Il podere è potere?

I difficili anni della Riforma Agraria nel secondo dopoguerra

di Amedeo Alpi
  • 21 May 2025

A Grosseto, dove sono nato e vissuto per vent'anni, negli anni '40-'50 del secolo scorso, si assisteva ormai agli ultimi bagliori della "civiltà contadina", ma, ciononostante, il clima socio-politico della Maremma, e dell'Italia, era tutt'altro che calmo. Nel Sud, ma anche in vaste zone del Centro, le campagne erano popolate da masse di braccianti proletari che, frequentemente, si mobilitavano con decisione guidati dalla parola d'ordine "la terra ai contadini". Sono fatti ormai consegnati alla storia, ma sono serviti a cambiare, in modo definitivo, il paesaggio agrario e i rapporti contrattuali, su alcuni milioni di ettari, dopo una lunga storia di assetti fondiari stabili, conosciuti sotto il nome di latifondo o di grande proprietà; quest'ultima dizione voleva significare una proprietà non del tutto assente, come accadeva nel latifondo.
Questo periodo è stato trattato con notevole maestria da Paolo Passaniti nel volume "La Riforma Agraria in Italia- La Maremma dell'Ente Maremma" - Pacini Editore, 2024.
Possiamo considerare il testo diviso in due parti; una prima parte generale sulle principali ragioni che portarono il Governo della neonata Repubblica a porsi seriamente nella prospettiva di una riforma agraria che doveva, quanto meno, riferirsi ai territori interessati dalla bonifica integrale ideata dal Serpieri e, infine, una seconda parte, un "caso di studio", quello dell'Ente Maremma che operò sostanzialmente nella Provincia di Grosseto.
Qual è il giudizio che Passaniti dà su tutta l'opera della Riforma fondiario-agraria di quegli anni e quindi sulla specifica attività dell'Ente Maremma? Diciamo subito che il pensiero dell'Autore appare molto chiaro sin dalle prime battute: non si può fare una convinta e totale valutazione positiva, ma certo non c'è -e non ci può essere- una totale stroncatura. D'altra parte personalità scientifiche, tanto autorevoli quanto diverse, come il sociologo rurale Corrado Barberis o l'economista agrario Manlio Rossi Doria, non hanno esitato, pur con dissimili priorità, a definire quegli interventi riformatori, come il principale atto legislativo dell'Italia del dopoguerra.
Nei preoccupanti -e dolorosi- tempi che viviamo, possiamo anche dimenticare le lotte per la terra del periodo 1944-1950 segnate anche da alcuni efferati fatti di sangue che potevano persino suscitare una sollevazione popolare di tipo rivoluzionario; non accadde, ma non possiamo tralasciare quella difficile realtà socio-economica immergendoci invece, nelle descrizioni, vagamente nostalgiche, riportate da alcuni bravissimi scrittori contemporanei (valga per tutti "Da stelle a stelle" di Chiara Frugoni, 2003), di un  passato che non c'è più, ma che tocca i ricordi di tutti noi. Infatti si tratta di scansioni temporali e abitudini di vita che in qualche maniera rimpiangiamo e che ricordano le nostre radici "agrarie", ma i moltissimi che vivevano direttamente la vita dei campi conoscevano l'enorme fatica quotidiana e il peso psicologico di un insperato riscatto. La Riforma fu una risposta a questo.
Tra le importanti personalità politiche di quel periodo c'era chi voleva una riforma agraria su scala nazionale, ma, con la fretta di dare una risposta efficace alla preoccupante conflittualità sociale delle campagne, in particolare del Sud, si decise di emanare la legge 12 maggio 1950 -definita legge Sila- che seguiva di solo un mese la presentazione di un disegno di legge di riforma agraria generale. Il capo politico del tempo, Alcide De Gasperi, aveva scelto di non procedere a espropri su alcune parti di Italia più progredite sul piano tecnico-agricolo (come le cascine lombarde e altre situazioni) decidendo, quindi, ad effettuare uno stralcio della riforma. La legge per la Calabria divenne la base su cui costruire lo stralcio che arrivò con la n.841 del 21 ottobre 1950, passata alla storia come Legge Stralcio. Le varie posizioni si manifestarono subito; non mancò chi vedeva in questo stralcio un concetto paternalistico che concedeva la terra al contadino, ma senza considerarlo un uomo totalmente libero. D'altra parte lo stesso Serpieri non mancò di far osservare le carenze della legge sia sui principi che sui fini, come sulle modalità della riforma, sino ad arrivare al duro giudizio sugli estensori della legge stessa accusati di avere "...uno spirito più di fazione che di obiettività". D'altra parte il già menzionato Presidente del Consiglio De Gasperi segue la sua vocazione centrista, che lo porta a smarcarsi dai latifondisti meridionali, evitando però di inimicarsi l'intera classe agraria. Infatti si annoveravano, in quegli anni, cinque milioni e mezzo di proprietari che possedevano un totale di ettari uguale a quello dei cinquecento grandi proprietari del tempo. I politici moderati, che sostenevano il governo, cercavano una soluzione al problema senza né premiare né punire.
Pertanto si può certamente approvare quanto dichiara Passaniti: il grande merito della Legge Stralcio fu rappresentato dalla velocità della sua attuazione. Non si doveva dare tempo agli estremisti, sia oppositori che fautori, di bloccarla per ripensarla. La complessità sociale delle campagne suggeriva di operare pur sapendo di commettere varie ingiustizie e di dare spazio ad alcune decisioni irrazionali. L'importante era, per la maggioranza politica del momento, realizzare, nelle terre bonificate, una graduale trasformazione dei braccianti in mezzadri e proprietari. Rimarrà a lungo un notevole dissenso sull'attuazione dell'art. 44 della Costituzione, perché la maggioranza dei cattolici impegnati in politica ne vede, nella riforma del 1950, una piena attuazione, mentre le sinistre continueranno per molto tempo a chiedere la riforma agraria generale. Questo tipo di dibattito continuerà anche sugli Enti di Riforma costituiti a seguito della legge 841; a fronte di chi, come Guido Piovene, dichiara che "il primo nemico della riforma è la riforma stessa...con la Camera del lavoro e parroci che pretendono di avere voce in capitolo nelle assegnazioni", o come Costantino Mortati  che convintamente afferma "...con il buon funzionamento degli Enti...sta o cade la riforma agraria" e quindi gli Enti "...dovranno far diventare gli assegnatari soggetto oltre che oggetto della riforma", si riscontrano posizioni meno problematiche se non addirittura trionfalistiche come l'orgogliosa difesa di Mario Bandini del 1956 "...la Riforma italiana ...rappresenta una delle pagine più luminose della nostra storia agraria".
Il "caso di studio", cui ho fatto cenno, che Passaniti ha attentamente analizzato con notevole perizia, riguarda "La Maremma dell'Ente Maremma" e quindi quella mitica terra che ancora a fine Ottocento era "..selvaggia e romantica, percorsa da briganti e cacciatori". Tale territorio, nella prima metà del Novecento, era gestito dal punto di vista agrario, da un sistema neo-mezzadrile, in quanto il metodo della mezzadria si era esteso anche nelle grandi proprietà terriere, ancora esistenti. L'appoderamento riguardò questa vasta terra che va dal limite sud della provincia di Livorno arrivando ad includere l'intera provincia di Grosseto e parte del Lazio sino a comprendere il Fucino, almeno in un primo momento. L'obiettivo era decisamente ambizioso e condivisibile: il superamento della mediocrità agricola basata sulla coltivazione estensiva del grano e sulla transumanza, mediante la graduale trasformazione dei mezzadri in piccoli proprietari, come sosteneva Giuseppe Medici nel 1951, in contrasto con il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, proprietario terriero e grande difensore della mezzadria, nonché economista eccellente. D'altra parte vale la pena ricordare che i territori dell'ex Granducato di Toscana e dell'ex Stato Pontificio erano caratterizzati dalla persistenza del latifondo in cui la mezzadria rappresentava una modernizzazione della gestione fondiaria. Inoltre la popolazione attiva agricola, rilevata nel 1956, era nei territori della Toscana assai elevata raggiungendo il 32% nella provincia di Livorno, il 65% in quella senese e oltre il 71% in quella grossetana. Quindi la Maremma, pur costituendo solo una terra di riferimento delle varie riforme agrarie è però un vero banco di prova agrario per il Governo, in quanto non ha altri alibi extra-agrari per giustificare un eventuale fallimento, come scrive acutamente Passaniti.
I progetti di "colonizzazione" della Maremma divennero dei veri e propri piani di urbanizzazione con tanto di viabilità, elettrificazione, rete idrica e servizi vari. Infatti il Governo agiva tempestivamente in questa direzione tanto è vero che il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, accompagnato dal Ministro dell'Agricoltura Amintore Fanfani, annunciò nel 1951, a Grosseto, la realizzazione dell'Acquedotto del Fiora; poco dopo, nel marzo del 1952, il presidente del Consiglio, sempre a Grosseto, consegnò, nel Teatro degli Industri della città, molti certificati di proprietà agli assegnatari. Questa rapida successione di eventi sottolinea come la riforma in Maremma dovesse impedire tempestivamente l'esodo che stava già interessando anche un vasto numero di mezzadri. Che il progetto fosse interessante per il Governo si legge anche nella nomina di un allievo del Serpieri -Giuseppe Medici-, figura politica di primo piano nel partito di maggioranza dell'Italia del tempo, alla presidenza dell'Ente Maremma. L'Ente attribuiva priorità nell'assegnazione ai mezzadri ed affittuari già legati alle terre espropriate, mentre i braccianti venivano preferiti nell'assegnazione delle quote, cioè porzioni di terreno che non consentivano l'autosufficienza economica della famiglia.
Comunque la Maremma cambiò radicalmente; negli anni '50 in Maremma furono edificate 72 scuole, 9 asili, 28 chiese, 22 ambulatori, 41 centri ricreativi. La landa desolata e malarica era ormai una pianura o collina dove si faceva agricoltura con successo e si trasformavano anche i prodotti. Certo non si placa la dialettica politica; per una parte "...il grande latifondista è stato sostituito dal funzionario dell'Ente, dal dirigente della "Bonomiana", dal quadro alto della DC che dispensa tessere agli assegnatari". Il fronte polemico vede un forte scontro su chi sostiene le poco trasparenti modalità degli espropri e delle assegnazioni (il vero potere), ma non sugli indirizzi generali che venivano invece travisati da tutte e due le parti a scopo propagandistico.
Credo che Passaniti abbia fatto benissimo a riportare, a pag. 126 del suo testo, il giudizio di un autorevole intellettuale maremmano, Giuseppe Guerrini, sulle luci e le ombre della riforma: sostanzialmente "...i Maremmani se la sono sentita calare dall'alto la riforma fondiaria; l'hanno veduta attuare via via con criteri imposti dall'alto, si sono sentiti non protagonisti, ma personaggi secondari, quasi comparse. Comunque sia, il volto della Maremma, a distanza di un decennio dall'inizio dei lavori, è effettivamente cambiato." Nei primi anni l'Ente si comporta come se la riforma fosse fondata sull'assegnatario, non sugli assegnatari che, insieme, si configurano come una controparte sociale, ma già un decennio dopo, nel 1960 il clima politico era cambiato indirizzandosi verso una maggioranza di centro-sinistra; inoltre cambiava l'agricoltura con la presenza determinante del mercato europeo. Se la colonizzazione del territorio conduce rapidamente all'aumento di redditività dei campi e dei lavoratori, molto deve ancora cambiare per raggiungere un più globale sviluppo agricolo, dovendosi anche confrontare con fenomeni sociologici che vanno ben oltre l'agricoltura, ma che investono l'intera società italiana, non ultimo l'esodo dei contadini che mette l'agricoltura in crisi. Infatti è l'Italia del "miracolo economico" e, quindi, del contemporaneo esodo dalle campagne. La meccanizzazione si introduce nelle aziende di tutta la Maremma in modo più deciso rispetto a tutte le altre aree italiane interessate dalla riforma agraria; ciò comporta un maggior affidamento sui giovani, ma se quest'ultimi non realizzano redditi adeguati, decidono per la pur malagevole via dell'esodo. La produzione nelle zone dell'Ente aumenta di oltre il 400% e infatti l'esodo non fu drammatico come altrove, ma si può anche concludere che non c'è più bisogno dell'Ente e infatti l'Ente Maremma diverrà Ente di Sviluppo per la Toscana e il Lazio con legge 257 del 14 febbraio 1966. Si deve quindi già pensare ad una nuova fase dopo che il mercato comune e la meccanizzazione hanno fatto superare la logica zonale dell'agricoltura.
Ma, all'orizzonte si era già presentato un nuovo potente mito: il turismo, sostanzialmente estivo, che riusciva a "vendere" le zone litoranee e le campagne della Maremma in modo mai riscontrato prima. Il noto chef francese Alain Ducasse dichiarerà, qualche decennio più tardi "...cosa aspettiamo a dichiarare la Maremma come centro del centro del mondo!". Si era arrivati al ribaltamento del paradigma rispetto alla "Maremma amara".; ormai si doveva andare in Maremma per scoprire le sue bellezze naturali, magari assaporando cibi e vini del posto, anche se un po' "revised". Arrivò quindi Punta Ala, insediamento di alto livello, anche se esclusivo e ben poco maremmano, ma di grande rispetto paesaggistico; ben presto divenne più fruibile e ciò avvenne per opera di un importante imprenditore italiano, Giampiero Pesenti. Successivamente si accentuò l'attrazione di Castiglione della Pescaia e anche di Marina di Grosseto.
Si è quindi passati repentinamente dal latifondo al turismo, quasi arrendendosi al vaticinio di Giulio Andreotti che ripeteva spesso e con convinzione che "...la risorsa fondamentale dell'Italia è il turismo". Non ho mai digerito bene questa affermazione, ma ci trovo una importante verità. Ho vissuto da ragazzino la "struggente malinconia" del paesaggio piatto, quasi ricordando come "epico" il periodo delle ultime paure "malariche" e ho letto con particolare passione Bianciardi e Cassola, poi, ormai adulto, non ho rinunciato ad avere anch'io una piccola residenza estiva in Maremma.
Sono della stessa terra d'Autore del testo, che al rigore del ricercatore aggiunge più di una "pennellata" da artista come quando descrive la Maremma, ancora all'inizio della riforma agraria, un insieme "paesaggistico fatto di bellezza potenziale e di umana sofferenza" per via della malaria.
Il mondo "che non c'è più" ha ceduto il passo ad altro, ma credo, che sia l'Autore che io, amiamo la nostra terra com'è ora, ma anche per quello che è stata.
D'altra parte Passaniti scrive che "La Maremma può diventare finalmente paesaggio agrario quando si esaurisce l'onda lunga della riforma".
Questo libro, dell'ottimo Paolo Passaniti, avrei voluto scriverlo io, ma avrei dovuto passare dall'area di mia competenza, la fisiologia (delle piante) alla fisiocrazia. Non escludo di poterlo fare: d'altra parte mi ci vorrebbero solo quarant'anni di studi giuridici e storici; alla mia età cosa vuoi che sia!!

Crediti dell’immagine: Aerofotografia dell’Ente Maremma, conservata presso l’Archivio storico de “La Grancia”: Tenuta Sacra a Capalbio (1953).