La Giornata Mondiale del Suolo (World Soil Day) è stata istituita ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 2013. La celebrazione avviene ogni anno il 5 dicembre per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza del suolo sano e promuovere la gestione sostenibile delle risorse del suolo. L'idea di una giornata dedicata al suolo è stata proposta per la prima volta dall'International Union of Soil Sciences (IUSS) nel 2002. Successivamente, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) ha sostenuto l'iniziativa, portandola all'attenzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che l'ha ufficialmente adottata nel 2013. La prima celebrazione ufficiale si è svolta nel 2014. La data del 5 dicembre è stata scelta in onore del compleanno del re Bhumibol Adulyadej di Thailandia, che è stato un forte sostenitore della conservazione del suolo. Ogni anno, si realizzano circa 2000 eventi per celebrare la Giornata Mondiale del Suolo.
Alla luce dei dati statistici prodotti quest’anno dalla FAO sulla situazione globale del comparto agricolo e forestale, è possibile fare una valutazione relativa agli ultimi due decenni sui cambiamenti in corso e il loro impatto sulla risorsa suolo, tenendo il nostro Paese come raffronto.
Secondo i dati della FAO, la produzione di colture primarie è aumentata del 56% tra il 2000 e il 2022, nonostante la denutrizione affligga ancora il 9,1% della popolazione mondiale, pari a circa 750 milioni di persone. Parallelamente, il valore aggiunto dell'agricoltura è cresciuto dell'89%. Questo però a livello globale, mentre in Italia è diminuito dell'11,6%, di fatto quasi raddoppiando il rapporto di dipendenza dalle importazioni ad esempio di cereali, passato dal 19,6% nel 2000 al 41,4% nel 2022.
L'agricoltura continua a rappresentare il 4,3% del PIL globale, ma in Italia la quota è scesa dal 2,1% all'1,7%. Anche l'occupazione nel settore agricolo è in calo: nel 2022, il settore impiegava 892 milioni di persone, pari al 26% della forza lavoro globale, rispetto al 40% nel 2000. In Italia, solo il 3,8% della popolazione lavora in agricoltura.
L’espansione dell’industria alimentare invade la società con migliaia di prodotti altamente trasformati, con alta palatabilità e densità calorica, tutti irresistibili in una miscela di grassi, zuccheri semplici e sale per raggiungere il massimo beatitudine gustativa e soprattutto da essere consumati in situazioni e condizioni non più tradizionali, con l’obiettivo di vendere sempre più cibo per incrementare il mercato e i profitti.
La Scuola d’Ingegneria di Purpan (PURPAN), membro dell'Istituto Politecnico Nazionale (INP) dell’Università di Tolosa (Francia) è un'istituzione ignaziana creata nel 1919 da agricoltori e Educatori gesuiti. PURPAN è oggi una delle principali istituzioni educative di istruzione superiore in agricoltura e agronomia in Francia. Ha una missione di servizio pubblico riconosciuta dalla legge, nei settori della formazione, della ricerca, della cooperazione internazionale e del trasferimento di tecnologie.
“Scuola dei settori del futuro”, PURPAN forma i suoi studenti in diversi ambiti di collegamento con le scienze della vita, l’agricoltura, l’agroalimentare e l’ambiente, accoglie quasi 1.700 studenti (di cui il 15% provenienti dal settore agricolo) e rilascia 2 diplomi riconosciuti dallo Stato: Engineer (laurea magistrale) e Agrobachelor (laurea triennale). Il 100% degli studenti di PURPAN possiedono almeno un'esperienza di lunga durata all'estero (stage, soggiorno studio universitario o missione di solidarietà internazionale). Nei suoi laboratori e piattaforme di ricerca, forma anche studenti per i dottorati dell'Università di Tolosa.
Pagliai – L’obiettivo primario dell’agricoltura deve essere quello di ottenere prodotti di qualità e per questo è fondamentale lo stato di salute del suolo. Nonostante l’accresciuta sensibilità verso i problemi di protezione dell’ambiente si assiste ancora ad un progressivo impatto delle attività antropiche sul suolo, dal momento che proprio i 2/3 dei suoli del territorio nazionale sono ormai degradati. I maggiori aspetti della degradazione ambientale sono, infatti, riconducibili al suolo (erosione, impermeabilizzazione (consumo di suolo), compattamento, formazione di croste superficiali, perdita di struttura, perdita di sostanza organica, salinizzazione, acidificazione) e sono in gran parte imputabili alle attività antropiche. Alla luce di ciò l’agricoltura del futuro avrà un compito sempre più difficile, considerando anche che gli attuali redditi non garantiscono più ad una larga parte di agricoltori una sopravvivenza dignitosa.
Corti – Tutto questo che citi, purtroppo, è verissimo. Ma la cosa che personalmente mi preoccupa di più è lo spopolamento delle aree interne, processo iniziato nell’immediato dopoguerra e che ancora oggi continua a ritmi di decine di migliaia di persone che, stando a dati ISTAT, ogni anno dalla montagna e dall’alta collina si trasferiscono verso le città o le zone costiere. Va detto: questo abbandono è dettato da cause contingenti. La prima delle quali è la mancanza di un reddito dignitoso per gli agricoltori di queste zone. Ma lo spopolamento comporta anche riduzione dei servizi (banalmente: posta, scuole, trasporti), che i comuni montani e collinari, spesso con abitati dispersi, non riescono più a mantenere. Secondo una errata vulgata tutta italiana, si è pensato, e in qualche caso ancora si pensa, che l’abbandono porti a un ritorno a condizioni ecologiche più naturali. Niente di più falso! Il territorio italiano non ha un metro quadrato di suolo naturale. Tutto il suolo del paese è stato utilizzato, fino a altitudini di 2500-2700 metri, a partire da 3000 anni fa. Tutto il nostro territorio è antropico, caso mai con una maggiore o minore naturalità. I nostri suoli nulla hanno a che fare con i suoli che avremmo avuto se il territorio non fosse stato utilizzato negli ultimi 3000 anni da agricoltori, carbonai (per i boschi), allevatori (per il pascolo). In tempi passati i suoli italiani sono andati incontro a periodi di erosione enormemente maggiori degli attuali.
Basti pensare che la gran parte delle aree calanchive che vediamo oggi non esistevano prima dell’arrivo dei greci in Italia (3000 anni fa), e che la loro estensione è aumentata in occasione di punte demografiche verificatesi nel 1000 e nel 1600 d.C. E la causa è sempre stata la cattiva gestione del suolo. Lasciare a se stesse aree vaste in ambiente montano e alto collinare, aree prive anche di minime sistemazioni idraulico-agrarie e con suoli che sono tali per intervento dell’uomo, significa andare incontro a ulteriore degrado. Tutto perché i suoli hanno scarsa struttura e questa è anche debole nei confronti dell’acqua di pioggia, cosa che comporta accelerazione del tempo di corrivazione, con conseguente riduzione dell’infiltrazione e aumento del ruscellamento superficiale. L’assenza dell’uomo laddove è stato da millenni innesca un ciclo vizioso che ha come conseguenze le alluvioni e una maggiore suscettibilità a siccità estiva, ma anche l’esacerbarsi di eventi franosi, di ogni tipo. Il mantra deve essere un altro: riportare il presidio umano nei territori abbandonati, dando a chi ci vive condizioni economiche e sociali adeguate. Ho inventato la ruota! E’ quanto auspicava Serpieri un secolo fa, auspicio ancora valido pur nelle mutate condizioni economiche e sociali. Chiudere l’ufficio postale, l’asilo, la scuola elementare, il negozio di alimentari, eliminare le corse degli autobus, ….. fa male al suolo. E i disastri che ne conseguono sono economicamente e socialmente più ingenti di quanto avremmo potuto investire per mantenere quei servizi alle popolazioni delle aree interne.
Nuovi cibi e nuove paure di un passato non sembrano averci abbandonato nonostante che la conoscenza dei cibi e della nostra alimentazione da almeno un secolo sia oggetto di precise ricerche scientifiche che danno concretezza alle caratteristiche nutrizionali e di sicurezza degli alimenti, con attenzione al benessere e alla salute.
Un tessuto produttivo che coinvolgeva ogni angolo di terra libera, dalle coste alle cime dei nostri Appennini, è stato lasciato all’abbandono. Ancora più grave, però, è stato l’abbandono dei territori stessi.
Qualche giorno fa, la FAO ha pubblicato il suo Annuario Statistico 2024 (LINK), un rapporto annuale che offre una panoramica delle principali dinamiche che plasmano i sistemi agroalimentari globali, accompagnata da un'analisi approfondita delle tendenze emergenti e delle sfide più significative che li riguardano.
L’edizione di quest’anno si sofferma su temi di grande attualità come il riscaldamento globale, l’insicurezza alimentare che continua a colpire milioni di persone, l’aumento dell’obesità a livello globale e le crescenti pressioni ambientali sulla produzione agricola.
Frutto del lavoro accurato degli esperti di statistica della FAO, lo studio si articola in quattro aree tematiche che riguardano l’economia, le tendenze dei sistemi agricoli, la situazione della sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale.
Ecco alcuni dati che meritano particolare attenzione:
Un settore in evoluzione: il valore agricolo globale è cresciuto dell’89% negli ultimi venti anni, arrivando a 3,8 trilioni di dollari nel 2022. Tuttavia, sempre meno persone lavorano in agricoltura: dal 40% della forza lavoro globale nel 2000 siamo arrivati al 26% nel 2022.
Fame e obesità sono due facce della stessa medaglia: nel 2023, 733 milioni di persone erano denutrite, 152 milioni in più rispetto al 2019. Al contempo, i tassi di obesità continuano a salire, soprattutto nelle economie avanzate, dove più di un quarto degli adulti è obeso.
Impatto ambientale: le emissioni di gas serra dai sistemi agroalimentari sono aumentate del 10% dal 2000. Parallelamente, regioni come il Vicino Oriente e il Nord Africa soffrono di una cronica scarsità d’acqua che minaccia seriamente la sostenibilità della produzione agricola.
Produzione agricola e zootecnica in crescita: la produzione di colture primarie è aumentata del 56% dal 2000 ad oggi, con canna da zucchero, mais, grano e riso in testa. Sul fronte zootecnico, il pollo è diventato la carne più prodotta a livello mondiale, superando il maiale.
Il 18 agosto è entrato in vigore, ed è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, il REGOLAMENTO UE SUL RIPRISTINO DELLA NATURA, una tappa chiave del Green Deal per recuperare la biodiversità, raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e migliorare la sicurezza alimentare e l'adattamento climatico.
Ripristinare la natura significa sostenere il recupero degli ecosistemi degradati o distrutti potenziandone la struttura e le funzioni. Il regolamento stabilisce obiettivi e obblighi giuridicamente vincolanti specifici per il ripristino della natura in ciascuno degli ecosistemi elencati – terrestri e marini, di acqua dolce e urbani ed aiuterà a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e delle catastrofi naturali.
Le nuove norme avranno lo scopo di ripristinare gli habitat terrestri e marini degradati e in cattive condizioni dei paesi dell'UE, da quelli agricoli, a quelli urbani ed a quelli più naturali.
È fondamentale rafforzare la biodiversità e aumentare la sostenibilità dell'agricoltura al fine di garantire la produzione alimentare a medio e lungo termine. Il valore della produzione agricola annuale dell'UE direttamente legata agli insetti impollinatori ammonta a quasi 5 miliardi di EUR e quindi occorre porre in essere tutte le misure atte a salvaguardarne le popolazioni. Altrettanto occorre intervenire sui suoli in quanto ormai i 2/3 dei suoli destinati alla produzione agricola sono degradati. Si dovrà anche migliorare gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità all’interno delle aree agricole, come siepi, fasce fiorite, terreni a riposo, stagni e alberi.
Gli ecosistemi urbani rappresentano il 22% della superficie terrestre dell'UE. Parchi, giardini, alberi e prati sono habitat importanti per piante, uccelli e insetti. Con le nuove norme l'UE punterà ad aumentare gli spazi verdi nelle città, nei piccoli centri e nelle periferie. Si dovrà garantire l'assenza di perdita netta di spazio verde entro il 2030, rispetto ad oggi e l'aumento della copertura arborea nelle città.
Al termine di una campagna elettorale lunghissima e, francamente, non bella né entusiasmante, a tratti scorretta, per noi europei troppo spettacolare e poco “politica”, il verdetto è giunto netto e indiscutibile. Trump, “the Donald”, il discendente di un muratore tedesco immigrato, ha vinto al di là di ogni dubbio: ha conquistato la maggioranza dei voti degli Stati, quella del Senato e quella della Camera. Ha battuto gli incerti avversari anche negli Stati in teoria più ostili come la California, New York e gli Stati della costa orientale. Caso quasi unico, viene rieletto una seconda volta con un mandato interposto, quello di Biden. All’indomani del voto borsa alle stelle e non solo in America. Tutti fattori che fanno credere che, contrariamente a quanto si dice altrove, gli elettori sapessero bene chi si accingevano ad eleggere.
Una vicenda che merita qualche considerazione.
In una manciata di suolo si trova un universo di microrganismi che supera in numero le stelle dell’universo, formando un “mondo invisibile” in interazione costante con piante, animali e con l’essere umano
Frusciante - Le nuove tecnologie genetiche e genomiche, come le Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA), hanno notevolmente esteso le possibilità di miglioramento genetico delle piante. Un esempio significativo è rappresentato dal pomodoro: grazie all'uso di queste tecnologie, è stato possibile realizzare un processo di "domesticazione" de novo. Nella specie selvatica Solanum pimpinellifolium, progenitrice del pomodoro coltivato (Solanum lycopersicum), sono stati modificati sei caratteri agronomici che, che, attraverso la selezione naturale, hanno impiegato migliaia di anni per evolversi.
Il principale vantaggio di queste tecnologie risiede nella capacità di mantenere intatto il genoma originale, preservando così le risorse genetiche della pianta e intervenendo selettivamente solo sui caratteri di maggiore rilevanza economica.
Nicolia - La capacità di intervenire in modo preciso e mirato su uno o più geni rappresenta senza dubbio il punto di forza delle TEA. Questo è possibile grazie all'uso di strumenti come CRISPR/Cas9, che offre un’elevata flessibilità e facilità d'uso rispetto a tecnologie molecolari meno recenti, come TALEN e ZFN.
Un esempio straordinario di questa applicazione è la “domesticazione” de novo di Solanum pimpinellifolium, resa possibile proprio grazie a CRISPR/Cas9. Tuttavia, è importante sottolineare che queste tecnologie richiedono ancora la manipolazione in vitro del pomodoro. I protocolli delle TEA sono ben consolidati su varietà di riferimento ampiamente utilizzate nei laboratori, come M82 e Money Maker. Tuttavia, si riscontrano spesso fenomeni di “ricalcitranza” in linee di interesse per il settore sementiero, comprese le risorse genetiche. Pertanto, sebbene le TEA ci offrano la possibilità di mantenere il genoma originale modificando solo pochi caratteri selezionati, esiste un potenziale limite legato alla disponibilità di sistemi efficienti per la manipolazione in vitro o in planta.
Frusciante - Il pomodoro è una delle specie ortive che ha tratto i maggiori benefici dalle TEA. Grazie a queste tecniche avanzate, è ora possibile intervenire su numerosi caratteri della pianta, ottenendo miglioramenti significativi sia in termini di resistenza a stress biotici, come malattie e attacchi di parassiti, sia a stress abiotici, quali siccità e salinità del suolo. Oltre a rafforzare la resistenza della pianta, le TEA possono contribuire a migliorare la qualità dei frutti, intervenendo su aspetti come il sapore, il colore, la consistenza e il contenuto di nutrienti.
Nicolia - Il pomodoro è senza dubbio una specie “più semplice” rispetto ad altre, grazie alla sua diploidia, autogamia, ciclo annuale e alla disponibilità di un genoma completamente sequenziato. Inoltre, esistono protocolli ben consolidati per la manipolazione in vitro, sebbene siano sempre da considerare i limiti già menzionati.
Tra i caratteri modificati utilizzando CRISPR/Cas9, possiamo citare il pomodoro “Sicilian Rouge”, commercializzato in Giappone e arricchito in acido gamma-amino-butirrico (GABA), una molecola nota per i suoi effetti positivi sulla pressione arteriosa, grazie alla modifica di due geni. Un altro esempio è il pomodoro resistente a batteriosi, ottenuto attraverso la modifica del gene DMR6.
Inoltre, è degno di nota un recente studio in cui, in un solo ciclo colturale, sono stati riprodotti tre mutanti spontanei per il colore del frutto in tutte le possibili combinazioni a due a due.
Infine, desidero menzionare un progetto che mi vede attivamente coinvolto, finalizzato a conferire resistenza alle piante parassite. Questo obiettivo viene perseguito attraverso la manipolazione, tramite le TEA, di uno o più geni coinvolti nella biosintesi e nel trasporto degli strigolattoni, molecole cruciali nel processo di infezione da parte delle piante parassite. Finora, questo progetto ha portato allo sviluppo di linee di pomodoro promettenti che spero di poter testare in campo nel prossimo futuro.
L’amore per il glutine (glutenofilia) alla fine del Millenovecento inizia a diminuire e nel Duemila si diffonde una paura per il glutine (glutenofobia), scompaiono le paste glutinate, spuntano e crescono alimenti con la dizione “senza glutine” e sempre più persone scelgono un regime alimentare senza glutine, scegliere di alimentarsi senza glutine diviene una vera tendenza, ma è giusto?
Come è noto, l’impiego degli insetti e delle loro larve come alimento proteico, per il momento per uso prevalentemente zootecnico, sta assumendo sempre più importanza. Ciò comporta, conseguentemente, che gli studi sulle caratteristiche nutrizionali, ovvero di composizione chimica di questo alimento si stiano intensificando.
Dopo quattro anni di stagnazione, il bio in Italia dà timidi segnali di ripresa. Consumi in Gdo +5,2% a quota 3,8 miliardi €, e piccola crescita anche in volume +0,2%. La spesa da un anno all’altro è cresciuta di 191 milioni € ma per il secondo anno consecutivo la quota di mercato del bio sul totale food è scesa, a quota 3,5%.
Le attuali pratiche agricole ad alto input, come l’applicazione intensiva di fertilizzanti e prodotti chimici per l’agricoltura e la monocoltura continua, stanno provocando il degrado del suolo e la perdita di servizi ecosistemici da parte degli agroecosistemi. Le principali forme di questo degrado includono l’erosione del suolo, la perdita di materia organica del suolo, l’aumento delle emissioni di gas serra, l’acidificazione, la salinizzazione e la perdita di biodiversità. Il degrado del suolo sta avvenendo a un ritmo allarmante, contribuendo a un drammatico declino della produttività delle terre coltivate e dei pascoli in tutto il mondo. Ad oggi il Joint Research Center (JRC) stima che in Europa più del 60% dei suoli è in uno stato di degrado evidenziando perdite per erosione complessiva (idrica ed eolica) pari a 1 miliardo di tonnellate l’anno. Questo genera un danno economico di circa 50 miliardi di euro all'anno che, a livello mondiale è stimato compreso tra i 235 e i 577 miliardi di dollari l’anno. In tale contesto il Segretario della Convenzione delle Nazioni Unite ha promosso un progetto pilota sulla Land Degradation Neutrality a cui l’Italia ha aderito. Al riguardo la Comunità Europea ha proposto, nell’ambito dei progetti Horizon Europe, la mission “A soil deal for Europe” finanziando progetti di ricerca e innovazione al fine di proteggere e ripristinare i suoli degradati in Europa e oltre. A tal fine è prevista la creazione di 100 Living Labs (LLs) per guidare la transizione verso suoli sani entro il 2030. Il più recente bando si è chiuso ad inizio ottobre 2024. Al riguardo la Comunità Europea si è posta gli obiettivi utopistici di recuperare il 30%, 60% e 90% dei suoli degradati rispettivamente entro il 2030, 2040 e 2050. Tra gli aspetti principali c’è il recupero e/o miglioramento della biodiversità, del contenuto di carbonio organico e la riduzione dei fenomeni erosivi nei suoli al fine di migliorarne la resistenza e, soprattutto, la resilienza agli stress sia biotici che abiotici.
Nel lontano 2007 l’AIDA (Associazione Italiana di Diritto Alimentare) e l’IDAIC (Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato) hanno organizzato congiuntamente un Convegno a Roma, che ha individuato “Le Regole del vino” quale tema di generale e diretto interesse, nel quadro delle rilevanti riforme che andavano investendo in quegli anni le Regole del cibo con il Regolamento (CE) n. 178/2002 sulla General Food Law, e le Regole dell’agricoltura con il Regolamento (CE) n. 1782/2003 di riforma della PAC.
L’occasione di tale Convegno nasceva dalla proposta di nuova OCM vino, introdotta pochi mesi dopo con il Reg. (CE) n. 479/2008, che ha radicalmente modificato la precedente disciplina europea, con esiti immediati e diretti anche sul piano nazionale.
Il regolamento del 2008 non ha concluso il percorso. Il legislatore europeo è più volte intervenuto sul tema negli anni successivi, sino ai regolamenti di riforma della PAC del dicembre 2021, che non hanno sostituito con un nuovo provvedimento il vigente Regolamento (UE) n. 1308/2013 sulla OCM unica, ma hanno introdotto una serie di modifiche, particolarmente rilevanti per i vini in generale ed i vini di qualità in particolare, investendo un’area disciplinare ben più ampia e tuttora lungi dall’essere stabilmente definita.
Le novità così adottate sono numerose: dalla possibilità di produrre e porre in vendita “vino dealcolizzato” e “vino parzialmente dealcolizzato”, superando il risalente divieto di attribuire il nome “vino” a tali prodotti; divieto che per molti anni era stato occasione di vivaci confronti, tecnici oltre che politici, in sede OIV; alla possibilità di utilizzare per i vini DOP non soltanto uve da Vitis vinifera, come prevede da tempo la disciplina in materia, ma anche uve “da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis”, abbandonando regole consolidate e legate alla tradizione in ragione della necessità di tenere conto dei cambiamenti climatici e di adeguare le tecniche produttive e le specie vegetali utilizzate ad una dimensione ambientale profondamente modificata (con la confermata prevalenza dell’innovazione rispetto alla tradizione, anche in settori come quello del vino, che molto evoca la tradizione nella comunicazione rivolta al mercato)
Pagliai – È ampiamente riconosciuto che uno dei fattori di degradazione dei nostri suoli è rappresentato dal continuo declino della sostanza organica dovuto sia all’intensificazione delle pratiche agricole degli ultimi decenni, sia ad una sensibile riduzione dell’apporto della stessa visto che gli apporti di letame sono ormai quasi, se non del tutto, scomparsi da oltre cinquant’anni a causa della profonda trasformazione degli allevamenti zootecnici.
Zaccone – In base ai dati forniti dall’Osservatorio Europeo per il Suolo, circa il 47% dei suoli italiani è in uno stato di “cattiva salute”, con erosione (23%) e la carenza di carbonio organico (19%) come principali cause di degrado. Infatti, la maggior parte dei suoli italiani, ed in particolare quelli coltivati, hanno un contenuto di carbonio (C) organico da molto basso (< 1%) a basso (1-2%), situazione che è andata via via peggiorando passando dall’agricoltura del primo dopoguerra, caratterizzata dalla distribuzione diffusa della zootecnia nell’ordinamento colturale aziendale, a un’agricoltura che ha visto il progressivo abbandono delle stalle nelle singole aziende e il sopravvento della fertilizzazione chimica.
È bene però sottolineare che, nella maggior parte dei casi di degrado del suolo, un ruolo fondamentale lo gioca, direttamente o indirettamente, proprio la sostanza organica, essendo essa in grado di influenzare la fisica, la chimica e la biologia dei suoli stessi. Di conseguenza, essa rappresentare il comune denominatore tra diverse problematiche ambientali, quali, ad esempio, perdita di biodiversità, cambiamenti climatici, qualità delle acque e sicurezza alimentare. Ne deriva che la sua continua diminuzione ha gravi conseguenze su diversi livelli. In un recente Report SNPA, tra il 2012 e il 2020 è stata stimata in Italia una perdita di circa 2,9 mln di tonnellate di C immagazzinato a causa della variazione di uso e copertura del suolo; in termini economici, questo ha significato una perdita patrimoniale media del servizio ecosistemico sequestro di C di circa 210 mln di €, che si è tradotta in una perdita di produzione agricola di circa 155 mln €/anno.
Questo è uno dei motivi per cui oggi si parla sempre più di tecniche che possano favorire il sequestro del C nel suolo, e perché il ricorso al riciclo delle biomasse in agricoltura rappresenti un must, ossia una scelta obbligata più che un’opportunità.
Il Ministero Neozelandese dell’Industria sta finanziando un progetto di ricerca per produrre alimenti zootecnici a partire dai gas serra. Il progetto parte dall’osservazione che due microrganismi, un batterio ed un’alga che vivono in condizioni estreme di temperatura in siti geotermici, producono biomasse proteiche a partire dai due gas climalteranti anidride carbonica e metano, le bestie nere dei gas digestivi prodotti dai ruminanti.
Introdotto probabilmente in epoca greca, il fico ha trovato in molte aree dell’Italia meridionale condizioni pedo-climatiche ideali per il suo sviluppo. In particolare, in Calabria la coltivazione del fico risulta intimamente connessa alle tradizioni agricole di questa regione.
Culicoides, chi sono costoro? Non come le farfalle sotto l’Arco di Tito questi moscerini pungitori sono i trasmettitori di una malattia virale che colpisce i ruminanti e non l’uomo: la Febbre Catarrale degli Ovini o Blue Tongue. Questa malattia oggi presente in circa tremila focolai è uno dei concreti segnali di un cambiamento climatico in corso che riguarda l’Italia, che sempre più sta diventano un paese con un clima subtropicale con tutte le inevitabili conseguenze e caratteristiche nella flora, fauna, agricoltura, allevamenti senza contare dell’impatto sociale ed economico.
La Blue Tongue, malattia virale dei ruminanti domestici e selvatici è causata da un Orbivirus che non colpisce l’uomo e che si differenzia in oltre ventiquattro sierotipi e ceppi diversi per virulenza, patogenicità e capacità di produrre nuove varianti. Largamente presente in forma endemica in Africa, dagli anni Duemila arriva in Europa colpendo l’Italia e iniziando dalla Sardegna ora è su gran parte della penisola sfiorando i tremila focolai con gravi danni al nostro patrimonio soprattutto ovicaprino, dove pecora è la specie più sensibile e manifesta sintomi tipici della malattia tra febbre, fragilità capillare e colorazione bluastra ed ingrossamento della lingua, da cui origina il nome di Lingua Blu (Blue Tongue). Nel bacino del Mediterraneo l’infezione è diffusa da insetti del genere Culicoides e in Italia per primo è arrivato il C. imicola e ora il C. obsoletus è il principale responsabile dell’infezione.
La presenza e la diffusione della Blue Tongue in Italia è condizionata da tre diversi e tra loro correlati ambiti: animali recettivi, culicoidi, ambiente e suo clima. Animali recettivi sono i ruminanti domestici come bovini, ovini e caprini degli allevamenti, sui quali si può intervenire prevenendo e controllando la malattia con vaccinazioni continuamente aggiornate al tipo di virus. Importante è la vaccinazione anche dei bovini che infettati mantengono il virus nel loro sangue per due mesi. Non è invece possibile intervenire con vaccini nei ruminati selvatici (cervi, caprioli, daini) presenti nei boschi che ora coprono circa un terzo dell’Italia.
Sui culicoidi, o moscerini succhiatori di sangue che vivono e si moltiplicano soprattutto nei terreni incolti e nei boschi e con i venti arrivano dovunque, a parte qualche intervento protettivo degli animali in allevamento non si può pensare ad interventi con antiparassitari su più o meno vaste aree territoriali. Sull’ambiente e sul clima e sue variazioni che condizionano la presenza e l’entità delle popolazioni di culicoidi le attuali conoscenze indicano l’importanza di diversi fattori climatici, tra cui temperatura, umidità e precipitazioni.
L’olivo è una pianta sempreverde che presenta interessanti aspetti del processo fotosintetico e della traslocazione dei carboidrati verso i frutti per la sintesi, principalmente, dei grassi e di numerose altre sostanze caratteristiche (vedi sostanze fenoliche, aromatiche, ecc.).
Dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen e degli Stati Uniti ci arrivano novità che rendono ancora più interessante l’allevamento di insetti per l’alimentazione animale.
In particolare, l’argomento della tesi di dottorato di Kelly Niermans all’Università di Wageningen ha riguardato la capacità che hanno certe larve, come quelle della mosca domestica, del Black Soldier, della tarma della farina e del grillo, di trasformare le micotossine in molecole assolutamente innocue.
La storia della vite e del vino passa attraverso il messaggio culturale che accompagna il percorso della bevanda attraverso i millenni: il simposio. Pratica conviviale ritualizzata e rispondente a precise regole che implicitamente invitavano alla moderazione nel bere, il simposio si svolgeva alla fine del banchetto greco tra conversazioni alternate al suono di musiche e canti, recita di poesie, danze e giochi; mediato dal mondo etrusco giunge ai Romani e sino ai nostri giorni nel comune denominatore del “bere insieme” (da synpinein). Convivialità e moderazione, socialità e responsabilità sono concetti pregnanti della cultura del vino, richiamati al Museo del Vino a Torgiano MUVIT da collezioni archeologiche, artistiche e tecniche.
Il consumo consapevole del vino è un concetto antichissimo che compare già negli episodi biblici come monito all’eccesso (L’ebbrezza di Noè, Lot e le figlie) e accompagna la diffusione della viticoltura nel Mediterraneo. Dono di Dioniso, il vino era per i Greci essenza stessa della civiltà e l’ebbrezza che causava era considerata compensazione degli affanni della vita, a patto di farne un uso giudizioso.
Durante il simposio i modi e i quantitativi del vino erano dettati dal simposiarca e in molte kylikes (coppe da vino) di età arcaica compaiono due grandi occhi, evocativi della maschera silenica o interpretati come personificazione della coppa stessa: nell’atto del bere, sollevando la coppa, la fissità dello sguardo è ammonimento e richiamo ai simposiaci. Ne è esempio la Kylix a occhioni del sec. VI a.C., dalla raccolta archeologica del MUVIT, che presenta al suo interno una maschera gorgonica come doppio monito all’eccesso.
Al Museo il percorso prende cronologicamente avvio dal III millennio a.C. con il richiamo ai luoghi storici della agricoltura e della viticoltura, alla Mezzaluna fertile, attraverso testimonianze pre ittite e ittite, siriane, cicladiche che attestano un uso quasi sacrale del vino ma è il simposio il leitmotiv nel susseguirsi delle civiltà mediterranee. Brocche, calici, versatori, kylikes, kyathoi (attingitoi), oinochoi (brocche) e altre forme del bere greche, etrusche, romane richiamano un consumo diffuso del vino e la sua presenza costante nei banchetti dell’antichità. Una presenza che accomuna tanto le mense contadine quanto quelle conventuali, principesche di età medievale, rinascimentale, moderna, sino ai nostri giorni; in tutte il vino è immancabile.
Il 3 dicembre 2024, nella sede dell’Accademia dei Georgofili, si terrà la Giornata di Studio conclusiva del progetto LIFE ‘LIFE4FIR’ (LIFE18 NAT/IT/000164) finanziato dal sottoprogramma ‘Natura e Biodiversità’. Il progetto LIFE4FIR ha avuto come obiettivo generale quello di sviluppare ed applicare strategie in situ and ex situ per la conservazione e la salvaguardia dell’Abete delle Madonie (Abies nebrodensis), una specie endemica del Parco delle Madonie, situato nell’area centro-settentrionale della Sicilia. L’ Abies nebrodensis è classificato come a rischio critico di estinzione e, per questo motivo, inserito nella lista rossa della IUCN tra le 50 specie più minacciate di estinzione del Mediterraneo. La popolazione naturale residua oggi è, infatti, costituita da soli 30 alberi adulti, distribuita in un’area di circa 84 ettari all’interno del Parco ed è protetta dalle normative previste dagli standard EU.
Il tema affrontato riguarda la protezione della biodiversità e la salvaguardia delle specie vegetali dai rischi antropogenici come il sovrasfruttamento, l’introduzione di specie non native, la degradazione e frammentazione dell’habitat e il cambiamento climatico. Le specie in via di estinzione sono una componente essenziale della biodiversità e la loro perdita può avere un profondo impatto sugli ecosistemi. Esse contribuiscono alla biodiversità svolgendo ruoli esclusivi a livello ecologico e, quando queste specie scompaiono, l’equilibrio dell’ecosistema viene compromesso. La perdita di biodiversità può rendere gli ecosistemi più vulnerabili alle sollecitazioni ambientali, come inquinamento, cambiamento climatico e malattie. Pertanto, proteggere le specie a rischio di estinzione è essenziale per preservare la biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi.
Il progetto LIFE4FIR è stato avviato nel 2019 con l’obiettivo di migliorare lo stato di conservazione dell’Abete delle Madonie, rispondendo alle principali cause di vulnerabilità: l’erosione genetica, la frammentazione della popolazione (e la conseguente autogamia), la scarsa rinnovazione naturale, la sovrappopolazione di erbivori selvatici (daini e cinghiali) e la possibile ibridazione con abeti non nativi. Il progetto è stato attuato da IBE-CNR, Università di Palermo, Università di Siviglia, Ente Parco delle Madonie e il Dipartimento per lo Sviluppo Rurale e Territoriale della Regione Sicilia, con il coordinamento dell’IPSP-CNR (Coordinatore, Dr. Roberto Danti).
Senza cibo si può vivere un mese, senz’acqua non si supera la settimana!
La messa in opera di pannelli solari fotovoltaici può produrre energia attraverso la combinazione di tecnologie per l’energia rinnovabile, incluse quelle marine. Si tratta infatti di pannelli solari posizionati sull’acqua e flottanti, in cui la potenza viene trasferita verso un convogliatore energetico tramite cavi subacquei. Il loro uso è promettente nelle condizioni ideali di lago o diga, dove le acque sono calme e non ci sono problemi di perdita di ancoraggio.
La pianura di Pistoia è oggi occupata quasi interamente dalle attività vivaistiche, di pieno campo o in contenitore, che hanno sostituito, ormai da molti decenni, i campi di seminativo vitato, caratteristici di queste giaciture nel periodo della conduzione mezzadrile. In realtà i vivai ormai stanno risalendo le colline, prendendo il posto di mosaici colturali di stampo “più “tradizionale”.
Infatti, salendo sui rilievi collinari non è insolito vedere nel giardino di una graziosa villetta non le quattro, cinque rose che potremmo aspettarci, ma cinquecento rose in contenitore!!! La vasetteria ha invaso gli spazi come un fiume in piena! Certamente questo fenomeno crea difficoltà di convivenza con la popolazione non direttamente interessata alla produzione, perché si tratta di un’agricoltura intensiva anche se effettuata con competenza e perizia, quindi deve rappresentare un obiettivo prioritario la valutazione attenta e capillare della sostenibilità ambientale finalizzata a preservare la salute delle piante senza recare alcun danno alle persone.
Una volta affrontato questo tema centrale con la volontà di individuare soluzioni efficaci in tempi brevi, guardiamoci intorno e chiediamoci cosa vediamo, cosa vedono gli abitanti di questi luoghi, cosa vedono le persone che percorrono l’autostrada in prossimità di Pistoia, cosa percepiscono i visitatori, i turisti; qual è l’immagine di Pistoia nel mondo: superfici infinite di alberi e arbusti in filari regolari, di genere e specie simili o diverse tra loro per portamento, fiori, fogliame, colori. I filari possono avere orientamento diverso, avere prato tra di loro, terra oppure ghiaia. Tutte queste piante sono in attesa di essere destinate a diventare parti e componenti di parchi, giardini, aiuole, etc.
Ma, esse stesse, in quanto alberi, arbusti, viali, differenti colori e fiori…a cosa corrispondono se non a un grande giardino? Un giardino destinato a dar luogo a giardini ma un giardino esso stesso, con un alto grado di manutenzione, di cura, e, certamente, anche di biodiversità. Molti vivai, sia appartenenti a grandi aziende, sia quelli di piccole dimensioni, hanno lavorato e lavorano per migliorare l’immagine e la qualità paesaggistica, ad inventarsi un progetto di parco fruibile dell’intero vivaio, non solo nelle parti di vetrina commerciale, quelle usate come catalogo vivente.
Il Regolamento europeo sul ripristino della natura, dopo ampie e dettagliate considerazioni (ben 88 punti), si sviluppa in sei capitoli di cui il primo riguarda le “Disposizioni generali” (articoli 1-3); il secondo “Obiettivi e obblighi di ripristino” (articoli 4-13); il terzo “Piani nazionali di ripristino” (articoli 14-19); il quarto “Monitoraggio e comunicazione” (articoli 20-21); il quinto “Atti delegati e atti di esecuzione” (articoli 22-24); il sesto “Disposizioni finali” (articoli 25-28). Il documento termina con 7 allegati.
Il suolo è menzionato 13 volte nelle considerazioni iniziali, 5 nei capitoli e 3 negli allegati. Totale 21 volte.
Il documento contiene una serie di principi e obiettivi condivisibili. Da una lettura dello stesso nel suo insieme si evidenzia, però, la difficoltà a rappresentare in modo omogeneo le diverse situazioni pedo-ambientali dell’intera Unione Europea. Ad esempio, si dà grande spazio alle torbiere, diffuse nel nord Europa ma molto scarse in Italia e nei paesi mediterranei. Dall’altra parte, invece, non si rileva il problema della salinizzazione che ormai riguarda larga parte delle zone costiere del sud Europa.
Non viene dato sufficiente rilievo alle problematiche della gestione delle risorse idriche alla luce della crisi climatica in atto. È noto, ad esempio, che i lunghi periodi di siccità contribuiscono al degrado non solo degli habitat agricoli e forestali, ma anche di quelli urbani, specialmente se alla siccità si associano le sempre più frequenti e intense ondate di calore.
Per quanto riguarda il suolo è da sottolineare che è stato principalmente trattato nel pacchetto di iniziative previste dal Green Deal europeo, tuttavia in questo regolamento viene giustamente considerato parte integrante degli ecosistemi terrestri ed è altrettanto giusto l’auspicio di invertirne i processi degradativi con l’aumento dello stock di carbonio organico; è ampiamente noto il ruolo della sostanza organica ed è altresì assodato che il suo declino causa la degradazione del suolo stesso ed è altrettanto noto che il contenuto di sostanza organica è direttamente proporzionale alla biodiversità del suolo. Giusto, quindi, aver individuato quale indicatore proprio lo “stock di carbonio organico” nei suoli. Giusto anche monitorare questo indicatore determinando il suo contenuto nei suoli coltivati ad una profondità compresa tra 0 e 30 cm. Anche se i pedologi vorrebbero la sua determinazione lungo tutto il profilo!
In modo analogo alla chirurgia robotica una cucina robotica può supportare l'utente in vari modi, per cui in futuro i robot cooperativi guidati a distanza possono essere integrati nelle cucine come ogni altro apparecchio, in diversi scenari in cui il robot supporta l'essere umano, con le sfide che tale configurazione comporta.
Intervista al Dott. Alberto Laddomada, ex dirigente della Commissione Europea per la salute animale ed ex direttore generale dell’Istituto Zootecnico Sperimentale della Sardegna, esperto virologo ed epidemiologo di lungo corso.
In quarant'anni di carriera nella genetica agraria, ho assistito a profondi cambiamenti e ho utilizzato le tecnologie più avanzate disponibili in ogni epoca: dagli anni '80 e '90, con la rigenerazione delle piante da protoplasti, la transgenesi e l'isolamento e lo studio funzionale dei geni, fino alle più recenti tecniche di decifrazione dei genomi e le NGT “New Genomic Techniques”, che noi genetisti italiani chiamiamo TEA (Tecnologie di Evoluzione Assistita). Questi strumenti della ricerca di base per approfondire la conoscenza, solo in alcuni casi, sono sfociati in innovazioni e applicazioni pratiche. Tuttavia, nonostante i progressi, non ho mai potuto osservare le piante modificate geneticamente in laboratorio crescere al di fuori di una serra. Questa frustrazione, più professionale che personale, è stata condivisa con molti colleghi: come si comporteranno queste piante in un ambiente agricolo reale? Riusciranno a esprimere nelle condizioni operative il carattere genetico valutato in laboratorio? Questa incertezza ha caratterizzato gran parte della mia vita professionale e quella di altri ricercatori nel campo delle biotecnologie agrarie, sia in Italia che in Europa.
Oggi le piante ottenute mediante TEA, considerate OGM da un obsoleto regolamento del 2001, vedono finalmente aperta la sperimentazione in pieno campo. Le TEA consentono, a seconda degli obiettivi, di trasferire geni all'interno del pool genetico della stessa specie (cisgenesi) o di eseguire mutazioni di precisione attraverso il gene editing con l’uso di forbici molecolari come CRISPR/Cas9, che agiscono con estrema specificità sul bersaglio genomico. La cisgenesi e il gene editing, insieme alla profonda conoscenza dei genomi e della funzione dei geni, costituiscono le più grandi innovazioni nel miglioramento genetico moderno delle piante agrarie.
Frusciante. La viticoltura italiana è ai primi posti della produzione mondiale, sia per quanto riguarda l’uva da vino, sia per quella da tavola, ma la vite è anche la specie che ha usufruito meno dei progressi del miglioramento genetico rispetto ad altre specie agrarie. Probabilmente perché, l’uva da vino, in particolare, è ancora fortemente legata al binomio vitigno-terroir che incide in maniera determinante sulle esigenze della promozione commerciale senza tener conto, però, della sostenibilità ambientale.
Polverari. Il miglioramento genetico per la resistenza è stato fondamentale per tante specie agrarie e non possiamo pensare di farne a meno proprio in una coltura così impattante come la vite. Le nuove varietà di vite resistenti ottenute mediante incrocio con un enorme sforzo scientifico e imprenditoriale, hanno raggiunto lo scopo di ridurre del 60-70% i trattamenti al vigneto, ma ovviamente i caratteri originali vanno perduti e introdurre innovazioni di gusto in enologia è molto difficile, richiede una grande consapevolezza e sensibilità del consumatore ai temi ambientali e una disponibilità al cambiamento che in questo settore mancano ancora.
Oggi la tradizione enologica può trovare alleati potenti nei nuovi strumenti biotecnologici di miglioramento genetico, per produrre viti più resistenti senza cambiarne l’assetto genetico originale e quindi preservandone il gusto e il valore.