Frusciante: Le colture industriali si dividono in due settori: agroalimentare (food) e non alimentare (no food). Paolo, con te vorrei approfondire due delle specie più rappresentative di queste categorie: la canapa e la barbabietola da zucchero. Iniziamo dalla canapa. Sappiamo che questa pianta produce molteplici metaboliti con effetti benefici sulla salute e altri con proprietà psicotrope che ne limitano l’impiego agricolo. Sappiamo anche, che è in vigore una normativa specifica che ne regolamenta la coltivazione per usi agricoli.
Ranalli: La canapa contiene due principi attivi di particolare rilevanza: il cannabidiolo (CBD) e il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Questi composti sono simili agli endocannabinoidi, sostanze prodotte naturalmente dal nostro organismo, che interagiscono con recettori presenti nel cervello e nelle parti periferiche del corpo. Il THC si lega principalmente ai recettori delle cellule nervose ed esercita effetti psicoattivi, mentre il CBD agisce sui sistemi periferici, non ha effetti psicotropi e può contribuire al trattamento di diverse patologie, tra cui ansia, convulsioni, infiammazioni e spasmi. A seconda dell’impiego, le varietà destinate all’uso agricolo devono contenere quantità minime di THC (inferiori allo 0,2%), mentre quelle per scopi farmacologici devono presentare un’elevata concentrazione di CBD. La normativa di riferimento è la Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, volta a promuovere la filiera agroindustriale della Cannabis sativa L. La legge stabilisce che la coltivazione è consentita esclusivamente con sementi certificate di varietà iscritte nel Catalogo comune dell’Unione Europea. Gli impieghi della canapa coltivata includono la produzione di alimenti e cosmetici, semilavorati industriali, materiali per la bioedilizia, fitodepurazione, nonché attività didattiche e di ricerca. Inoltre, la canapa rientra tra le colture ammesse ai finanziamenti della Politica Agricola Comune, ma per la sua coltivazione è necessario possedere una partita IVA agricola. È importante sottolineare che il quadro normativo è in continua evoluzione: attualmente è in fase di esame un disegno di legge che potrebbe rendere più flessibile il limite di THC consentito.
Il 17 luglio 2023 il motore di ricerca per Internet Google, con una serie di vignette colorate e coinvolgenti, ha dedicato il doodle (il disegno o filmato commemorativo di un evento) a Eunice Newton Foote, la prima persona nella storia a scoprire il funzionamento dell’”effetto serra”, dimostrando scientificamente come un aumento dei livelli di CO2 in atmosfera sia responsabile del surriscaldamento del pianeta. Inutile sottolineare l’importanza dell’argomento, alla luce dei recenti e preoccupanti mutamenti climatici ai quali stiamo assistendo.
Scienziata, inventrice e attivista per i diritti delle donne vissuta tra il 1819 (appunto, 17 luglio) e il 1888, Eunice riuscì a prevedere la crisi climatica grazie ai suoi esperimenti sull’interazione tra i raggi solari e diversi gas. In particolare, Eunice condusse una serie di esperimenti che dimostrarono le interazioni dei raggi del Sole su diversi gas. Usò una pompa ad aria, quattro termometri a mercurio e due cilindri di vetro. Per prima cosa posizionò due termometri in ogni cilindro, quindi utilizzando la pompa ad aria, evacuava l’aria da un cilindro e la comprimeva nell’altro. Consentendo a entrambi i cilindri di raggiungere la stessa temperatura, li posizionò alla luce del Sole per misurare la variazione di temperatura una volta riscaldati e in diverse condizioni di umidità. Eseguì questo esperimento con la CO2, con l’aria comune e con l’idrogeno. Foote concluse che la CO2 aveva trattenuto più calore, raggiungendo una temperatura di 125 °F (52 °C). In base a questo esperimento, affermò che «Il recipiente contenente questo gas è diventato esso stesso molto caldo, molto più sensibilmente dell’altro, e quando è stato rimosso [dal Sole], il raffreddamento è stato altrettanto lungo.» In riferimento alla storia della Terra, Foote teorizzò che «Un’atmosfera costituita da quel gas darebbe al nostro pianeta una temperatura elevata; e se, come alcuni suppongono, in un periodo della sua storia, l’aria si fosse mescolata con essa in una proporzione maggiore rispetto allo stato attuale, deve essere necessariamente derivato un aumento della temperatura per sua stessa azione…» Il lavoro fu ammesso all’ottavo incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science il 23 agosto 1856 ad Albany, New York. Non è chiaro perché Foote non abbia presentato personalmente il proprio contributo alla conferenza, dato che le donne erano in linea di principio autorizzate a parlare, ma la sua relazione fu, invece, affidata al Prof. Joseph Henry dello Smithsonian Institution. Prima di leggere il lavoro di Foote, Henry ne introdusse i risultati affermando che «La scienza non è di nessun Paese e di nessun sesso. La sfera della donna abbraccia non solo il bello e l’utile, ma anche il vero.» Il lavoro sperimentale apparve in un fascicolo dell’American Journal of Science and Arts del 1856, e Foote fu elogiata nel numero di settembre 1856 di Scientific American intitolato “Scientific Ladies”, in cui gli autori erano rimasti colpiti dalle sue scoperte supportate dai suoi esperimenti, affermando «siamo felici di dire che ciò è stato fatto da una signora». Ciononostante, l’articolo ebbe scarsa risonanza nella comunità scientifica e in Europa uscirono dei riassunti incompleti e tali da non rendere giustizia dell’importanza della scoperta.
Stanno per concludersi i primi 100 giorni della Presidenza di Trump. Un’antica e nota regola della politica vuole che essi siano dedicati alla presentazione delle linee guida e dei relativi primi provvedimenti di un Governo appena insediato. In tutto ciò vi è un fondo di logica verità e di pragmatismo. Il rapporto del vincitore con l’elettorato è vivo, le promesse elettorali sono recenti e i tempi per realizzarle abbondanti. Tutte le premesse indicano che anche Trump si voglia attenere a questa regola non scritta, per quanto in modo molto personale e con frenetici cambiamenti di comportamento
L’agricoltura sta vivendo una grande trasformazione, chiamata a produrre cibo in modo sostenibile, rispettando l’ambiente. In questo scenario, il riutilizzo degli scarti agroindustriali può rappresentare una soluzione concreta per migliorare la salute del suolo, ridurre l’inquinamento e utilizzare meglio le risorse naturali. Nonostante i numerosi vantaggi ambientali ed economici, l’applicazione pratica di queste soluzioni su larga scala resta limitata da ostacoli normativi e burocratici.