La Giornata Mondiale del Suolo (World Soil Day) è stata istituita ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 2013. La celebrazione avviene ogni anno il 5 dicembre per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza del suolo sano e promuovere la gestione sostenibile delle risorse del suolo. L'idea di una giornata dedicata al suolo è stata proposta per la prima volta dall'International Union of Soil Sciences (IUSS) nel 2002. Successivamente, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) ha sostenuto l'iniziativa, portandola all'attenzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che l'ha ufficialmente adottata nel 2013. La prima celebrazione ufficiale si è svolta nel 2014. La data del 5 dicembre è stata scelta in onore del compleanno del re Bhumibol Adulyadej di Thailandia, che è stato un forte sostenitore della conservazione del suolo. Ogni anno, si realizzano circa 2000 eventi per celebrare la Giornata Mondiale del Suolo.
Alla luce dei dati statistici prodotti quest’anno dalla FAO sulla situazione globale del comparto agricolo e forestale, è possibile fare una valutazione relativa agli ultimi due decenni sui cambiamenti in corso e il loro impatto sulla risorsa suolo, tenendo il nostro Paese come raffronto.
Secondo i dati della FAO, la produzione di colture primarie è aumentata del 56% tra il 2000 e il 2022, nonostante la denutrizione affligga ancora il 9,1% della popolazione mondiale, pari a circa 750 milioni di persone. Parallelamente, il valore aggiunto dell'agricoltura è cresciuto dell'89%. Questo però a livello globale, mentre in Italia è diminuito dell'11,6%, di fatto quasi raddoppiando il rapporto di dipendenza dalle importazioni ad esempio di cereali, passato dal 19,6% nel 2000 al 41,4% nel 2022.
L'agricoltura continua a rappresentare il 4,3% del PIL globale, ma in Italia la quota è scesa dal 2,1% all'1,7%. Anche l'occupazione nel settore agricolo è in calo: nel 2022, il settore impiegava 892 milioni di persone, pari al 26% della forza lavoro globale, rispetto al 40% nel 2000. In Italia, solo il 3,8% della popolazione lavora in agricoltura.
Pagliai – L’obiettivo primario dell’agricoltura deve essere quello di ottenere prodotti di qualità e per questo è fondamentale lo stato di salute del suolo. Nonostante l’accresciuta sensibilità verso i problemi di protezione dell’ambiente si assiste ancora ad un progressivo impatto delle attività antropiche sul suolo, dal momento che proprio i 2/3 dei suoli del territorio nazionale sono ormai degradati. I maggiori aspetti della degradazione ambientale sono, infatti, riconducibili al suolo (erosione, impermeabilizzazione (consumo di suolo), compattamento, formazione di croste superficiali, perdita di struttura, perdita di sostanza organica, salinizzazione, acidificazione) e sono in gran parte imputabili alle attività antropiche. Alla luce di ciò l’agricoltura del futuro avrà un compito sempre più difficile, considerando anche che gli attuali redditi non garantiscono più ad una larga parte di agricoltori una sopravvivenza dignitosa.
Corti – Tutto questo che citi, purtroppo, è verissimo. Ma la cosa che personalmente mi preoccupa di più è lo spopolamento delle aree interne, processo iniziato nell’immediato dopoguerra e che ancora oggi continua a ritmi di decine di migliaia di persone che, stando a dati ISTAT, ogni anno dalla montagna e dall’alta collina si trasferiscono verso le città o le zone costiere. Va detto: questo abbandono è dettato da cause contingenti. La prima delle quali è la mancanza di un reddito dignitoso per gli agricoltori di queste zone. Ma lo spopolamento comporta anche riduzione dei servizi (banalmente: posta, scuole, trasporti), che i comuni montani e collinari, spesso con abitati dispersi, non riescono più a mantenere. Secondo una errata vulgata tutta italiana, si è pensato, e in qualche caso ancora si pensa, che l’abbandono porti a un ritorno a condizioni ecologiche più naturali. Niente di più falso! Il territorio italiano non ha un metro quadrato di suolo naturale. Tutto il suolo del paese è stato utilizzato, fino a altitudini di 2500-2700 metri, a partire da 3000 anni fa. Tutto il nostro territorio è antropico, caso mai con una maggiore o minore naturalità. I nostri suoli nulla hanno a che fare con i suoli che avremmo avuto se il territorio non fosse stato utilizzato negli ultimi 3000 anni da agricoltori, carbonai (per i boschi), allevatori (per il pascolo). In tempi passati i suoli italiani sono andati incontro a periodi di erosione enormemente maggiori degli attuali.
Basti pensare che la gran parte delle aree calanchive che vediamo oggi non esistevano prima dell’arrivo dei greci in Italia (3000 anni fa), e che la loro estensione è aumentata in occasione di punte demografiche verificatesi nel 1000 e nel 1600 d.C. E la causa è sempre stata la cattiva gestione del suolo. Lasciare a se stesse aree vaste in ambiente montano e alto collinare, aree prive anche di minime sistemazioni idraulico-agrarie e con suoli che sono tali per intervento dell’uomo, significa andare incontro a ulteriore degrado. Tutto perché i suoli hanno scarsa struttura e questa è anche debole nei confronti dell’acqua di pioggia, cosa che comporta accelerazione del tempo di corrivazione, con conseguente riduzione dell’infiltrazione e aumento del ruscellamento superficiale. L’assenza dell’uomo laddove è stato da millenni innesca un ciclo vizioso che ha come conseguenze le alluvioni e una maggiore suscettibilità a siccità estiva, ma anche l’esacerbarsi di eventi franosi, di ogni tipo. Il mantra deve essere un altro: riportare il presidio umano nei territori abbandonati, dando a chi ci vive condizioni economiche e sociali adeguate. Ho inventato la ruota! E’ quanto auspicava Serpieri un secolo fa, auspicio ancora valido pur nelle mutate condizioni economiche e sociali. Chiudere l’ufficio postale, l’asilo, la scuola elementare, il negozio di alimentari, eliminare le corse degli autobus, ….. fa male al suolo. E i disastri che ne conseguono sono economicamente e socialmente più ingenti di quanto avremmo potuto investire per mantenere quei servizi alle popolazioni delle aree interne.
La Scuola d’Ingegneria di Purpan (PURPAN), membro dell'Istituto Politecnico Nazionale (INP) dell’Università di Tolosa (Francia) è un'istituzione ignaziana creata nel 1919 da agricoltori e Educatori gesuiti. PURPAN è oggi una delle principali istituzioni educative di istruzione superiore in agricoltura e agronomia in Francia. Ha una missione di servizio pubblico riconosciuta dalla legge, nei settori della formazione, della ricerca, della cooperazione internazionale e del trasferimento di tecnologie.
“Scuola dei settori del futuro”, PURPAN forma i suoi studenti in diversi ambiti di collegamento con le scienze della vita, l’agricoltura, l’agroalimentare e l’ambiente, accoglie quasi 1.700 studenti (di cui il 15% provenienti dal settore agricolo) e rilascia 2 diplomi riconosciuti dallo Stato: Engineer (laurea magistrale) e Agrobachelor (laurea triennale). Il 100% degli studenti di PURPAN possiedono almeno un'esperienza di lunga durata all'estero (stage, soggiorno studio universitario o missione di solidarietà internazionale). Nei suoi laboratori e piattaforme di ricerca, forma anche studenti per i dottorati dell'Università di Tolosa.
L’espansione dell’industria alimentare invade la società con migliaia di prodotti altamente trasformati, con alta palatabilità e densità calorica, tutti irresistibili in una miscela di grassi, zuccheri semplici e sale per raggiungere il massimo beatitudine gustativa e soprattutto da essere consumati in situazioni e condizioni non più tradizionali, con l’obiettivo di vendere sempre più cibo per incrementare il mercato e i profitti.