Notiziario





L’intelligenza artificiale nella gestione del verde urbano

L'intelligenza artificiale (AI) sta acquisendo sempre maggiore importanza in vari settori e quello del verde urbano non fa eccezione. Man mano che le città continuano a crescere ed espandersi, la necessità di una gestione e conservazione efficiente ed efficace degli alberi diventa sempre più importante. Conosciamo bene i benefici prodotti dal verde urbano, tuttavia la gestione degli spazi verdi può essere un compito impegnativo e laborioso. È qui che entrano in gioco le soluzioni robotiche basate sull'intelligenza artificiale, che possono rivoluzionare il modo in cui affrontiamo la gestione e la conservazione degli alberi negli ambienti urbani.
Una delle sfide principali è l'identificazione e la valutazione delle specie arboree, della salute e dei fattori di rischio. Tradizionalmente, questo è un processo lungo e laborioso, che richiede l'ispezione fisica di ogni albero da parte di arboricoltori esperti. La robotica basata sull'intelligenza artificiale può semplificare notevolmente questo processo utilizzando algoritmi avanzati di riconoscimento delle immagini e apprendimento automatico per identificare in modo rapido e accurato le specie arboree, valutarne la salute e determinare i potenziali rischi. Ciò non solo consente di risparmiare tempo e risorse, ma consente anche di prendere decisioni più proattive e informate quando si tratta di manutenzione e conservazione degli alberi.
Oltre all'identificazione e alla valutazione degli alberi, la robotica basata sull'intelligenza artificiale può anche aiutare nella cura delle foreste urbane. Ad esempio, i droni dotati di tecnologia AI possono essere utilizzati per monitorare in modo efficiente la salute degli alberi, identificare le infestazioni di parassiti e persino applicare trattamenti mirati alle aree colpite, ovviamente laddove è tecnicamente e legalmente possibile. Inoltre, la robotica basata sull'intelligenza artificiale può essere utilizzata per eseguire attività come la potatura e la rimozione degli alberi, che possono essere pericolose e laboriose se eseguite da lavoratori umani.

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TEA, finalmente la sperimentazione in campo

Il Parlamento italiano ha alcuni giorni fa approvato un emendamento che apre alla sperimentazione in campo delle piante ottenute tramite le cosiddette TEA, Tecnologie di Evoluzione Assistita, che in Europa vengono chiamate New Genomic Techniques e che in passato erano chiamate New Breeding Techniques.
Perché dobbiamo essere felici di questa decisione? Cisgenesi e il genome editing tramite CRISPR/Cas, che sono le due tecniche che in Italia abbiamo ricompreso nella definizione di TEA, ci permettono di modificare in maniera mirata singoli geni o addirittura singole basi del DNA all’interno dei geni ottenendo risultati che sono indistinguibili da quelli che potremmo ottenere per incrocio o per mutazione spontanea ma molto più velocemente e in maniera più precisa, ossia senza effetti collaterali indesiderati. E possiamo usare queste tecnologie per rendere le piante più resistenti ai patogeni, per renderle più tolleranti alla siccità, per renderle capaci di meglio sfruttare i fertilizzanti azotati ed anche per renderle capaci di meglio sfruttare l’energia solare attraverso il processo della fotosintesi. Tutte modificazioni che ci possono permettere di migliorare la sostenibilità delle produzioni agricole e diminuire l’impatto ambientale dell’agricoltura.
Noi oggi stiamo sfruttando il capitale di risorse naturali del nostro pianeta in maniera non sostenibile, ossia stiamo consumando più risorse naturali di quante non se ne rigenerino spontaneamente. Ce lo fa capire in maniera formale l’equazione dell’impatto globale che mette a confronto l’impronta ecologica delle attività umane con la capacità rigenerativa della biosfera. Oggi l’impronta è pari a 1,6 volte la capacità rigenerativa della biosfera. Ciò vuol dire che stiamo intaccando profondamente il nostro capitale di risorse naturali e più lo intacchiamo più la diseguaglianza aumenta. Dell’impatto sull’ambiente delle attività umane una grossa parte è legata alla produzione di alimenti, anche se comunemente tendiamo a pensare ad altre attività economiche come principali responsabili del degrado ambientale. Il sistema agroalimentare è responsabile, secondo stime recenti, del 34% delle emissioni totali di gas clima-alteranti. Di questo 34% il 71% è dovuto alla sola produzione primaria, cioè alle attività agricole. A ciò si devono assommare, fra gli altri, gli effetti sulla perdita di biodiversità dovuti principalmente alla messa a coltura di superfici che vengono sottratte al loro ruolo di ospiti di ecosistemi naturali che sono sempre molto più ricchi in biodiversità di quanto non lo possa essere un sistema agricolo e gli effetti sulla fertilità dei suoli che tende a diminuire per effetto di molte delle attuali pratiche agricole.
Come possiamo fare per riportare almeno in parità l’equazione? Visto che diminuire la popolazione non si può e diminuire l’attività economica sarebbe assai impopolare, non ci resta che giocare sull’efficienza con cui sfruttiamo le nostre risorse naturali per produrre beni e servizi, in altre parole ricchezza o nel caso specifico cibo. E a cosa corrisponde l’efficienza? A scelte politiche e soprattutto ad innovazione tecnologica.

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Quanto pesa il settore primario sul clima?

L'Accademia dei Georgofili ha recentemente realizzato e messo liberamente a disposizione degli interessati sul proprio portale (www.georgofili.it) un documento dedicato al bilancio del carbonio in agricoltura, che presenta vari casi di studio recentemente analizzati e sostenuti da dati numerici e scientifici.

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Mais antichi per nuove polente

Un nuovo futuro per un cibo antichissimo?

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Sulla tavola patriottica e sovrana non si serve carne “sintetica”

Il 28 marzo 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato “con procedura d'urgenza” un disegno di legge che vieta la vendita, commercializzazione, produzione e importazione di alimenti artificiali. Nei comunicati stampa, si è preferito parlare di «carne sintetica».
Facciamo il punto.
In primo luogo, la terminologia. Per la preparazione e l’etichettatura degli alimenti non esiste una nozione di artificiale né di sintetico a livello italiano o europeo. A nessuno verrebbe in mente di definire Louise Brown, la prima persona al mondo a essere stata concepita con la fecondazione in vitro, e gli altri 8 milioni di individui concepiti con lo stesso metodo come “persone sintetiche”.
In effetti, sarebbe più corretto parlare, per distinguerla da quella di allevamento, di carne «coltivata» (nell’opzione di marketing rassicurante) o carne «di laboratorio» (nell’opzione ansiogena). La FAO suggerisce “a base di cellule”. Si tratta infatti di un prodotto di carne animale originata da cellule di un animale, non necessariamente ucciso né geneticamente modificato, sviluppata secondo un procedimento biologico in un ambiente confinato. La scienza necessaria alla produzione di questa carne altro non è che una derivazione di una branca delle biotecnologie nota come ingegneria dei tessuti che mira a trovare possibili applicazioni mediche come nell’ambito della ricerca contro la distrofia muscolare o della produzione di organi per trapianti o pelle per ustionati. In linea teorica si può infatti creare in laboratorio il tessuto muscolare di qualsiasi animale, incluso l'essere umano.
In secondo luogo, perché vietarla oggi e d’urgenza? Una rapida ricerca permette di scoprire che, sebbene diversi progetti di ricerca siano già riusciti nella produzione di carne in laboratorio, sia in Europa che negli Stati Uniti, ad oggi solo Singapore ne ha autorizzato il consumo, dopo due anni di sperimentazione: si tratta di bocconcini di pollo, venduti in un unico ristorante della città-stato.

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A salvare il mondo non basterà la bellezza ma può farlo il paesaggio

Il “paesaggio” è una evoluzione linguistica cinquecentesca delle pitture di paese che raffiguravano un territorio per finalità estetiche. Il lemma rimase a lungo oggetto della pittura, anche se si diversificherà occupando gli spazi della soggettività (l’esempio più noto è nella ascensione di Petrarca al Mont Ventoux) o quelli oggettivi delle attività umane per cui la vista di un “paese è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura” (Leopardi).
A lungo considerato tra i beni di interesse artistico, sarà a partire dalla legge Croce del 1922 che verrà definito cosa diversa dal “panorama storico artistico”. Gli scritti di Salvatore Settis sono necessari a seguire un’evoluzione che lo avvia a essere espressione sistemica della realtà naturale, della sua evoluzione storica, della cultura che su di essa è intervenuta e ne è stata improntata. Altre leggi seguiranno: la Bottai del 1939, la Galasso nel 1985, il Codice dei beni culturali e del paesaggio nel 2004. Da una visione riduttivamente estetica si è divenuti attenti all’ecologia, all’economia, al territorio confermando in definitiva quanto era implicito nell’articolo 9 della Costituzione del 1948 che afferma “la Repubblica … tutela il paesaggio” e lo distingue da “il patrimonio storico e artistico”.  In rapporto con essi diventa luogo fisico dell’interazione tra i caratteri della natura, la storia e la cultura dell’uomo che li ha modificati a proprio vantaggio per i bisogni alimentari o di materie prime, per la sicurezza, per i piaceri. Il paesaggio definisce non solo ambiti particolari ma i vasti e diffusi territori dell’agricoltura, unici in Italia per diversità biologica e fisica e per la molteplicità delle vicende storiche ed è oggetto della “Storia del Paesaggio Agrario Italiano” di Emilio Sereni. Nel primo capitolo è definito “forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale».  Aggiorniamo la definizione: se “forma” sembra un giudizio estetico usiamo “struttura” a indicare il mosaico ecologico; al posto di “attività produttive” adoperiamo “servizi ecosistemici” con ciò rifacendoci alla multifunzionalità che adesso il Green Deal europeo invoca. Soffermiamoci quindi sull’attualità dei due avverbi che rimandano al carattere sistemico che si manifesta con l’effetto delle azioni umane sulla intera biosfera e la cognizione di operare all’interno di un sistema complesso che va oltre le parti che lo compongono.  

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Semi vs alberi: una querelle dai contorni nebulosi

Un singolare battage mediatico ha inopinatamente accompagnato l’attuazione del programma di interventi denominato Rimboschimento urbano e tutela del verde M2C4-31, finanziato con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resistenza, PNRR, innescando un vortice di reazioni di strenua difesa delle scelte operate in sede ministeriale.
La nebulosità che ha avvolto tale vicenda, e che tuttora sembra, a mio parere, non del tutto fugata, rende opportuno tentare di ricostruirne i contorni in modo sintetico ma aderente al quadro delle norme di riferimento e della posizione assunta riguardo ad essa dalla Corte dei Conti: quest’ultima, lo ricordo, è intervenuta sulla questione nell’espletamento della funzione che il legislatore le ha affidato, di controllo concomitante sulle Amministrazioni dello Stato, volto ad assicurare una verifica tempestiva ed un’azione propulsiva finalizzata al corretto impiego delle risorse disponibili, comprese quelle provenienti dall’Unione Europea e rimesse alla gestione pubblica, al fine di intercettare nelle gestioni in corso di svolgimento e, ove possibile, prevenire, attraverso un dialogo aperto e collaborativo con le stesse Amministrazioni, gravi irregolarità gestionali o gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme nazionali, dell’Unione Europea, o da direttive del Governo, e suggerire interventi correttivi in corso d’opera tali da poter determinare il mancato avverarsi o l’interruzione di situazioni illegittime o pregiudizievoli. Ricostruiamo in modo sintetico la vicenda per comprendere meglio i termini della vexata quaestio sulla quale polarizzare l’attenzione.
L’esigenza di mitigare l’inquinamento atmosferico, l’impatto dei cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, e la consapevolezza che tali derive ambientali toccano in maniera particolarmente incisiva le città metropolitane, ha ispirato la previsione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Investimento 3.1 “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano”, collocato all’interno della Linea di intervento n. 3 “Salvaguardare la qualità dell’aria e la biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine” della Componente n. 4 “Tutela del territorio e della risorsa idrica”, la quale a sua volta si inserisce nell’ambito della Missione n. 2 “Transizione ecologica e rivoluzione verde”.

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Dalle vinacce una promettente arma contro il diabete

Le vinacce, uno dei principali e più ingombranti scarti della filiera vitivinicola, da tempo costituiscono per le aziende un fastidioso fardello di cui disfarsi, con grave dispendio economico e impattanti ripercussioni ambientali. La ricerca scientifica ha tentato negli anni di indicare una strada per mitigare i deleteri effetti dell’accumulo delle vinacce, proponendone un possibile riciclo nell’ottica dell’economia circolare.

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Nazzareno Strampelli e l’attualità dei “grani antichi”

Nell’Ottocento i cereali raramente hanno rese che superano i millecinquecento chilogrammi per ettaro. Soltanto nel Millenovecento si ha una svolta grazie alla ricerca e all’applicazione del metodo scientifico alla coltivazione agricola che consentono di studiare e di utilizzare le informazioni dei caratteri ereditari. 

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Il contributo della genomica alla valorizzazione dei frumenti autoctoni

Le varietà antiche sono grani che erano diffusi in un tempo non necessariamente remoto, e che oggi non lo sono più perché caratterizzate da rese per ettaro basse e perché poco adatte ad una coltivazione intensiva. L’aggettivo “antico”, dunque, è usato impropriamente ed ha una connotazione più commerciale che reale. Sarebbe preferibile indicare queste varietà come varietà autoctone o landraces. Dopo la “rivoluzione verde” della metà del XX secolo, le varietà autoctone di frumento sono state progressivamente sostituite con cultivar a taglia bassa più produttive. Questo ha comportato una progressiva erosione genetica (perdita di variabilità) dovuta all’eccessiva uniformità varietale e all’alto grado di specializzazione degli agroecosistemi.
I risultati recentemente ottenuti in frumento rimarcano la necessità di esplorare l’ampia biodiversità che caratterizza le risorse genetiche poco sfruttate o inesplorate in modo da utilizzarla nei programmi di breeding. Le varietà autoctone, infatti, sono dotate di capacità di adattamento ambientale, di tolleranza agli stress e di peculiari caratteristiche qualitative, e rappresentano una potenziale fonte di alleli favorevoli per lo sviluppo di nuove combinazioni genotipiche (varietà). La necessità di garantire la conservazione a lungo termine delle varietà autoctone di frumento appare, pertanto, indispensabile.

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Una consultazione pubblica per lo sviluppo del verde

Il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha lanciato una consultazione pubblica il cui obiettivo è quello di individuare le criticità per lo sviluppo del verde pubblico in aree urbane e periurbane. La richiesta mira infatti a raccogliere da associazioni, enti, operatori economici e anche privati cittadini, proposte operative per il miglioramento della qualità del verde cittadino ma anche suggerimenti di semplificazione normativa da trasmettere al governo.

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Il rapporto tra fauna selvatica e territorio ieri e oggi

Ci sono voluti dei drammatici fatti in Trentino e gli attacchi dei lupi in Toscana e poi ancora incidenti in Abruzzo per far capire che il rapporto fra fauna selvatica e territorio è una questione seria, che non si può affrontare sulla base di ideologie superficiali ancorché care al mondo variopinto dello spettacolo e della comunicazione. Oppure della retorica ecologista.

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Insetti commestibili: utilità e neofobia alimentare

All’inizio della lettura di questo contributo il pianeta contava circa 8.034.664.100 abitanti e nel giro di circa 10 minuti ha acquisito 800 nuovi ospiti pur considerando il bilancio fra natalità e mortalità. Il trend di crescita demografico è impressionante per cui in un anno si aggiungono al pianeta circa lo stesso numero degli stessi abitanti che popolano l’Italia. 
Parallelamente, le risorse naturali rinnovabili per produrre alimenti sono sempre più sfruttate e vengono richiesti sempre più acqua, terreni coltivabili, energia e tanto altro ancora. Ad oggi India e Cina assommano a oltre il 30% dell’umanità e le loro abitudini alimentari non si basano su proteine di origine animale per motivi religiosi o per tradizioni culturali. 
Basta pensare che in Cina, dal 1980 il consumo di carne dai 13 kg pro-capite è cresciuto a 53 kg nel 2004 e, l'attuale tendenza, li porterà nel 2031 a equiparare i 97 kg all’anno consumati di carne dell’odierno nordamericano. L’OMS e la FAO hanno da tempo sottolineato che l’incremento dei consumi di proteine di origine animale in questi paesi renderà insostenibile la gestione delle risorse naturali aggiungendo un ulteriore pericolo per la sopravvivenza della specie umana. 
Una possibile alternativa è identificare altre fonti di proteine non di origine animale o vegetale che possano sostenere sia la crescita demografica che il diritto ad una alimentazione equa senza creare problematiche di sicurezza alimentare. 
Gli insetti sin da tempi remoti sono stati considerati alimenti o in molti casi dei veri e propri scrigni di principi terapeutici grazie al loro patrimonio di sostanze bioattive. Il futuro ci sta chiedendo di ripensarli come una fonte di macronutrienti utili per il sostegno alimentare specie nelle aree dove ci sono difficoltà ad ottenere gran quantità di proteine per la popolazione. 
Sono oltre 2.000 le specie di insetti edibili, molti dei quali sono comuni in Africa, Asia o America del Sud, e studiarli per avere una valida alternativa e sostenere i consumi alimentari dell’umanità è un dovere per i paesi più avanzati pur se quest’ultimi non hanno ancora la necessità di usarli come fonte alimentare. L’allevamento degli insetti può sia sostenere la maggiore richiesta di proteine di qualità che la riduzione dei consumi delle risorse rinnovabili rendendosi utili in qualsiasi momento del loro ciclo di crescita a partire dalle larve e pupe potendo così ottimizzare i loro tempi di “raccolta” e utilizzo.
Oggi gli insetti come cibo sono usuali per quasi due miliardi persone nel mondo, ma per i restanti consumatori la loro accettazione come cibo è una barriera dura da superare. Il primo ostacolo è legato alla “neofobia alimentare” ovvero alla paura del nuovo in tavola; qualcosa di simile accadde agli inizi del ‘900 col rifiuto di accettare il latte pastorizzato anziché il latte crudo. Un secondo motivo di rifiuto è nell’essere semplicemente disgustati dagli insetti perché collegati ad ambienti sporchi, a fenomeni di carestie, alle bibliche invasioni e ad alcune malattie di cui sono vettori. 

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Una sfida persa

Eccoci ancora una volta nel giro di pochi mesi a piangere vittime di alluvioni: dopo le Marche nel settembre 2022, Ischia nel novembre scorso e ora l’Emilia Romagna si aggiungono ad una drammatica lista di disastri simili a cominciare da quello di Sarno nel 1998.
Già in occasione di quel disastro nei report scientifici e nelle analisi degli studiosi del suolo dell’epoca si leggeva, nelle loro conclusioni, che la gestione del suolo e delle risorse idriche sarebbe stata la sfida del futuro: ora possiamo dire che quella sfida l’abbiamo già persa!
La causa è sempre la stessa e ha origine intorno agli anni ’60 del secolo scorso in concomitanza del così detto “boom economico” quando il modello di sviluppo di allora portò all’abbandono di vaste aree di collina e montagna considerate marginali e quindi all’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia perché quelle braccia erano più redditizie se impiegate nello sviluppo industriale e edilizio. Gli agricoltori rimasti nella bassa collina e nelle pianure furono indottrinati all’aumento delle produzioni, all’uso sfrenato di fertilizzanti chimici, alle monocolture con continue lavorazioni profonde con il risultato che nel tempo si è formato uno strato compatto al limite inferiore dell’aratura (“suola d’aratura”) che di fatto impedisce il drenaggio del terreno; da qui gli allagamenti di questi terreni quando piove in forma di nubifragio come ormai accade di regola.

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Alluvione in Romagna, solo una tragedia prevedibile?

Di fronte all’immane tragedia dell’alluvione in Romagna ci si sarebbe aspettato di tutto tranne che iniziasse un insistente botta e risposta alimentato da quello che il prof. Franco Prodi ha acutamente definito, anche su queste pagine, con un neologismo di grande effetto “la giornalistura” e cioè la dittatura dei giornalisti che senza quasi conoscere ciò di cui discettano si allineano al pensiero unico che in quel momento meglio si adatta a fare presa su un’opinione pubblica disorientata. Condividiamo questo termine e lo estendiamo a un “sistema” complesso che comprende mezzi di informazione, interessi economici dell’editoria di grande informazione cartacea e on line, vanagloria personale coltivata da giornalisti avidi di presenze su carta e in video, politica, alla costante ricerca dell’effimero consenso dei sondaggi. Non conta di che cosa si parli e il valore personale del singolo esperto, l’importante è l’obiettivo barocco del fare meraviglia.
Oggi, gettati nell’assurdo tritacarne delle notizie accanto a Prodi, un insigne fisico dell’atmosfera con particolare competenza in fisica delle nubi, vi sono i geologi troppo trascurati dal citato sistema insieme agli agronomi rumorosamente silenti, agli esperti della protezione civile con anni di esperienza in una mischia insopportabile e inconcludente insieme a sfaccendati di incerta competenza sulle più elementari realtà del nostro ambiente e delle sue componenti fisiche.
Le nostre terre appartengono all’unica grande pianura italiana dove si accentra il grosso della produzione agricola e alimentare del Paese. Qui vive una popolazione che parla dialetti diversi, ma conosce una sola lingua, quella della fatica e del lavoro, che impugna qualsiasi attrezzo e lavora a spalare il fango e l’acqua perché da subito riprendano la vita, il lavoro, l’economia, la società, senza sprecare tempo. E siamo coinvolti perché figli di questa gente e di un mondo che è il nostro. 

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La gestione delle malattie delle piante nell’era post-genomica (dalla genomica funzionale all’editing genomico): seconda stagione

La disponibilità di nuove tecniche consente analisi sempre più approfondite dei genomi dei patogeni delle piante, fornendo una risoluzione più affidabile nel discriminare background genetici altamente correlati.

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Cosa resterà della fruit valley romagnola?

La Romagna (dall’Appennino alla Bassa) e in parte l’Emilia sono in questi giorni lo scenario di una tragedia epocale che colpisce al cuore anche l’economia dell’ortofrutta nelle sue varie articolazioni: aziende produttive, consorzi e strutture cooperative di lavorazione, logistica e servizi, tecnologie, macchine e imballaggi. Il tutto alla vigilia della campagna estiva, e sono in molti a chiedersi cosa resterà delle produzioni primavera-estate di fragole, albicocche, susine, pesche e nettarine essendo la Romagna uno dei primi distretti produttivi del Paese con tutto l’indotto a valle e a monte (vivai, sementi). Forse la campagna estiva 2023 va considerata fin da ora quasi azzerata per la Romagna. 

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Le derive ambientali innescate dal consumo di suolo in area urbana e periurbana tra scienza e diritto

Un approccio corretto al tema della forestazione urbana, da qualunque punto di osservazione lo si intenda leggere, di mera disquisizione teorica o viceversa pratico-operativo,  richiede in modo imprescindibile la presa di coscienza e la conoscenza di due elementi: i dati, ormai consolidati, che la Scienza ci offre inerenti le diverse sfaccettature della materia; il quadro delle norme di soft e hard law che tracciano i binari che guidano l’azione della pubblica amministrazione in questo settore, costruite sulla base di quei dati scientifici.
E la scienza ormai da tempo, in modo compatto, univoco e consolidato, ha lanciato un messaggio forte al diritto:  il consumo di suolo, cioè la cementificazione di aree urbane e periurbane in precedenza verdi e la conseguente relativa impermeabilizzazione irreversibile, solo in pochi casi reversibile, va fermato non solo perché è già di per sé fautore di danni all’ambiente direttamente proporzionali al valore ecologico che il suolo riveste,  ma anche in quanto innesca nella città una escalation esponenziale di altre criticità di matrice ambientale, tutte strettamente interconnesse tra loro, nel senso che l’una genera e potenzia l’altra, l’aggravarsi dell’una comporta il peggioramento delle condizioni dell’altra. Instabilità idrogeologica, evidenziata anche dal rapporto 2021 di ISPRA Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio; aumento del tasso di inquinamento, che alla luce dei dati OCSE potrebbe causare da 6 a 9 milioni di morti premature all’anno entro il 2060; massiccia erosione di biodiversità, habitat e specie, con conseguenze devastanti, in un’ottica antropocentrica, in termini di perdita di servizi ecosistemici; incremento dei consumi energetici, artefici del fenomeno delle isole di calore con conseguente rafforzamento, efficacemente evidenziato da ISPRA, del dislivello di temperatura tra la città e la campagna, e vorticoso aumento della domanda di raffreddamento, che, a sua volta, alla luce delle proiezioni offerte dalla scienza, può arrivare al 300% entro il 2050.
Ognuna di queste derive indotte dal consumo di suolo e la relativa sinergia potenzia il cambiamento climatico il quale poi si ripercuote negativamente su ciascuna di esse fungendo all’interno della città da moltiplicatore di insostenibilità: i rapporti dell’IPCC, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, forum scientifico ONU creato allo scopo di studiare il riscaldamento globale, che si susseguono con meticolosa scansione temporale, dovrebbero essere attentamente letti e meditati da tutti, in particolare dalle amministrazioni comunali, perché il fenomeno del climate change e le sue conseguenze, sempre più virulente, coinvolgono tutti noi e ancora di più chi dopo di noi vivrà su questo pianeta o su quello che dello stesso resterà a disposizione dell’uomo.

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Successo dell’assemblea generale dell’European Geosciences Union

Dal 23 al 28 aprile 2023 si è tenuta a Vienna la General Assembly 2023 dell’European Geosciences Union (EGU) (https://egu23.eu/home.html), evento che annualmente richiama scienziati da tutto il mondo e che racchiude tutte le discipline che si occupano di Scienze della Terra, dello Spazio e dei Pianeti. Lo scopo dell’EGU è quello di fornire un forum dove scienziati, ed in particolare giovani ricercatori, possano presentare le loro ricerche e discutere le proprie idee con esperti di tutti i settori delle geoscienze.

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Il pensiero unico del catastrofismo distoglie dalla tutela del Pianeta

Professor Prodi, nei più recenti numeri del nostro notiziario "Georgofili INFO" abbiamo pubblicato diversi articoli sul tema della siccità.  Qual è la sua analisi sull'attuale situazione climatica?
Per rispondere alla sua domanda devo richiamare i fondamenti della fisica del clima. Sono un fisico dell’atmosfera, con particolare competenza in fisica delle nubi. Le nubi sono al centro del sistema climatico perché regolano, insieme ai gas triatomici ed all’aerosol fuori da nubi, il bilancio della radiazione solare in arrivo e di quella terrestre in uscita verso lo spazio esterno. Se prevale il flusso di fotoni solari l’atmosfera in prossimità della superficie si riscalda, se prevale il flusso di fotoni terrestri si raffredda. Detta così sembrerebbe semplice ma quando si passa al calcolo di questi flussi le cose si complicano assai per due ordini di effetti: diretti, di aerosol, gas triatomici e nubi nello scattering (diffusione) della radiazione ed effetti indiretti, quelli delle particelle di aerosol (sia naturali che di origine antropica) sulla composizione delle nubi stesse. Il trasferimento della radiazione in atmosfera è quindi il processo da comprendere prioritariamente, e non è semplice se si pensa allo scattering secondario (la radiazione diffusa da una gocciolina, o da un cristallino o da una particella di aerosol raggiunge le circostanti complicando il problema), e che l’altezza. la forma delle nubi e la loro composizione hanno pure grande rilevanza. Poi vi sono processi concomitanti a questo principale: bisogna includere nel sistema clima il flusso di calore che proviene dall’interno della terra, le interazioni oceano-atmosfera e vegetazione-atmosfera, le emissioni di gas triatomici dai vulcani, per citare solamente i principali. Lo sviluppo della modellistica del clima è impressionante dai modelli degli anni Settanta (solo di circolazione atmosferica) agli attuali (che includono tutte interazioni citate, ed i processi chimici) ma il ruolo centrale delle nubi, aerosol e gas triatomici è parametrizzato in modo grossolano e quindi tutti i modelli producono solo scenari molto differenti fra loro, e non quelle previsioni affidabili sull’andamento futuro del clima, sulle quali l’umanità possa basare delle decisioni cruciale per il suo destino sul pianeta. Siamo ben lontani dalla situazione della modellistica numerica nella meteorologia, i risultati della quale sono sotto gli occhi di tutti, e dai quali tutti traiamo benefici.
Venendo quindi alla sua domanda sulla situazione attuale del clima abbiamo una unica sicurezza condivisa da tutti gli scienziati, perché basata su misure fisiche strumentali (il termometro) della temperatura dell’aria a due metri dalla superficie e sufficientemente distribuite sul pianeta (“globali”) dall’inizio dell’Ottocento, raccolti nelle cosiddette serie storiche di dati di temperatura: un riscaldamento di sette decimi di grado per secolo. Ma qui, sulle cause di questo riscaldamento, comincia la bagarre, la grande divisione all’interno del mondo della scienza e nel contempo la diffusione, al momento inarrestabile, del pensiero unico dominante, che l’uomo sia al 98% responsabile di questo riscaldamento, attraverso la emissione di CO2 in atmosfera per l’uso dei combustibili fossili.

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La forestazione urbana come strumento strategico per arginare le emergenze ambientali delle città

La carrellata di riflessioni che desidero portare all’attenzione dei lettori di Georgofili Info su quella sorta di strabismo, di dialogo tra sordi che sempre più caratterizza il confronto sul tema della foresta urbana, tra la scienza, il diritto che su quei consolidati dati scientifici ha plasmato le sue norme, da un lato, e il modus operandi delle amministrazioni comunali dall’altro, prende le mosse dal monito lanciato alle amministrazioni comunali da una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, la n. 9178 del 27 ottobre 2022, ben conosciuta da quanti auspicano una reale conversione ecologica da parte di chi amministra le nostre città, che non si risolva in un mero greenwashing. In quella pronuncia il Giudice amministrativo ha annullato un’ordinanza sindacale che imponeva il taglio di un abete secolare collocato in area urbana, in quanto non supportata da una adeguata ed inequivocabile valutazione peritale sul pericolo imminente per la pubblica incolumità sulla viabilità pubblica e nell'abitato circostante idoneo a giustificare l’abbattimento della pianta. Un richiamo dunque ad una maggiore oculatezza e ponderazione nelle scelte operate,  da leggere, tra le righe, come una sorta di monito di più ampio respiro alle amministrazioni comunali, alle quali in funzione della loro maggiore vicinanza e conoscenza del territorio, il diritto affida la tutela della foresta urbana, ad abbandonare il diffuso atteggiamento tranchant nei confronti di quest’ultima che tendenzialmente le caratterizza, dove il modo di procedere per interventi random di urgenza, si accompagna alla scarsa attitudine alla manutenzione, condotta secondo consolidati criteri scientifici, delle sue componenti, arboree e non, alla mancanza di una visione lungimirante e consapevole che proietti questi temi in una dimensione di indispensabile gestione pianificata degli interventi di conservazione, valorizzazione e potenziamento del patrimonio verde urbano e periurbano

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Analisi, attualità e tendenze della siccità nel Nord Italia

Un evento siccitoso con ricorrenza secolare ha colpito l’Italia settentrionale dal gennaio 2022 ed è tutt’oggi causa di inquietudine non solo per gli agricoltori ma anche per gli altri utenti delle risorse idriche (civili, turistici, industriali, ecc.). In questo scritto ci si propone di individuare e delimitare l’areale interessato dalla siccità e di descrivere alcuni interventi tattici e strategici atti ad incrementare la resilienza del nostro sistema rispetto all’evento in atto e ad eventi siccitosi futuri.
Occorre anche premettere che per valutare gli impatti dell’evento siccitoso in corso sul nostro sistema agricolo occorre valutare tanto la siccità idrologica quanto quella agronomica. La siccità idrologica si riferisce alla carenza idrica nel sistema idrografico (ghiacciai, nevai, laghi, fiumi, falde) mentre la siccità agronomica si riferisce allo stato delle riserve idriche nello strato esplorato dalle radici delle colture, che può essere determinato con un semplice modello di bilancio idrico che consideri gli apporti (precipitazioni, irrigazione, risalita di falda) e le perdite (evapotraspirazione, infiltrazione profonda, ruscellamento, pioggia evaporata dalle superfici). Si noti anche che gli effetti della siccità idrologica si propagano attraverso il sistema idrografico andando a colpire zone non direttamente interessate dall’evento (si pensi ad esempio al fatto che una siccità che colpisce il Nordovest ha effetti anche gli agricoltori che operano più ad est e che sfruttano l’acqua del Po per irrigare i loro campi). 

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Capitano Ultimo incontra i Georgofili trent’anni dopo

Sulla giacca ha una piuma che ricorda quelle degli Apache, come il taglio dei capelli che si intravede da ciò che fuoriesce dallo scaldacollo che porta alzato fino agli occhi. Sul petto scende una collana con il TAU di San Francesco. Ha gli occhi scuri, penetranti. Bucano come spilli. È gentile, ma incute soggezione.

Perché si fa chiamare Capitano Ultimo?
Capitano ormai non ha più molto senso, dato che sono fuori dalla battaglia, ma ho scelto di chiamarmi Ultimo quando sono entrato in clandestinità, secondo la strategia di lotta alla mafia messa a punto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, perché ho passato la mia vita in un mondo di “primi”. Ma il voler primeggiare a tutti i costi non mi appartiene, la trovo una mentalità fastidiosa e molto meschina. Per questo motivo ho scelto di chiamarmi Ultimo.

Lei ha catturato Totò Riina nel 1993, infliggendo un grave colpo alla mafia. Eppure, nel maggio dello stesso anno c’è stata la bomba in via dei Georgofili. Perché?
Si è trattato molto semplicemente della prosecuzione dello stragismo corleonese condiviso dai vertici di Cosa Nostra, era un periodo molto buio della politica criminale e il compito assoluto era quello di indebolire a tutti i costi le istituzioni tenendo uniti, al contrario, i mafiosi che erano al 41 bis.
Oggi sono all’Accademia dei Georgofili per rendere onore alla famiglia Nencioni e allo studente Dario Capolicchio e non solo, io rendo onore a tutti i caduti per mano della mafia e della sua strategia vigliacca. Desidero rendere omaggio anche alla città di Firenze che fu accanto all’Accademia dei Georgofili nella ricostruzione, ribadendo la nostra natura di “maledetti toscani” (Capitano Ultimo è nato a Montevarchi ndr) che non sopportano la prepotenza e l’autoritarismo, né dei nazifascisti né dei mafiosi. Voglio ricordare qui anche tre persone semplici, contadini toscani, che nel 1943 vennero barbaramente uccisi dai tedeschi a Bucine: Antonio Gambini con suo figlio Silvano di 16 anni ed Ernesto Genti. Altri innocenti, morti senza un perché.

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