Notiziario


Il Piano Mattei: occasione di rilancio per l'Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze?

Presidente Vincenzini, Lei che rappresenta la più antica accademia del mondo ad occuparsi di agricoltura, ambiente e alimentazione, che cosa ne pensa del recentissimo vertice Italia-Africa e dell’approvazione del Piano Mattei con investimenti per 5,5 miliardi nei settori di istruzione, salute, agricoltura, acqua, clima?
Innanzi tutto, devo osservare positivamente che la presenza al vertice del nostro Presidente Mattarella e della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, hanno rappresentato una sorta di investitura ufficiale dell’Italia per rivestire il ruolo di catalizzatore e promotore delle iniziative di sviluppo per l’Africa, che si allontanino dai vecchi approcci di cooperazione unilaterale. Del resto, l’Italia, per la sua posizione geografica e per la sua storia rispetto ad altri, si presenta come protagonista ideale nei rapporti con il continente africano. Senza dubbio, il Piano Mattei potrà essere meglio definito, ma intercetta la necessità di affrontare le grandi sfide per lo sviluppo attraverso investimenti esteri in Africa. Potrebbe essere un’occasione importante per il nostro Paese, attraverso un cambiamento culturale che sfoci in un piano economico ed industriale strategico per tutti gli stati.

Il Ministro Lollobrigida ha però sottolineato che all’Africa manca ancora molto l’elemento della formazione, l’orientamento al mercato e la presenza delle tecnologie più semplici.
E’ purtroppo vero, ma è un problema certamente affrontabile. A dire la verità, i Georgofili ci avevano già pensato più di cento anni fa …

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La protesta agricola e la necessità di una nuova Pac

La protesta agricola cresce e si diffonde in tutta l’Europa comunitaria conquistando spazi sempre maggiori nell’informazione. È un fenomeno che attira attenzione e, come si dice, fa notizia. Ma non va confuso con quelli che dopo l’uscita in prima pagina poi scompaiono, travolti dal ritmo frenetico ed effimero dell’informazione. Questo evento è diverso e merita di essere esaminato.
Due osservazioni, innanzitutto. La prima: sui mezzi di informazione trova spazi ed audience, viene accolta quasi con simpatia, il pubblico è portato a condividere una protesta di cui non conosce bene la ragione, un po’ per il vezzo ormai inveterato di esaltare cortei, occupazioni, movimenti di protesta e un po’perché coglie il fatto che questa contiene qualche cosa di autentico, come autentica è l’agricoltura.
La seconda: è un fenomeno che coinvolge i paesi Ue, ma non tutti. È molto forte in Germania, meno e con connotazioni diverse in Francia, in Olanda, ancora meno in altri come l’Italia che è una potenza agricola in Europa. Ma molti Paesi non sono presenti Se si approfondisce il contenuto degli slogan e dei manifesti si scopre che le motivazioni sono diverse, come diverse sono le agricolture, le strutture produttive, le produzioni, le politiche agricole nazionali.
Se si esaminano le motivazioni ne emerge una prima considerazione: siamo di fronte a un problema sfaccettato, ma condiviso, il malessere agricolo nell’Ue. Quali sono le cause? Possiamo riassumerle dicendo che sono le ricadute delle crisi del primo ventennio degli anni 2000 sul settore agricole. L’ultima, la più forte e percepita in agricoltura ora, è l’inflazione con tutto il suo contenuto di incertezza: l’aumento dei costi di produzione, compresi energia e mezzi di produzione, seguiti dai prezzi agricoli ed alimentari. Ma gli andamenti ad un certo punto si sfasano. I prezzi dell’energia e di altre commodity iniziano a scendere e seguite dai mezzi di produzione. Ma quelli agricoli rimangono irregolari e più elevati che all’inizio delle crisi. L’offerta agricola è ridotta perché il clima ha provocato due annate di produzione ridotta. Le prime proiezioni sul 2023 la danno in calo Ue in quasi tutti i Paesi Ue, anche se in modo diverso in relazione alle singole agricolture. Paradossalmente la protesta è più forte nel Paese meno toccato dalla crisi, la Francia, dove però è molto condivisa ed evidente.

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Ai Georgofili l’Intelligenza Artificiale guida i visitatori della mostra “Le fattorie di Santa Maria Nuova al tempo dei Medici”

La mostra “Le fattorie di Santa Maria Nuova al tempo dei Medici”, allestita in questi giorni nella sede dell’Accademia dei Georgofili e visitabile con ingresso libero fino al prossimo 16 febbraio, usufruisce di una nuova tecnologia di supporto per la visita.
Questo sistema, denominato DIDA, permette di leggere le didascalie traducendole in ben 12 lingue: Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Portoghese, Giapponese, Cinese, Coreano, Indonesiano, Russo, Olandese. Pensato sul concetto di accessibilità universale, con l'ausilio anche dell’Intelligenza Artificiale, presenta tre diverse versioni: adulti, bambini e persone con disabilità fisiche e cognitive.
Usufruirne è molto semplice, basta inquadrare il QRcode che si trova all’inizio del percorso espositivo.
Abbiamo intervistato uno dei “creatori” di questa tecnologia: Fabio Mochi.

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Melograno, antico superfrutto

Studi recenti suggeriscono che il melograno è un "super frutto" ricco di benefici per la salute provocando un aumento della domanda del frutto e della sua produzione, purtroppo ancora limitata da disturbi fisiologici, problemi di parassiti e malattie, problemi post-raccolta e di conservazione che la ricerca agronomica sta cercando di superare.

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Non bastava la carne “coltivata”, presto arriva anche il latte sintetico

Nel numero del 5 gennaio 2024 della pubblicazione “Dairy Global”, da una nota a firma del corrispondente europeo Vladislav Vorotnikov, apprendiamo che quella del latte sintetico è un’industria emergente con molte start up impegnate nelle fasi di ricerca e sviluppo delle tecniche di produzione.
Nell’articolo si fa riferimento specificamente alla compagnia californiana “Perfect Day” come esempio significativo di una start up impegnata nel progetto. 

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L’utilizzazione turistico-ricreativa del bosco e la difesa del suolo, tra opportunità e criticità. L’esempio del Monte di Portofino.

La funzione turistico-ricreativa è un importante servizio ecosistemico da sempre riconosciuto al bosco. Le attività ricreative sono sempre più importanti per scaricarsi dallo stress quotidiano e il bosco è un luogo ideale a tal fine, soprattutto quando è posto nei pressi dei centri abitati maggiori. In molti casi, la funzione ricreativa del bosco, includendo in essa anche quella salutistica, ha una rilevanza uguale se non maggiore a quella economica.
Come è noto, oltre alla funzione ricreativa e a quella economica, il suolo svolge anche altre importanti funzioni ecosistemiche, quali quella culturale, di mitigazione dei cambiamenti climatici, di tutela della biodiversità e protettiva nei confronti del suolo. Le varie funzioni ecosistemiche e sociali del bosco assumono particolare rilevanza nelle aree periurbane. E’ proprio in queste aree però che possono subentrare più di frequente conflitti tra funzione diverse. In particolare, più è intenso lo sfruttamento del bosco per le attività del tempo libero, più è probabile l'insorgenza di criticità nei confronti della sua funzione protettiva sul suolo.
Il bosco del Parco regionale del Monte di Portofino è in questo senso un esempio emblematico. Il parco è relativamente piccolo, circa mille ettari, ma è posto in una posizione strategica, tra i comuni di Santa Margherita Ligure, Portofino e Camogli ed attrae tutto l’anno decine di migliaia di turisti provenienti anche da fuori regione. Per la storia naturale ed amministrativa del Parco regionale di Portofino rimando a quanto scritto dalla collega Silvia Olivari in Georgofili info del 9 febbraio 2022.  Il parco dispone di circa 80 km di sentieri segnati e decine di piste di mountain bike, con diversa pendenza e livello di impegno agonistico. La massiccia frequentazione dei sentieri e soprattutto delle piste di mountain bike provoca fenomeni di erosione del suolo a volte anche intensa, non solo nei tratti più scoscesi. C’è da considerare infatti che molti dei suoli del parco sono ad erodibilità elevata e quindi soggetti ad essere facilmente asportati dalle acque correnti quando non protetti dalla vegetazione, dalle foglie e dai rami morti, come avviene lungo i sentieri e soprattutto le piste. 

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Locale contro globale

Locale contro globale. Contrapposizione non nuova, che, in questi ultimi giorni, offre nell’agroalimentare nuovi spunti di riflessione (e più di una preoccupazione). Da un lato, la crisi scatenatasi in poche ore nel Mar Rosso ha messo a nudo la delicatezza degli scambi mondiali (anche alimentari); dall’altro, l’ormai più che invadente uso di imitare i prodotti agroalimentari italiani con tutte le conseguenze economiche del caso, ha scatenato atteggiamenti che lasciano piuttosto perplessi. Le due situazioni, hanno in comune più di un elemento: la globalizzazione alla quale l’agricoltura e l’agroalimentare sono sottoposti, la complessità delle relazioni in gioco, le dimensioni economiche della questione (che molto spesso sfuggono al consumatore comune). Tutto mentre in mezza Europa le proteste degli agricoltori hanno dato il segno tangibile di quanto alta sia la tensione sui temi agricoli e agroalimentari.
Crisi del Mar Rosso. In poche ore, a seguito degli eventi scatenatisi dagli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi in arrivo dal Canale di Suez, il normale flusso via mare di merci è apparso a rischio. Stando ai primi dati diffusi, e solo per quanto riguarda l’ortofrutta, in difficoltà vi sarebbero vendite per centinaia di milioni di euro. Potenzialmente – è stato spiegato da Fruitimprese, che raccoglie una parte significativa della produzione del comparto -, il danno arriverebbe a 500 milioni di euro, a cui si devono aggiungere le ripercussioni causate da 150mila tonnellate di prodotto di altri paesi europei che potrebbero rimanere sul mercato locale. Per capire, basta sapere che per quanto riguarda il Medio Oriente le vendite valgono circa 350mila tonnellate di ortofrutta, per un valore di 400 milioni di euro. Mentre in India e Sud Est Asiatico arrivano mediamente 120mila tonnellate di frutta e verdura italiane per circa 100 milioni di euro a valore. Situazione difficile, quindi, anche senza tenere conto dell’aumento dei tempi e dei costi di spedizione. “Pirati” alla vecchia maniera che nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione, in poco tempo sono riusciti a mettere in crisi interi settori economici, anche a migliaia di chilometri di distanza.

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La piana si difenda dal monte!

Ci sarà bisogno di un impegno straordinario di risorse economiche, maestranze e tecnici qualificati per riportare nel più breve tempo possibile la rete idrografica minore della media-bassa valle a condizioni di sicurezza idrogeologica accettabile. In questo scenario, gli Agronomi ed i Forestali possono essere figure tecniche di riferimento per progettare e dirigere i lavori di ricostruzione delle opere di sistemazione idraulico-forestale ed agraria, sulle quali si incardina la regimazione idraulica della collina e della montagna.

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Agricoltura, bilancio in profondo rosso secondo il Crea. Cadono produttività, produzione, investimenti, spesa pubblica.

Nonostante le tante, troppe chiacchiere sulle ‘eccellenze’ della nostra agricoltura, numeri alla mano si scopre che la situazione del nostro settore primario (non dell’agroalimentare complessivo, comprensivo della trasformazione industriale) non è affatto rosea. Ortofrutta in primis.  Non lo dico io, lo dice il Crea che per bocca del suo direttore Stefano Vaccari (su Agrisole.it) dice: “Il 2023 si conclude con stime produttive non soddisfacenti per numerosi comparti agricoli. Dopo la campagna 2022, una delle peggiori degli ultimi venti anni sotto il profilo produttivo, ci si aspettava un rimbalzo delle quantità prodotte che invece non c’è stato. Anzi, per alcuni comparti la crisi è proseguita”. Tanti i settori che presentano bilancio col segno meno: vino, cereali, olio d’oliva, per non parlare della frutta.
“Sembra dunque proseguire il trend produttivo negativo del 2022”, continua Vaccari. “L’andamento produttivo negativo del settore primario è evidente da alcuni anni”. I quantitativi prodotti (escluse la zootecnia e i trasformati come vino e olio) sono scesi da 301 milioni di tonnellate del triennio 2000-2002, ai 278 milioni del triennio 2010-2021 ai 273 milioni del triennio 2020-2022. “In sintesi, stiamo producendo mediamente il 10 per cento in meno di quello che producevamo venti anni fa, con buona pace di progresso tecnologico e sostegno pubblico al settore”. “Le riduzioni produttive hanno investito in misura differente i comparti agricoli…Sempre in venti anni, abbiamo perso il 20% della produzione di uva da tavola, il 30% di pesche e il 50% di pere. Solo per le mele assistiamo ad un leggero incremento (3%) in venti anni. Anche per le ortive l’andamento è in larga parte negativo: nell’ultimo triennio 2020-2022 abbiamo prodotto 290mila tonnellate in meno di pomodoro e 578mila di patate in meno rispetto al triennio 2000-2002. Produciamo molte meno carote, melanzane e cipolle di quelle che producevamo venti anni fa. Nel comparto delle ortive crescite significative si sono riscontrate in pratica solamente per le produzioni di cavoli e zucchine”.

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Elezioni europee: nuove opportunità per il futuro dell’agricoltura

Le elezioni europee si avvicinano e, a circa sei mesi dalla data delle votazioni, se ne avvertono sin d’ora i segnali. La politica nazionale è in fermento originando un perpetuo cicaleccio inconcludente e, sostanzialmente, molto povero di reali proposte programmatiche. La storia delle elezioni europee è ormai lunga e meriterebbe un’attenta riflessione per comprenderne l’evoluzione e le conseguenze sullo sviluppo dell’Ue e delle sue politiche, in primis della “figlia primigenia” dell’Ue, la politica agricola comune, PAC. Ad ogni tornata elettorale si rende più evidente che il peso del Parlamento Europeo, è sempre più consistente e, allo stesso tempo, che vi è scarsa conoscenza dei meccanismi istituzionali europei, motivo non ultimo del disamore e delle incomprensioni fra i comuni cittadini e le sedi della politica europea.
Il momento di queste elezioni è fra i più complessi e incerti. L’Italia, l’Ue e il mondo intero rimbalzano da una crisi all’altra. Le conseguenze di quella economica del 2007/2008 sembravano, dopo oltre un decennio, in via di superamento quando è esplosa la crisi sanitaria del COVID-19, affrontata e combattuta con pesanti e incisive misure economiche. Mentre se ne stava uscendo a fatica nel 2022 scoppia, inattesa, ma non imprevedibile nelle onde lunghe della storia, la guerra russo/ucraina che frena la ripresa e fa crescere il debito pubblico mondiale e l’incertezza. Come conseguenza, non l’unica, in pochi mesi si sviluppa un’impennata inflazionistica su scala mondiale. Il ricorso un po’ tardivo alle contromisure monetarie con la crescita dei tassi di interesse rallenta la ripresa e sembra efficace, ma fa salire il costo del denaro e quindi l’indebitamento pubblico. Ai primi di ottobre, dopo l’attacco di Hamas ad Israele, si apre un altro conflitto fra Israele e una parte del mondo arabo. Gli equilibri mondiali in atto dalla fine della seconda guerra mondiale cedono perché vecchi conti ancora aperti non sono stati chiusi. Tutto sembra congiurare per scatenare due crisi gemelle: energetica e alimentare. I sottoalimentati, scesi nel 2017 al minimo di 565 milioni di persone su una popolazione mondiale di 7,5 miliardi (7,5%) salgono a 750 milioni su 8 miliardi nel 2022 (9,3%).
Il quadro generale si oscura sempre più, specialmente se si considera che la transizione energetica e quella ambientale sono state avviate nel tentativo di contrastare l’andamento climatico.
In un contesto sempre più incerto, tuttavia, si notano segnali di possibili evoluzioni, imprevisti passaggi positivi. 

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COP 28: facciamo un bilancio

Il 12 dicembre si è conclusa a Dubai (Emirati Arabi Uniti) la 28esima Conferenza delle Parti, l’incontro che vede i Paesi del mondo riunirsi per discutere gli interventi per contrastare il cambiamento climatico. Una COP28 delle contraddizioni e delle prime volte, potremmo dire. Delle contraddizioni, perché organizzata in un paese la cui ricchezza è basata sull’estrazione del petrolio e presieduta dall’amministratore delegato della principale azienda petrolifera emiratina. Delle prime volte, perché sono state dedicate intere giornate a temi che finora non erano mai stati affrontati così ampiamente. Stare al passo con le montagne russe di eventi che si sono susseguiti nell’arco di due settimane, dal 30 novembre al 12 dicembre, non è facile. Ma andiamo con ordine.
Questa COP era partita con molto entusiasmo con l’adozione, durante la prima sessione plenaria, del Loss and Damage Fund (fondo a compensazione di perdite e danni) a favore dei Paesi più fragili. Proposto nella precedente COP27, prevede l’istituzione di un fondo che vada ad aiutare economicamente quei Paesi che più risentono della crisi climatica in termini di danni, ma che meno contribuiscono alle emissioni. L’obiettivo è stanziare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2030; purtroppo siamo ben lontani dal raggiungerlo. Per dare qualche numero, l’Unione Europea ha promesso 225 milioni, gli Emirati Arabi Uniti 100 milioni, il Giappone 10,5 milioni e gli USA (solo) 17,5 milioni di dollari. E l’Italia? A sorpresa, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il nostro Paese metterà a disposizione 100 milioni di euro. Resta tuttavia da capire che forma prenderanno questi finanziamenti.
Durante la prima settimana di COP28 si è parlato anche di finanza climatica, just transition, diritti umani, dell’importanza della biodiversità e del ruolo delle comunità indigene, oltre a dedicare – per la prima volta – due giornate al tema della salute e a quello dell’agricoltura e sistemi alimentari. Proprio quest’ultimo aspetto ha fatto sì che si parlasse di “COP del cibo”: nonostante il settore agricolo sia considerato allo stesso tempo causa e vittima dei cambiamenti climatici, non gli era mai stato dato ampio spazio all’interno di una COP sul clima.

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Irrigare con acqua desalinizzata

I ricercatori dell’Università KAUST (King Abdullah Science and Technology) hanno trovato una soluzione rimedio che consentirebbe alle zone aride di utilizzare acqua salata per coltivare. La soluzione sta in un fungo micorrizico, per la precisione, il Piriformospora indica (sinonimo di Serendipita indica). Questo micete permette alle piante di aumentare la loro tolleranza al sale, attraverso una relazione simbiotica che favorisce l’accrescimento in condizioni di stress, in questo caso causato dall’irrigazione salina.

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“Healthy food” e la sfida di Giorgia Meloni

Nel suo intervento alla COP 28, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che la sfida che dobbiamo affrontare è quella di garantire “healthy food” per tutti. Quindi non solo cibo “safe”, sicuro dal punto di vista igienico-sanitario, ma anche “healthy”, un cibo che abbia valore salutistico e sia benefico per la nostra salute. Questa è una distinzione molto importante e seria.

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La salute del suolo: evoluzione del concetto di fertilità

Pagliai – Non c’è dubbio che il concetto di fertilità del suolo, cioè l’attitudine di un suolo a produrre, si sia notevolmente evoluto. Un tempo si diceva che un suolo fertile era dotato di tutti quegli elementi nutritivi in forma facilmente assorbibile dalle radici che consentivano alle piante stesse di crescere vigorose. Un concetto non sempre chiaro e che spesso veniva confuso con la produttività del suolo che, invece, è la capacità di fornire produzioni di biomassa ottimali su basi di pratiche di gestione standard. La produttività di un suolo dipende sia dalla sua fertilità, sia da fattori esterni come il clima, la disponibilità di acqua, ecc. Ad esempio, la scarsa fertilità si può migliorare con l’aggiunta di fertilizzanti mentre la carenza idrica con l’irrigazione.
In sostanza, il suolo era considerato pressoché esclusivamente quale supporto per le piante e, quindi, la sua funzione era quella di produzione di biomassa, in particolare nei settori dell’agricoltura e della selvicoltura. 

Costantini – La fertilità dei suoli è molto variabile e spesso limitata da uno o più fattori. I suoli altamente fertili coprono solo il 3% della superficie terrestre del mondo, ma producono più del 40% del cibo globale. Nel corso dei secoli la fertilità naturale del suolo, basata essenzialmente sul suo contenuto in sostanza organica, accumulatosi nei millenni, è andata diminuendo. Si stima che fino al 75% del contenuto originale in humus dei suoli sia andato perso (circa 135 miliardi di tonnellate di carbonio), essenzialmente a causa della loro coltivazione. Perdite che si sono notevolmente accentuate quando le lavorazioni del suolo si sono approfondite e l’apporto o il riciclo di sostanza organica ridotto o annullato, e rese ancora maggiori dall’erosione del suolo.
La superficie coltivata globale pro-capite è diminuita costantemente fino a ridursi mediamente a livello globale a meno di 0,20 ettari pro capite; parallelamente, la resa ad ettaro ha superato le 42 t/ha di cereali. L’incremento di produttività è avvenuto tramite un costante aumento dell’input energetico e tecnologico, sotto forma di un impiego sempre più elevato di acqua irrigua, fertilizzanti, antiparassitari e macchinari agricoli, a scapito però della conservazione del suolo. L’Unione Europea stima che il 61-73% dei suoli europei mostrino uno o più segni di degradazione.

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Dialoghi sul suolo e l’acqua, una nuova rubrica su “Georgofili INFO”

Cari lettori,
il 2024 vedrà la presenza di un appuntamento fisso sulle pagine virtuali del nostro notiziario, quella dei Dialoghi sul suolo e l’acqua.
La rubrica, mensile, sarà tenuta dall’accademico Marcello Pagliai, ex ricercatore CNR esperto di suolo, già direttore dell’Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze e del Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia del CRA (oggi CREA) di Firenze, membro della Società Italiana di Scienza del Suolo e della International Union of Soil Sciences, è stato anche uno dei promotori della Giornata Mondiale del Suolo che si celebra ogni 5 dicembre.

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Dieci punti fermi sui cibi artificiali

La recente approvazione della legge che vieta produzione e commercializzazione dei cibi ottenuti da colture cellulari, ha scatenato acceso un dibattito pubblico, con posizioni a volte polarizzate e sicuramente non completamente aderenti alle informazioni oggi disponibili nella letteratura scientifica e tecnica circa questo argomento.  Cercherò di mettere in chiaro i principali punti di dissidio. 

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Il rilancio della space economy italiana passa dal programma IRIDE

Il programma IRIDE (International Report for Innovative Defence of Earth) rappresenta uno tra i programmi spaziali europei più rilevanti nell’ambito dell’osservazione della Terra. La sua realizzazione avverrà in Italia, grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) integrate dai fondi del Piano Nazionale Complementare (PNC). IRIDE è un sistema satellitare che sarà operativo entro giugno 2026, coordinato dall’ESA-Agenzia Spaziale Europea, con la partecipazione dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana.
IRIDE è un sistema costituito da costellazioni di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), dall’infrastruttura operativa a terra e dai servizi destinati alla Pubblica Amministrazione italiana. La costellazione IRIDE sarà unica nel suo genere; spazia dall’imaging a microonde (tramite Radar ad Apertura Sintetica, SAR), all’imaging ottico a varie risoluzioni spaziali (dall’alta alla media risoluzione) e in diverse gamme di frequenza, dal pancromatico, al multispettrale, all’iperspettrale, alle bande dell’infrarosso con una risoluzione che può arrivare a 2, 3 metri in alcuni casi anche sotto i 2 metri.

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Cop 28: una conclusione che apre strade più realistiche alla questione climatica?

Con un ritardo di un giorno (e una notte) sui tempi previsti si è chiusa la sessione della ventottesima Conferenza sui cambiamenti climatici, Cop 28, per consentire un accordo alla venticinquesima ora. La Conferenza ha avuto la solita attenzione dei mezzi di informazione, intensa, ma distratta, spenta prima ancora che le sessioni si chiudessero e che il consenso unanime fosse espresso. I punti in discussione riguardavano il bilancio dell’attuazione del contenuto delle precedenti sessioni, definito “Global Stocktake (GST)” previsto dall'Accordo della Cop 21 di Parigi del 2015, e le decisioni da prendere sul futuro della lotta al cambiamento climatico. Il contesto in cui si muove tutto il mondo, inclusa la questione della transizione climatica, è molto mutato sotto diversi punti di vista, economico, geopolitico, sociale, ambientale con eventi climatici avversi sempre più numerosi ed intensi: la pandemia più rilevante dei tempi moderni, due guerre locali di dimensioni ed implicazioni anch’esse senza precedenti, un’ondata inflazionistica (forse) relativamente breve, ma violentissima, un peggioramento economico serio di vaste aree del pianeta in termini di sottoalimentazione. Dopo anni di costanti miglioramenti che avevano ridotto il numero dei sottonutriti a 650 milioni circa, infatti, questi sono risaliti a 732 milioni, su una popolazione mondiale giunta a 8 miliardi di persone. 
Pensare al mantenimento degli indirizzi precedenti e delle relative tabelle di marcia sembra effettivamente ambizioso. Tanto più se si considera che doveva essere decisa la questione più importante: la decarbonizzazione delle fonti energetiche a breve scadenza. Gli obiettivi della Cop 28 erano legati alla riduzione del 43% delle emissioni entro il 2030 con un incremento del riscaldamento globale fermato sotto al 2% e, possibilmente, sotto l’1,5%.
Il dibattito, come si ricorderà, è iniziato nella seduta d’apertura con le affermazioni del Presidente, Sultan Al-Jaber che, molto realisticamente, di fronte ai problemi della “eliminazione totale” dei combustibili fossili (phase out) ha introdotto maggior cautela. Nell’accordo finale è diventata “allontanamento” (transitioning away) e per il carbone riduzione graduale o semplice “abbattimento” (phase down).
Il testo finale, 21 pagine di dati, considerazioni e nuovi obiettivi, appare ragionevole sulla maggior parte delle questioni, inclusa la più spinosa il finanziamento da assicurare ai Paesi a basso reddito per favorirne l’adattamento. Per essi si prevede un contributo totale a riparazione di danni e perdite stimato in 4,3 miliardi di $, ma al presente può contare solo su circa 650 milioni. Le questioni aperte vengono rinviate alla Cop 29 che si terrà l’anno prossimo a Baku in Azerbaigian, altro Paese produttore di petrolio e gas, tra l’altro importante fornitore dell’Italia.

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Metabolomica del formaggio di montagna

Che i formaggi di montagna siano diversi da quelli di pianura e che ogni valle abbia i suoi formaggi è un’idea antica che non ha bisogno di essere confermata, ma questo come avviene? Saranno le caratteristiche dei foraggi ricchi di erbe aromatiche che crescono nei pascoli alpini o le razze di animali alpini o il clima o qualche altra condizione del territorio che influenzano il formaggio, iniziando dal latte? Tutti interrogativi di un molto complesso argomento che oggi incomincia ad essere affrontato anche con ricerche di metabolomica 

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Il ruolo della protezione delle piante nella strategia One Health

Nel settembre 2004 la Wildlife Conservation Society riunì un folto gruppo di esperti internazionali per discutere il livello di conoscenze e le stime per il futuro in merito alle malattie degli esseri umani, degli animali domestici e delle popolazioni naturali. Il simposio generò una serie di raccomandazioni (note sotto il nome di “Manhattan Principles”) che furono facilmente sintetizzate nella definizione di “One World, One Health”. Secondo una affermata visione olistica, si tratta di un modello sanitario ispirato alla razionale integrazione di saperi differenti. La One Health si basa, quindi, sul riconoscimento che la salute umana (ma anche il benessere), quella degli animali (domestici e selvatici) e quella dell’ecosistema siano interconnesse e interdipendenti indissolubilmente

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Le piante superiori e la microgravità

Studiare come le piante reagiscono alla vita nello spazio, consente di capire di più su come queste si adattano ai cambiamenti ambientali. Le piante non solo sono cruciali per quasi ogni aspetto della vita sulla Terra, ma saranno ancor più fondamentali per le esplorazioni dell'universo. Mentre si guarda ad un possibile futuro di colonizzazione spaziale, è di particolare rilevanza comprendere come le piante possano allontanarsi dal pianeta prima di affidarci a loro all'interno di avamposti spaziali per riciclare aria, acqua e integrare il cibo destinato agli astronauti. Quindi, mentre noi restiamo sulla terra, gli impianti sperimentali vengono posizionati nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Al momento gli studi compiuti ci hanno fornito alcune sorprese riguardo all’accrescimento vegetale a gravità zero e hanno messo in discussione alcuni nostri convincimenti su come le piante crescono sul nostro pianeta.
Nella ISS sono molti gli esperimenti condotti finora sulle piante sia quelli gestiti da un’astronauta, sia quelli realizzati a terra per cercare di migliorare la vita e le conoscenze nell’avamposto realizzato nello spazio.
Per far vivere delle piante nello spazio i punti nodali da collaudare sono i seguenti:
gestione di aria e acqua
serre planetarie
sistemi terrestri per ecosistemi in microgravità
scelta delle specie
illuminazione e gestione dell’energia
radicazione nello spazio
Una prima domanda è: scegliendo e prelevando le piante dal pianeta Terra, come si accresceranno in assenza di gravità? In breve si tratta di selezionare e assemblare in modo opportuno degli organismi (batteri, alghe, piante superiori) secondo fasi successive di riciclo al fine di convertire gli scarti (residui colturali) e i rifiuti organici dell’equipaggio a bordo in O2, H2O, cibo. In sostanza le piante rappresentano dei veri e propri biorigeneratori che verrebbero fatti crescere in un ambiente artificiale su appositi substrati o in idroponia e nutrite dai componenti essenziali contenuti nei residui vegetali e nelle deiezioni.

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Politiche di transizione: dalla Cop 28 un monito per il futuro agricolo alimentare

L’apertura dei lavori della Cop 28, la riunione annuale dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, UNFCCC, a Dubai il 30 novembre è stata per lo meno inconsueta. Eravamo preparati ad ascoltare discorsi generici, scontati, dati caratterizzati da un forte allarmismo, propositi di cambiamenti epocali. Il tutto scandito da scadenze draconiane fissate forse con eccessiva fretta e sorrette da un ottimismo atteso alla prova dei fatti. Impegni sempre più pesanti e costosi. Invece a Dubai vi è stato molto più realismo, specialmente su tre aspetti: a) in tema di de-carbonizzazione con un conseguente, implicito, ridimensionamento della transizione climatica; b) sulle tempistiche con una più realistica gradualità della transizione; c)  sul piano degli impegni finanziari da parte dei maggiori Paesi, compresa l’Italia, che hanno messo sul tavolo aiuti per i Paesi colpiti dalle conseguenze economiche della lotta al cambiamento climatico,  ciascuno una pesante fiche da 100 milioni di dollari. Il riposizionamento energetico viene in parte e temporaneamente ridimensionato per quanto riguarda le fonti fossili mentre riemerge il nucleare rivalutato realisticamente come energia pulita e possibile almeno nel medio-lungo periodo. Un dibattito confuso, ma significativo. Leggeremo fra le righe delle conclusioni per comprendere davvero se e quale sarà il cambiamento che ne scaturirà.
L’andamento della Cop 28 induce a riconsiderare anche la parte di transizione che riguarda l’agricoltura e l’alimentazione, quella “Green” al momento forse non ben chiara nelle modalità e nei tempi, con scadenze però oggetto, come si è visto, di possibili dilazioni. È utile riflettere sulla svolta della Cop 28 e su che cosa è accaduto negli ultimi 3 anni per i prodotti energetici. L’impennata dei prezzi che hanno mandato in confusione il mercato, nonostante quanto si crede, non è stata creata dall’aggressione russa all’Ucraina. Il prezzo del petrolio sino alla prima metà del 2021 era sui 55-60 $/barile, ma già nella seconda metà dell’anno si era mosso al rialzo portandosi, a fine 2021, a circa 80 $. Da gennaio 2022 ha dato inizio ad una nuova fase ascensionale con un massimo subito prima dell’inizio del conflitto a 110 $/barile e un secondo a giugno/luglio 2022, sui 115-118 $/barile. Ma da quel momento ha iniziato a scendere sino ai 60$ dell’autunno 2023. Questo andamento si è innestato sui tagli di produzione indotti dalla pandemia e sulla riduzione degli scambi a causa del conflitto combattuto anche sul piano economico con sanzioni e ritorsioni. A ciò si è sommata la prospettiva della riduzione dei prodotti fossili per la transizione climatica con il risultato di un’ulteriore contrazione dell’estrazione di petrolio e di gas. L’impennata dei prezzi si è estesa a tutte le commodity innescando l’inflazione mondiale da fine 2022 a luglio 2023. La fiammata dei prezzi e la riduzione della circolazione monetaria abbinata all’incremento dei tassi per frenarla hanno ridotto la domanda di tutti i beni, compresi anche gli alimentari. I costi sono saliti, in parte “trascinati” dall’onda inflazionistica e in parte da quelli degli input che usano energia per essere prodotti come carburanti, fertilizzanti, antiparassitari. L’offerta agricola si è contratta spingendo al rialzo i prezzi al secondo posto dopo gli energetici.

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Pregiudizi sulle colpe della zootecnia nella produzione di gas serra

Se partiamo col pensare che, divenendo tutti vegani, ci risparmieremo l’inquinamento dovuto a tutte le vetture, navi, aerei e treni messi insieme, forse siamo un po’ lontani dalla realtà.

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Economia di prossimità per la rigenerazione delle Aree Interne

La transizione ecologica ha contribuito a riportare al centro del dibattito il tema delle aree interne, unitamente alle crisi alimentari ed energetiche, innescate dagli ultimi eventi (conflitto russo-ucraino), che ne hanno evidenziato il loro ruolo strategico.
I fenomeni di insostenibilità delle aree urbane e la nuova domanda di qualità della vita hanno fatto riemergere il ruolo delle aree interne e la necessità di una loro rigenerazione trasformativa, valorizzando il patrimonio di risorse di cui sono detentrici (risorse naturali, forestali, ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, alimentari, ecc.). Queste aree rappresentano i territori più fragili del paese, a rischio severo di desertificazione economica e sociale in conseguenza della generalizzata rarefazione delle attività antropiche e dei servizi, nonché del crescente spopolamento e indebolimento dei modelli di welfare (Barbera et al., 2022; Locatelli et al., 2022). Fenomeni, questi, non contrastati dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo delle Aree Interne (SNAI), attuata attraverso iniziative su “aree pilota” in tutte le regioni italiane, la quale dopo una fase di slancio iniziale, e a seguito delle prime analisi sui risultati conseguiti, ha evidenziato una sostanziale inefficacia (Interlandi, Famiglietti, 2022).
Più di recente, la guerra in Ucraina ha riportato nuovamente alla ribalta il tema, anche da un altro punto di vista, almeno nel dibattito fra gli addetti ai lavori, per la constatazione di un apparente incomprensibile paradosso: una minacciosa dipendenza esterna del nostro paese per risorse strategiche, quali cibo ed energia, che ha avuto significative ripercussioni economiche e sociali, a fronte di una diffusa e ampia sottoutilizzazione del potenziale produttivo di tali beni nelle aree interne.

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