In Italia il settore forestale si trova ad affrontare problematiche in
ampia misura connesse alla necessità di valorizzare in maniera più
efficace le potenzialità e le opportunità in termini di salvaguardia
ambientale, presidio del territorio e sviluppo socioeconomico e
occupazionale, soprattutto, ma non solo, nelle aree interne e montane.
In questo quadro, la ricerca ha raccolto la sfida di tradurre i
risultati degli avanzamenti metodologici e tecnologici in applicazioni
operative.
Questo 2023 si presenta difficilissimo, forse il più difficile dopo
l’anno della pandemia. Inflazione che viaggia al 12-13%, prezzi al
consumo in aumento, consumi sempre più calanti. Un quadro di necessaria
resistenza per le imprese, anche perché chi doveva tirare la cinghia
l’ha già fatto, chi doveva sacrificare parte dei propri margini ha già
compiuto i riti sacrificali. Adesso margini non ce ne sono più.
In Europa ogni anno si verificano 4 milioni di infezioni dovute a
batteri resistenti agli antimicrobici e il costo per i sistemi sanitari
dei Paesi coinvolti è stimato attorno a 1,1 miliardi di euro. È stato
calcolato che, se non controllata, nel prossimo decennio la resistenza
antimicrobica potrebbe comportare un calo del Pil mondiale di 3,4
trilioni di dollari all’anno e spingere 24 milioni di persone in più
nella povertà estrema. La resistenza antimicrobica è la capacità dei
microrganismi di persistere o crescere in presenza di farmaci progettati
per inibirli. Questi farmaci, chiamati appunto antimicrobici, sono
usati per trattare malattie causate da batteri, funghi, virus e
parassiti protozoici. Ogni volta che utilizziamo antimicrobici su
persone, animali e piante, i germi hanno la possibilità di acquisire la
capacità di tollerare i trattamenti diventando resistenti, rendendo i
farmaci meno efficaci nel tempo. Quando i microrganismi diventano
resistenti agli antimicrobici, i trattamenti standard sono spesso
inefficaci. Di conseguenza, i trattamenti falliscono, aumentando le
malattie e la mortalità negli esseri umani, negli animali e nelle
piante.
La frana di Ischia “celebra” il centesimo anniversario della legge
Serpieri, il primo fondamentale intervento (regio decreto n. 3267 del 30
dicembre 1923) a tutela del vincolo idrogeologico del territorio per la
sua salvaguardia, con il divieto rigoroso di trasformazione per il suo
rimboschimento e rinsaldamento di fronte alla crescente domanda di esso
per il pascolo e l’agricoltura.
Con quel provvedimento si
introdussero le prescrizioni di massima e di polizia forestale e la
sistemazione dei bacini montani senza indennizzi, a differenza di altri
vincoli, in vista di un interesse pubblico che prevale sugli interessi
privati.
Il disastro di Ischia rappresenta l’ennesima conseguenza di
un degrado del territorio che deriva dalla sua fragilità geofisica.
Quest’ultima nasce sia da fattori climatici, sia dal suo consumo e
cementificazione dissennata in un contesto di “anarchia urbanistica” e
di abusivismo; si snoda in una catena ininterrotta di alluvioni e di
frane.
Una “tragedia annunziata” emblematica del consumo del suolo e
del suo dissesto idrogeologico su scala nazionale, nei cento anni
trascorsi dalla introduzione di quella legge, che rappresentò un primo
passo dell’Italia unitaria per la difesa dai disastri ambientali.
Una
tragedia che sottolinea ancora una volta – se ve ne fosse bisogno –
l’urgenza di intervenire drasticamente per la tutela dell’ambiente,
della salubrità e della salute in uno con quella della dignità umana,
quest’ultima di fronte alla “rivoluzione digitale” con i suoi sviluppi
prodigiosi e i suoi rischi.
Sono due temi fra loro strettamente connessi e intrecciati, come ricordava la Presidente della Commissione europea all’atto del suo insediamento, a proposito della necessità di realizzare un modello innovativo di politica europea che tenga conto della sinergia fra l’ecologia e le tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione (ICT). La necessità di affrontare la transizione ecologica e quella digitale – al di là delle dichiarazioni di propositi e buone intenzioni a livello nazionale, europeo e globale per il pianeta terra – è un dato drammaticamente urgente per i problemi che coinvolgono le persone, le collettività e i paesi per una svolta “epocale” del modo di vivere e di convivere, di lavorare, di produrre e di consumare risorse, di relazionarsi, di conoscere e di ricercare: sia nelle riflessioni più approfondite e specialistiche di carattere scientifico, sia in quelle più semplici ed accessibili tratte dall’esperienza quotidiana.
Si inaugura mercoledì 18 gennaio 2023, nella sede dell’Accademia dei
Georgofili, la mostra “Terra” del Maestro Andrea Roggi, autore
dell’opera ‘Albero della Pace’ che nel 2021 è stato posta in Via dei
Georgofili a simboleggiare la memoria ma anche la speranza e la
rinascita dopo l’attentato del 27 maggio 1993, di cui quest’anno ricorre
il trentesimo anniversario.
L’attuale scenario geopolitico impone imminenti riflessioni e
adeguamenti dei correnti modelli gestionali attuati nel mondo delle
produzioni agrarie. Da un lato la crisi energetica, con la difficoltà
delle nostre istituzioni di organizzare nuovi e affidabili canali di
approvvigionamento a costi sostenibili, dall’altro l’aumentata
competizione da parte di paesi agricoli emergenti rendono evidente la
necessità di un ripensamento nelle tecniche e tecnologie impiegate.
Un insetto è composto di tre parti: testa, torace e addome. Ricordo
ancora la prima lezione del Prof. Luigi Masutti, entomologo
dell’Università di Padova. Alla lavagna sapeva disegnare come nessun
altro, riproducendo organi che sembravano veri. Da allora, quando vedo
una mosca, o una farfalla, o una formica, la prima cosa che il mio
cervello vede sono queste tre parti: le zampe sono solo sul torace, gli
occhi e le antenne sulla testa, l’addome è come una pancia-cuore esterno
che continuamente pompa alimenti nel resto.
Anche il suolo è
composto di tre sezioni: Humipedon, Copedon e Lithopedon. Per
svilupparsi un suolo necessita di qualche migliaio di anni, ma anche
molto di più! È una matrice viva, una sorta di spugna in cui le piante
inseriscono le loro radici. All’inizio coesistono humipedon e
lithopedon. In un clima temperato, un vero e sviluppato copedon arriva
solo dopo centinaia di anni.
L’humipedon è la sede del riciclo di tutto ciò che muore e che cade sul pabulum del bosco. Bisogna immaginare una macchina biologica che decompone le molecole fino ad un livello strutturale minuto simile a “mattoncini”, capace di ricostruire nuove strutture viventi. L’humipedon è anche il volume di suolo occupato dalle radici che alimentano e sostengono le piante. Fin dall’inizio e per tutta la durata della vita della pianta, un dialogo si installa tra questa e il suolo. I vettori di tale scambio sono dei microrganismi.
Il 21 dicembre 2022 il Prof Giovanni Bernetti, noto docente presso la
Facoltà di Agraria di Firenze, ci ha lasciato. Era nato a Firenze l'8
settembre del 1934.
Nel 1956, dopo la laurea in Scienze forestali,
aveva frequentato come Assistente volontario l’Istituto di Mineralogia e
Geologia, e nel 1957 aveva ricoperto il ruolo di Assistente incaricato
presso l’Istituto di Selvicoltura, nel 1959 aveva vinto il concorso di
Assistente presso la cattedra di Assestamento forestale.
All’Istituto
di Assestamento forestale, sotto la guida del Prof. Patrone e la
stretta collaborazione con i proff. Bernardo Hellrigl e Mario Cantiani,
ha iniziato un’intensa attività di studi e ricerche nel settore della
Pianificazione forestale, della Dendrometria, dell’auxologia. I Piani di
assestamento elaborati dai Proff. Bernetti e Cantiani si arricchirono
di indagini dendro-auxologiche, pedoclimatiche, turistico-ricreative,
ecologico-ambientali.
Le tappe importanti della Sua carriera: dal
1956 al 1970 ha ricoperto il ruolo di assistente, ha conseguito la
libera docenza in Assestamento forestale nel 1968, è stato professore
incaricato dal 1970 al 1973 e professore di prima fascia dal 1974 al
1999. E’ stato Direttore d’Istituto dal 1984 al 1990 e dal 1997 al 1999
(anno del suo pensionamento).
Ha insegnato Dendrometria, Assestamento
forestale e Selvicoltura speciale. Nelle suddette discipline, e non
solo, ha lasciato importanti contributi scientifici e divulgativi.
Dal
Suo cv risulta che era socio dell’Accademia Nazionale di Agricoltura di
Bologna, della Società Botanica Italiana, dell’Accademia dei
Georgofili.
Il mondo accademico e professionale hanno perduto un
illustre studioso che ha dato importanti contributi allo sviluppo delle
Scienze forestali e un Maestro poliedrico e geniale nella divulgazione
del sapere.
Come sappiamo la Federazione Russa e l'Ucraina sono tra i più importanti produttori di materie prime agricole al mondo. Entrambi sono esportatori netti di prodotti agricoli ed entrambi sono leader nei mercati globali di prodotti alimentari e fertilizzanti, dove le forniture esportabili sono spesso concentrate in una manciata di paesi. Concentrazione che rende questi mercati estremamente vulnerabili agli shock e alla volatilità.
Nel 2021, la Federazione Russa e l'Ucraina risultavano essere tra i primi tre esportatori mondiali di grano, mais, semi di colza, semi e olio di girasole. Inoltre la Russia si è classificata anche come primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, il secondo fornitore leader di fertilizzanti al potassio e terzo esportatore di fertilizzanti al fosforo. Inevitabilmente, la guerra ha avuto un forte impatto anche sulla sicurezza alimentare globale.
In particolare su molti paesi della regione del Vicino Oriente e del Nord Africa (NENA). Questi infatti dipendono fortemente da prodotti alimentari e fertilizzanti importati dalla Russia e dall'Ucraina, compreso il grano come alimento base. Prima del conflitto, inoltre, la maggior parte dei paesi della regione aveva mostrato una tendenza all'aumento delle importazioni alimentari per soddisfare esigenze crescenti di consumo interno. Tale aumento della domanda stava già affrontando gli effetti negativi degli alti prezzi internazionali di alimenti e fertilizzanti a causa del caro-energia prima dello scoppio della guerra. Il conflitto non ha fatto altro che peggiorare la vulnerabilità della regione con seri rischi per soddisfare la domanda alimentare dei paesi della regione le cui importazioni dipendono fortemente da Russia e Ucraina.
La soia, come è noto, è l’ingrediente proteico di origine vegetale più usato in alimentazione animale, soprattutto per la buona qualità biologica della miscela dei suoi aminoacidi. Purtroppo, la sua coltivazione è spesso messa in discussione perché contribuisce indirettamente al riscaldamento globale. Infatti, da una parte, le vaste aree necessarie per la sua coltivazione vengono ottenute prevalentemente con l’abbattimento delle foreste naturali, dall’altra il prodotto necessita di trasporti a lunga distanza, con tutto ciò che ne consegue in termini di consumi energetici ed inquinamento ambientale.
Nei giorni che precedono il Santo Natale e in quelli di Vigilia delle Feste comandate le salumerie esponevano una bacinella piena d’acqua dove il baccalà, merluzzo salato e da secco e duro diviene umido e morbido. Il merluzzo (Gadus morhua), soprannominato anche maiale del mare perché e come il maiale di terra di lui non si butta via niente, è conservato con il sale e l’asciugatura. Conservato con il sale il merluzzo prende il nome di baccalà che deriva dal basso tedesco bakkel-jau che significa duro come una corda o dal nome baccalai che gli indigeni del Nord America danno ai merluzzi, oltre a questo ben poco di certo si sa. Lo stoccafisso cosi chiamato quando il merluzzo (pesce, visch o fish) è essiccato al vento su pali o bastoni (stoc) divenendo quasi un pesce-bastone (stoc-visch o stocfish).
Nel numero di Georgofili Info dello scorso 14 dicembre (https://www.georgofili.info/contenuti/le-nuove-politiche-europee-sul-suolo/23268) l’onorevole Paolo De Castro segnalava, tra le altre interessanti notizie, una di particolare rilevanza per la difesa del suolo, e cioè la decisione del governo italiano di costituire attraverso la legge di Bilancio un “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”. Si tratta dell’art.127 che recita: “Al fine di consentire la programmazione e il finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il «Fondo per il contrasto del consumo di suolo», con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2023, di 20 milioni di euro per l'anno 2024, di 30 milioni di euro per l'anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027”.
Si tratta senz’altro di una opportunità per incentivare il ripristino delle aree degradate e con esse il recupero di almeno parte della funzionalità ecosistemica dei suoli più danneggiati dalle attività dell’uomo, ma l’articolo di legge in effetti non affronta il problema della limitazione del consumo di ulteriore suolo.
Come è noto, il consumo di suolo in Italia ha raggiunto negli ultimi anni un livello insostenibile, peraltro non correlato con l’andamento demografico. In Italia si cementificano più di 14 ha al giorno, oltre 2 metri quadrati al secondo, e nella maggior parte dei casi si tratta dei suoli migliori, quelli più fertili di pianura. La superficie coperta da strutture e infrastrutture raggiunge ormai i 21.500 km2, circa il 7,1 % della superficie nazionale.
L'utilizzo del suolo da parte dell'uomo, con le sue opere infrastrutturali, l'edilizia, ma anche per l’abbandono di tanti terreni agricoli prima coltivati, resta un problema grave e per ora insoluto. Un problema che sempre più spesso, anche se in parte compensato da un aumento delle superfici boschive e forestali, combinato agli effetti del cambiamento climatico e a un uso delle risorse idriche non sempre attente provoca dissesti idrogeologici, con enormi danni economici e rischi per le popolazioni nei territori più fragili.
Da qui il giusto richiamo alle istituzioni, nazionali e comunitarie, affinché intervengano in modo coordinato e puntuale per mettere cittadini, imprese e agricoltori, nelle condizioni di operare in via preventiva con una corretta gestione delle superfici a uso civico e delle aree rurali.
A Bruxelles, dove nel corso degli anni ho maturato esperienza in Consiglio, Commissione e Parlamento europeo, ci sono diverse novità sul piano normativo che possono contribuire ad affrontare questi annosi problemi. Tra queste, l’utilizzo di fertilizzanti organici: prodotti innovativi ampiamente conosciuti, e sicuri, finalizzati a rendere i terreni agricoli più fertili e produttivi con l’impiego di meno acqua e a minori costi. Un input, questo, reso ancora più urgente dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente inferiore disponibilità sui mercati di mezzi tecnici come i concimi.
Un’altra novità arriva dalla proposta di nuovo regolamento Ue sul Carbon farming presentato dalla Commissione; un atto legislativo che si lega al consumo di suolo, ma soprattutto a una grande opportunità per gli agricoltori che potrebbero sfruttare i cosiddetti crediti di carbonio. La stessa norma non entra tuttavia nel merito, in particolare sui criteri di calcolo di questi crediti, rimandando il tutto a futuri atti delegati e lasciando di fatto gli agricoltori senza strumenti di valutazione per procedere correttamente.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento Elio Conti, figura esemplare di studioso della realtà fiorentina, urbana e rurale, dal Medioevo alla contemporaneità, mise insieme circa 5.000 scatti dedicati alle campagne toscane nel momento dell’abbandono del sistema mezzadrile e dello spopolamento. I seminari universitari di Elio Conti sono rimasti famosi per l’esegesi della documentazione scritta fatta esattamente nei luoghi ai quali si riferiva: le foto costituivano il naturale completamento sul campo della ricerca che lo studioso andava effettuando sulle carte d’archivio per comprendere l’evoluzione storica del paesaggio agrario toscano.
Dal 2023, sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali, secondo le regole stabilite nel decreto ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022.
Lo scorso anno, in questi giorni, ci si chiedeva quali fossero le prospettive per l’immediato futuro, fra le continue sorprese riservate dalla pandemia di cui ancora si temevano inaspettati colpi di coda e la certezza che la tanto attesa ripresa non avrebbe avuto un andamento lineare e progressivo a causa di fattori avversi che non trovavano composizione.
A distanza di 12 mesi, se da un lato il quadro epidemiologico sembra migliore, dall’altro rimangono vive le preoccupazioni per quello economico che anzi sembrano ingigantite anche per le conseguenze della guerra aperta dall’aggressione russa all’Ucraina. Con la ripresa avviata già nell’ultimo trimestre del 2021 la salita dei prezzi aveva assunto valori oltre i livelli di sicurezza. A quel punto il timore di un calo della crescita del Pil mondiale è divenuto certezza. Le previsioni per il 2022, corrette al ribasso ad aprile, a luglio e infine ad ottobre 2022, mostrano un tasso di incremento ridotto al 3,2% e quelle per il 2023 al 2,7%, ma nel’Ue allo 0,5%. Lo scenario economico è dominato dagli sviluppi della combinazione fra salita dell’inflazione e proseguimento della guerra russo/ucraina.
Il conflitto si è rivelato ben diverso dalle previsioni: la durata si allunga e l’intensità cresce. Quella che sembrava una guerra lampo, come quella del 2014, è divenuta un conflitto convenzionale, per molti aspetti simile alla parte finale della seconda guerra mondiale e minaccia gli equilibri generati dalla fine della guerra. Muta il quadro dei rapporti fra i principali Paesi con il superamento della globalizzazione su basi multilaterali e il formarsi di un potere mondiale diffuso ed esteso a nuovi protagonisti. Le grandi economie emergenti come Cina, India e la stessa Russia seguono linee strategiche venate da un imperialismo che si riteneva tramontato con la caduta del comunismo e degli imperi coloniali.
Mai come in questo momento
per questo sono necessarie alcune considerazioni sulla tradizione in
cucina e gastronomia che non si articola nelle strettoie di un tema o di
una ricetta, ma in un linguaggio gustativo che manipola la materialità
degli ingredienti, loro incorporazione, presentazione e uso per
esprimere una identità e mantenere una memoria e a questo riguardo vi
sono almeno due tendenze o atteggiamenti.
Sta aumentando l’interesse verso questo tipo di trattamento dei liquami
e dei residui organici provenienti dagli allevamenti bovini perché
rappresenta un sistema efficace nell’abbattimento dei due gas serra più
“cattivi”, il metano (CH4) e il protossido d’azoto (N2O) che vi si
sviluppano.
La "Shindo Trap", trappola vibrazionale contro la cimice asiatica
prodotto nell’ambito di una ricerca condotta dalla Fondazione Edmund
Mach, è stata recentemente insignita a Basilea del Premio Bernard Blum
per le migliori innovazioni del 2022. Ne parliamo con il Prof. Mario Pezzotti, georgofilo, dirigente del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione.
La tracciabilità, descrivendo l’intero percorso di un prodotto
all’interno della filiera produttiva e riunendo tutte le informazioni
relative ad ogni fase di produzione, trasformazione, e distribuzione, è
legata a doppio filo con la garanzia della sicurezza alimentare, poiché
permette di individuare gli ingredienti impiegati per la preparazione di
un determinato prodotto alimentare, e di valutare, prevenendo o
correggendo, gli eventuali fattori di rischio per il consumatore,
fornendo informazioni indispensabili alle autorità di controllo e
assicurando così la capacità d’intervento in tutte le circostanze in cui
possono sorgere rischi sanitari o emergenze di vario genere.
Secondo una classifica riportata sul Journal of Food Science
il settore dell’olio extravergine di oliva è uno dei più soggetti ai
fenomeni delle frodi alimentari, fattore che mina la fiducia dei
consumatori e la redditività dei produttori onesti.
Pertanto, lo
sviluppo di metodiche che supportino la verifica della tracciabilità del
prodotto e delle materie prime ha risvolti non solo sulle garanzie
assicurate ai consumatori ma anche sulla redditività potenziale di un
prodotto che rispecchia le aspettative di autenticità e per il quale può
innalzarsi la disponibilità a pagare.
In un recente articolo apparso sulla rivista internazionale Foods,
i ricercatori dell’Enea - l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie,
l'energia e lo sviluppo economico sostenibile - hanno messo a punto uno
studio che ha lo scopo di valutare il profilo degli oligoelementi in
olive e foglie di diverse cultivar come strumento per risalire all'area
di produzione. Il profilo dei microelementi (Sr, Cu, Rb, Ti, Ni, Sn, Cr,
V, Co, Sb Cd, Pb, As e Zr) è stato valutato, sia sui frutti che sulle
foglie di olivo di undici cultivar provenienti da due aree di produzione
differenti, per mezzo della spettrometria di massa a plasma accoppiato
induttivamente (ICP-MS) e della spettroscopia laser fotoacustica (LPAS),
supportate da un approccio chemiometrico.
Siamo ancora qui a piangere vittime dell’ennesima catastrofe ambientale
come quella che ha colpito Ischia il 26 novembre scorso. Sull'isola in
poche ore sono caduti 126 millimetri di pioggia, il dato più alto mai
registrato, che hanno causato frane e colate di fango, colpendo
particolarmente la località di Casamicciola, sulla costa settentrionale.
Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica per cui questi nubifragi
così violenti saranno la regola e non l’eccezione; ricordiamo, ad
esempio, la catastrofe delle Marche nel settembre scorso. Al di la di
tutte le notizie fornite dai mezzi di informazione di massa è
sicuramente apprezzabile quello che il Corriere della Sera del 29
Novembre 2022 ha scritto sottolineando come dagli anni Sessanta del
secolo scorso proprio a Ischia si sono abbandonati e perduti oltre
duemila chilometri di terrazzamenti coltivati. Ecco spiegato in modo
molto semplice una delle cause, se non la principale, dell’attuale
catastrofe come fu del resto, ad esempio, a Giampilieri in Sicilia nel
2009 dove il paese, in seguito a un devastante nubifragio, fu invaso dal
fango proveniente dalla frana dei terrazzamenti a monte da tempo
abbandonati a se stessi.
A questo proposito è opportuno sottolineare
che, specialmente nelle aree collinari e montane, con la scomparsa della
cultura contadina, sul finire proprio degli anni ’60 del secolo scorso,
vaste aree sono state abbandonate e con esse sono cessate quelle opere
di paziente e faticosa cura del territorio operata dagli agricoltori a
cominciare proprio dalla regimazione idrica (i cosiddetti “sciacqui”
trasversali alle linee di massima pendenza che proprio gli agricoltori
con tanto di zappa si apprestavano a fare dopo la semina del grano) che
consentiva alle acque di scendere a valle in modo controllato e
soprattutto contenendo l’erosione e quindi limitando il trasporto di
materiale solido incluso quel fango di cui si parla solo in occasione
dei disastri. Anche la tanto decantata riforestazione, se non viene
governata, avviene in maniera disordinata nelle aree abbandonate senza
né proteggere l’ambiente, né essere fruibile per attività
turistico-ricreative.
Nonostante il mercato sia dominato da pochi produttori nazionali (es., Pastificio Rana e Gruppo Fini), i consumatori di pasta fresca ripiena preferiscono anche diversi marchi regionali. Il mercato globale della pasta fresca è in netta crescita con un fatturato di 1,6 miliardi di € nel 2020 per la crescente domanda da parte di ristoranti, hotel, pub e famiglie.
Qualche decennio fa, trasferendomi a una sede universitaria settentrionale dopo un fecondo quinquennio siciliano, feci la conoscenza di una parola che mai nella mia carriera avevo sentito profferire dai miei maestri in arboricoltura, né a dire il vero da nessun altro: piantumazione.
Parola, con i suoi affini piantume e piantumare, che ha in seguito acquisito grande popolarità tra i non addetti ai lavori, compresi i giornalisti che sulla carta e nell’etere ne fanno ampio uso.
Lo scorso 27 ottobre 220 scienziati provenienti da diverse parti del mondo hanno sottoscritto “The Dublin declaration of scientists on the societal role of livestock”. Tale documento è l’atto finale di un gruppo di lavoro che ha dato vita nei giorni 19 e 20 ottobre 2022, a Dublino, presso il Teagasc (Irish Agriculture and Food Development Authority), a un simposio internazionale sul “Ruolo della carne nella società – Il parere della scienza”.
L’obiettivo della dichiarazione è di contribuire ad affermare il ruolo della ricerca scientifica per il miglioramento dei sistemi di allevamento degli animali di interesse zootecnico, in relazione all’insostituibile ruolo che le produzioni animali hanno per la società. I risultati della ricerca dovrebbero essere punti essenziali di riferimento per guidare gli sviluppi futuri, evitando pericolose semplificazioni ideologiche.
Le sfide che dovranno affrontare i sistemi di produzione animale sono legate sia alla necessità di soddisfare le esigenze nutrizionali di una popolazione mondiale in continua crescita, sia alla necessità di migliorare l’impronta ambientale degli allevamenti e lo stato di salute e benessere degli animali, secondo un approccio “One health”.
I prodotti di origine animale possiedono elevati valori nutrizionali e salutistici, unici e non facilmente sostituibili, perché ricchi di componenti bioattive non riscontrabili in alimenti di altra origine. La storia evolutiva dell’uomo dimostra chiaramente che il consumo regolare di carne, latte-prodotti caseari e uova, all’interno di una dieta bilanciata, è fondamentale per la salute e il benessere.
Gli allevamenti svolgono anche importanti funzioni ambientali, spesso non conosciute o trascurate. La zootecnia si colloca in modo armonico all’interno di sistemi di economia circolare, in quanto permette di riutilizzare e valorizzare prodotti di scarto di diverse filiere produttive, trasformandoli in alimenti di alto valore biologico. In molte aree del pianeta l’allevamento animale permette di valorizzare territori non idonei per altri tipi di utilizzazione produttiva, garantendo al contempo anche la loro conservazione. Molteplici sono i servizi ecosistemici collegati con i sistemi di allevamento, di tipo ecologico, culturale e produttivo.
Recentemente la rivista di informazione scientifica “All About Feed”,
citando l’interessante lavoro di rassegna di Zhongyue Yang e Shengfa F.
Liao (Front Vet Sci. 2019; 6: 169), ha riportato l’attenzione dei
nutrizionisti sull’importanza del ruolo dei vari aminoacidi di origine
alimentare sulla salute dell’ambiente intestinale. Vero è che l’articolo
prende in esame l’intestino dei suini, ma sappiamo che l’argomento può
riguardare anche l’intestino di altri animali, uomo compreso.
Per una saggezza etimologica, il Prosciutto Cotto può quindi ancora
chiamarsi prosciutto, quando fatto anche con carni non di coscia e
soprattutto non prosciugato, ma idratato e con più acqua di quella della
carne?
C’è grande attesa per i primi atti del nuovo ministro Lollobrigida , ministro della Sovranità alimentare e forestale . Il mondo produttivo, ortofrutta in prima linea, lo attende al varco con aiuti concreti sul fronte delle bollette pazze dell’energia che stanno massacrando i bilanci non solo di tantissime aziende produttive, ma delle loro strutture, dei consorzi, delle cooperative, delle altre forme associate. Perché ovunque c’è bisogno di energia per i magazzini, gli impianti, le celle frigorifere, le linee di lavorazione e confezionamento. L’ortofrutta si è dimostrata durante la pandemia e dopo come un comparto resiliente, in grado di rifornire Il mercato nazionale e quelli esteri (record di export nel 2021) con continuità, garantendo qualità dei prodotti e occupazione, ma ora i costi dell’energia, della logistica e delle materie prime rischiano di far saltare il banco. Quindi, cosa chiedere subito al neo-ministro? Intanto aiuti fiscali, agevolazioni e aiuti per pagare le bollette e l’acquisto dei fattori produttivi (gasolio, fertilizzanti, fitosanitari, mangimistica e sementi), che hanno raggiunto costi insostenibili. Poi aiuti per sostenere la liquidità delle imprese, garanzia fidi ecc; riduzione del cuneo fiscale per abbassare il costo del lavoro; interventi concreti e risolutivi per l’eterno problema della manodopera che manca; credito agevolato per i territori colpiti dalle calamità legate al climate change.
Dottor Rondolino, la sua famiglia produce riso da quasi un secolo e Lei è il creatore di un riso particolare, "Acquerello", recentemente entrato a far parte dei grandi brand di Fondazione Altagamma, l’associazione che raggruppa i Brand Italiani di indiscussa reputazione internazionale. Ci racconta brevemente la storia di questo riso e le sue caratteristiche?
Nel 1971 dopo la laurea in architettura ho preso il testimone da mio padre Cesare che dal 1935 coltivava riso alla Tenuta Colombara. Partendo dalla coltivazione tradizionale ho innovato nella meccanizzazione e refrigerazione del risone e nel 1992 iniziato la strada della filiera corta con la produzione di Acquerello in lattina. Nel 2007 ho brevettato il reintegro della gemma ottenendo un riso bianco che recupera i valori nutrizionali più importanti (vitamine e sali minerali) del riso integrale. Dal 2020 i miei figli hanno continuato nell’innovazione con un 2° brevetto per un nuovo prodotto, Black, la grande gemma del riso nero.
In che misura avete risentito della straordinaria siccità della scorsa estate? Come avete affrontato il problema e come pensa che vi muoverete in un futuro sempre più condizionato dai cambiamenti climatici?
L’anno agronomico appena trascorso 13/11/2021 – 10/11/2022 ha avuto delle anomalie climatiche che, per quanto ci è dato sapere, non si sono mai verificate contemporaneamente in tempi storici. 12 mesi con sporadiche piogge e alte temperature per lungo tempo hanno poco o tanto lasciato il segno su quasi tutte le specie vegetali. La coltivazione del riso ne ha risentito in modo molto diverso da caso a caso. È da tener presente che per coltivare riso e ottenere una quantità e qualità di produzione economicamente soddisfacente è necessario si realizzino contemporaneamente 3 condizioni.
-La prima condizione necessaria è la temperatura che nelle zone sub tropicali come l’Italia non deve essere troppo bassa (problema per ora inesistente per l’aumento di 1-2° negli ultimi 50 anni) ma neanche troppo alta e per un periodo troppo lungo (problema emerso nel 2022 per le 17 ore al giorno di insolazione estiva alle nostre latitudini) che ha danneggiato la formazione del chicco, con conseguente minore produzione e resa alla lavorazione in bianco avvenuti in modo diverso da caso a caso.
Per questa prima condizione c’è agronomicamente molto poco da fare.
-La seconda condizione è la disponibilità costante di acqua nel periodo della sommersione perché il riso, pur non essendo una pianta acquatica, ha fin dall’origine sviluppato la caratteristica di crescere e produrre bene solo se coltivato in sommersione. La coltivazione per scorrimento non può dare la stessa quantità e qualità, è ancor peggio nella coltivazione in asciutto. La ricerca di varietà adatte alla coltivazione per scorrimento non è certo una novità e non ha mai dato risultati economici soddisfacenti in tutti i continenti in cui è stata sperimentata.
La pizza napoletana è stata riconosciuta come una delle specialità
tradizionali garantite (STG) dal Regolamento della Commissione Europea
n. 97/2010, che deve esser cotta esclusivamente in forni a legna.
Nonostante
l’ampio utilizzo nei ristoranti e nelle rosticcerie di tutto il mondo,
lo studio di tali forni è stato finora piuttosto carente.
Il funzionamento del forno a legna per pizza illustrato in Figura 1 (link Figura 1.jpg)
è stato caratterizzato sia durante la fase di avviamento che in
condizioni operative quasi stazionarie, valutandone altresì l’efficienza
termica.
Per gestire il riscaldamento dei materiali refrattari e la
loro dilatazione differenziata, il forno è stato avviato alimentando una
quantità (Qfw) di legna da ardere in ciocchi pari a 3 kg/h per appena
un’ora il 1° giorno, per 2 ore il 2° giorno, per 4 ore il 3° giorno e
per circa 8 ore il 4° giorno.
Indipendentemente dalla frequenza di
accensione, dopo 4-6 h la temperatura della volta o della platea del
forno tendeva ad un valore di equilibrio pari, rispettivamente, a 546 ±
53 °C o 453 ± 32 °C (Figura 2 – link Figura 2.jpg).
All’aumentare di Qfw, la temperatura massima della platea tendeva ad un valore asintotico di 629 ± 43 °C per Qfw=9 kg/h (Figura 3 – link Figura 3.jpg).
L’Orto Botanico di Pisa è stato fondato nel 1543 dal medico e
naturalista Luca Ghini (1490–1556), chiamato a tenere la cattedra di
botanica nella città toscana grazie ai finanziamenti concessi dal
Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici. L’ubicazione originaria era
sulla riva destra dell’Arno, nei pressi dell’Arsenale Mediceo. Nel 1563
il giardino fu trasferito per esigenze belliche in una seconda sede,
nella parte orientale della città, per poi trovare sede definitiva nel
1591, sotto la direzione di Giuseppe Casabona (ca. 1535–1595). Nato come
Giardino dei Semplici e con impostazione progettuale
tardo-manieristica, nei suoi quasi cinque secoli di storia l’Orto e
Museo Botanico va incontro ad una serie di espansioni in termini di
superficie e di riarrangiamenti nell’assetto che lo porteranno alla
configurazione attuale, ossia un giardino esteso circa 25.000 m2 e
suddiviso in 7 settori.
La Scuola botanica è il settore più
antico, di origine tardo-cinquecentesca. Unica testimonianza
dell’impianto originario sono sei vasche in arenaria, mentre l’attuale
organizzazione in file di aiuole rettangolari, decisa dall’allora
Prefetto Teodoro Caruel (1830–1898), risale alla seconda metà
dell’Ottocento. L’organizzazione in aiuole rettangolari ha permesso di
allestire le collezioni secondo la famiglia di appartenenza, allo scopo
di facilitare gli studenti nello studio della sistematica vegetale. Ciò
spiega la denominazione del settore, appunto in uso da fine Ottocento.
Il secondo settore per antichità è l’Orto del Cedro, ottenuto annettendo un giardino conventuale nel 1783 e nominato così per un imponente cedro del Libano (Cedrus libani A.Rich.), sradicato da una tempesta nel 1935 e sostituito da un cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara (Roxb. ex D.Don) G.Don). In questo settore sono presenti i due alberi più vetusti dell’Orto: un albero dei ventagli (Ginkgo biloba L.) e una magnolia (Magnolia grandiflora
L.), entrambi messi a dimora nel 1787 sotto la direzione di Giorgio
Santi (1746–1822). L’adiacente Orto del Mirto deve il suo nome a un
imponente esemplare di mirto (Myrtus communis L.) piantato nel
1815. Oggi ospita una collezione di piante officinali, con gli esemplari
disposti secondo un criterio relativo alle proprietà dei principi
attivi delle piante su sistemi e apparati del corpo umano.