Tecnologie di evoluzione assistita: difficoltà e soluzioni condivise per gli agrumi e per la vite

di Concetta Licciardello, Riccardo Velasco
  • 11 June 2025

Le tecnologie di evoluzione assistita (TEA) rappresentano un’opportunità per tutto il comparto agricolo grazie alla loro potenzialità di intervenire in maniera puntuale nelle regioni del DNA che sono responsabili del controllo di caratteri di interesse agrario, mimando ciò che può avvenire naturalmente.
Dal 2012, quando Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna sfruttarono il sistema di difesa naturale dei batteri per introdurre modifiche specifiche nel genoma di organismi più complessi, come animali e piante, al 2020, quando la loro grande intuizione venne riconosciuta attraverso il conferimento del premio Nobel per la Chimica, ad oggi, le TEA hanno fatto rilevanti progressi: sono diventate tecnologie di uso comune in numerosi laboratori di genetica e sono applicate a piante di interesse agrario, industriale ed ornamentale.
Ciononostante, le TEA non sono né saranno la panacea di tutti i mali, né tantomeno sono applicabili a qualsiasi specie, con la stessa semplicità ed efficienza. La sequenza genica responsabile del carattere da migliorare non è sempre nota, così come non è detto che la varietà di interesse, una volta che alcune sue cellule sono state editate, sia capace di rigenerare e dar vita ad una pianta completa. Se da un lato non si può generalizzare sostenendo che le specie erbacee ed ortive siano più facili, dall’altro è certo che le specie arboree da frutto, come agrumi e vite, presentino alcuni fattori che rallentano l’utilizzo delle TEA. Quando l’obiettivo è migliorare la qualità dei frutti e si deve usare materiale proveniente da espianti giovani da coltura in vitro (es. epicotili, foglie, protoplasti), i tempi di attesa possono essere davvero lunghi. Questo perché le specie arboree possono mantenere caratteri di giovanilità (incapacità di passare alla fase riproduttiva) fino a 10 anni. Inoltre, non è possibile ricorrere al reincrocio per segregare (quindi, eliminare) la cassetta contenente la Cas (elemento cardine del genome editing insieme al CRISPR), la cui permanenza dentro la pianta la renderebbe un organismo geneticamente modificato (OGM).
Ma facciamo un po’ di chiarezza: non che sia materialmente impossibile reincrociare due piante di agrumi oppure di vite; in realtà è un processo fattibile, e non sarebbe tanto diverso da un comune altro incrocio su cui si basa il miglioramento genetico tradizionale. Il problema è che si darà vita ad una pianta molto diversa da quella originaria, tanto da perdere l’identità genetica con, inoltre, tempi di attesa molto lunghi.
Per questi motivi, ai ricercatori che si occupano di specie arboree è richiesto qualche sforzo in più, perché devono: (1) impiegare molto più tempo per verificare l’associazione gene-fenotipo (silenziare un gene, osservare il fenotipo, e dimostrare il rapporto causa-effetto richiede tempi lunghi); (2) tener conto della natura clonale delle accessioni (l’ampia variabilità fenotipica si scontra con una limitatissima variabilità genetica, perché spesso un carattere è controllato da una modifica minima della sequenza di DNA); (3) utilizzare sistemi visivi per identificare precocemente eventi chimerici; (4) tentare di anticipare la fioritura e quindi la produzione dei frutti; (5) avvalersi di approcci sofisticati per eliminare le sequenze di DNA estranee (ad esempio il gene codificante la proteina Cas, o il gene che conferisce resistenza agli antibiotici utilizzato in laboratorio) al fine di produrre piante che non contengano elementi transgenici.
Gli agrumi e la vite sono tanto diversi quanto simili per obiettivi e interessi scientifici. Certamente sono tra le principali specie arboree da frutto del nostro Paese. Se proviamo a guardare dal buco della serratura della porta del futuro vedremmo produzioni locali minacciate da parassiti ancora assenti nel bacino del Mediterraneo (per gli agrumi; Greening, Black spot, cancro batterico; per la vite: ceppi più aggressivi di funghi patogeni; Xylella fastidiosa ssp fastidiosa) e da condizioni climatiche estreme (siccità prolungata, improvvise inondazioni) che rischiano di mettere in ginocchio le colture stesse, creando inoltre situazioni favorevoli per l’ingresso di vettori e patogeni.
Muta l’assetto climatico e il panorama ambientale, cambiano anche le richieste dei consumatori. Nel 2050 la popolazione mondiale sfiorerà i 10 miliardi, e solo 55 milioni popoleranno l’Italia. Quando si parla di qualità in agrumi e vite si pensa immediatamente alla presenza di composti antiossidanti (antocianine, licopene, polifenoli, tannini) che, oltre a influenzare il colore e il sapore, impattano fortemente sulla qualità dei prodotti (es. invecchiamento del vino). I consumatori cercano preferibilmente agrumi e uva senza semi, adatti per un consumo più agevole, nel pieno rispetto dei profumi e dei sapori della tradizione, e che siano vicini ad un’agricoltura sostenibile. Sebbene sia possibile continuare a usare i tradizionali metodi di miglioramento genetico, il tempo è un fattore con cui bisogna fare i conti. Ecco che entra in gioco l’arduo compito dei genetisti e dei biotecnologici, che in maniera puntuale e mirata sono in grado di intervenire sul gene da correggere, accelerando un evento che si verificherebbe spontaneamente in natura, mimando il miglioramento genetico tradizionale, solo più rapidamente. Cionondimeno, l’utilizzo delle TEA richiede tantissima conoscenza alle spalle, in primis quella dei geni sui quali intervenire, di cui ancora si sa poco. Infine, la valutazione in campo delle piante TEA rappresenta una fase essenziale perché solo così possiamo comprendere se quanto osservato in laboratorio, in condizioni fortemente controllate, corrisponda all’atteso.