“Dialoghi sul suolo e l’acqua” - Gestione sostenibile del suolo: un’opportunità per ridurre le emissioni di gas serra

Dialogo con Alessandra Lagomarsino – Ricercatrice del CREA

Marcello Pagliai e Alessandra Lagomarsino 04 September 2024

Pagliai – Nelle azioni atte a ridurre le emissioni di gas serra anche l’agricoltura è chiamata a dare il proprio contributo e, talvolta, se ne parla a sproposito anche se dobbiamo ammette come sia ormai evidente che l’intensificazione colturale ha sovente superato la soglia di sostenibilità ambientale. Ad esempio, nel circuito internet circolano miriadi di dati e anche riguardo alle emissioni di anidride carbonica è necessario prendere atto che una lavorazione profonda del terreno porta alla perdita di circa 250 kg ha−1 di CO2, che equivalgono alle emissioni di un'auto Euro5 che viaggia per 1700 km. Ma a quanto ammontano le reali emissioni dei gas serra e, quindi non solo di CO2, da parte del settore agricolo?

Lagomarsino – Innanzitutto, va chiarito che le emissioni di gas serra dal suolo sono un processo naturale e necessario: un suolo è vivo e sano proprio perché produce CO2 con i processi respiratori sia delle radici delle piante sia dei microrganismi come batteri e funghi, che vivono nel suolo e decompongono la sostanza organica rendendo disponibili i nutrienti essenziali per la crescita delle piante, che a loro volta assimilano la CO2 atmosferica e la fissano in carbonio organico. È quindi un ciclo, o più cicli, essenziali per la vita sul nostro pianeta. Anche gli altri gas serra prodotti dal settore agricolo, il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), fanno parte di cicli naturali essenziali, come la respirazione in assenza di ossigeno (anaerobica) nei ruminanti e nelle risaie per il CH4 e le trasformazioni dell’azoto nei suoli per il N2O.
Le attività agricole possono alterare fortemente questi cicli naturali, aumentando fortemente le emissioni, ad esempio con gli allevamenti intensivi e una scorretta gestione del letame, con lavorazioni eccessive del suolo o con l’uso eccessivo di fertilizzanti. In particolare, in Italia il settore agricolo è responsabile del 65% delle emissioni di CH4 e del 34% delle emissioni di N2O.
Tuttavia, l’applicazione di gestioni sostenibili che favoriscano l’accumulo del carbonio nel suolo (e quindi la sottrazione di CO2 dall’atmosfera) e un uso efficiente della fertilizzazione possono fortemente ridurre le emissioni di questi gas.

Pagliai – Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica caratterizzata da eventi piovosi estremi concentrati in un brevissimo periodo e da lunghi e frequenti periodi di siccità con forti ripercussioni sulla produzione agricola e sull’ambiente comprese, ovviamente, le emissioni dei gas serra. In questa situazione critica i processi di adattamento e mitigazione, nel breve periodo, non sembrano in grado di contrastare questa crisi.

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Responsabilità ambientale: eredità morale del nostro tempo

Francesco Ferrini 04 September 2024

La conservazione significa sviluppo tanto quanto significa protezione. Il 31 agosto 1910, il presidente Theodore Roosevelt nel Kansas, riconobbe “il diritto e il dovere di questa generazione di sviluppare e utilizzare le risorse naturali della nostra terra; ma non riconosco il diritto di sprecarle, né di derubare, tramite un uso sconsiderato, le generazioni che verranno dopo di noi”.
Dopo oltre 100 anni in un'epoca in cui il progresso tecnologico e industriale avanza a passi da gigante, è fondamentale ricordare che ogni risorsa naturale che utilizziamo è un patrimonio non solo per noi, ma anche per i nostri figli e nipoti. Le foreste, i fiumi, i minerali e le terre fertili sono doni che la natura ci ha concesso con generosità, e il nostro compito è di utilizzarli con saggezza e rispetto.
Parliamo molto di sviluppo, ma questo non deve avvenire a scapito delle risorse naturali e dell’ambiente, ma deve rispettare il principio DNSH (Do No Significant Harm) un concetto chiave nella legislazione ambientale europea, introdotto nel contesto del Green Deal Europeo e reso centrale nel piano Next Generation EU. Questo principio stabilisce che qualsiasi attività economica o finanziaria non dovrebbe causare danni significativi a nessuno degli obiettivi ambientali definiti dall'Unione Europea.
L'applicazione del principio DNSH richiede un'analisi dettagliata degli impatti ambientali potenziali delle attività economiche, con l'obiettivo di garantire che queste contribuiscano positivamente alla transizione ecologica senza causare danni significativi agli obiettivi ambientali esistenti.
Questo principio è fondamentale per assicurare che le azioni intraprese nel contesto del Green Deal e dei piani di ripresa economica siano davvero sostenibili e compatibili con una crescita “verde”, favorendo uno sviluppo che non comprometta le risorse naturali e l'ecosistema globale.
Sviluppare deve significare dunque pianificare, progettare un futuro in cui l'uso delle risorse sia sostenibile, in cui l'energia rinnovabile e le tecniche di coltivazione ecologiche diventino la norma, in cui le città, il luogo dove il 70% della popolazione mondiale, siano veramente “verdi”, cioè non solo un insieme di infrastrutture ecologiche, ma anche una comunità che abbraccia uno stile di vita sostenibile e che si impegna per il benessere presente e futuro dei suoi cittadini e dell'ambiente.

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Cosa pensano gli agricoltori brasiliani del “Green Deal” europeo

Mauro Antongiovanni 04 September 2024

Le proposte europee del cosiddetto “Green Deal” sono, anche troppo spesso, argomento di discussione sui mezzi di informazione. Altrettanto spesso assistiamo, specialmente in televisione, ad interventi da parte di personaggi che, non si sa quanto in buona fede, sparano false informazioni senza vergogna. Per quanto riguarda il settore agricolo, ad esempio, non è difficile sentire affermare che le attività legate agli allevamenti bovini contribuiscono all’inquinamento da gas serra più di tutti i trasporti per terra, per mare e per aria, messi insieme.

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Asparagi, fanno bene anche le radici

Giovanni Ballarini 04 September 2024

Presente secondo una leggenda nella valle dell’Eden, l’asparago (Asparagus officinalis) con le sue numerose cultivar è coltivato e utilizzato nel Mediterraneo dagli Egizi e in Asia Minore duemila anni prima della nostra era e poi dai Romani che ne descrivono la coltivazione e la cucina tanto che pare abbiano costruito navi apposite per commerciarli, ma più probabilmente così denominate per la forma allungata come un turione di asparago.

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