Notiziario





Alberi contro

In un’epoca segnata dalla crescente consapevolezza dell’urgenza ecologica, stupisce – e al tempo stesso addolora – osservare come la questione del verde urbano, anziché rappresentare un terreno fertile per il dialogo e la co-costruzione di politiche pubbliche lungimiranti, si trasformi sempre più frequentemente in un’arena di scontro ideologico e strumentale.

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Tecnologie di evoluzione assistita: difficoltà e soluzioni condivise per gli agrumi e per la vite

Le tecnologie di evoluzione assistita (TEA) rappresentano un’opportunità per tutto il comparto agricolo grazie alla loro potenzialità di intervenire in maniera puntuale nelle regioni del DNA che sono responsabili del controllo di caratteri di interesse agrario, mimando ciò che può avvenire naturalmente.
Dal 2012, quando Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna sfruttarono il sistema di difesa naturale dei batteri per introdurre modifiche specifiche nel genoma di organismi più complessi, come animali e piante, al 2020, quando la loro grande intuizione venne riconosciuta attraverso il conferimento del premio Nobel per la Chimica, ad oggi, le TEA hanno fatto rilevanti progressi: sono diventate tecnologie di uso comune in numerosi laboratori di genetica e sono applicate a piante di interesse agrario, industriale ed ornamentale.
Ciononostante, le TEA non sono né saranno la panacea di tutti i mali, né tantomeno sono applicabili a qualsiasi specie, con la stessa semplicità ed efficienza. La sequenza genica responsabile del carattere da migliorare non è sempre nota, così come non è detto che la varietà di interesse, una volta che alcune sue cellule sono state editate, sia capace di rigenerare e dar vita ad una pianta completa. Se da un lato non si può generalizzare sostenendo che le specie erbacee ed ortive siano più facili, dall’altro è certo che le specie arboree da frutto, come agrumi e vite, presentino alcuni fattori che rallentano l’utilizzo delle TEA. Quando l’obiettivo è migliorare la qualità dei frutti e si deve usare materiale proveniente da espianti giovani da coltura in vitro (es. epicotili, foglie, protoplasti), i tempi di attesa possono essere davvero lunghi. Questo perché le specie arboree possono mantenere caratteri di giovanilità (incapacità di passare alla fase riproduttiva) fino a 10 anni. Inoltre, non è possibile ricorrere al reincrocio per segregare (quindi, eliminare) la cassetta contenente la Cas (elemento cardine del genome editing insieme al CRISPR), la cui permanenza dentro la pianta la renderebbe un organismo geneticamente modificato (OGM).
Ma facciamo un po’ di chiarezza: non che sia materialmente impossibile reincrociare due piante di agrumi oppure di vite; in realtà è un processo fattibile, e non sarebbe tanto diverso da un comune altro incrocio su cui si basa il miglioramento genetico tradizionale. Il problema è che si darà vita ad una pianta molto diversa da quella originaria, tanto da perdere l’identità genetica con, inoltre, tempi di attesa molto lunghi.

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Dialoghi sull’ Agroindustria: “Energie rinnovabili da biomasse agricole in Italia: chimera o realtà”?

Ranalli: Sono consapevole, Massimo, di rivolgerti una domanda tranchant e che la risposta si collochi tra le due opzioni. Cerchiamo, allora, di delineare un quadro aggiornato delle filiere di questo comparto. Indubbiamente, le biomasse agricole rappresentano una realtà con un potenziale significativo, ma la loro piena integrazione nel sistema energetico italiano non è priva di sfide: non può essere considerata una soluzione "magica" e neppure una "chimera" irraggiungibile. Cosa ne pensi?

Iannetta: Le biomasse sono una opportunità che ha avuto grande attenzione a partire dagli anni ‘80, ma se escludiamo il parziale successo della filiera del biogas e lo sviluppo di alcune filiere legno-energia, non hanno trovato nel nostro paese lo sviluppo che i potenziali in gioco lasciavano presupporre. Nonostante gli investimenti in ricerca e le misure specifiche dei PSR delle precedenti programmazioni, le biomasse per energia hanno visto uno sviluppo limitato ad alcune iniziative e ad alcune tipologie aziendali. Sono tre i pilastri che possono contribuire positivamente al connubio agricoltura-energia:
- Le bioenergie, se ottenute dalla valorizzazione di residui agricoli, zootecnici e agroindustriali, rappresentano un esempio concreto di economia circolare.
- L'agrivoltaico, che, integrando impianti fotovoltaici con l’attività agricola, permette di ottimizzare l’uso del suolo, combinando la generazione di energia rinnovabile con la coltivazione di piante o l’allevamento.
- Le comunità energetiche, modelli di autogestione che coinvolgono cittadini, imprese e agricoltori nella produzione e condivisione di energia rinnovabile a chilometro zero. 

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Non di soli dazi, Trump e la sua crociata

Nel disegno di Trump vi è una strategia, consapevole o non, che mira alla costruzione di un sistema mondiale fatto di economie chiuse e basato sul potere degli Stati di imporre la “taglia” dei dazi ad altri, a proprio vantaggio. Ma ciò contiene un errore di fondo, perché in realtà il costo reale è pagato dal Paese che impone i dazi e il vantaggio, se pur si forma inizialmente, è di breve durata. L’economia nazionale non cresce, ma avvizzisce e con essa si contrae anche il totale dell’economia mondiale, impoverita da quella “mano” nascosta che sottrae una parte della ricchezza prodotta.

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Policrisi e ambiente urbano: la sfida ecologica delle città nell’era dell’incertezza

Oggi l’ambiente urbano e i suoi fragili ecosistemi subiscono pressioni senza precedenti, ma possono anche diventare nodi strategici per la resilienza e la rigenerazione.

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Quale sostenibilità in agricoltura?

Sostenibilità è espressione entrata in questi ultimi anni con forza all’interno del dibattito sulla “sostenibile” utilizzazione delle risorse naturali, a partire dalle riflessioni di alcuni economisti, e da rapporti e studi elaborati da organizzazioni internazionali.
In realtà, il tema della sostenibilità si declina secondo una pluralità di prospettive, che non investono esclusivamente i profili ambientali, ben al di là della tradizionale perimetrazione dell’attività agricola e delle imprese agricole.
Da ciò una domanda ineludibile: Quale sostenibilità in agricoltura?
Un primo dato va ricordato: le finalità assegnate alla PAC sono rimaste immodificate in questi decenni, dall’art. 39 del TCEE del 1957 all’art. 39 del vigente TFUE. La sostenibilità non era menzionata, e tuttora non è menzionata, fra le finalità assegnate alla politica agricola, mentre era ed è espressamente menzionata la sicurezza degli approvvigionamenti. Tuttavia c’era già nel 1957, e c’è tutt’ora, un aggettivo che fa riflettere: si parla di “sviluppo razionale della produzione agricola” (art. 39 lett. a).
La mente corre all’art. 44 della nostra Costituzione, ed al fine di “conseguire il razionale sfruttamento del suolo”. Il canone di razionalità è stato infatti uno degli strumenti, attraverso cui in Italia sono state introdotte e confermate misure in tema di tutela ambientale, anche in assenza di riferimenti testuali all’ambiente nel testo originale della Costituzione.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: La gestione del suolo nei nuovi impianti di vigneti

Pagliai – È indubbio che dalla fine del secolo scorso all’inizio degli anni 2000 si è assistito ad un vero boom dell’espansione viti-vinicola, non solo nelle aree classiche come il Chianti in Toscana o le zone del Prosecco in Veneto, ma anche in altre aree che si sono scoperte a forte vocazione per la produzione di vini di qualità come, ad esempio, la Maremma. L’espansione di questi nuovi impianti ha, in qualche modo, cambiato il paesaggio con il definitivo abbandono delle vecchie sistemazioni idraulico-agrarie (come i terrazzamenti) sostituite con livellamenti e scassi per facilitare la gestione del vigneto attraverso la meccanizzazione spinta. Se da un lato queste innovazioni hanno portato dei vantaggi, dall’altro si è assistito ad ingenti perdite di suolo per erosione, complice anche la crisi climatica in atto, che potrebbero portare, nel lungo termine, a zone non più idonee per la coltivazione della vite. La degradazione del suolo, se non si arresta, porta verso la desertificazione. È esagerato avanzare questi dubbi? Si potrebbero ripensare, in qualche modo, sistemazioni idraulico-agrarie in chiave moderna che possano ridurre le perdite di suolo per erosione e garantire una migliore regimazione delle acque?  

Vignozzi – La degradazione del suolo è un problema molto serio e finora sottovalutato. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una progressiva presa di coscienza, ma ancora c’è molto da fare.
La viticoltura è uno dei sistemi colturali in cui i processi di degradazione del suolo sono più evidenti, e fra questi soprattutto l’erosione e la conseguente perdita di fertilità.
Per contrastarne la degradazione è necessario conoscere il suolo; solo operando sulla base della conoscenza il rischio di scelte sbagliate diminuisce. È quindi indispensabile, fin dalla fase di progettazione di un nuovo impianto, prevedere una indagine pedologica che non si limiti ad analizzare campioni presi qua e là dai primi 30 cm di suolo.
Il suolo è un sistema naturale organizzato che varia nello spazio e nel tempo, e quello che succede in superficie è strettamente legato a quello che accade in profondità. Il rilevamento pedologico di dettaglio (anche con uso di sensori) permette di gestire al meglio l’eterogeneità dei suoli, individuando le varie criticità.

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Una mela al giorno leva ancora il medico d’attorno?

Una mela al giorno leva il medico d’attorno, perché la mela era mangiata da Eva, il che non sappiamo? E perché non la pesca o la susina? Frutta benefica se mangiata cruda o anche cotta, marmellata o come succo? Mangiare noci che per la loro forma si dice facciano bene al cervello, o la pesca per avere una bella pelle liscia? E i frutti di bosco, in particolare i mirtilli, per vedere meglio? Di certo sappiamo che la frutta è un componente chiave di una dieta sana e non per niente proveniamo da lontani antenati che più che vegetariani erbivori erano fruttivori. 

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Cosa ci rende umani?

L'interesse relativamente recente per il benessere animale ha portato a intensificare gli studi sul comportamento animale e ad esaminare le capacità degli animali più dotati, confrontandole con il comportamento e le capacità umane. Da una prospettiva etica, ciò ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo il nostro rapporto con gli animali e, in pratica, ha avuto un impatto significativo sulla legislazione sul benessere degli animali in tutti i Paesi.
Prima di affrontare il problema etico del nostro rapporto con gli animali, è importante sapere quanto siamo simili.

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Ricordi di un pioniere della Riforma Agraria

Ho letto nei giorni scorsi, pubblicato su Georgofili Info, l’intervento “Il podere è potere?” del Vice Presidente dell’Accademia Prof. Amedeo Alpi che, con riferimento al volume “La Riforma Agraria in Italia - La Maremma dell’Ente Maremma” di Paolo Passaniti, analizza e commenta il clima socio-politico di quel periodo in Italia con particolare riguardo alla Maremma.
L’intervento del Prof. Alpi ha sollecitato il mio interesse in quanto ha risvegliato ricordi della mia adolescenza e gioventù trascorsa al seguito di mio padre dirigente dell’Ente di Riforma Fondiaria di Puglia, Basilicata e Molise. Vorrei, quindi, portare il mio contributo rievocando quel periodo attraverso i “Ricordi di un Pioniere della Riforma Agraria”.
La riforma agraria, iniziata nei primi anni ’50 per effetto della “Legge Sila” e della successiva “Legge Stralcio”, ebbe un ruolo importante per lo sviluppo dell'agricoltura e del suo indotto, a cominciare dal riscatto di migliaia di famiglie di contadini, i più poveri, non solo nel meridione d’Italia, ma anche in Maremma e nella bassa Romagna. Da solo l’Ente di Riforma Fondiaria di Puglia, Basilicata e Molise trasformò 180.000 ettari di latifondo in poderi unifamiliari o in quote integrative di piccolissime proprietà particellari.
Fu il disagio post-bellico, che spesso significava autentica fame e che formava una miscela esplosiva ad imporre questo massiccio intervento posto in essere molto prima che il miracolo economico della ricostruzione nel Nord Italia, in Germania, in Svizzera, in Francia richiamasse tante braccia, da sguarnire anche le zone rurali ad agricoltura più consolidata.
In seguito si sollevarono tante facili critiche che sono state smentite dai fatti: è sotto gli occhi di tutti che ancora oggi i poderi sono attivi e quasi tutti con i campi irrigati, anche se le case sono per lo più solo appoggi stagionali.

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Dialoghi sul Verde: "L'Uomo e la Natura"

Ferrucci: Nella lunga e preziosa teoria di pubblicazioni nazionali e internazionali nel campo della filosofia della scienza, che si dipana dal 2002 ad oggi attraverso monografie tradotte in molte lingue, e altri saggi scientifici, ci hai condotto con una straordinaria capacità divulgativa verso la conoscenza dell’intima essenza della Natura e del suo complesso intrecciarsi con la presenza dell’uomo sulla Terra. Non è facile sintetizzare in una risposta a questa domanda la tua profonda cultura sul tema che hai esplorato da filosofo della Scienza in tutte le sue sfaccettature, ma Ti chiedo qual è, per Te, l’essenza della Natura e in che senso è, traendo spunto dal titolo di un Tuo volume del 2022, “più grande di noi”?

Pievani: Rispondo con un gioco di parole: per me l’essenza della natura è quella di non avere essenze. Nel senso che l’insegnamento forse più rilevante e di sicuro più dirompente della rivoluzione darwiniana è l’accento sulla radicale diversità di ciascun individuo, portatore di differenze uniche e irripetibili. Ne deriva che la singolarità individuale non è una misura (in negativo) della distanza da una norma irraggiungibile, da un tipo, da un’essenza appunto. La diversità è un valore positivo fondamentale, è il motore di ogni cambiamento, la difesa dai rovesci del tempo e dell’ambiente. A cascata, discende che la natura è flusso, trasformazione, trasmutazione, incompiutezza, imperfezione. Possiamo bloccarla in una fotografia, ma lei sta già generando altro. Mi piace che in latino “natura” sia declinata al futuro: è ciò che sta per nascere. Anche noi esseri umani non abbiamo una nostra “natura” definita, siamo divenienti umani, più che esseri umani fatti e finiti. In fondo, la specie umana è giovane, siamo nati meno di 300 millenni fa in Africa. Per questo la natura è piena di contraddizioni, di sfumature, di paradossi, e non potrà mai essere un’autorità morale. Dire che qualcosa è buono perché naturale, o cattivo perché “contro-natura”, non ha alcun senso. Anche il pensiero religioso si sta finalmente confrontando con questa visione essenzialistica della natura, per superarla, essendo foriera di insuperabili problemi filosofici ed etici. 

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Dal letame all’oro nero: il vermicompost bufalino come risorsa sostenibile

La Campania presenta la maggiore densità di allevamenti bufalini d’Europa: oltre 300.000 capi generano grandi quantità di letame, la cui gestione è resa sempre più complessa dai limiti imposti dalla Direttiva Nitrati (91/676/CEE). Tuttavia, da questa criticità può nascere un’opportunità. Uno studio interuniversitario, condotto nell’ambito di un progetto finanziato dalla Regione Campania  (Progetto CIBUS - Ciclo Integrato dei reflui BUfalini Sostenibile, Decreto n. 237 del 27/05/2022, Azione A, CUP: B27G22000290002) ha dimostrato che il letame di bufala può essere trasformato in un fertilizzante organico di alta qualità attraverso il vermicompostaggio: un processo naturale in cui lombrichi del genere Eisenia degradano la sostanza organica, producendo un ammendante stabile, inodore e ricco di nutrienti.

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Il podere è potere?

A Grosseto, dove sono nato e vissuto per vent'anni, negli anni '40-'50 del secolo scorso, si assisteva ormai agli ultimi bagliori della "civiltà contadina", ma, ciononostante, il clima socio-politico della Maremma, e dell'Italia, era tutt'altro che calmo. Nel Sud, ma anche in vaste zone del Centro, le campagne erano popolate da masse di braccianti proletari che, frequentemente, si mobilitavano con decisione guidati dalla parola d'ordine "la terra ai contadini". Sono fatti ormai consegnati alla storia, ma sono serviti a cambiare, in modo definitivo, il paesaggio agrario e i rapporti contrattuali, su alcuni milioni di ettari, dopo una lunga storia di assetti fondiari stabili, conosciuti sotto il nome di latifondo o di grande proprietà; quest'ultima dizione voleva significare una proprietà non del tutto assente, come accadeva nel latifondo.
Questo periodo è stato trattato con notevole maestria da Paolo Passaniti nel volume "La Riforma Agraria in Italia- La Maremma dell'Ente Maremma" - Pacini Editore, 2024.
Possiamo considerare il testo diviso in due parti; una prima parte generale sulle principali ragioni che portarono il Governo della neonata Repubblica a porsi seriamente nella prospettiva di una riforma agraria che doveva, quanto meno, riferirsi ai territori interessati dalla bonifica integrale ideata dal Serpieri e, infine, una seconda parte, un "caso di studio", quello dell'Ente Maremma che operò sostanzialmente nella Provincia di Grosseto
Qual è il giudizio che Passaniti dà su tutta l'opera della Riforma fondiario-agraria di quegli anni e quindi sulla specifica attività dell'Ente Maremma? Diciamo subito che il pensiero dell'Autore appare molto chiaro sin dalle prime battute: non si può fare una convinta e totale valutazione positiva, ma certo non c'è -e non ci può essere- una totale stroncatura. D'altra parte personalità scientifiche, tanto autorevoli quanto diverse, come il sociologo rurale Corrado Barberis o l'economista agrario Manlio Rossi Doria, non hanno esitato, pur con dissimili priorità, a definire quegli interventi riformatori, come il principale atto legislativo dell'Italia del dopoguerra.
Nei preoccupanti -e dolorosi- tempi che viviamo, possiamo anche dimenticare le lotte per la terra del periodo 1944-1950 segnate anche da alcuni efferati fatti di sangue che potevano persino suscitare una sollevazione popolare di tipo rivoluzionario; non accadde, ma non possiamo tralasciare quella difficile realtà socio-economica immergendoci invece, nelle descrizioni, vagamente nostalgiche, riportate da alcuni bravissimi scrittori contemporanei (valga per tutti "Da stelle a stelle" di Chiara Frugoni, 2003), di un  passato che non c'è più, ma che tocca i ricordi di tutti noi. Infatti si tratta di scansioni temporali e abitudini di vita che in qualche maniera rimpiangiamo e che ricordano le nostre radici "agrarie", ma i moltissimi che vivevano direttamente la vita dei campi conoscevano l'enorme fatica quotidiana e il peso psicologico di un insperato riscatto. La Riforma fu una risposta a questo.
Tra le importanti personalità politiche di quel periodo c'era chi voleva una riforma agraria su scala nazionale, ma, con la fretta di dare una risposta efficace alla preoccupante conflittualità sociale delle campagne, in particolare del Sud, si decise di emanare la legge 12 maggio 1950 -definita legge Sila- che seguiva di solo un mese la presentazione di un disegno di legge di riforma agraria generale. Il capo politico del tempo, Alcide De Gasperi, aveva scelto di non procedere a espropri su alcune parti di Italia più progredite sul piano tecnico-agricolo (come le cascine lombarde e altre situazioni) decidendo, quindi, ad effettuare uno stralcio della riforma.

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Il modello AKIS per lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura e delle aree rurali

AKIS è l’acronimo della denominazione inglese “Agricultural Knowledge and Innovation System”, in italiano Sistema della conoscenza e dell’innovazione in agricoltura. E’ l’insieme coordinato dei soggetti e delle attività che producono conoscenza e innovazione e che la rielaborano e organizzano a beneficio delle imprese e dei territori rurali.
Comprende quindi un elevato numero di soggetti pubblici e privati quali:
- le istituzioni di ricerca e di studio
- le strutture che realizzano formazione quadri e professionale,
- gli organismi di consulenza che sostengono le imprese nelle azioni di cambiamento dei processi produttivi e organizzativi,
- il vasto ambito di società e istituzioni deputate alla raccolta, organizzazione e fruizione delle grandi moli di dati e informazioni prodotte e utilizzate dal settore agricolo e alimentare
- tutto l’insieme di soggetti vecchi e nuovi che producono innovazioni.

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Dialoghi sulle biotecnologie: “Il contributo delle Tecnologie di Evoluzione Assistita per il miglioramento genetico della barbabietola da zucchero”

Frusciante: Per lungo tempo la coltivazione della barbabietola da zucchero ha rappresentato un elemento centrale nell’agricoltura italiana, sia per la produzione di zucchero sia come coltura da rinnovo all’interno delle rotazioni agrarie. Negli ultimi decenni, tuttavia, questo settore ha attraversato profonde e significative trasformazioni, determinate da fattori non sempre legati alle esigenze specifiche del nostro sistema agricolo.

Ranalli: La coltivazione della barbabietola da zucchero ha conosciuto un marcato declino a causa di una serie di difficoltà interconnesse:
i) le riforme della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea, in particolare quella del 2005, hanno comportato una drastica riduzione dei prezzi garantiti e delle quote di produzione, penalizzando fortemente i produttori italiani;
ii) l’apertura dei mercati e la progressiva eliminazione delle barriere commerciali hanno intensificato la concorrenza da parte dei paesi produttori di zucchero di canna, spesso caratterizzati da costi di produzione più bassi, rendendo difficile la competitività del prodotto italiano a livello globale;
iii) il progressivo calo della redditività ha determinato una drastica contrazione delle superfici coltivate, con la conseguente chiusura di gran parte degli zuccherifici nazionali. Attualmente, ne restano operativi soltanto due su tutto il territorio, aggravando ulteriormente le difficoltà logistiche e commerciali per i bieticoltori, sempre più privi di sbocchi per la trasformazione del raccolto. 

Frusciante: Il miglioramento genetico della barbabietola da zucchero ha origini molto antiche: si tratta infatti di una delle prime specie oggetto di selezione genetica, ben prima che Gregor Mendel formulasse i suoi principi sull’ereditarietà. Già nel XIX secolo, Louis de Vilmorin, attraverso un rudimentale ma efficace metodo di selezione ricorrente, riuscì a ottenere varietà capaci di triplicare il contenuto di saccarosio rispetto a quelle precedenti.
Ma a che punto è oggi il miglioramento genetico della barbabietola? E quali sono i caratteri su cui si concentra maggiormente la ricerca attuale?

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La Fototeca dei Georgofili, lo stato dell’arte

Dal settembre 2024 è in corso una ricognizione e mappatura del patrimonio fotografico e dei Fondi fotografici conservati presso la Fototeca dell'Accademia dei Georgofili.
L’attività, che si realizza grazie ad uno specifico progetto dell’Accademia, finanziato dal Ministero della Cultura (Direzione generale Archivi), si è resa necessaria per dare corpo e sostanza anche a questa particolare sezione del patrimonio accademico. 

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Il fumo inalato o ingerito: l’effetto sulla salute umana del fumo di tabacco e degli alimenti affumicati (2° parte)

Premessa
In un precedente lavoro (Garattini e Fantozzi, IJFS 37,I 1-15,2025) sulle etichette degli alimenti, analizzando nello specifico alcuni usi fuorvianti delle stesse, tra cui quelli legati al fumo, abbiamo evidenziato i notevoli pericoli associati al fumo e sottolineato la necessità di una specifica pubblicazione dedicata su questo argomento. Ciò era dovuto alla complessità dell’argomento, in particolare per quanto riguarda la presenza di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) negli alimenti e il loro impatto sulla salute umana. Con il presente documento rispettiamo tale impegno strutturandolo in due sezioni: 1) gli effetti sulla salute del fumo di tabacco e 2) gli effetti sulla salute degli alimenti affumicati. 

Alimenti affumicati 
Cosa sono gli alimenti affumicati? 
L'affumicatura è una tecnica che arricchisce gli alimenti di aromi e sapori particolari e, allo stesso tempo, in alcuni casi, ne migliora la conservabilità.
Il fumo infatti ha un effetto antisettico che dipende da diversi fattori come l'azione del calore, la mancanza di ossigeno, la disidratazione e la presenza di sostanze antibatteriche nel fumo (ad esempio, formaldeide, aldeidi, alcoli e fenoli).
L'affumicatura degli alimenti affonda le sue radici nella storia dell'umanità. La scoperta del fuoco ha evidenziato che il processo di cottura migliorava la digeribilità della carne, che poteva così essere conservata più a lungo.
Riportiamo qui di seguito una interessante e chiara descrizione fatta dalla Prof.ssa Patrizia Cattaneo dell’Università di Milano:
"... L'affumicatura è la più antica tecnica di conservazione attuata dall'uomo. Risale alla scoperta del fuoco, più di 90.000 anni fa. Probabilmente si è scoperto casualmente che i pezzi di carne appesi sopra il fuoco nelle grotte, per evitare l'attacco delle mosche e degli insetti, si conservavano più a lungo e avevano un sapore migliore.
Anche nella tradizione contadina era consuetudine appendere carne e salsicce nel camino ottenendo un impasto di prodotto affumicato, essiccato e cotto. 
Nel 1800 gli affumicatoi consistevano in un'unica camera di mattoni dove venivano appese segatura o legna e in cui venivano appesi i prodotti. Attualmente, i generatori di fumo sono distinti dalla camera di affumicatura. Lo scopo originario dell'affumicatura era quello di aumentare la conservazione per l'essiccazione superficiale (con un aumento della concentrazione degli ingredienti della concia) e per deposizione di composti antimicrobici. In molti casi, la temperatura durante il processo di affumicatura era sufficientemente alta da ridurre significativamente il carico superficiale dei microrganismi.
La situazione oggi è diversa perché il processo ha scarso effetto sulla stabilità microbiologica dei prodotti e viene applicato principalmente per l'effetto sulle proprietà sensoriali e l'affumicatura viene abbinata ad altre tecniche conservative. La temperatura del fumo stesso può essere sufficiente a ridurre significativamente il numero di microrganismi...".

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Dialoghi sull’ Agroindustria: “L’ortofrutta da industria tra dinamiche di mercato e cambiamenti climatici”

Ranalli: Nel comparto dell’agroindustria, i prezzi sono volatili (per fattori climatici, geopolitici e di mercato) e i mercati sono globalizzati, con la concorrenza internazionale che penalizza i prezzi e la redditività delle produzioni locali. Inoltre, la crescente concentrazione del potere di mercato nelle mani di pochi attori della trasformazione e della distribuzione finisce col penalizzare ulteriormente i produttori agricoli. E’ una lettura sbagliata, Dr. Frassoldati? Quali strategie si possono mettere in atto per contrastare tale situazione? 

Frassoldati: Una fase della globalizzazione, del mercatismo sfrenato, del multilateralismo è finita. Il WTO è un lontano ricordo.  Il protezionismo è il nuovo mantra dell’amministrazione USA. E’ alle porte un ciclo nuovo di scelte unilaterali dove chiaramente la nuova amministrazione USA vuole dare le carte per fare in primo luogo il proprio interesse e trovare compromessi (dopo trattative) con le altre economie. Non c’è dubbio che tutto questo apre scenari inquietanti: le guerre commerciali hanno sempre causato tensioni fra Paesi, rallentamenti dell’economia, sicuramente spinte inflazionistiche. Tutto si confonde e si mischia a causa degli scenari geopolitici in evoluzione, dove dominano disordine e imprevedibilità. L’Europa deve rivedere le proprie politiche industriali (fallimentari) e anche agricole (altrettanto fallimentari). Il disordine mondiale ha rilanciato peso, ruolo e strategicità delle produzioni agricole e agroalimentari. L’Italia è un grande paese esportatore (di food) ma anche importatore di materie prime agricole (in deficit). Per tanti motivi la nostra produzione agricola è in calo da decenni per il concomitante aggravarsi della crisi climatica, di nuove ed emergenti fitopatie, di politiche comunitarie miopi e ideologiche che hanno messo in gravi difficoltà le imprese, sottraendo redditività e produzione. E’ interesse vitale del Paese chiedere e mantenere mercati aperti perché l’export (vino, ortofrutta fresca e trasformata, pasta, formaggi, salumi) sostiene e fortifica la nostra bilancia agroalimentare, garantisce redditività alle produzioni di base e dà ulteriore valore alla nostra Dop economy. E poi, come dice il presidente Mattarella, i mercati aperti garantiscono e proteggono la pace.  

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Cento anni fa nasceva il tramezzino, anticipatore del “food design”

Nel 1925 Angela Demichelis con il marito Onorino Nebiolo, con i risparmi accumulati in America, comprano a Torino il caffè Mulassano con il proposito di gestire un locale tutto loro. 

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Le imprese: “Per l’ortofrutta non c’è più tempo”

L’assemblea di Fruitimprese del 10 aprile scorso ha segnato una svolta. Non solo per la partecipazione istituzionale (a partire dal ministro Lollobrigida) e la vicinanza al settore espressa dal mondo della politica ma per il messaggio – chiaro e forte - che ne è uscito: il tempo è scaduto, non c’è più tempo, dicono le imprese, stiamo perdendo produzione, superfici, investimenti. Quindi consumi, quindi occupazione, quindi export. Quindi leadership.

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Fumo inalato o ingerito: effetti sulla salute umana del fumo di tabacco e degli alimenti affumicati (1° parte)

Premessa
In un precedente lavoro (Garattini e Fantozzi, 2025) sulle etichette degli alimenti, analizzando nello specifico alcuni usi fuorvianti delle stesse, tra cui quelli legati al fumo, abbiamo evidenziato i notevoli pericoli associati al fumo e sottolineato la necessità di una specifica pubblicazione dedicata su questo argomento. Ciò era dovuto alla complessità dell’argomento, in particolare per quanto riguarda la presenza di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) negli alimenti e il loro impatto sulla salute umana. Con il presente documento rispettiamo tale impegno strutturandolo in due sezioni: 1) gli effetti sulla salute del fumo di tabacco e 2) gli effetti sulla salute degli alimenti affumicati. 

Che cos'è il tabacco 
Il tabacco è una pianta coltivata per le sue foglie ricche di nicotina, un alcaloide stimolante che crea forte dipendenza. Può essere consumato in varie forme, tra cui fumare, masticare o sniffare. Le sigarette sono i prodotti del tabacco più comunemente fumati. La pianta del tabacco è originaria delle Americhe, dove le popolazioni indigene la utilizzavano nelle cerimonie religiose e per le sue presunte proprietà medicinali. Dopo l'arrivo dei conquistatori spagnoli nel XV secolo, il tabacco fu introdotto in Europa come merce di scambio, principalmente per il fumo. La popolarità del tabacco a livello mondiale è aumentata nel XIX secolo con l'avvento delle sigarette prodotte in serie. Oggi la pianta del tabacco è coltivata nella maggior parte dei Paesi del mondo. I primi 5 produttori di tabacco non lavorato sono Cina (circa il 40% della produzione globale), India (12%), Brasile (12%), Zimbabwe (4%) e USA (3%).

Conseguenze del fumo sulla salute 
È noto che il fumo di sigaretta provoca l'80% di tutti i tumori ai polmoni e contribuisce allo sviluppo di almeno altri 14 tipi di cancro, soprattutto dell'apparato respiratorio e digestivo (IARC, 2012). Il fumo di sigaretta è anche il principale fattore di rischio per la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una malattia debilitante caratterizzata da una ridotta funzionalità respiratoria e da un notevole costo economico e sociale. I fumatori hanno anche un rischio significativamente più elevato di cardiopatia ischemica e ictus, due patologie che contribuiscono in modo significativo alle malattie cardiovascolari, la principale causa di morte nei Paesi ad alto reddito.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: Acqua e agricoltura: un futuro preoccupante

Pagliai – Caro Giuliano non è certo un bel momento per la nostra agricoltura afflitta da mille problemi che sfociano poi in redditi tutt’altro che dignitosi per i nostri agricoltori (a parte qualche rara eccezione come, ad esempio, la zona del prosecco della tua Regione) che talvolta o troppo spesso portano ad un abbandono di questa attività. Come se non bastasse, la crisi climatica in atto aggrava fortemente la situazione sia con l’aumento delle temperature, sia con l’invasione di nuovi parassiti ma soprattutto con il problema dell’acqua, dove si passa da violente e devastanti precipitazioni in un breve periodo con una perdita del 90% di acqua che non viene immagazzinata nel terreno a lunghi periodi di siccità. Non è un problema sorto all’improvviso ma, nonostante questo e nonostante gli sforzi dei consorzi di bonifica, non si vede ancora un concreto piano nazionale sia di messa in sicurezza del territorio, sia di stoccaggio di acqua piovana. Eppure, il mondo della ricerca già sul finire del secolo scorso aveva lanciato allarmi importanti; uno slogan dei pedologi, ad esempio, era “la corretta gestione del suolo e delle risorse idriche sarà la sfida del futuro”. Sfida persa! Confesso la mia frustrazione o è una visione troppo pessimistica la mia?

Mosca – Senza voler aumentare il tuo livello di pessimismo, caro Marcello, a mio avviso è indispensabile conoscere qual è la situazione in generale.
Uno sguardo sul mondo attuale porta ad affermare con Paul Valéry, scrittore, poeta e filosofo francese (1871-1945), che “L’avvenire è come il resto. Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. In breve ci dobbiamo adattare a dei mutamenti epocali e inaspettati, non senza reagire.
Con riferimento al bene prezioso dell’acqua è da notare che in Europa il 15% del territorio si trova in uno stato di allarme e lo 0,7% in uno di allarme grave (Fonte: European Drought Observatory). Nel mondo poi 2,2 miliardi di persone vivono senza acqua potabile, mentre in Italia la disponibilità di acqua ammonta a 279 miliardi di m3/anno di cui, nel 2022, circa 67 hanno rappresentato il minimo storico dal 1951 e 49 miliardi di m3/anno rappresentano invece la pioggia caduta nel mese di maggio dello stesso anno quando si verificò la prima alluvione in Emilia Romagna.
L'OMS afferma che il 40% dell’umanità vive in condizioni igieniche precarie soprattutto per carenza d’acqua. Nel severo “cahier de doléances” si indica un consumo medio di 350 l/giorno per una famiglia canadese, di 165 per una europea e di 20 per una africana. 

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L’ Europa oggi: scelte politiche e ruolo della PAC

L’agricoltura con la PAC è stata antesignana dello sviluppo di un’integrazione più profonda del solo mercato comune perché ha costituito un passaggio, il primo, verso una nuova entità politica ed economica unica. La moneta unica come parte della politica economica e monetaria unica si è fermata molto più indietro, nonostante gli inevitabili collegamenti con le politiche nazionali.

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Anthèlme Brillat-Savarin, critico della cucina borghese

Nell’anno 1825 a Parigi Gabriel de Gonet, Editeur Rue del Beaux Arts 6 mette in commercio il libro Physiologie du Goût, ou Méditations de Gastronomie Transcendante. Ouvrage théorique, historique et à l'ordre du jour, dédié aux Gastronomes parisiens, par un Professeur, membre de plusieurs sociétés littéraires et savantes. L’opera ha un grande successo e non è difficile conoscerne l’autore, Anthèlme Brillat-Savarin (1755 – 1826), un settantenne avveduto e alto magistrato, consigliere della Corte di Cassazione del Dipartimento della Senna, nella cerchia giudiziaria noto per i suoi studi giuridici e che gli amici conoscono per le sue poesie giocose, passione per la caccia, giuochi di società, la musica, i pranzi e il suo buongusto.

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Una lezione dagli USA sulla gestione degli OGM

La rivista “Science” ha recentemente pubblicato i risultati di uno studio a lungo termine sulla resistenza alla tossina insetticida Bt in insetti del genere Diabrotica nei campi coltivati di mais transgenico Bt. La ricerca, durata 12 anni, ha analizzato dati provenienti da 10 stati del “Corn Belt”: Illinois, Iowa, Minnesota, Nebraska, North Dakota, South Dakota e Wisconsin, nel gruppo degli stati occidentali, e Indiana, Michigan e Ohio, nel gruppo degli stati orientali (Ye et al., 2025. “Too much of a good thing: Lessons from compromised rootworm Bt maize in the US Corn Belt”, Science, 387, 984-989).
Come è noto, da oltre 20 anni negli USA si coltivano ibridi di mais geneticamente modificati (GM) per la produzione di tossine insetticide derivate dal batterio del suolo Bacillus thuringensis (Bt). Dopo pochi anni diversi studi avevano documentato l’insorgenza della resistenza di alcuni insetti bersaglio a tali tossine, che, prodotte ininterrottamente dalle piante GM esercitavano su di essi una forte pressione selettiva. Tale evento era considerato ineludibile anche dalle aziende produttrici di mais Bt, che consigliavano piani di gestione (Insect Resistance Management, IRM) basati su impianti di zone cosiddette “rifugio”, cioè porzioni di terreno coltivate con la stessa coltura, ma non transgenica, dove poteva mantenersi una popolazione di insetti target non esposta alla tossina Bt.
In tali zone gli insetti suscettibili alla tossina avrebbero potuto incrociarsi con gli insetti resistenti eventualmente emersi, dilazionando così nel tempo l’insorgenza della resistenza nella popolazione di insetti nocivi.
Purtroppo diverse ricerche hanno dimostrato che la tattica delle zone rifugio non è stata sufficiente contro diversi insetti nocivi, in particolare contro Diabrotica virgifera virgifera, che negli anni 2011-2016 aveva causato severi danni in 25 distretti in Illinois, Iowa e Minnesota. 

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Conservare per innovare: le risorse genetiche agrarie e l’agricoltura del futuro

  • 30 April 2025
  • Carlo Fideghelli, Elisa Vendramin, Sabrina Micali, Ignazio Verde

L'agrobiodiversità, frutto di 10.000 anni di agricoltura, è cruciale per affrontare le sfide agricole future, al fine di garantire sicurezza alimentare e adattamento ai cambiamenti climatici.
Le risorse genetiche agrarie devono essere preservate e caratterizzate e vanno utilizzate per sviluppare varietà adatte alle mutevoli condizioni ambientali e socioeconomiche.
La diversità biologica o biodiversità viene definita dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) come la variabilità tra tutti gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui fanno parte.
La biodiversità include la diversità degli ecosistemi, la diversità delle specie e la diversità genetica all'interno delle specie.
L'agrobiodiversità riguarda le risorse genetiche delle specie agrarie e comprende le specie coltivate e le specie affini, gli organismi utili come, ad esempio, il microbiota del suolo e quello coinvolto nei processi di trasformazione (batteri e lieviti fermentativi), i pronubi e gli antagonisti dei parassiti. Delle circa 350.000 piante superiori censite sul nostro pianeta (https://www.kew.org/science/state-of-the-worlds-plants-and-fungi), solo circa 200 sono coltivate e il 90% del fabbisogno alimentare globale proviene da circa 100 di esse. Riso, grano, mais e patata coprono, approssimativamente, il 60% delle calorie consumate dall'umanità. La FAO stima che il 75% della diversità genetica delle specie agrarie sia andato perso nel tempo.
Il mantenimento e la conservazione dell’agrobiodiversità vengono garantiti a livello globale, attraverso quattro modalità:
1. In situ: preservazione delle risorse genetiche nel loro habitat naturale; utile per le specie selvatiche affini (Crop Wild Relatives, CWR).
2. On farm: coltivazione di ecotipi locali da parte di agricoltori, di fatto custodi, formalmente riconosciuti o meno.
3. Ex situ: conservazione in banche di germoplasma (Gene Bank), - come semi o organi di moltiplicazione agamica. Per le piante da frutto si preferisce la conservazione in vivo o in vitro (crioconservazione, slow growth).
4. Svalbard Global Seed Vault: nell’isola di Spitsbergen (Norvegia) sono conservati i duplicati dei semi delle banche nazionali, usati, ad esempio, per ricostruire la banca ICARDA di Aleppo distrutta dalla guerra, non dà accesso alle risorse conservate.

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Non buttiamo via le bucce di cipolla: nella dieta delle bovine da latte ne riducono la metanogenesi enterica

Si è scoperto che le bucce delle cipolle, residui dell’industria di trasformazione industriale, inserite nella dieta delle vacche da latte, abbattono significativamente la produzione di metano enterico, limitando il danno che questo gas arreca all’ambiente.

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Evo 2: l'IA che legge i genomi e definisce il futuro delle coltivazioni

Immagina di aprire un libro antico, scritto in un linguaggio misterioso fatto non di parole, ma di lettere – A, T, C, G – ripetute all'infinito in combinazioni che sfuggono alla nostra piena comprensione. Questo libro è il DNA, una lunga sequenza di basi azotate che racchiude le istruzioni fondamentali per costruire e far funzionare ogni essere vivente. Un testo tanto ordinato quanto enigmatico, di cui abbiamo imparato a decifrare soltanto alcune frasi. Il resto? Un intricato codice ancora da interpretare, un poema biologico scritto dalla natura nel corso di miliardi di anni.
L’intelligenza artificiale (IA), creatura moderna di silicio e logica, ha dimostrato una sorprendente affinità con ogni forma di testo. Che si tratti di parole pronunciate dagli uomini o di quelle scritte dalla vita stessa nel linguaggio del DNA, l’IA entra in scena non solo come un lettore instancabile, ma come un interprete lucido e visionario. In questo vasto universo di lettere e simboli, decifra alfabeti e strutture, osserva, confronta, riconosce.
Il cuore pulsante dell’intelligenza artificiale è la cosiddetta macchina di apprendimento, un’entità che si comporta come un allievo curioso e tenace.  All’inizio del suo cammino, questo allievo si trova spaesato di fronte a un sapere complesso e ancora indecifrabile. Le domande che gli vengono poste gli appaiono come enigmi senza chiave, e le sue risposte, spesso imprecise, sono tentativi incerti di orientarsi in un mondo che ancora non conosce. Ma ogni errore che commette non è una sconfitta: è un’occasione per imparare. Ogni correzione ricevuta è una lezione, ogni fallimento un passo avanti. A poco a poco, l’allievo inizia a riconoscere regolarità e schemi, a collegare i concetti, ad affinare il proprio sguardo. Con pazienza, attraverso la riflessione e la ripetizione, costruisce una comprensione sempre più profonda del mondo che lo circonda.

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Dialoghi sul Verde: “Verde urbano e salute umana”

Ferrucci: Il ruolo del verde urbano tra le Nature Based Solutions che concorrono ad arginare le conseguenze perverse sotto il profilo ambientale indotte dal consumo di suolo nelle nostre città è un dato ormai consolidato nella letteratura scientifica di settore e riconosciuto dallo stesso legislatore dell’Unione Europea, da ultimo nel Regolamento sul Ripristino della Natura del 2024. Credo però sia necessario al fine di sensibilizzare in modo più incisivo l’opinione pubblica e scuotere la diacronica disattenzione degli amministratori locali, approfondire il profilo della incidenza della presenza e viceversa dell’assenza di aree verdi in ambito urbano e periurbano sulla salute umana. Ed ho pensato come privilegiata interlocutrice di questo dialogo, a te che, come medico, ti sei dedicata allo studio della Medicina Ambientale ed hai approfondito la ricerca sull’Approccio One Health nel setting della Medicina Generale.
Ti chiedo allora quale collegamento possiamo trovare tra la presenza di verde urbano e la salute umana? 

Stanco: La presenza di verde urbano offre molteplici effetti benefici per la salute umana. Consideriamo una città che ne è priva e vediamo alcuni effetti negativi che questo comporta.
Le isole di calore urbano, ad esempio, comportano un aumento della mortalità prematura da caldo eccessivo. Uno studio pubblicato nel 2023 condotto su 93 città europee ha messo in evidenza gli effetti deleteri delle UHIs (urban heat islands) e dimostrato i benefici per la salute derivanti dall’aumento della copertura arborea per raffreddare gli ambienti urbani. Nello studio vengono stimati il numero di decessi attribuibili alle isole di calore urbane e quantificati quelli che potrebbero essere evitati aumentano la copertura arborea nella città europee. Nel 2015, si stima che 6700 decessi siano stati causati da UHIs, di cui 2644 avrebbero potuto essere evitati con una copertura arborea del 30%.

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Limiti normativi alla valorizzazione degli scarti per l’agricoltura

L’agricoltura sta vivendo una grande trasformazione, chiamata a produrre cibo in modo sostenibile, rispettando l’ambiente. In questo scenario, il riutilizzo degli scarti agroindustriali può rappresentare una soluzione concreta per migliorare la salute del suolo, ridurre l’inquinamento e utilizzare meglio le risorse naturali. Nonostante i numerosi vantaggi ambientali ed economici, l’applicazione pratica di queste soluzioni su larga scala resta limitata da ostacoli normativi e burocratici.

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Sei mesi per cambiare il mondo?

Stanno per concludersi i primi 100 giorni della Presidenza di Trump. Un’antica e nota regola della politica vuole che essi siano dedicati alla presentazione delle linee guida e dei relativi primi provvedimenti di un Governo appena insediato. In tutto ciò vi è un fondo di logica verità e di pragmatismo.  Il rapporto del vincitore con l’elettorato è vivo, le promesse elettorali sono recenti e i tempi per realizzarle abbondanti. Tutte le premesse indicano che anche Trump si voglia attenere a questa regola non scritta, per quanto in modo molto personale e con frenetici cambiamenti di comportamento

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Eunice Newton Foote (1819-1888): la scienziata che aveva previsto il cambiamento climatico, ma non fu creduta, in quanto donna

Il 17 luglio 2023 il motore di ricerca per Internet Google, con una serie di vignette colorate e coinvolgenti, ha dedicato il doodle (il disegno o filmato commemorativo di un evento) a Eunice Newton Foote, la prima persona nella storia a scoprire il funzionamento dell’”effetto serra”, dimostrando scientificamente come un aumento dei livelli di CO2 in atmosfera sia responsabile del surriscaldamento del pianeta. Inutile sottolineare l’importanza dell’argomento, alla luce dei recenti e preoccupanti mutamenti climatici ai quali stiamo assistendo.
Scienziata, inventrice e attivista per i diritti delle donne vissuta tra il 1819 (appunto, 17 luglio) e il 1888, Eunice riuscì a prevedere la crisi climatica grazie ai suoi esperimenti sull’interazione tra i raggi solari e diversi gas. In particolare, Eunice condusse una serie di esperimenti che dimostrarono le interazioni dei raggi del Sole su diversi gas. Usò una pompa ad aria, quattro termometri a mercurio e due cilindri di vetro. Per prima cosa posizionò due termometri in ogni cilindro, quindi utilizzando la pompa ad aria, evacuava l’aria da un cilindro e la comprimeva nell’altro. Consentendo a entrambi i cilindri di raggiungere la stessa temperatura, li posizionò alla luce del Sole per misurare la variazione di temperatura una volta riscaldati e in diverse condizioni di umidità. Eseguì questo esperimento con la CO2, con l’aria comune e con l’idrogeno. Foote concluse che la CO2 aveva trattenuto più calore, raggiungendo una temperatura di 125 °F (52 °C).  In base a questo esperimento, affermò che «Il recipiente contenente questo gas è diventato esso stesso molto caldo, molto più sensibilmente dell’altro, e quando è stato rimosso [dal Sole], il raffreddamento è stato altrettanto lungo.» In riferimento alla storia della Terra, Foote teorizzò che «Un’atmosfera costituita da quel gas darebbe al nostro pianeta una temperatura elevata; e se, come alcuni suppongono, in un periodo della sua storia, l’aria si fosse mescolata con essa in una proporzione maggiore rispetto allo stato attuale, deve essere necessariamente derivato un aumento della temperatura per sua stessa azione…» Il lavoro fu ammesso all’ottavo incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science il 23 agosto 1856 ad Albany, New York. Non è chiaro perché Foote non abbia presentato personalmente il proprio contributo alla conferenza, dato che le donne erano in linea di principio autorizzate a parlare, ma la sua relazione fu, invece, affidata al Prof. Joseph Henry dello Smithsonian Institution. Prima di leggere il lavoro di Foote, Henry ne introdusse i risultati affermando che «La scienza non è di nessun Paese e di nessun sesso. La sfera della donna abbraccia non solo il bello e l’utile, ma anche il vero.» Il lavoro sperimentale apparve in un fascicolo dell’American Journal of Science and Arts del 1856, e Foote fu elogiata nel numero di settembre 1856 di Scientific American intitolato “Scientific Ladies”, in cui gli autori erano rimasti colpiti dalle sue scoperte supportate dai suoi esperimenti, affermando «siamo felici di dire che ciò è stato fatto da una signora». Ciononostante, l’articolo ebbe scarsa risonanza nella comunità scientifica e in Europa uscirono dei riassunti incompleti e tali da non rendere giustizia dell’importanza della scoperta.

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Dialoghi sulle biotecnologie: “Il contributo delle TEA per il Miglioramento genetico della canapa”

Frusciante: Le colture industriali si dividono in due settori: agroalimentare (food) e non alimentare (no food). Paolo, con te vorrei approfondire due delle specie più rappresentative di queste categorie: la canapa e la barbabietola da zucchero. Iniziamo dalla canapa. Sappiamo che questa pianta produce molteplici metaboliti con effetti benefici sulla salute e altri con proprietà psicotrope che ne limitano l’impiego agricolo. Sappiamo anche, che è in vigore una normativa specifica che ne regolamenta la coltivazione per usi agricoli.

Ranalli: La canapa contiene due principi attivi di particolare rilevanza: il cannabidiolo (CBD) e il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Questi composti sono simili agli endocannabinoidi, sostanze prodotte naturalmente dal nostro organismo, che interagiscono con recettori presenti nel cervello e nelle parti periferiche del corpo. Il THC si lega principalmente ai recettori delle cellule nervose ed esercita effetti psicoattivi, mentre il CBD agisce sui sistemi periferici, non ha effetti psicotropi e può contribuire al trattamento di diverse patologie, tra cui ansia, convulsioni, infiammazioni e spasmi. A seconda dell’impiego, le varietà destinate all’uso agricolo devono contenere quantità minime di THC (inferiori allo 0,2%), mentre quelle per scopi farmacologici devono presentare un’elevata concentrazione di CBD. La normativa di riferimento è la Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, volta a promuovere la filiera agroindustriale della Cannabis sativa L. La legge stabilisce che la coltivazione è consentita esclusivamente con sementi certificate di varietà iscritte nel Catalogo comune dell’Unione Europea. Gli impieghi della canapa coltivata includono la produzione di alimenti e cosmetici, semilavorati industriali, materiali per la bioedilizia, fitodepurazione, nonché attività didattiche e di ricerca. Inoltre, la canapa rientra tra le colture ammesse ai finanziamenti della Politica Agricola Comune, ma per la sua coltivazione è necessario possedere una partita IVA agricola. È importante sottolineare che il quadro normativo è in continua evoluzione: attualmente è in fase di esame un disegno di legge che potrebbe rendere più flessibile il limite di THC consentito.

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