Nei giorni scorsi a New York la comunità internazionale ha discusso lo stato della situazione riguardo il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite. La complessa situazione internazionale che stiamo vivendo ha certamente reso ancora più difficile questo esercizio fondamentale. Per cercare di focalizzare al meglio il lavoro da fare, la FAO ha presentato un Rapporto specifico per il monitoraggio degli obiettivi relativi all’alimentazione e all’agricoltura.
Almeno nelle intenzioni, i vari attori del settore zootecnico europeo si stanno dando da fare per contrastare l’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera. Purtroppo, l’Europa non è che una piccola parte del nostro pianeta ...
Di estremo interesse è il Sommario di botanica medico-farmaceutica e di materia medica per uso degli studenti di Farmacia, realizzato da Antonio Targioni Tozzetti. Articolato in due densi volumi fu stampato nel 1830, a Firenze, da Giuseppe Galletti e s’impose subito all’attenzione per il ruolo ricoperto dall’autore, apprezzato Professore di Botanica e di Materia Medica nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova, il massimo nosocomio fiorentino.
Targioni Tozzetti aveva dedicato ai funghi notevole spazio nella sua trattazione, giungendo a definirli: “Piante semplici carnose, o legnose, o sugherose di varia figura, mancanti di fusto, di rami, di foglie e di frondi; sporangi sparsi alla superficie, o inviluppati nella parte interna del fungo, o formanti da loro stessi la pianta”.
I porcini emergevano per la loro qualità ed erano presenti in natura con numerose specie: Boletus Edulis, Boletus Esculentus, Boletus Bulbosus, Boletus Reticulatus, Boletus Aestivus, Boletus Mutabilis e Ceryomices phragmites Rufus. Erano “funghi ottimi a mangiarsi e sono nutritivi. Rompendoli sono bianchi nell’interno e non mutano colore. Il cappello è a guancialetto convesso, piano, di colore di tabacco scuro, di sotto bianco giallastro, o giallo verdastro. Stipite prima rigonfio, poi cilindrico ed un poco retato. Si trovano in grande abbondanza nella primavera e più ancora in autunno. Hanno buon sapore e odore”.
Misurare il tempo significa per noi, gli umani, affidarci all’alternarsi delle ore di buio o di luce e, quindi al moto di rotazione della terra e al cosiddetto ‘giorno solare’, che dura mediamente 24 ore, con leggerissimi mutamenti legati all’orbita della terra nel suo moto ellittico di rivoluzione terrestre intorno al sole, che ha una durata pari a 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi. Gli uomini hanno creato un sistema comune per mettere ordine nel tempo e per costruire una cronologia. Quello strumento è il calendario che si basa su unità di tempo e lo suddivide. Il calendario non è solo una sorta di misura, di ordine del tempo, ma è una storia, contiene ricorrenze religiose e laiche, contiene la storia di Paesi, uomini e di santi. Il calendario è legato al sole o alla luna, o ad ambedue, e tutte le grandi civiltà, da quella egizia a quella persiana, all’ebraica, alla cristiana, alla cinese e all’indiana, ne hanno sviluppato uno, distinguendolo in mesi, settimane, giorni.
Un lavoro straordinario sviluppato dalle migliori menti dell’umanità, nella consapevolezza del legame profondo tra la nostra terra e l’universo intero e, quindi, tra le nostre vite e l’infinito.
E le piante, cosa fanno? Sono forse elementi passivi del tempo? Lo misurano? Ne hanno contezza?
E le loro vite sono scandite da una sorta di determinato orologio interno che ne definisce la durata, la vita media?
E soprattutto, sono gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti, i secondi l’unità di misura del tempo delle piante?
Non è fantasia immaginare una relazione tra la vita delle piante e le fasi lunari. Nella pratica boschiva si discute dell’influenza della fase lunare sulla qualità del legno e, d’altra parte, le fasi lunisolari influenzano fenomeni come le maree e non sorprende che le differenze gravitazionali influenzino la vita delle piante. L’agricoltura biodinamica ne fa un postulato, ma non esistono evidenze scientifiche e, d’altra parte, non è neanche semplice studiare questi fenomeni, nel tempo e nello spazio.
L’uomo studia da sempre le relazioni tra tempo, inteso come cronologia, e vita delle piante. È quello che si fa in campi di studio come l’ecofisiologia e la fenologia entrambi finalizzati a studiare le manifestazioni stagionali di alcuni fenomeni della vita vegetale, come la fioritura, la maturazione dei frutti, il germogliamento primaverile.
Quello che è certo è che le piante hanno una straordinaria capacità di ‘leggere’ il tempo e certamente le specie perenni, gli alberi lo ‘scrivono’ nel divenire del loro accrescimento annuale.
Le operaie in pericolo iniettano un veleno i cui effetti sono simili a quelli di una ustione e da cui deriva il nome comune di Formica di fuoco o di Fire ant, con il quale nel 1998 è stata anche protagonista del film horror “Legion of Fire: Killer Ants”.
Ampeloterapia è un termine per la prima volta registrato nel 1892 e composto da ampelo (uva) e terapia, curarsi con l’uva quindi. Una pratica che si dice già in uso dai greci, romani e arabi e che diviene di moda negli anni trenta del secolo scorso durante il periodo autarchico quando durante la vendemmia per due o tre giorni, ma a volte anche per alcune settimane, si consiglia un consumo di circa mezzo chilogrammo di uva nei primi giorni, fino a quasi due chili verso la fine della dieta.
Le prime testimonianze di una civiltà dedita alla coltivazione e agli allevamenti possono essere fatte risalire ad oltre 20.000 anni fa, ma è solo dall’8.000 A.C., con il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale, che l’agricoltura assume la piena fisionomia di attività produttiva, arrivando a generare una quantità di beni capace sia di soddisfare i bisogni di chi li aveva prodotti sia di alimentare le prime forme di scambio attraverso il baratto: è con l’instaurarsi di questi primi rudimentali meccanismi di mercato che possiamo dire che inizi il dialogo tra agricoltura ed economia. I fatti ora descritti, risalenti al Neolitico, vengono comunemente indicati come “prima rivoluzione agricola” e sanciscono l’inizio della lunga storia di una delle attività umane che più di ogni altra ha plasmato lo sviluppo dell’intera civiltà.
Governata per secoli prevalentemente dalle leggi della natura e solo marginalmente condizionata dal lento succedersi di poche innovazioni, l’agricoltura si sviluppa per secoli ad una velocità che rende quasi impercettibili i cambiamenti che si susseguono nel tempo.
Si deve così attende sino al XVII secolo per assistere ad una “seconda rivoluzione agricola”, innescata dal succedersi ravvicinato di molteplici ed importanti innovazioni tecnologiche e socio-economiche: l’aratro in ferro sostituisce quello in legno, vengono messe a punto le prime seminatrici, così come si perfeziona la pratica delle rotazioni con l’introduzione delle leguminose per elevare la fertilità dei suoli. Prodromica della rivoluzione industriale ottocentesca, questa “seconda rivoluzione agricola” sollecita una intensificazione produttiva facendo leva, oltre che sulle innovazioni tecnologiche, anche su maggiori investimenti di capitali, incentivati da maggiori garanzie in favore dei proprietari e da un più intenso rapporto con i mercati.
Le novità introdotte con questa seconda rivoluzione che nasce in Inghilterra segnano lo sviluppo dell’agricoltura in tutto il Mondo, influenzando in particolar modo anche la nascente scuola economica agraria italiana. Ed è in particolare nel XIX secolo, grazie all’opera di Arrigo Serpieri, che per la prima volta agricoltura ed economia vengono portate a dialogare pariteticamente nell'ambito di uno stesso corpus teorico, individuando nella figura dell’imprenditore il soggetto al quale spetta l’onere di conciliare questi due mondi a livello di singole aziende. Ed è sempre in seno alla scuola economica italiana dell’epoca che si arriva con chiarezza a distinguere l'economia agraria dall'economia politica agraria, indicando come la prima rappresenti lo studio delle "azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto privatistico, dell'imprenditore”, laddove, invece, l'economia politica agraria deve intendersi come lo studio delle “azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto sociale, cioè sotto l'aspetto dell'interesse generale della società”. Con tale visione contrapposta, di ciò che debba intendersi per economia agraria e per economia politica agraria, Serpieri indica come l'agricoltura (e tutte le risorse ad essa riconducibili) sia un'attività che esprime un'utilità al tempo stesso privatistica e pubblica, anticipando di quasi un secolo i temi che oggi associamo al ruolo “multifunzionale” del primario e alla natura di bene misto delle risorse rurali.
Che tipo di malattia è la peste Suina Africana (PSA)?
La PSA è una malattia infettiva virale che interessa soltanto cinghiali e suini domestici, molto contagiosa, molto mortale e per la quale non esiste vaccino, perché il virus in questione non produce i cosiddetti anticorpi "neutralizzanti".
La PSA è una malattia comparsa di recente nel nostro paese?
In Sardegna, già fin dal 1978, era presente la PSA ma apparteneva ad un genotipo di tipo 1 e grazie all’applicazione di un piano di eradicazione stiamo raggiungendo l’eradicazione della malattia. Purtroppo, quella che sta circolando adesso è la PSA di genotipo di tipo 2, che è arrivata in Italia, compresa la Sardegna, dall'Est Europa.
Come si trasmette la PSA?
Il contagio della PSA può essere diretto (da animale sano ad animale malato) o indiretto. Quello indiretto può passare attraverso le scarpe di chi lavora in allevamento o il camion che porta il mangime da un allevamento a un altro. Questo tipo di contagio indiretto è molto difficile da gestire perché il virus è molto resistente nell'ambiente, pertanto si attivano i protocolli di "biosicurezza", come l'uso di soprascarpe negli allevamenti.
Molta più attenzione va fatta nel caso di passeggiate nei boschi, dove è possibile venire in contatto con carcasse di cinghiali infetti; si raccomanda infatti l’immediata segnalazione della carcassa ai servizi veterinari del territorio per le opportune indagini diagnostiche.
Ai primi di settembre ho messo quasi per caso questo post su Facebook e Linkedin: “Nettarine bianche comprate a circa 3,5 €/kg in una catena GDO di prima fascia (no discount). Appena comprate erano dure, immangiabili; lasciate 2-3 giorni in casa a temperatura ambiente invece di maturare si sono raggrinzite, diventate mollicce, insapori, tornate all’origine: immangiabili. Le catene della GDO, che fanno sempre la lezione al mondo produttivo, ripetono sempre di puntare sulla qualità, sostenibilità, innovazione, ecc. Dovrebbero invece puntare in primo luogo a vendere frutta buona, altrimenti come dar torto ai consumatori che ne comprano sempre meno?"
Non è facile che un libro cambi la storia di un popolo, o quantomeno contribuisca in maniera determinante a modificare l’angolo di lettura di un determinato contesto sociale. È, questo, ad esempio, il caso della Capanna dello zio Tom, un romanzo scritto nel 1852 da Harriet Beecher Stowe, che ebbe un profondo effetto sugli atteggiamenti nei confronti degli afroamericani e della schiavitù negli Stati Uniti, contribuendo fortemente al cambio culturale che faticosamente aprì la strada alla causa abolizionista. Ma c’è almeno un altro esempio mirabile, anche questo opera di una donna, Rachel Carson: Primavera silenziosa (in originale Silent Spring), uscito nel 1962. A lei si deve una coraggiosa denuncia dei modi impropri con i quali l’Uomo si stava misurando con la natura. In particolare, avevano attirato la sua attenzione i trattamenti indiscriminati con insetticidi organici, in particolare il DDT, che causavano, lo sterminio non solo di popolazioni di insetti (e non solo di quelli nocivi), ma anche disastrose conseguenze sui componenti delle reti trofiche naturali. Il paradigma più iconico era quello della moria dei pettirossi, uccelli insettivori che si cibavano di artropodi avvelenati, subivano il fenomeno della biomagnificazione (il processo di accumulo di sostanze tossiche che risale le catene alimentari partendo dai livelli trofici più bassi) e venivano sterminati. Ed ecco che le primavere… diventano ‘silenziose’. Altro tema assai delicato era quello relativo alla intossicazione dei rapaci che, allorquando il loro organismo si ‘arricchisce’ di insetticidi cloro-organici (come il DDT, assunto anche in questo caso a seguito di passaggi tra i componenti della piramide alimentare) vedono assottigliarsi lo spessore del guscio delle uova, che finisce con lo sgretolarsi durante la cova. Lo stesso simbolo americano, l’aquila calva, era a rischio di estinzione.
La storia dell’agricoltura coincide con la storia della civiltà da noi conosciuta. Sono circa ventimila anni di storia che sono partiti dalla prima incisiva rivoluzione della storia dell’umanità. È accaduto quando gli esseri umani si sono organizzati in società stanziali, abbandonando il nomadismo che aveva caratterizzato le comunità umane preistoriche. Il passaggio che rappresenta la prima e più importante rivoluzione della storia dell’umanità, anche se largamente trascurata o dimenticata, si basa su una scoperta acquisita dai nostri antenati: la governabilità della terra in funzione della produzione di cibo per la sopravvivenza. Questo non significa che il nomadismo legato alla caccia cessi d’un tratto. In aree periferiche del mondo, lontane dai grandi processi di civilizzazione, le civiltà nomadi sono sopravvissute. Per fare un esempio, la conquista dell’Ovest nel continente nord americano ha messo in contatto ancora nel corso del XIX secolo la civiltà occidentale con “la civiltà del bisonte e del cavallo” che mantenevano costumi plurimillenari di sopravvivenza tramite la caccia al bisonte.
In realtà, i processi storici anche rivoluzionari richiedono dei tempi storici differenziati nella loro diffusione. Tuttavia restano tali. Circa 20.000 anni fa o poco più l’agricoltura è divenuta la struttura portante della civiltà umana. Le società si sono organizzate per essa e da essa. Essa ha prodotto modelli di credenza e gerarchie sociali. Un dato del tutto innovativo nella comune mentalità è stata la percezione che gli esseri umani potevano controllare l’ambiente naturale e condizionarlo alle proprie necessità. Prima i cicli naturali pesavano come condizionamenti insuperabili nella trasmigrazione degli animali da preda; ora i cicli naturali restavano dominanti, ma potevano essere sfruttati ai fini della sopravvivenza umana.
Certo non tutto era governabile. Le stagioni potevano essere più propizie o addirittura nefaste. Potevano generare abbondanza o carestia. Questo era non governabile, dipendeva dalla natura ossia dalla divinità. Quindi le società divenute stanziali e basate sulla variabilità della produzione agricola esprimevano una cultura religiosa e degli individui deputati al culto della divinità, i sacerdoti appunto. Questi erano gli intermediari con Dio e deputati a conquistarne la benevolenza. Perché gli esseri umani della nuova civiltà stanziale hanno presto scoperto che la vita individuale e collettiva è precaria e finita, ma che anche le condizioni di sopravvivenza determinate dal frutto dei campi sono precarie. Per contenere e governare queste precarietà e in primis per metabolizzare la morte era necessario che una casta di sacerdoti propiziasse i favori della divinità. Così sono nate le gerarchie sociali e anche quando esse presumevano di laicizzarsi conservavano della loro legittimazione originaria la sacralità del divino. Nessuna autorità umana poteva essere e operare senza l’investitura divina o essendo essa stessa parte della divinità.
L’aglio è uno tra i principali marcatori aromatici della cucina mediterranea e della Dieta Mediterranea. Diverse e quasi celebri erano le ricette italiane dove l’aglio era protagonista, dalla Bagna Cauda, ai sughi e condimenti anche per le diverse paste come il Pesto Genovese. Oggi hanno successo nuove interpretazioni e “rivisitazioni” di ricette tradizionali, sempre più industriali e con un’enfasi più o meno velata del “senza”, dove l’aglio scompare.
Un partenariato pubblico-privato guiderà il progetto FreeCO2, finanziato dal MISE e dedicato a implementare i processi e le pratiche di sostenibilità del sistema vitivinicolo siciliano, from farm to fork.
La meccanizzazione in agricoltura non deve essere vista solo come un aiuto per ridurre i costi di produzione, ma anche come un ausilio per migliorare la “dignità” di coloro che lavorano giornalmente nei campi. Quando ci si allontana da questo “mirabile” concetto ci si ritrova, come spesso accade, a tralasciare le macchine per “sfruttare” il lavoro di extracomunitari, disoccupati e altre categorie di lavoratori che, quasi quotidianamente, sono diventati più “convenienti” delle macchine.
Il consumatore ha sempre da lamentarsi per il prezzo dei prodotti agricoli che ritiene elevato (vedi olio, frutta, ortaggi, ecc.) ma, per “par condicio”, dovrebbe fare altrettanto, per esempio, con i prodotti del “sacrosanto” turismo, oppure con quelli della moda, della bellezza, ecc., tutti settori che sembrano non conoscere crisi.
Il problema, spesso, non va ricercato nel prezzo di un prodotto, ma nella ripartizione “ragionata” del reddito delle famiglie.
Purtuttavia non muore proprio nessuno se si rinuncia a una serata con gli amici per comprare del buon olio extravergine di oliva!
A rimetterci, purtroppo, complice anche la speculazione, sempre pronta come un avvoltoio dietro l’angolo, è la povera agricoltura, l’agricoltore e l’ambiente, sempre più soggetto, quest’ultimo, a un’intensa azione di “forzatura” (vedi input chimici) per aumentare le produzioni, pur di far quadrare i bilanci delle aziende agricole.
Le diverse “crisi” (covid, guerre, ecc.) fanno ritornare di moda l’antico mestiere dello “speculatore”, in verità mai tramontato!
Anche il settore dell’olivicoltura si trova di fronte a “epocali” cambiamenti, sempre in ragione di bilanci aziendali che “non quadrano”.
A detta di tutti gli specialisti, ormai, l’olivicoltura, così come è strutturata in molte parti del nostro Paese, non è più redditizia. Spese di potatura, di raccolta, ecc., sembrano “rosicchiare” i bilanci a tal punto da portare alla definitiva chiusura delle nostre aziende olivicolo-olearie. Questo discorso, però, l’abbiamo già sentito per la peschicoltura, la viticoltura, la zootecnica, ecc. Anche lì sembrava che la “RIVOLUZIONE” dovesse arrivare col cambio delle cultivar/razze, con i nuovi sistemi di allevamento, la meccanizzazione (meccatronica!), l’impiego di concimi e biostimolanti, ecc. Purtroppo così non è stato e, forse, i problemi permangono o sono addirittura aumentati.
L’adozione dei cosiddetti sistemi di coltivazione a cascata (SCC) è una strategia molto efficace per limitare lo spreco di acqua e sali fertilizzanti e il conseguente impatto ambientale associati alle acque di drenaggio nelle colture fuori suolo a ciclo aperto o semi-chiuso. Queste vere e proprie acque reflue hanno spesso (soprattutto nel caso dei sistemi semi-chiusi) una salinità eccessiva per gran parte delle specie orticole o ornamentali coltivate in serra o in vivaio. Nei SCC, gli effluenti di una ‘coltura donatrice’ relativamente sensibile alla salinità sono utilizzati per la fertirrigazione di una o più ‘colture riceventi’ con maggiore tolleranza allo stress salino.
I primi studi sui SSC nelle serre idroponiche sono stati condotti circa venti anni fa all’Università di Pisa dal gruppo di ricerca guidato, a quel tempo, dal Prof. Franco Tognoni (Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie, confluito nel 2012 nell’attuale Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agroambientali), ma recentemente è sorto un nuovo interesse per questi sistemi applicati a colture a terra o fuori suolo, sia in serra che in campo. Il riutilizzo degli effluenti idroponici presenta tuttavia diversi inconvenienti, poiché in genere sono caratterizzati, oltre che da un’elevata salinità, da concentrazioni anomale dei vari elementi nutritivi e dalla presenza di essudati radicali fitotossici, metaboliti di origine microbica e anche residui di prodotti fitosanitari utilizzati per la difesa antiparassitaria della coltura donatrice.
Oltre a quello per i SCC, c’è un grande interesse anche per le erbe spontanee commestibili (o alimurgiche) in considerazione delle loro proprietà nutrizionali e nutraceutiche. Su queste piante, ad esempio, si sono conclusi di recente due progetti dell’Università di Pisa finanziati dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana (ERBAVOLANT, www.go-erbavolant.it; ERBIBONI; www.erbiboni.it). Gran parte delle erbe alimurgiche sono alofite o glicofite molto tolleranti al sale.
Recentemente, sulla rivista Agricultural Water Management è stato pubblicato uno studio condotto dal Prof. Luca Incrocci e colleghi (tutti allievi del Prof. Tognoni) nell’ambito del progetto internazionale IGUESS-MED (Programma PRIMA 2019; https://www.iguessmed.com/) su due specie spontanee che, in virtù della loro tolleranza alla salinità, sono ottime candidate a svolgere il ruolo di ‘colture riceventi’ nei SCC. Queste due specie sono state coltivate in serra in idroponica (floating system) utilizzando la soluzione nutritiva (effluente) scaricata periodicamente da una coltura di pomodoro su substrato (lana di roccia) a ciclo semi-chiuso, che aveva una concentrazione di cloruro di sodio (NaCl) di quasi 3 g/L (50 mmoli/L). Il disegno sperimentale comprendeva anche una soluzione nutritiva di controllo, arricchita o meno con il NaCl, e un effluente artificiale, cioè una soluzione nutritiva di nuova preparazione ma con la stessa composizione minerale dell’effluente genuino.
Il 3 settembre 2023 è mancato all’affetto dei suoi cari, degli amici, e dei colleghi, il prof. Luigi Costato, maestro del diritto agrario, alimentare e comunitario, Accademico dei Georgofili.
Il prof. Costato ha coniugato, con grande passione e straordinari risultati, l’impegno scientifico per la ricerca e l’insegnamento universitario, e l’impegno professionale e l’attenzione per il mondo delle imprese.
Dal 1958 al 1988 ha diretto l’impresa di famiglia (divenuta in prosieguo Grandi Molini Italiani) con una profonda conoscenza del mondo della produzione agricola e alimentare e del mercato, assumendo importanti responsabilità tra le imprese del settore: per nove anni presidente dell’Associazione Mugnai e pastai d’Italia, per sei anni vicepresidente di Federalimentare e per tre anni presidente dell’Association International de la meunerie.
Negli stessi anni, ha avviato il suo percorso di ricerca, studio e insegnamento sui temi del diritto comunitario ed agrario.
Libero docente di Diritto agrario dal 1970.
Professore incaricato di Ordinamento delle comunità europee nella Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara, dal 1971 al 1980.
Professore ordinario di Diritto agrario nell’Università di Ferrara dal 1983 al 2008, quando è stato dichiarato professore emerito. In quegli stessi anni ha insegnato nella medesima università Diritto comunitario e poi Diritto dell’Unione europea, ed è stato preside della facoltà di giurisprudenza per tre successivi mandati.
Nell’insegnamento ha trasmesso agli studenti, ed agli allievi che ha seguito con affetto e attenzione, la passione per lo studio del diritto nella sua dimensione europea, oltre che nazionale.
Accademico dei Georgofili, ne ha sostenuto l’attività, promuovendo l’attenzione verso il diritto agrario e alimentare, ed assumendo – quale Consigliere dell’Accademia dal 2004 al 2022 – l’iniziativa per incontri sui temi propri di quest’area, dalla disciplina dell’impresa agricola e del territorio rurale, all’etichettatura dei prodotti alimentari, e da ultimo alle crisi della sicurezza alimentare seguite all’epidemia di Covid-19 ed alla guerra in Ucraina, proponendo una lettura originale ed inclusiva della food sovereignty e delle riforme della Politica Agricola Comune, succedutesi nel corso dei decenni.
Lo Satoyama Initiative è il titolo abbreviato comunemente usato per indicare un progetto internazionale avviato nel 2010 – The Satoyama Initiative. Societies in harmony with Nature: An inclusive approach for communities, landscapes and seascapes –, ispirato al tradizionale paesaggio rurale giapponese noto come satoyama (lett. “montagne vicine al villaggio”).
Le tecnologie digitali sono destinate a rivoluzionare la gestione della conoscenza da parte degli agricoltori e degli organismi intermedi, come le associazioni, le cooperative, i consulenti. La capacità di comunicazione a distanza sta già mostrando come la distinzione tra presenza fisica e presenza virtuale consenta modalità fortemente innovative nelle operazioni, nell'organizzazione e nella logistica, molte delle quali tutte da esplorare. La grande quantità di dati disponibili consentirà l'automazione di molte operazioni intellettuali: dalla classificazione, alla traduzione, al riconoscimento di immagini e di suoni, alla produzione di testi.
L'estremizzazione del clima è un fenomeno che non può più essere ignorato. Le recenti tempeste di vento e pioggia che hanno colpito in particolare le città del nord Italia, hanno portato alla luce una serie di questioni urgenti. Questi eventi, che rientrano nel contesto dell'estremizzazione del clima, evidenziano la fragilità dei nostri ambienti urbani e la necessità di una riflessione profonda sulle azioni da intraprendere per contrastare tali fenomeni.
In queste circostanze, il primo istinto è spesso quello di cercare un colpevole, un singolo responsabile da additare. Tuttavia, quando si parla di cambiamento climatico, non ci sono colpevoli nel senso stretto del termine ma, allo stesso tempo, siamo tutti colpevoli. Ogni nostra azione, o inazione, contribuisce in qualche modo all'intensificarsi dei cambiamenti climatici.
Di fronte a questa situazione, emerge anche la necessità di un graduale rinnovo del patrimonio arboreo. Nuovi alberi, più tolleranti alle condizioni estreme, dovranno essere piantati per sostituire quelli vecchi e instabili. Tuttavia, questa non è una soluzione semplice o immediata. Richiede pianificazione, risorse e tempo. E richiede soprattutto un cambio di mentalità da parte dei cittadini e di alcune istituzioni. Più volte mi sono interrogato su certe imposizioni da parte di Enti che applicano le stesse regole, indubbiamente valide, per i materiali inerti, a esseri viventi come gli alberi. Mi riferisco, nel caso specifico, alla pretesa di continuare a piantare in nome di una “storicità” e “inalterabilità” di certe alberate stradali o di certi parchi storici, specie palesemente inadatte a un clima che è cambiato (così come l’ambiente urbano) e che è diventato esso stesso storico.
Gestiamo l'inevitabile, evitiamo l’ingestibile è uno slogan che ho coniato alcuni anni fa. Allora cerchiamo di gestire al meglio il nostro patrimonio arboreo sapendo che possono esserci problemi con certe specie ed evitiamo di piantarle sia perché non adatte al clima futuro, sia perché potrebbero creare conflitti con le infrastrutture e gli edifici che potrebbero essere ingestibili.
La gestione passata degli alberi nelle città ha contribuito al problema attuale. Alcune decisioni, basate su una mancanza di comprensione della biologia degli alberi e della loro interazione con l'ambiente urbano, hanno creato conflitti con le infrastrutture cittadine. Alberi piantati troppo vicini ai marciapiedi, alle strade o agli edifici possono causare danni strutturali, rendendo difficile la loro gestione a lungo termine.
Ismea ha certificato un aumento dei costi di produzione nell’ordine del 40% in più rispetto al 2020, solo in minima parte compensato dall’aumento dei prezzi all’origine. Questo si traduce in una costante, importante erosione dei margini delle imprese.
L'impatto sulla catena alimentare della contaminazione da lubrificanti a base di oli minerali, carburanti e prodotti tecnici vari diventa ogni giorno più evidente. In letteratura sono disponibili numerosi studi sulla contaminazione di numerose filiere agro alimentari.
Il 5 luglio 2023 la Commissione Europea ha pubblicato la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al monitoraggio e alla resilienza del suolo (Legge sul monitoraggio del suolo) COM (2023) 416 finale 2023/0232 (COD).
Il contesto. Nell’aprile 2002, la Commissione aveva annunciato per la prima volta l'intenzione di sviluppare una Strategia per la Protezione del Suolo e di preparare il terreno per una proposta di legislazione europea sul suolo. Successivamente, nel 2006, la Commissione ha adottato una prima proposta, ma si sono svolti accesi dibattiti politici nel Consiglio dell'UE sotto le diverse presidenze. Non è stato infine raggiunto un accordo a causa di una minoranza di cinque Stati membri. Di conseguenza, nel 2014 la Commissione ha ritirato la sua proposta. Nel frattempo, la degradazione del suolo in Europa è peggiorata. Attualmente, il 4,2% del territorio è stato urbanizzato, soprattutto a scapito delle terre agricole. Inoltre, la degradazione del suolo sta compromettendo la fertilità a lungo termine dei terreni agricoli. Si stima che tra il 61% e il 73% dei terreni agricoli dell'UE sia interessato da erosione, perdita di carbonio organico, eccedenze di nutrienti (essenzialmente azoto e fosforo), compattazione o salinizzazione secondaria (o una combinazione di queste minacce). Tutto ciò provoca gravi danni ambientali ed economici. La Commissione stima che solo la compattazione del suolo può ridurre i rendimenti delle colture dal 2,5% al 15%. Inoltre, ogni anno si perdono più di un miliardo di tonnellate di suolo a causa dell'erosione. Senza una gestione sostenibile e azioni per rigenerare i suoli, si teme che la compromissione della salute del suolo diventerà un fattore centrale nelle future crisi di sicurezza alimentare. Anche i suoli contaminati influiscono sulla sicurezza alimentare. Ad esempio, circa il 21% dei suoli agricoli dell'UE contiene concentrazioni di cadmio nel suolo superficiale che superano il limite stabilito per le acque sotterranee.
Le città sono spesso associate a un'immagine di cemento, asfalto e grattacieli, ma dietro questa visione ci sono complesse reti di interconnessioni che possono, se adeguatamente pianificate e gestite, dare vita a veri e propri ecosistemi urbani. Le città, infatti, non sono semplicemente agglomerati di edifici e persone, ma rappresentano sistemi viventi complessi, dotati di un vero e proprio metabolismo, nei quali si svolgono dinamiche ecologiche, sociali ed economiche per cui è importante comprendere questa prospettiva per affrontare le sfide ambientali e sociali che le città e i cittadini dovranno sostenere nel prossimo futuro.
Le città, al contrario di quello che è il pensiero comune, sono dimora di una varietà di organismi viventi, dalla flora e fauna selvatica, agli animali domestici e all'uomo stesso. Gli elementi naturali come gli alberi, i parchi e i corsi d'acqua che costituiscono le aree verdi e blu delle aree urbane, sono fondamentali per la salute ecologica delle città poiché forniscono habitat per la biodiversità, assorbono l'inquinamento atmosferico, mitigano il calore urbano e migliorano la qualità dell'aria e dell'acqua. Le città, quindi, possono essere considerate come ecosistemi in cui la natura e l'uomo coesistono e interagiscono.
Oltre agli elementi ecologici, le città sono anche caratterizzate da una complessa rete di interazioni umane. I cittadini, le istituzioni, le imprese e le organizzazioni sociali costituiscono il tessuto sociale delle città. Queste interazioni sociali creano opportunità economiche, promuovono l'innovazione e la creatività, ma possono anche generare disuguaglianze e problemi sociali. La comprensione delle dinamiche sociali e della diversità all'interno delle città è essenziale per sviluppare politiche e interventi che promuovano la sostenibilità e il benessere delle comunità urbane.
Allora come dobbiamo affrontare la crescita, talvolta bulimica, degli agglomerati urbani?
La polifonia di voci che provengono da settori diversi del mondo scientifico, da quello agronomico, forestale, economico fino a quello medico, converge all’unisono sulla imprescindibilità oggi di azioni pubbliche mirate a tutelare, valorizzare e potenziare la forestazione urbana in funzione dei molteplici servizi ecosistemici che la stessa eroga, attraverso una adeguata, consapevole pianificazione e progettazione a breve e a lungo termine condotta con il supporto indispensabile di esperti della materia e coinvolgendo i cittadini in una logica partecipativa altrettanto irrinunciabile.
Ma in concreto cosa deve fare un’amministrazione comunale che voglia muoversi in questa direzione? Avere l’illuminata umiltà di applicare le norme di hard e soft law che le indicano chiaramente cosa fare, quali strumenti utilizzare, quali indicazioni seguire per una corretta pianificazione, progettazione, manutenzione, come prevenire e affrontare le criticità legate all’invecchiamento delle piante, andando oltre i limitati sia pur meritori confini degli antesignani strumenti del diritto urbanistico.
Come già segnalato in precedenti puntate del mio reportage sulla forestazione urbana, queste norme esistono già fin dal 2013, contenute nella legge 14 gennaio 2013, n. 10, che reca il titolo Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, corredate nel 2018 dalle Linee guida per la gestione del verde pubblico, e dalla Strategia nazionale del verde pubblico, documenti gli ultimi due egregiamente redatti dal Comitato per il Verde pubblico creato da quella legge e composto da esperti della materia, incardinato presso il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
Il più comune e dannoso Lepidottero presente negli oliveti è Prays oleae Beranard 1788, noto come Tignola dell’olivo, che svolge tre generazioni annue rispettivamente a spese delle mignole (antofaga), dei frutti (carpofaga) e delle foglie (fillofaga).
I nuovi ricchi trovano chi a loro offre delle nuove pizze che devono dimostrare di avere qualche cosa di particolare, se non unico e solo a loro riservato. Da qui componenti quali il caviale, l’aragosta, alcuni frutti esotici e l’oro zecchino.
Il vero patrimonio dell’Accademia dei Georgofili, nella sua unicità, è innegabilmente costituito dal proprio Archivio storico, dall’insieme delle comunicazioni, relazioni, dibattiti, confronti e concorsi che hanno animato il Sodalizio sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1753.
È una raccolta che narra non solo l’impegno profuso dai suoi membri per il miglioramento di tutti gli ambiti che afferiscono all’agricoltura (dall’economia alla gestione del territorio, dalla sicurezza alimentare alle innovazioni colturali e tecnologiche), quanto soprattutto le relazioni, scientifiche ed anche private, intercorse tra gli accademici sparsi in tutto il mondo.
Il valore del patrimonio conservato non è misurabile tanto in numeri (oltre 12.000 documenti solo nelle 196 unità (buste) che compongono l’Archivio storico dei Georgofili, quanto piuttosto in contenuti, espressi nel primo secolo e mezzo di vita dell’Accademia ed ancora oggi oggetto di studio, di riflessione e di spunto in molti campi delle scienze.
Attualmente, seguendo l’organizzazione e l’impostazione con cui è stato redatto l’inventario a stampa negli anni ’70 del XX secolo e le successive attività di riordino, il materiale è suddiviso in Archivio storico (1753-1911) e Archivio storico - Sez. contemporanea (1900-1960).
Ci sono poi i diversi Fondi aggregati (Giuseppe Tassinari, Ippolito Pestellini, Giulio del Pelo Pardi solo per citarne alcuni), in parte inventariati, in parte in attesa di analisi e sistemazione, che sono ulteriore fonte di materiale per gli studi di settore.
L'Unione Europea ha da tempo messo all'ordine del giorno il preoccupante problema dell'erosione delle specie viventi e, in particolare, delle specie vegetali.
Si può cominciare con la citazione della Risoluzione del Parlamento europeo del 21 settembre 2010 sull'applicazione della normativa UE per la conservazione della biodiversità (2009/2108(INI), mediante la quale il Parlamento manifestava la propria profonda inquietudine per la mancata attribuzione del carattere di urgenza, nell'ambito dell'agenda politica internazionale, alle iniziative volte ad arrestare la perdita di biodiversità. Da questo momento in poi si assiste ad una accelerazione delle decisioni europee in merito alla biodiversità. Nell' ottobre del 2016, in vista della riunione delle parti della Convenzione sulla diversità biologica e relativi protocolli, che si terrà a Cancùn, Messico, nel dicembre successivo, i Ministri dell'Ambiente dell'Unione Europea sottolineano la necessità di agire a livello internazionale per fermare la perdita di biodiversità. Questo Consiglio dei Ministri europei dell'Ambiente sarà lo stesso organismo che nel dicembre 2019 invita la Commissione Europea a elaborare senza indugio una strategia dell'UE per la biodiversità per il 2030, ambiziosa, realistica e coerente quale elemento centrale del Green Deal europeo. L'8 giugno del 2020 i ministri UE dell'Agricoltura accolgono con favore la strategia della Commissione sulla biodiversità. Ciò autorizza la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen a condividere, nell'ambito del vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità, tenutosi nel settembre 2020 a New York, che la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi richiedono misure urgenti e immediate a livello mondiale.
Il riassunto sommario delineato sin qui vuole solo sottolineare le premesse di quel Patto verde europeo, che va sotto il nome di Green Deal, e che include una serie di proposte di modifica di varie attività produttive, tutte convergenti al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Due strategie fondamentali del Green Deal sono rappresentate dal Farm to Fork, indirizzato sostanzialmente all'agricoltura, e alla Biodiversity, che mira, come detto, al blocco della perdita di diversità di forme di vita sul pianeta e al loro ripristino.
Leggiamo su Poultry Science (Jing liu et al., 2022, Poultry Sci., 101(9), 102040) che l’albero della gomma (Hevea brasiliensis), oltre ad essere fonte preziosa di caucciù, produce dei semi ricchi di un olio efficace contro lo stress immunologico ed i responsi infiammatori da lipopolisaccaridi nelle galline ovaiole.
Coltivare e allevare per aiutare l’emancipazione delle persone più fragili: è la funzione dell’agricoltura sociale. Questa recupera i valori che l'agricoltura aveva nella società rurale – solidarietà, integrazione, valorizzazione delle relazioni interpersonali – e la mette a disposizione dei servizi alla persona. Attraverso iniziative promosse da aziende agricole e quelle del terzo settore (cooperative sociali, Associazioni di volontariato, altri Enti no-profit) intende favorire il reinserimento terapeutico di soggetti diversamente abili nella comunità e, al contempo, produrre beni.
Lo scorso 20 giugno 2023 l'Accademia dei Georgofili ha organizzato un Webinar dedicato all'uso dei dati nelle aziende agricole. L'iniziativa ha avuto l'obiettivo di condividere gli aggiornamenti sulle imminenti disposizioni della Politica Agricola Comunitaria, che prevedono l'inserimento obbligatorio di dati aziendali ai fini delle erogazioni e l'uso di strumenti di gestione delle informazioni a fini di supporto tecnico.
Gli agricoltori, che gestiscono processi molto complessi perché legati ai cicli naturali, raccolgono una molteplicità di informazioni che forniscono ad amministrazioni pubbliche, a fornitori e a clienti, ma usano una minima parte di questi dati. La conseguenza è che la raccolta delle informazioni è vista come un peso e una fonte di costi. Oggi sta crescendo la consapevolezza che l’uso dei dati può avere un grande valore, tanto economico quanto ambientale che sociale, e anche per gli agricoltori avere la possibilità e la capacità di usare questi i dati sarebbe un motore fondamentale di crescita.