La Riforma Agraria nel Sud rurale del dopoguerra: una rivoluzione del paesaggio agrario e umano

di Gaetano Locci
  • 18 June 2025

La Riforma Agraria attuata in Italia nel secondo dopoguerra rappresenta uno snodo cruciale nella storia del Mezzogiorno. Questo contributo analizza le implicazioni strutturali, sociali e culturali della riforma, mettendo in luce la profonda trasformazione del paesaggio agrario e umano che ne derivò. L’analisi si concentra in particolare sull’impatto della legislazione del 1950 nelle aree rurali meridionali, evidenziando gli elementi di continuità e rottura rispetto alla tradizione latifondista.
La questione agraria ha costituito per secoli una delle principali fratture sociali e territoriali dell’Italia meridionale. In Italia la riforma agraria costituì un problema secolare, in particolar modo nel Meridione. Nonostante le diverse manovre di redistribuzione demaniale nel sud della penisola, dalla prammatica De administratione Universitatum (1792) di Ferdinando I di Borbone alle leggi eversive della feudalità (1806-1808) di Giuseppe Bonaparte, la questione demaniale rimase sostanzialmente insoluta, soprattutto a causa della strenua opposizione dei grandi proprietari terrieri, non intenzionati a perdere i propri privilegi e a permettere l'emancipazione del ceto contadino.
Il latifondo, fenomeno consolidato sin dall’età moderna, era ancora dominante nel secondo dopoguerra, perpetuando un’economia agricola estensiva e arretrata, basata sulla concentrazione fondiaria e sul lavoro bracciantile stagionale. In questo contesto, la Riforma Agraria si configurò come un intervento straordinario di ingegneria sociale, volto a spezzare le radici di un assetto socioeconomico statico e diseguale.

Il contesto storico e socioeconomico
Alla fine della Seconda guerra mondiale, le campagne del Sud Italia erano segnate da una profonda crisi strutturale. La distribuzione della terra era estremamente ineguale: secondo i dati ISTAT del 1950, il 0,5% delle aziende deteneva circa il 30% della superficie agraria. Le condizioni di vita dei contadini erano precarie e caratterizzate da analfabetismo diffuso, mancanza di servizi essenziali e bassissima produttività agricola. La crisi agraria era dunque anche una crisi dello Stato e della cittadinanza, che minacciava la coesione nazionale e alimentava il dissenso politico.

La legislazione riformatrice
L’asse portante della Riforma fu rappresentato dalla legge n. 841 del 21 ottobre 1950 (“Provvedimenti per la riforma fondiaria”), promossa nel quadro di un compromesso politico tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista. Essa prevedeva l’esproprio, con indennizzo, dei latifondi improduttivi e la successiva redistribuzione a famiglie contadine sotto forma di piccoli poderi. L’attuazione fu affidata a enti di riforma regionali: ERMAF in Abruzzo, ESAB in Basilicata, OVS in Calabria, ERSAC in Campania, ERSAM in Molise, ERSAP in Puglia, ERAS e ESIS in Sicilia ed ETFAS in Sardegna*, i quali si occuparono della bonifica, infrastrutturazione e assegnazione dei terreni.
L’intervento non fu limitato alla redistribuzione fondiaria: la riforma promosse anche la costruzione di infrastrutture rurali, scuole, strade e servizi sociali, nel tentativo di creare comunità agricole moderne e autosufficienti.

Impatto sul paesaggio agrario
La Riforma Agraria produsse una vera e propria cesura nel paesaggio agrario meridionale. L’antico assetto latifondista, segnato da vasti appezzamenti incolti o sottoutilizzati, fu sostituito da una maglia più fitta e ordinata di piccole aziende agricole. Le nuove abitazioni rurali (i “poderi”), spesso costruite secondo criteri di edilizia razionale, modificarono la morfologia territoriale, introducendo elementi di modernizzazione non solo economica, ma anche estetica e funzionale.
L’intervento fu accompagnato da un’intensa opera di bonifica e canalizzazione, particolarmente evidente in aree come la Maremma, il Tavoliere delle Puglie, la Pianura Pontina e la Piana del Sele. Questi processi modificarono irreversibilmente l’ambiente naturale, in un’ottica di razionalizzazione agricola ispirata ai modelli tecnocratici del tempo.

Trasformazioni sociali e culturali
Oltre agli effetti fisici sul territorio, la Riforma determinò un profondo mutamento del tessuto umano delle campagne. La figura del bracciante agricolo lasciò progressivamente spazio a quella del piccolo proprietario, segnando una svolta antropologica nella cultura contadina. L’accesso alla proprietà fondiaria contribuì all’emancipazione sociale, rafforzò il senso di cittadinanza e stimolò forme inedite di partecipazione politica, in particolare nelle aree a forte presenza socialista o comunista.
Tuttavia, non mancarono criticità: molti beneficiari si trovarono impreparati alla gestione autonoma dell’azienda agricola, e la mancanza di capitali, formazione tecnica e accesso al credito limitò il successo di numerosi insediamenti. In alcuni casi, la parcellizzazione eccessiva delle proprietà finì per ostacolare l’efficienza produttiva.

Bilancio storico
La Riforma Agraria nel Sud rappresentò un’esperienza ambiziosa e, sotto molti aspetti, innovativa. Essa contribuì a spezzare l’immobilismo secolare del sistema latifondista, aprendo la strada a una nuova stagione di sviluppo rurale. Tuttavia, il suo impatto fu eterogeneo: mentre in alcune aree produsse un effettivo miglioramento delle condizioni di vita, in altre non riuscì a innescare un reale processo di modernizzazione agricola.
A livello politico, la riforma consolidò il consenso dei partiti di governo nelle aree rurali, ma non riuscì ad affrontare strutturalmente la “questione meridionale”, che avrebbe continuato a manifestarsi in altre forme, a partire dall’esodo migratorio e dalla marginalizzazione economica di interi territori.

Conclusione
La Riforma Agraria nel Sud rurale del dopoguerra deve essere interpretata come un fenomeno multidimensionale: non solo una politica economica, ma anche un progetto di trasformazione sociale, culturale e paesaggistica. Essa rappresenta un momento di discontinuità nella storia agraria italiana, il cui lascito è ancora visibile nella configurazione del territorio e nella memoria collettiva delle comunità rurali. Nonostante i suoi limiti, essa resta una delle più importanti esperienze di riforma strutturale dell’Italia repubblicana. In definitiva, la Riforma Agraria fu una delle più significative rivoluzioni pacifiche dell’Italia repubblicana: un processo che, partendo dalla terra, provò a rifondare la società.

* ERMAF, Ente per la Riforma della Maremma e del Fucino; ESAB, Ente per lo Sviluppo Agricolo in Basilicata; OVS, Opera per la Valorizzazione della Sila; ERSAC, Ente per la Riforma e lo Sviluppo Agricolo in Campania; ERSAM, Ente per la Riforma e lo Sviluppo Agricolo in Molise; ERSAP, Ente per la Riforma e lo Sviluppo Agricolo in Puglia; ERAS, Ente per la Riforma Agraria Siciliana; ETFAS, Ente Trasformazioni Fondiarie e Agraria per la Sardegna.