Nel lessico della comunicazione pubblica e politica, termini come dialogo, dibattito, confronto e scontro vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma rappresentano in realtà modalità profondamente diverse di interazione.
• Il dialogo è la forma più aperta e generativa di relazione discorsiva: presuppone ascolto reciproco, sospensione del giudizio, disponibilità a mettere in discussione le proprie certezze. È una costruzione comune di senso, più orientata alla comprensione che alla vittoria.
• Il dibattito, invece, è una forma più agonistica: le parti espongono le proprie tesi in opposizione, ma nel rispetto di regole condivise. La posta in gioco è spesso la persuasione, non la verità.
• Il confronto è una zona intermedia, dove posizioni diverse vengono messe in relazione senza necessariamente voler giungere a un accordo. È più civile dello scontro, ma meno profondo del dialogo.
• Infine, lo scontro si configura come la degenerazione del confronto: le parti si percepiscono come nemiche, si delegittimano a vicenda e trasformano il dissenso in conflitto personale o politico. Qui non si discute più di idee, ma si combatte per il predominio narrativo. Questi sono i social.
In un’epoca segnata dalla crescente consapevolezza dell’urgenza ecologica, stupisce – e al tempo stesso addolora – osservare come la questione del verde urbano, anziché rappresentare un terreno fertile per il dialogo e la co-costruzione di politiche pubbliche lungimiranti, si trasformi sempre più frequentemente in un’arena di scontro ideologico e strumentale.
Ciò che potrebbe – e dovrebbe – essere un’occasione per mettere a fattor comune saperi, sensibilità e progettualità si riduce troppo spesso a una dinamica binaria e tossica: da un lato l’amministrazione “cieca e cementificatrice”, dall’altro i “comitati del no” o le “sentinelle del verde” che, pur animati da sincera preoccupazione, finiscono col farsi trascinare nella retorica del sospetto sistematico.
Il risultato è desolante: la gestione del patrimonio arboreo urbano diventa un campo minato, dove ogni decisione – potatura, abbattimento, piantagione, sostituzione – viene interpretata non sulla base dei dati, delle perizie o delle visioni di lungo termine, ma in funzione della collocazione politica dell’amministrazione in carica o dell'opportunità di costruire una narrazione antagonista.
La politicizzazione dell'albero – di per sé simbolo di radicamento, equilibrio, continuità – ne fa invece un oggetto di contesa, un’arma retorica da brandire contro l’avversario. Poco importa se la rimozione di esemplari compromessi è supportata da relazioni fitopatologiche di professionisti, o se nuovi impianti rispondono a criteri ecosistemici più aggiornati: ciò che conta è la visibilità del gesto, il clamore della protesta, la viralità della polemica.
Ma se il verde urbano è ridotto a pretesto per l’invettiva e non a materia viva di pianificazione e corresponsabilità, si smarrisce il senso più autentico del prendersi cura. È paradossale – e quasi crudele – che proprio gli alberi, che più di ogni altra presenza ci ricordano la lentezza del tempo naturale, la necessità della cura costante e l’interdipendenza tra elementi, vengano usati come strumenti per accelerare il ciclo isterico dello scontro politico.
In questa distorsione comunicativa non c’è spazio per la complessità. Nessuno sembra più disposto ad accettare che si possa decidere un abbattimento senza essere scellerati, né promuovere una piantagione senza essere accusati di greenwashing. La fiducia reciproca – presupposto di ogni dialogo autentico – viene erosa giorno dopo giorno da sospetti, omissioni, slogan.
Così, mentre si discute con toni sempre più accesi, le alberature invecchiano, gli impianti languono, le progettazioni vengono rinviate, e il tempo – indifferente ai teatrini della politica – scorre. Ma il verde urbano non aspetta: cresce o deperisce, si adatta o muore, risponde comunque, silenziosamente, alle condizioni che gli offriamo.
È urgente, allora, recuperare una grammatica del dialogo, che non coincida con l’unanimità ma con l’ascolto strutturato, con la trasparenza delle informazioni, con la costruzione di un lessico condiviso tra amministratori, tecnici, cittadini e attivisti.
Perché la vera alternativa allo scontro non è la rassegnazione, ma la cura condivisa. E solo riconoscendo negli alberi non una bandiera da issare ma dei compagni silenziosi nel progetto di una città più vivibile, potremo davvero restituire dignità e respiro alla discussione pubblica sul verde urbano.