La fortuna di Antoine Augustin Parmentier in Italia è essenzialmente legata all’uso delle patate come fonte di nutrimento umano, salubre e ricco di amido. Giunte dall’America, le patate si erano diffuse in Europa alla metà del Cinquecento ma, per la curiosa idea che sottoterra non potesse crescere alcun cibo salutare, furono subito viste con estremo sospetto.
È ormai indubbio il ruolo dell’agricoltura sulla capacità del pianeta di adattamento al climate change, ma è importante ribadire che essa, al di là di una ormai dirompente componente fake dell’informazione di massa, produce effetti nel complesso migliorativi, rispetto ad altre attività economiche.
Trova pertanto spazio, nel dibattito degli ultimi anni, il recente Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), redatto a cura del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Prof. Pisante, lei è coordinatore del master universitario di primo livello in agricoltura di precisione, in convenzione tra gli atenei di Teramo, Firenze, La Tuscia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Consiglio per la Ricerca e l’analisi dell’Economia Agraria e Ibf Spa. Perché la necessità di questo corso di specializzazione?
Per attuare la trasformazione graduale del comparto, sempre più diversificato e costantemente in evoluzione per stabilizzare le rese unitarie con le migliori caratteristiche qualitative, impiegare razionalmente le risorse naturali, ridurre i costi di gestione. Dagli originari assiomi con cui l’agricoltura si è sviluppata, empirismo ed esperienza, nel dinamico movimento di crescita del terzo millennio il settore primario è entrato concretamente nell’epoca della dimostrazione e dei dati, aspetti che richiedono adeguata consapevolezza per essere riconosciuti e completamente valorizzati. Pertanto, considerato l’evidente disallineamento tra le professionalità richieste e i percorsi formativi esistenti, insieme alla carenza di interventi strutturali basati sull’innovazione, sulle evidenze scientifiche e le tecnologiche disponibili, il Master consente di trasmettere nuove conoscenze disciplinari, sempre più essenziali ai produttori ed ai professionisti del settore, simultaneamente chiamati ad attuare complessi processi decisionali caratterizzati da tempestività e proporzionalità, anche in termini di variabilità e sostenibilità, con lo sguardo attento a costi e benefici. Senza trascurare gli impatti presenti e futuri della transizione ecologica e digitale, anche per le restrizioni normative previste dall’European Green Deal al 2030 che limitano la competitività delle nostre filiere agroalimentari di qualità, tra cui la riduzione del 50% di prodotti fitosanitari ed almeno il 20% dei fertilizzanti, la conversione all’agricoltura biologica fino al 25%.
Il gastronomo giramondo probabilmente avrà già avuto l’occasione di assaggiare le chapulines messicane, i jing leed thailandesi o le Ica brasiliane. Le prime sono delle mini cavallette tostate. I secondi sono dei grilli fritti venduti a Bangkok. Le ultime sono formiche regina di circa 2,5 cm servite fritte o ricoperte di cioccolato.
L’uso di insetti in questi piatti tipici di culture gastronomiche lontane non solo geograficamente dalla nostra desta certamente curiosità. Non si può dire altrettanto delle recenti autorizzazioni alla commercializzazione di insetti a scopo alimentare in Europa da parte della Commissione europea.
Ricapitoliamo la tematica per fare chiarezza su alcuni punti.
Innanzitutto, non si tratta di “imposizioni” o “invenzioni” del legislatore europeo. La Commissione europea non fa che applicare il quadro normativo adottato dagli Stati membri e dal Parlamento europeo. L’Europa, infatti, impone, questo sì, che ogni nuovo cibo (“Novel Food”) passi per una procedura di autorizzazione al fine di proteggere il consumatore europeo.
È nuovo, qualsiasi prodotto non consumato regolarmente in Europa prima del 1997 (data del primo regolamento sui nuovi alimenti). "Nuovi alimenti" possono essere prodotti alimentari innovativi di recente sviluppo, prodotti alimentari nati utilizzando nuove tecnologie e processi di produzione, nonché alimenti che sono tradizionalmente consumati al di fuori dell'Unione europea.
Ad esempio, i semi di chia fino a pochi anni fa erano perfettamente sconosciuti nella nostra dietetica, come pure gli insetti. Nel 2021, l'Europa ha autorizzato le larve di coleottero molitor. Poi, nel 2022, un verme della farina, una locusta migratrice, un grillo, in forma congelata, essiccata e in polvere. Chissà perché solo ora, dopo la fine del Covid, tutto questo polverone per le ultime due autorizzazioni del gennaio 2023 di un altro verme della farina e di un grillo domestico in polvere, in forma parzialmente sgrassata.
Dal 19 al 21 maggio 2024 si celebrerà a Firenze il “Centennial of the IUSS”, i cento anni dell’International Union of Soil Sciences (IUSS) a cui è affiliata la Società Italiana di Scienza del Suolo (SISS). Fu proprio nel 2024 a Roma che fu firmato l’atto costitutivo dell’International Society of Soil Science (ISSS), precorritrice della IUSS, nella sede dell’allora International Institute of Agriculture a Villa Lubin. L’evento ebbe una grande rilevanza internazionale e vide una larga partecipazione italiana, tra cui di illustri membri anche dell’Accademia dei Georgofili.
La celebrazione in Italia del centenario della fondazione della IUSS, evento patrocinato da numerose società scientifiche ed accademie, tra cui quella dei Georgofili, sarà una splendida occasione per la Società Italiana della Scienza del Suolo ma anche per la comunità scientifica italiana per richiamare l’attenzione sulla fragilità e sulla bellezza del suolo in un momento in cui la sua degradazione è un’emergenza a livello planetario. Proprio per ribadire la cruciale importanza del suolo alla luce della crisi climatica in atto, all’aumento previsto di popolazione stimata in 10 miliardi nel 2050 e alla necessità di produrre cibo sano, la IUSS ha promosso l’International Decade of Soils 2015-2024 sancita nella Dichiarazione dei suoli di Vienna del 7 dicembre 2015, dove la IUSS stessa ha individuato i ruoli chiave svolti dai suoli nell'affrontare i principali problemi delle risorse, ambientali, sanitarie e sociali che l'umanità sta attualmente affrontando. Data questa situazione, la IUSS ritiene che spetti ai suoi membri (le Società scientifiche nazionali di scienza del suolo) non solo mantenere il livello di attività indicato nel 2015, ma aumentare lo slancio e la portata dei nostri contributi su questi temi mentre ci avviciniamo al centenario dalla sua fondazione nel 2024.
La celebrazione del Centenario della IUSS in Italia rafforzerà i collegamenti con le altre discipline, accademie, istituzioni e società scientifiche, i responsabili politici e le altre parti interessate, per affrontare congiuntamente le emergenze in campo agricolo, forestale, ambientale, urbanistico e sociale, mettendo il suolo al centro delle soluzioni. La celebrazione si svolgerà il 19 maggio e sarà seguita da due intense giornate di congresso, con sessioni plenarie e sessioni scientifiche parallele. Ad ogni sessione parteciperanno scienziati del suolo e specialisti di altre discipline, concentrandosi sia sui risultati ottenuti sia sulle sfide future. Il congresso sarà accompagnato da una serie di possibili escursioni tecnico/scientifiche che spazieranno da brevi viaggi locali ad altri più lunghi, dalle Alpi alla Sicilia. Il 18 maggio è anche prevista una visita precongressuale a Villa Lubin a Roma, luogo storico della fondazione della IUSS.
Nell’occasione del convegno sarà inoltre presentato un volume che racconta i cento anni di storia della scienza del suolo italiana.
Le iscrizioni e la possibilità di proporre sessioni scientifiche sono già disponibili sul sito ufficiale www.centennialiuss2024.org con tutte le notizie aggiornate sulle celebrazioni del centenario.
Le proposte di sessione possono essere presentate dal 5 dicembre 2022 al 30 giugno 2023.
Professor Piccarolo, il 9 febbraio scorso lei ha coordinato una giornata di studio all'Accademia dei Georgofili, dedicata alla prevenzione degli incidenti nell'utilizzo delle macchine agricole. Tema importantissimo, visto l'elevato numero di incidenti che continuano purtroppo a verificarsi nel settore, di cui i Georgofili si sono già varie volte occupati.
In che percentuale ritiene, per sua esperienza, che gli incidenti siano imputabili all'utilizzo di macchine obsolete o piuttosto alla scarsa perizia degli operatori?
Purtroppo il comparto agricolo-forestale da molti anni registra, rispetto agli occupati, una forte incidenza degli infortuni gravi e mortali. Mentre nel corso degli anni gli infortuni si sono ridotti, quelli mortali si sono assestati su 120 decessi all’anno, per la maggior parte imputabili alle macchine agricole e, in particolare, al trattore. L’uso del macchinario agricolo rappresenta quindi un rilevante pericolo per gli operatori. Tutti questi incidenti infortunistici vanno fatti risalire in uguale misura, da un lato alla macchina, dall’altro all’uso improprio che ne fa l’operatore. Entrano quindi in gioco, sia un aspetto tecnico-costruttivo legato ai requisiti di sicurezza e di conformità della macchina, sia la preparazione e l’idoneità all’uso del mezzo da parte dell’operatore.
Una prima riflessione va quindi fatta sul parco macchine nazionale. Secondo i dati dell’INAIL, la consistenza del parco macchine nazionale in esercizio al 17 maggio 2019 era di poco superiore ai 2 milioni (2.001.784), di cui solo 6.294 immatricolate nel 2019. Un parco macchine circolante quindi in gran misura vecchio e obsoleto, mancante di alcuni dei Requisiti Essenziali di Sicurezza (strutture di protezione, cinture di sicurezza, protezione attacco albero cardanico…), per il quale è importante avviare il previsto processo di revisione obbligatoria ai sensi del comma 1 articolo 5 del Decreto Interministeriale del 20 maggio 2015. Dalla tavola rotonda del Convegno (hanno partecipato esponenti del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e forestale, del Lavoro e delle Politiche Sociali e la coordinatrice del Gruppo Tecnico Interregionale Salute e Sicurezza sul Lavoro. Il Ministero delle Infrastrutture, anch’esso invitato, ha giustificato l’assenza) è emerso come l’ennesimo rinvio sia imputabile al fatto che il Codice della strada, all’articolo 111, prevede che il Decreto attuativo della revisione sia emanato congiuntamente tra Ministero delle Infrastrutture e Ministero delle Politiche Agricole e non include il Ministero del Lavoro. Questa esclusione precluderebbe l’emanazione del Decreto. Ci si domanda come mai a distanza di anni non sia stato possibile superare questo problema, ignorando così le gravi conseguenze che ne derivano.
Il rispetto dei requisiti di benessere degli animali in allevamento è attualmente un argomento di forte interesse nell’ambito dell’opinione pubblica e rappresenta di fatto un tema significativo per il settore zootecnico moderno, in quanto direttamente collegabile ad altri concetti di estrema attualità, quali la salubrità e la sicurezza degli alimenti di origine animale.
Proprio in virtù dell’importanza di questa tematica, Regione Toscana negli ultimi anni ha intrapreso un percorso volto al miglioramento della conoscenza del tema benessere in allevamento, al fine di poter sviluppare una serie di strategie utili a garantire un futuro sostenibile delle aziende zootecniche facenti parte del contesto regionale. Una serie di iniziative progettuali, inerenti l’impiego di innovazioni e buone pratiche allevatoriali atte al miglioramento del livello di benessere animale in allevamento, sono state sviluppate da partenariati costituiti tra Aziende agricole toscane ed Istituzioni Scientifiche competenti sul territorio regionale che hanno trovato accoglienza nel corso della programmazione 2014-2022.
Se sul mondo produttivo continuano a scaricarsi tutte le contraddizioni del sistema, tutti i bei discorsi che si fanno sul giusto prezzo, sulla qualità, sul made in Italy che senso hanno? Il giusto prezzo non deve essere ‘giusto’ in primo luogo per chi produce? Domande a cui qualcuno prima o poi dovrà rispondere.
L’ultimo rapporto annuale della EMA (European Medicines Agency, News:
18/11/2022) ci informa che nella Unione Europea, Svizzera e Regno Unito,
la vendita di antibiotici è crollata del 47% nella decade 2011 -2021,
con un calo del 5,5% solo l’anno scorso. È la dimostrazione che le
iniziative politiche dell’Unione Europea stanno sortendo effetti
positivi nell’ambito della lotta all’antibiotico resistenza acquisita
(AMR) di molti agenti patogeni.
La Commissione Europea ha tolto il tema dell’etichettatura fronte pacco
(FOP) dall’agenda per i prossimi mesi, ogni decisione rinviata al 2024.
La
guerra europea tra i differenti schemi di etichettatura proposti dalle
nazioni, in particolare il Nutriscore francese e il Nutrinform Battery
italiano, è partita con le migliori intenzioni per il benessere e la
salute dei cittadini europei ed è naufragata sulla minaccia che il
modello Nutriscore possa impropriamente essere utilizzato per modificare
il paniere d’acquisto alimentare boicottando i prodotti emblema del
Made in Italy.
In questa guerra non bisogna trascurare il fattore
“tempo”, la risorsa più scarsa per i cittadini europei e certamente una
risorsa non rinnovabile, variabile chiave nella definizione delle azioni
politiche che fissano al 2030 la scadenza per gli obiettivi della
strategia Farm to Fork che mira ad un approccio innovativo e più
sostenibile per i nostri sistemi alimentari, inclusa l’armonizzazione
dell’etichettatura fronte pacco (FOP).
Il fattore tempo, dunque,
coinvolto nel processo di valutazione a cui è chiamata la Commissione
Europea che si esprimerà su diverse proposte di etichettatura FOP, se
trascurato, costituirà il principale ostacolo all’arresto dell’epidemia
di obesità, fattore di rischio per le malattie metaboliche,
cardiovascolari, neurologiche e neoplastiche, che riducono l’aspettativa
e la qualità di vita della popolazione europea. Proprio il fattore
tempo, però, non può trovare un affidabile alleato nel modello del
Nutriscore, inadatto a raggiungere in maniera efficiente ed efficace
l’obiettivo di modelli dietetici più sani e sostenibili per le nazioni
europee.
Il Nutri‐Score, infatti, si basa su un algoritmo che
analizzando gli elementi ritenuti positivi per l’alimentazione dai suoi
progettisti (le fibre, le proteine e il contenuto di frutta e verdura) e
quelli reputati, al contrario, negativi (il sale, lo zucchero, i grassi
saturi e le calorie) in 100 grammi di alimento, assegna la valutazione
complessiva in cinque colori, dal verde al rosso, e in cinque lettere,
dalla A (salutare) alla E (non salutare), in base al risultato.
L'algoritmo
alla base dell'etichetta Nutri‐Score deriva dal modello di profilo
nutrizionale della Food Standard Agency (FSA), originariamente un
modello binario sviluppato per regolamentare la commercializzazione di
alimenti per i bambini nel Regno Unito.
Il primo mito da sfatare è
l’errata fiducia che l’uomo comune ripone nell’infallibilità dei sistemi
basati su un approccio matematico. Comunemente, infatti, di fronte alla
complessità degli algoritmi subentra un atto di fede, che porta,
spesso, a credere, a priori, che una procedura matematica rappresenti
uno strumento efficace ed efficiente per guidare i consumatori
dimenticando che la fallacia dell’algoritmo risiede proprio nella
fragilità delle premesse sui quali è progettato.
«Quando parliamo di agricoltura non dobbiamo mai dimenticare che la prima missione è quella di produrre cibo, un’attività che con l’aumento della popolazione mondiale sarà sempre più rilevante. Allo stesso tempo, dobbiamo assecondare lo sviluppo di nuovi modelli di agricoltura, che consentano da un lato l’adozione di strumenti di agricoltura di precisione e dall’altro aprano alle nuove frontiere dell’agro-ecologia. Fieragricola TECH (Verona, 31 gennaio-3 febbraio 2023, ndr), con i focus dedicati alla digitalizzazione in agricoltura, alla smart irrigation, alle energie rinnovabili e al biocontrollo e ai biostimolanti sposa temi di grandissima attualità, che stiamo portando avanti anche nel progetto Agritech , il Centro nazionale per lo sviluppo delle nuove tecnologie in agricoltura, che vede l’Università di Napoli Federico II capofila e coordinatore di quello che, a oggi, è il più importante sforzo scientifico in ambito agricolo e agroalimentare».
Obiettivi dell’agricoltura e finalità della ricerca nel settore primario si intrecciano nelle parole della professoressa Stefania De Pascale, ordinario di Orticoltura e Floricoltura all’Università Federico II di Napoli, vicepresidente del Crea, componente del Consiglio direttivo dell’Accademia dei Georgofili e responsabile tecnico-scientifico del progetto GreenFarm, finanziato dal MiSE, sulle energie rinnovabili in agricoltura e sull’implementazione della circolarità in agricoltura. La scienziata De Pascale è coinvolta anche in numerosi progetti finalizzati a studiare l’agricoltura nello spazio.
Nel toccare i diversi aspetti che rientravano tra gli obiettivi, il Convegno di chiusura del Progetto BEENOMIX 2.0 (PSR 2014 – 2020 di Regione Lombardia), ha fornito qualche spunto interessante circa la vexata quaestio della mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici in apicoltura. Di tutti gli animali che l’uomo alleva forse sono proprio le api quelle che risentono maggiormente dell’impatto del clima impazzito. Abbiamo inverni brevi e miti che finiscono troppo presto e incoraggiano le colonie di api a iniziare in anticipo una vigorosa deposizione di covata in modo da disporre di un numero di bottinatrici all’altezza degli attesi raccolti primaverili. Ma è una falsa partenza. I mesi primaverili che seguono possono essere freddi, piovosi oppure così secchi da inibire quella abbondante secrezione di nettare che è il punto di partenza per una generosa produzione di miele. Le covate troppo copiose e precoci che, fino a pochi decenni fa, permettevano alla nostra benemerita varietà Ligustica di Apis mellifera di produrre nell’ambiente mediterraneo raccolti da record oggi sembrano controproducenti. Tanta covata significa tanta energia per tenerla calda ed alimentarla. Tutto bene se poi le fioriture primaverili, tipicamente l’acacia (Robinia pseudoacacia), potevano giovarsi di uno sterminato popolo di bottinatrici, capaci di portare a casa raccolti straordinari. Se però questi mancano le colonie si trovano spiazzate e a rischio di collasso per fame. Diventa necessaria una nutrizione di soccorso proprio nel momento in cui dovrebbe esserci la massima abbondanza di nettare e polline da raccogliere. Nutrizione che lo scorso anno ha superato spesso il chilo di sciroppo per chilo di miele prodotto. Un fatto che espone l’apicoltore che salva la vita alle sue colonie al rischio di passare per adulteratore del miele, se mai vi si trovassero tracce dello sciroppo. Coi tempi che corrono quindi gli apicoltori più avveduti hanno capito che è giunto il momento di plasmare l’operoso insetto in modo da renderlo resiliente al disastro climatico che si annuncia inevitabile. La selezione deve qui agire con prontezza e il Progetto BEENOMIX 2.0 ha indicato un paio di strategie che meritano di essere portate in evidenza.
I confini tracciati dall’uomo sulle cartine geografiche perdono il
proprio significato di fronte alle moderne sfide globali poste dal
clima, dalla salute e da un mondo sempre più interconnesso. Considerarci
come elementi estranei all’ecosistema ha fatto sì che alterassimo molte
terre emerse, mari ed oceani, spesso non rispettandone gli equilibri.
Invece, facciamo parte di un solo sistema, in cui la salute di ogni
elemento del pianeta (umano, vegetale e animale) è strettamente
interdipendente con quella degli altri.
Per questo motivo, si parla
sempre più diffusamente dell’approccio “One Health”, ovvero la
constatazione che esiste UNA sola salute che interconnette l’uomo con le
piante, con gli animali e l’ambiente (visione olistica del concetto di
salute). Detto più semplicemente, la salute del pianeta e di tutti i
suoi abitanti deve avere pari dignità se vogliamo creare un ecosistema
sostenibile, resiliente e durevole.
Le città di tutto il mondo stanno crescendo drammaticamente. Oggi il 55%
degli abitanti del pianeta vive in aree urbane ed entro il 2030 si
prevede che il 60 per cento della popolazione mondiale, ovvero quasi 5
miliardi di persone, vivrà nelle aree urbane. I movimenti di popolazioni
non sono mai avvenuti in precedenza con questa velocità e con questa
modalità. Tuttavia, le città non si stanno solo espandendo, ma stanno
anche cambiando nei loro ruoli e nella loro funzione. La
deindustrializzazione, l'aumento della mobilità e un settore dei servizi
in crescita hanno visto le aree urbane trasformarsi in economie di
consumo post-industriali basate sulla conoscenza piuttosto che sulla
produzione.
Emerge da questo spostamento del focus della funzione
delle città un cambiamento “evolutivo” nella forma e nei modi in cui le
città stesse dovrebbero essere progettate e costruite e come la natura
dovrebbe far parte di questo cambiamento. Ciò ha attirato ulteriori
ricerche e sviluppi da parte di persone interessate e con obiettivi
comuni e il desiderio di consentire una maggiore opportunità per gli
abitanti delle città di affiliarsi con la natura, e di tutti i vantaggi
che ciò offre, all'interno dell'ambiente urbano. L'attenzione sulla
connessione uomo-natura non è più relegata agli ambientalisti e alle
aree naturali al di fuori delle città; è una richiesta che proviene
dagli abitanti delle città.
Si è perciò evoluto un movimento sociale
basato sul design biofilico sostenuto dall'aumento della popolazione
urbana e dal cambiamento della funzione della città che ha portato a una
dinamica mutevole e all'interazione tra luoghi e spazi urbani. Questa
trasformazione recente, e in espansione, negli insediamenti urbani umani
richiede un nuovo approccio alla costruzione delle città. Le città
devono essere progettate, pianificate, costruite e adattate per essere
sostenibili e vivibili (Storey e Kang 2015). La maggiore densità
edilizia, i canyon urbani e le superfici impermeabilizzate modificano il
clima locale, in particolare la temperatura, aumentando il fenomeno
noto come effetto isola di calore urbano.
In Italia il settore forestale si trova ad affrontare problematiche in
ampia misura connesse alla necessità di valorizzare in maniera più
efficace le potenzialità e le opportunità in termini di salvaguardia
ambientale, presidio del territorio e sviluppo socioeconomico e
occupazionale, soprattutto, ma non solo, nelle aree interne e montane.
In questo quadro, la ricerca ha raccolto la sfida di tradurre i
risultati degli avanzamenti metodologici e tecnologici in applicazioni
operative.
Questo 2023 si presenta difficilissimo, forse il più difficile dopo
l’anno della pandemia. Inflazione che viaggia al 12-13%, prezzi al
consumo in aumento, consumi sempre più calanti. Un quadro di necessaria
resistenza per le imprese, anche perché chi doveva tirare la cinghia
l’ha già fatto, chi doveva sacrificare parte dei propri margini ha già
compiuto i riti sacrificali. Adesso margini non ce ne sono più.
In Europa ogni anno si verificano 4 milioni di infezioni dovute a
batteri resistenti agli antimicrobici e il costo per i sistemi sanitari
dei Paesi coinvolti è stimato attorno a 1,1 miliardi di euro. È stato
calcolato che, se non controllata, nel prossimo decennio la resistenza
antimicrobica potrebbe comportare un calo del Pil mondiale di 3,4
trilioni di dollari all’anno e spingere 24 milioni di persone in più
nella povertà estrema. La resistenza antimicrobica è la capacità dei
microrganismi di persistere o crescere in presenza di farmaci progettati
per inibirli. Questi farmaci, chiamati appunto antimicrobici, sono
usati per trattare malattie causate da batteri, funghi, virus e
parassiti protozoici. Ogni volta che utilizziamo antimicrobici su
persone, animali e piante, i germi hanno la possibilità di acquisire la
capacità di tollerare i trattamenti diventando resistenti, rendendo i
farmaci meno efficaci nel tempo. Quando i microrganismi diventano
resistenti agli antimicrobici, i trattamenti standard sono spesso
inefficaci. Di conseguenza, i trattamenti falliscono, aumentando le
malattie e la mortalità negli esseri umani, negli animali e nelle
piante.
La frana di Ischia “celebra” il centesimo anniversario della legge
Serpieri, il primo fondamentale intervento (regio decreto n. 3267 del 30
dicembre 1923) a tutela del vincolo idrogeologico del territorio per la
sua salvaguardia, con il divieto rigoroso di trasformazione per il suo
rimboschimento e rinsaldamento di fronte alla crescente domanda di esso
per il pascolo e l’agricoltura.
Con quel provvedimento si
introdussero le prescrizioni di massima e di polizia forestale e la
sistemazione dei bacini montani senza indennizzi, a differenza di altri
vincoli, in vista di un interesse pubblico che prevale sugli interessi
privati.
Il disastro di Ischia rappresenta l’ennesima conseguenza di
un degrado del territorio che deriva dalla sua fragilità geofisica.
Quest’ultima nasce sia da fattori climatici, sia dal suo consumo e
cementificazione dissennata in un contesto di “anarchia urbanistica” e
di abusivismo; si snoda in una catena ininterrotta di alluvioni e di
frane.
Una “tragedia annunziata” emblematica del consumo del suolo e
del suo dissesto idrogeologico su scala nazionale, nei cento anni
trascorsi dalla introduzione di quella legge, che rappresentò un primo
passo dell’Italia unitaria per la difesa dai disastri ambientali.
Una
tragedia che sottolinea ancora una volta – se ve ne fosse bisogno –
l’urgenza di intervenire drasticamente per la tutela dell’ambiente,
della salubrità e della salute in uno con quella della dignità umana,
quest’ultima di fronte alla “rivoluzione digitale” con i suoi sviluppi
prodigiosi e i suoi rischi.
Sono due temi fra loro strettamente connessi e intrecciati, come ricordava la Presidente della Commissione europea all’atto del suo insediamento, a proposito della necessità di realizzare un modello innovativo di politica europea che tenga conto della sinergia fra l’ecologia e le tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione (ICT). La necessità di affrontare la transizione ecologica e quella digitale – al di là delle dichiarazioni di propositi e buone intenzioni a livello nazionale, europeo e globale per il pianeta terra – è un dato drammaticamente urgente per i problemi che coinvolgono le persone, le collettività e i paesi per una svolta “epocale” del modo di vivere e di convivere, di lavorare, di produrre e di consumare risorse, di relazionarsi, di conoscere e di ricercare: sia nelle riflessioni più approfondite e specialistiche di carattere scientifico, sia in quelle più semplici ed accessibili tratte dall’esperienza quotidiana.