italiana tra ricerca di base e sperimentazione in campo

L’accordo raggiunto nel recente trilogo europeo sul nuovo Regolamento dedicato alle New Genomic Techniques (NGTs), in Italia Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), rappresenta un passaggio storico per l’innovazione genetica in agricoltura e giunge al termine di un lungo percorso, spesso rallentato dalle esitazioni della politica, nonostante l’attesa di ricercatori e imprese agricole. Per la prima volta l’Unione Europea riconosce formalmente la necessità di distinguere le NGTs/TEA dagli OGM tradizionali, aprendo la strada a un quadro normativo più moderno e coerente con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche. È importante ricordare, tuttavia, che l’accordo raggiunto nel trilogo dovrà ora essere approvato con voto formale sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio dell’Unione prima di diventare definitivamente operativo.
In questo processo, l’Italia ha esercitato un ruolo determinante, grazie alla capacità, consolidata negli ultimi anni, di promuovere un’interazione costante e costruttiva tra la comunità scientifica della genetica agraria, gli stakeholder del settore primario e i decisori politici. Tale triangolazione virtuosa ha permesso di superare approcci di natura ideologica, orientando le posizioni negoziali su evidenze scientifiche, scenari agronomici concreti e obiettivi chiari di sostenibilità. L’Italia ha così potuto partecipare al trilogo come un Paese in grado di avanzare proposte equilibrate, credibili e innovative, contribuendo in modo significativo alla definizione dell’intesa finale.
Tra gli elementi più significativi emersi in questa fase vi è il pieno riconoscimento del ruolo imprescindibile della ricerca di base. Senza una conoscenza approfondita dei genomi, dei geni che determinano i caratteri agronomicamente rilevanti e delle complesse interazioni che regolano la risposta delle piante agli stress biotici e abiotici, l’applicazione delle NGT/TEA non può esprimere appieno il proprio potenziale. L’identificazione del maggior numero possibile di geni, varianti alleliche e regioni genomiche alla base di tratti fondamentali, quali la resistenza ai patogeni, l’efficienza nell’uso dell’acqua e dei nutrienti, la qualità delle produzioni, costituisce una condizione essenziale per affrontare con efficacia le sfide climatiche, ambientali ed economiche dei prossimi decenni.

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Colture alternative: nuove sfide e opportunità per l’agricoltura italiana

Oggi, più che mai, il futuro dell’agricoltura italiana dipende dalla capacità di anticipare le sfide e trasformarle in opportunità di crescita, senza perdere il legame con i territori e con la qualità che contraddistingue il nostro sistema agroalimentare.


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Il Suolo è vivo: il microbioma come ponte tra suolo, piante e uomo

Il suolo non è un semplice substrato minerale, ma un organismo vivo, complesso, pulsante, un ecosistema in cui miliardi di microrganismi cooperano e competono generando resilienza, fertilità e qualità. Considerare il suolo come un’entità vitale significa ribaltare l’approccio tradizionale all’agricoltura: non più come un supporto inerte da sfruttare, ma una realtà biologica da accompagnare e rigenerare.

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L’agricoltura non esiste in natura

L’agricoltura non esiste in natura. Un concetto scontato per chi la pratica, per chi l’assiste, per chi la studia, per chi la innova, per chi ci vive. Non altrettanto per gli altri, siano essi cittadini, policy-makers, consumatori, opinion leaders.
Eppure…
Eppure da quando l’agricoltura è nata nella Mezzaluna Fertile, più o meno 15.000 anni fa, ha cambiato non solo il sistema di approvvigionamento del cibo, ma il modo stesso di essere dei sapiens: del loro stare insieme, della capacità di organizzarsi in comunità, di condividere spazi con altri individui, di “mettere radici” in porzioni di terra che poi chiamarono città. Da quando l’agricoltura è “sorta” nel pensiero dell’uomo (prim’ancora che nelle sue mani), essa ha ribaltato il rapporto con la natura, “inventando” sistemi organizzati e condivisi tra le stesse comunità, capaci di “gestire” gli esseri viventi - piante ed animali - aggiungendo in un certo qual modo alle leggi di natura, le tecniche di coltivazione ed allevamento.
Bene scrive Papa Francesco nella Laudato si’, «‘coltivare’ significa arare o lavorare un terreno, ‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare». Una distinzione fondamentale che mostra come la coltivazione non sia un processo naturale, ma un atto intenzionale dell’uomo, che aggiunge alla spontaneità della natura la responsabilità della cura.
Quanto questo nuovo rapporto (“nuovo”, almeno rispetto a quanto avvenuto nei precedenti milioni di anni) abbia impattato sulla natura, intesa come insieme di ecosistemi complessi, e ne abbia condizionato le sorti, è ambito di indagine degli studiosi di ecologia. Quanto invece esso abbia rappresentato per lo sviluppo del genere umano, è sotto gli occhi di tutti e circa i 9 miliardi di individui che oggi popolano il pianeta.
Un’evoluzione, anzi una co-evoluzione, in cui uomini, animali, piante, microorganismi, suolo, sottosuolo, atmosfera, acqua, hanno direttamente o indirettamente intrecciato un reciproco e sempre più marcato condizionamento.
Il modello dell’homo agricola, variante culturale (e colturale) dell’homo sapiens, ha visto premiata la sua coevoluzione con la natura, facendo di quest’ultima un formidabile strumento di vita, sussistenza, di sviluppo, di relazione, ma anche di spiritualità, di pensiero. La stessa filosofia, come espressione collettiva di comunità ormai stanziali, è probabilmente uno dei frutti indiretti dell’agricoltura.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: L’importanza del suolo per conservare la biodiversità

Dedicato alla Giornata Mondiale del Suolo nata in Tailandia nel 2002 su proposta dell’International Union of Soil Sciences (IUSS), ma solo nel 2013 le Nazioni Unite ne hanno reso ufficiale la celebrazione il 5 dicembre di ogni anno.

Pagliai – Cara Livia quante volte ribadiamo che nel suolo troviamo oltre il 90 % della biodiversità del pianeta in termini di organismi viventi? Tutte le volte che ne abbiamo l’opportunità! Per anni siamo stati inascoltati o quasi; ora la situazione sembra cambiata: intanto si è preso atto dello stato di sofferenza dei suoli e della biodiversità, da qui i recenti provvedimenti e direttive dell’Unione Europea tendenti ad affrontare tali problemi. Fa piacere notare che, oltre a queste iniziative, vengano promossi anche progetti che affrontano anche le problematiche del suolo, anche se in tema di biodiversità del suolo c’è ancora molto da fare e per questo è importante promuovere attività. Mi fa veramente piacere il tuo coinvolgimento nell’attività del National Biodiversity Future Center (NBFC) del PNRR e in particolare nella tematica riguardante strategie e strumenti per la conservazione della biodiversità di aree protette e come aumentarne la superficie: ci vuoi spiegare a grandi linee di cosa si tratta e le finalità.

Vittori Antisari – Caro Marcello ti ringrazio molto per la gradita attenzione e per potere divulgare questa esperienza di ricerca all’interno dello spoke “terrestre” 4.4 del NBFC, che ha il fine di individuare strumenti per la pianificazione e gestione della conservazione della biodiversità, in riferimento principalmente alle aree protette italiane.
Prima di entrare nel merito vorrei però condividere con te una grande preoccupazione. È vero, come dici, che il suolo stia ricevendo molte attenzioni, a scapito però di una scorretta semplificazione o, peggio ancora, di una banalizzazione di un sistema in realtà complesso. Meglio ancora un “ecosistema complesso” come evidenziato dal fatto che alla formazione ed evoluzione di un suolo contribuiscono fattori di natura chimica, fisica e biologica che interagiscono con la pluralità dei comparti ambientali quali da esempio microbiologici, entomologici, zoologici, botanici, selvicolturali, morfo-litolgici, geo-idrologici, senza dimenticare la sempre più accentuata interferenza antropica. Molte volte, e sempre più spesso nei consessi scientifici, non si riconosce al suolo il ruolo centrale negli equilibri ambientali. Si omette di considerare il suolo come un continuum all’interno del territorio da declinarsi come interazione dei fattori della pedogenesi e derivato dai diversi processi pedogenetici innescati dall’incidere dei fattori stessi. Oggigiorno, la variabilità spaziale dei suoli considerata è solo superficiale, vengono usate immagini satellitari per costruire modelli e per valutare la variazione delle proprietà del suolo, ignorando completamente la variabilità verticale genetica dei suoli, dettata dalla loro profondità, fino al contatto litico.

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Microbiota, alimentazione e nutrizione: 3 – Microbiota umano in evoluzione

La nostra nutrizione onnivora, probabilmente prima vegetariana e poi carnivorana, oggi trova riferimento in due diverse strutture funzionali: la prima in bocca nei denti anteriori e nello stomaco e primo tratto intestinale con il suo sistema enzimatico, la seconda nei denti molari e nelle fermentazioni del microbiota del grosso intestino. 

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La strategia “Push-Pull” per il controllo delle popolazioni adulte della mosca delle olive

La mosca delle olive, Bactrocera oleae (Diptera Tephritidae) è, come largamente noto, il principale fitofago limitante le produzioni olivicole nella maggior parte delle aree circummediterranee e per tale motivo è spesso definita “specie chiave” per la difesa fitosanitaria in olivicoltura.

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Sono 62 le specie di piante selvatiche a maggior rischio di scomparsa in Toscana

È appena uscito un lavoro collaborativo che ha posto in ordine di priorità le specie di piante selvatiche a rischio di scomparsa in Toscana. La Regione Toscana ha instaurato ormai da diversi anni un accordo di collaborazione con le Università di Pisa, Firenze e Siena per il monitoraggio di specie e habitat protetti dall’Unione Europea ai sensi della cosiddetta Direttiva Habitat (92/43/CEE), finanziando un progetto denominato “NATura NEtwork Toscana – NAT.NE.T”. Nell’ambito di questo progetto, è stato anche chiesto ai botanici del gruppo di lavoro di aggiornare l’elenco delle specie di piante di interesse conservazionistico, da proteggere a livello regionale.
Pochi giorni fa è stato pubblicato un lavoro sulla rivista scientifica Environmental and Suitability Indicators, al quale hanno partecipato 20 ricercatori, coordinati localmente dai prof. Gianni Bedini (Università di Pisa), Bruno Foggi (Università di Firenze) e Claudia Angiolini (Università di Siena).
Nella conservazione della natura, poiché purtroppo non è possibile tutelare attivamente tutto ciò che meriterebbe di essere conservato, è in uso ormai da decenni l’elaborazione di cosiddette priorità: si mettono quindi in evidenza le specie a maggior rischio di estinzione globale, nazionale o locale, per convogliare sforzi e (di solito esigue) risorse disponibili su di esse.
È ben noto che, a livello globale e nazionale, l’approccio più diffuso per stabilire delle priorità di conservazione è l’utilizzo del protocollo IUCN (International Union for Conservation of Nature), che porta ad attribuire delle categorie di rischio e a redigere le cosiddette Liste Rosse. La stessa IUCN, però, chiarisce bene che questo approccio non è funzionale alla redazione di liste di attenzione di interesse locale (come potrebbero essere, ad esempio, quelle a livello delle varie regioni amministrative italiane, o di aree ancora più ristrette). Per questo motivo, il gruppo di studiosi ha cercato di elaborare un approccio alternativo, che permettesse di assegnare delle priorità di conservazione su basi scientifiche alle specie selvatiche della flora toscana.

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Dialoghi sul Verde: “Il restauro dei giardini storici”

Ferrucci: «Un giardino storico è una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente e come tale deteriorabile e rinnovabile. Il suo aspetto risulta così da un perpetuo equilibrio, nell’andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d’arte e d’artificio che tende a conservarne perennemente lo stato»; e se dunque «come monumento il giardino storico deve essere salvaguardato secondo lo spirito della Carta di Venezia, tuttavia, in quanto “monumento vivente”, la sua salvaguardia richiede delle regole specifiche.
Con questa definizione la Carta di Firenze, redatta nel 1982 dall’International Council of Monuments and Sites (ICOMOS) e dall’International Federation of Landscape Architects (IFLA), coglie in modo chiaro ed univoco le peculiarità che connotano il giardino storico tratteggiandone i caratteri identificativi: la monumentalità che lo distingue dal giardino che storico non è, la sua predominante componente vegetale che ne disegna la cangiante evoluzione di forme e di cromatismo, quella dinamicità che si contrappone alla staticità del monumento costruito dall’uomo. Il messaggio che la Carta di Firenze ci trasmette è che quel connubio tra natura e “volontà d’arte” invoca l’adozione di specifiche metodologie di co¬noscenza, di intervento conservativo e di restauro, rispettose del suo essere un unicum limitato, peribile, irripetibile. Una sfida intrigante e inquietante per il paesaggista chiamato a cimentarsi con il restauro di un giardino storico: come l’hai vissuta nelle tue molteplici esperienze? Qual è l’orizzonte dal quale si prendono le mosse e quale quello di approdo: la ricostruzione dell’impianto originario o altro?

Giusti: La domanda impone una premessa teorica sul giardino come forma di architettura viva, situata al crocevia tra natura e cultura, tra materia vegetale e materia minerale, e dunque tra due differenti temporalità: quella ciclica e rigenerativa della natura e quella lineare e storica della costruzione. Tale duplicità genera una tensione strutturale che si manifesta nel corso del tempo e che costituisce uno dei principali nodi epistemologici del pensiero paesaggistico contemporaneo. La storia dimostra come in alcuni casi il giardino sia sopravvissuto all’architettura minerale, con un’inversione del paradigma tradizionale – che attribuiva all’edificato una durata superiore a quella della vegetazione considerata più effimera. Porto sempre come esempio l’immagine di fine Ottocento del distrutto castello di Saint Cloud: dalle macerie dell’edificato si vede nitidamente il giardino coi suoi parterre nella lontananza. Questa considerazione porta, a mio avviso, a una prima, cruciale rottura teorica: la resistenza del giardino non è nella permanenza, ma nel mutamento. Il giardino, infatti, si conserva non malgrado il cambiamento, ma attraverso il cambiamento stesso. La sua materia vegetale, lungi dall’essere fragile o instabile, è portatrice di un principio di rigenerazione che sfida la temporalità lineare della storia umana. Si afferma così l’idea del giardino come palinsesto polimaterico, un dispositivo complesso in cui la materia viva e la memoria storica interagiscono in modo costante e reversibile.

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Colpo di scena nella guerra dei dazi

Un nuovo colpo di scena riapre la controversa vicenda della cosiddetta “Guerra dei dazi” che ha sconvolto il commercio mondiale nell’ultimo anno. Un nuovo ordine esecutivo del Presidente degli Usa Trump emanato venerdì 14 novembre elimina le tariffe dei dazi su un certo numero di prodotti alimentari come la carne bovina, il caffè, la frutta tropicale per i quali la produzione interna degli Usa non è in grado di soddisfare la domanda interna.

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“Io lavoro in sicurezza”: un progetto promosso dalla Accademia dei Georgofili per migliorare la formazione al corretto impiego delle macchine in agricoltura

Era il 2019 quando l’Accademia dei Georgofili riunisce attori fondamentali nella gestione della sicurezza del lavoro in agricoltura quali Regione Toscana e INAIL Toscana come soggetti finanziatori e CAI Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani che rappresenta il mondo dei contoterzisti, figure fondamentali nel diffondere la cultura della sicurezza.
Ne scaturisce il “Progetto pilota di certificazione dei formatori qualificati mediante corsi di formazione per formatori che operano nella sicurezza delle macchine agricole” che ha avuto lo scopo di superare il problema di una formazione “depotenziata”, superficiale e spesso dannosa per la percezione e la gestione del rischio nella conduzione dei trattori. Il progetto si è quindi rivolto alla “formazione dei formatori” con l’attuazione di un corso in cui la parte teorica sviluppa argomenti fondamentali per la predominante parte pratica con trattori e impianti, in cui si affrontano significative condizioni di rischio che si possono trovare nei lavori sui terreni.
La Regione Toscana ha messo a disposizione i centri formativi: quello di Tocchi per la presenza di un percorso di addestramento impiegato nella formazione all’uso in sicurezza dei mezzi antincendio, l’azienda di Suvignano, sequestrata alla mafia e utile per la formazione alla guida di mezzi agricoli pesanti ed il centro sperimentale dell’Ente Terre Regionali Toscane di Cesa.
La Toscana ha una lunga tradizione nell’impegno sulla promozione della sicurezza in agricoltura. Già negli anni ’60 il prof Giuseppe Stefanelli, Presidente di questa Accademia 1977 al 1986, fu figura di spicco e un pioniere della Sicurezza: fu tra i primi a porre attenzione ai problemi umani e di sicurezza connessi allo sviluppo della meccanizzazione in agricoltura, promuovendo miglioramenti partendo dalle statistiche sull'infortunistica. Promosse soluzioni innovative, come i principi di controllo del ribaltamento delle macchine agricole (ad esempio, il disassamento trasversale dei trattori), un tema cruciale per la sicurezza dei lavoratori agricoli.
Doveroso anche il ricordo del contributo del georgofilo Alberto Cappelli che fu dirigente nell’assessorato regionale alla sanità e promotore della formazione sulla sicurezza; figura di riferimento a livello nazionale per le proficue relazioni con INAIL (allora ISPESL), Istituto Superiore di Sanità e Ministeri.

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Dialoghi sulle Biotecnologie: “Innovazione genetica e tutela varietale: l’adeguamento del quadro normativo europeo”

Frusciante: Il CPVO (Community Plant Variety Office) rappresenta l’istituzione europea di riferimento per la protezione delle varietà vegetali, svolgendo un ruolo chiave nel garantire la tutela della proprietà intellettuale, nel favorire l’innovazione e nel sostenere la competitività del settore sementiero nell’Unione Europea. In questo contesto, è particolarmente interessante riflettere sul contributo concreto dell’Ufficio al rafforzamento della ricerca e allo sviluppo sostenibile dell’agricoltura europea. È quindi interessante approfondire con il Presidente in che modo il CPVO persegue questi obiettivi e quali siano oggi le principali sfide e priorità dell’Ente.

Mattina: Il Community Plant Variety Office sostiene l’innovazione nel settore vegetale, garantendo un sistema di tutela della proprietà intellettuale chiaro, accessibile e affidabile per tutti gli attori del comparto, dalle grandi aziende alle piccole e medie imprese (PMI) e ai breeder. La protezione delle nuove varietà vegetali è un motore fondamentale per la ricerca e lo sviluppo, poiché assicura certezza giuridica e ritorno economico agli investimenti innovativi, creando così un ambiente favorevole alla competitività e al progresso tecnologico. Oltre al suo ruolo di tutela, l’Ufficio finanzia direttamente la ricerca applicata, destinando parte delle entrate derivanti dalle tasse di registrazione a programmi congiunti con gli uffici d’esame nazionali. Tali collaborazioni mirano a migliorare i protocolli tecnici, sviluppare strumenti digitali avanzati e favorire l’armonizzazione internazionale delle procedure, rafforzando la coerenza e l’efficienza del sistema europeo di protezione delle varietà vegetali. Il CPVO promuove inoltre la sostenibilità e la resilienza del settore agricolo, sostenendo lo sviluppo di varietà più adattabili ai cambiamenti climatici, capaci di ridurre l’uso di input e di contribuire alla diversificazione colturale e alla tutela della biodiversità. Tra le priorità attuali dell’Ufficio figurano: la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure d’esame; il miglioramento dell’accesso delle PMI al sistema di protezione; il rafforzamento della cooperazione con le autorità nazionali e internazionali; l’integrazione di strumenti digitali e dati molecolari nei processi di valutazione; e la risposta proattiva alle sfide emergenti legate alla biodiversità, alla resistenza alle fitopatie e all’adattamento climatico.

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Consumo di suolo e perdita di aree verdi: un Paese che si allontana dalla terra

Il suolo è la base della nostra vita: produce cibo, regola il clima, filtra l’acqua e ospita una parte enorme della biodiversità del pianeta. Eppure, in Italia ogni secondo ne perdiamo 2,7 metri quadrati sotto il cemento, l’asfalto o le strutture artificiali. Nel solo 2024, secondo l’ultimo rapporto ISPRA–SNPA, sono stati trasformati in modo irreversibile oltre 83 chilometri quadrati di territorio, un incremento del 15,6% rispetto all’anno precedente. 

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Microbiota, alimentazione e nutrizione: 1 – Microbiota degli endofiti vegetali

Il Prof. Giovanni Ballarini, accademico e assiduo collaboratore del nostro notiziario “Georgofili INFO”, ha ritenuto interessante considerare il microbiota umano di recente scoperta, in evoluzione e molto complesso, anche nei suoi rapporti tra vegetali e agricoltura, alimentazione, passaggio da una cultura agricola a una cultura urbana-industriale.
Questo argomento, molto interessante per i nostri lettori, non può essere affrontato in un solo articolo ma in una serie di cinque articoletti tra loro collegati che pubblicheremo consecutivamente nella newsletter, per cinque mercoledì.
Ogni articolo è corredato di una bibliografia in formato pdf per chi volesse approfondire il tema.
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In biologia nulla ha senso,
se non alla luce dell’evoluzione.

Theodosius Dobzhansky, 1973

La nozione di microbiota soprattutto intestinale risale agli anni Novanta del secolo scorso con i primi studi sulla flora intestinale, e il termine e una comprensione approfondita di questa componente complessa compagine maturano in questo secolo nei primi decenni di questo secolo con l’arrivo e i progressi nelle tecniche di sequenziamento del DNA e quando attorno al 2007 con il progetto microbioma umano vi è la possibilità di analizzare in modo più dettagliato le comunità microbiche che vivono nel corpo umano. In questo modo il microbiota intestinale umano, un insieme complesso di microorganismi, tra cui batteri, virus, funghi e archea, sebbene non sia un organo nel senso tradizionale del termine, da molti ricercatori è considerato un "organo funzionale" a causa delle sue funzioni vitali e della sua influenza sulla salute generale. Come è nato, si è sviluppato e si comporta questo organo funzionale? Un argomento molto ampio, complesso, in continua evoluzione e con importanti ruoli nella alimentazione e nutrizione umana che merita di essere conosciuto iniziando dalla sua origine, perché come ci insegna Theodosius Dobzhansky (1973) In biologia nulla ha senso, se non alla luce dell’evoluzione. Per questo bisogna risalire agli endofiti dei vegetali.

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Dialoghi sull’ Agroindustria: "L'Ombra Nera sull'Oro Verde: Xylella, la Nuova Minaccia per l'Olivicoltura"

Ranalli: Xylella fastidiosa subsp. pauca è un batterio fitopatogeno che ha causato ingenti danni agli olivi, in particolare in Puglia. Vive e si moltiplica all’interno dei vasi xilematici delle piante (i vasi che trasportano l'acqua e i sali minerali), blocca il flusso linfatico (causando carenze idriche e minerali) ed è responsabile della Sindrome del Disseccamento Rapido dell'Olivo (OQDS Olive Quick Decline Syndrome). Non si diffonde per contatto o per via aerea, ma è trasmessa esclusivamente da insetti vettori che si nutrono della linfa xilematica. In Italia, il vettore più comune è la sputacchina media (Philaenus spumarius). Donato, tu hai studiato molto questa patologia, puoi sintetizzarne i danni che ha provocato e la sua diffusione?

Boscia: Come dice il nome della sindrome, l’epidemia ha causato un fenomeno diffuso di disseccamenti dell’olivo che ha decimato una parte significativa dell’olivicoltura della penisola salentina e che adesso comincia, sia pur molto più lentamente, ad interessare alcune aree della Puglia centro-settentrionale. Se consideriamo che la Puglia è di gran lunga la prima regione olivetata d’Italia, dove in molte aree il paesaggio è caratterizzato da distese di olivi, spesso secolari, a perdita d’occhio, possiamo facilmente comprendere come il fenomeno, che ha comportato la perdita di milioni di alberi, rappresenti un’emergenza sociale ed ambientale, con un gravissimo impatto sull’economia dell’area. Dal punto di vista economico, i danni sono sicuramente ingenti. Un recente studio di economisti agrari dell’Università di Bari ha stimato, dal confronto tra il quinquennio 2008-2012 e 2017-2021, una perdita di redditività di 132 milioni/anno e una perdita di oltre un milione di ore di lavoro/anno, ma non è escluso che si tratti di una stima prudenziale e che i danni possano essere maggiori. Una stima che, oltretutto, non considera il crollo delle quotazioni della proprietà fondiaria. Ma quello economico è solo uno degli aspetti dell’impatto. Il danno paesaggistico è enorme, come pure quello ambientale. Al danno diretto del batterio va aggiunta l’accelerazione del fenomeno dell’abbandono, conseguente della perdita di redditività degli oliveti colpiti, che a sua volta genera un’altra grave emergenza ambientale, il fenomeno diffusissimo degli incendi estivi. In prospettiva, nonostante il programma ministeriale di rigenerazione del territorio, c’è il forte timore che la “rigenerazione” (reimpianto di olivo o di colture alternative, forestazione) possa restare limitata ad una quota minoritaria del territorio, in gran parte caratterizzato da piccola proprietà frammentata e dall’invecchiamento degli agricoltori: i cui eredi risiedono spesso fuori regione o, lavorando in settori completamente diversi, non sono motivati ad investire in “fazzoletti” di terra. Un quadro a tinte fosche, che vede l’esigenza di una solida cabina di regia con competenze interdisciplinari, idee molto chiare ed un imponente intervento di sostegno finanziario.

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Il nuovo rapporto FAO sullo stato delle foreste

Basato su dati ufficiali forniti da oltre 197 paesi e territori, il rapporto offre una panoramica dettagliata sull'estensione, la condizione, la gestione e gli usi delle foreste, contribuendo al monitoraggio di obiettivi globali come gli SDGs, l'Accordo di Parigi e il Piano Strategico delle Nazioni Unite per le Foreste.

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Il contributo della genomica per lo studio del bergamotto: traguardi raggiunti e prospettive future

Il bergamotto (Citrus bergamia Risso & Poiteau) rappresenta una delle espressioni più peculiari e identitarie della frutticoltura mediterranea. Con il 95% delle superfici coltivate concentrate lungo la fascia costiera ionica della Calabria, il bergamotto rappresenta infatti un raro esempio di monopolio colturale. La coltivazione in altri aerali italiani o in altri paesi non ha garantito produzioni sufficienti dal punto di vista quantitativo e qualitativo, ad oggi altri paesi produttori sono la Costa d’Avorio, la Guinea ed il Brasile. L’olio essenziale, ricavato dalla scorza del frutto, è da secoli un prodotto di pregio impiegato nella profumeria, nella cosmetica e, più recentemente, anche nei settori alimentare e nutraceutico. Negli ultimi anni si assiste inoltre alla parallela commercializzazione del frutto fresco alla luce del suo elevato valore nutraceutico. Tuttavia, la ristrettezza dell’areale di coltivazione, l’elevata specializzazione produttiva e la vulnerabilità a fattori biotici e abiotici pongono interrogativi cruciali sulla sostenibilità e la competitività futura della filiera. In questo contesto, le moderne tecnologie genomiche offrono strumenti di conoscenza e di innovazione che possono incidere profondamente sulle strategie di miglioramento genetico del bergamotto.
La genomica, intesa come studio sistematico della struttura, funzione ed evoluzione del patrimonio genetico, ha rivoluzionato la ricerca agraria negli ultimi vent’anni. La decodifica dei genomi di numerose specie di agrumi ha consentito di individuare geni e regioni cromosomiche associati a caratteri agronomici di interesse, aprendo la strada alla selezione assistita da marcatori molecolari.
Nel caso del bergamotto, le conoscenze genetiche disponibili sono limitate rispetto agli agrumi di più larga coltivazione, ma in rapida evoluzione. L’origine di questa specie è tuttora oggetto di discussione: si ritiene che derivi da un ibrido tra arancio amaro (C. x aurantium L.) e cedro (C. medica L.), o tra altre specie affini, configurandosi quindi come un genoma complesso e, al pari delle altre specie di agrumi, altamente eterozigote. 

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: La direttiva UE sul monitoraggio e la resilienza del suolo

Pagliai – Caro Edoardo, da decenni ormai la degradazione del suolo è una delle emergenze a livello globale ma, nonostante questo, da una parte a questa risorsa preziosa non è mai stata riservata l’attenzione che meriterebbe e dall’altra aumenta l’aggressività delle azioni antropiche; infatti, ad esempio, è uscito in questi giorni il rapporto annuale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) sul consumo di suolo dove si certifica il continuo incessante aumento arrivando a un tasso record di 2,7 metri quadrati al secondo di tale consumo! In questo contesto, la direttiva, approvata dal Parlamento Europeo il 23 ottobre 2025, sembra quanto mai opportuna.
Tale direttiva riconosce il suolo come una risorsa vitale, limitata e non rinnovabile su scala umana, fondamentale per l’economia, l’ambiente e la società. Suoli sani sono essenziali per la produzione di alimenti sicuri e nutrienti, la biomassa, la regolazione dell’acqua, il ciclo dei nutrienti, lo stoccaggio del carbonio e la biodiversità. Attualmente si stima che il 60-70% dei suoli dell’Unione sia deteriorato e continui a peggiorare, con costi economici enormi e rischi per la sicurezza alimentare e la salute umana.
Tu hai avuto modo di seguire l’iter di questa direttiva anche grazie al tuo ruolo in seno all’International Union of Soil Sciences e, soprattutto, con le tue interazioni con le Istituzioni Europee, qual è la tua valutazione su questo documento?

Costantini – La direttiva si inserisce nel quadro delle strategie UE (Green Deal, Strategia per la Biodiversità 2030, PAC, ecc.) e degli impegni internazionali (Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, Convenzione sulla desertificazione, Convenzione sui cambiamenti climatici), con l’obiettivo di raggiungere suoli sani in tutta l’Unione entro il 2050, attraverso un sistema armonizzato di monitoraggio dei suoli e una valutazione e gestione dei rischi per i siti contaminati.
L’impostazione è chiaramente tecnico-attuativa: non introduce nuovi obblighi diretti per gli agricoltori o i silvicoltori, ma obbliga gli Stati membri a organizzare un sistema solido di monitoraggio, valutazione, individuazione delle criticità e sostegno mirato alle pratiche migliorative. La logica è quella di rendere quello della salute e gestione del suolo un tema strutturato, tracciabile e sorvegliato al pari dell’acqua e dell’aria, coerente con PAC, direttiva nitrati, biodiversità, cambiamenti climatici e piani di adattamento.

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