Il Prof. Raffaello Giannini, Coordinatore del Comitato Consultivo Foreste e Verde Urbano, congiuntamente all’Accademico Prof. Enrico Marone, hanno partecipato, il 17 giugno u.s., ad una audizione della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati della Repubblica, in relazione alla elaborazione di una proposta di legge su “Norme per favorire lo sviluppo e la valorizzazione della castanicoltura sostenibile, il recupero della coltivazione dei castagneti, la prevenzione dell’abbandono colturale e la promozione della filiera castanicola”.
Sono stati illustrati i contenuti più significativi del documento conclusivo elaborato dal Gruppo di lavoro “La Valorizzazione dei soprassuoli di castagno in Italia” ed in particolare è stato sottolineato che punti fondamentali che dovrebbero essere evidenziati nel testo legislativo e che dovrebbero trovare riscontro nel suo articolato, riguardano la verifica della sostenibilità delle filiere castanicole che si intende promuovere a livello locale e l’individuazione delle più efficaci misure verso interventi tesi a favorire forme associative che aggreghino i proprietari di superfici castanicole, siano essi agricoltori IAP o semplici privati. Ciò rappresenta garanzia per una maggiore costanza ed omogeneità delle forniture alle industrie di trasformazione.
Le azioni e le misure dovrebbero essere orientate a evidenziare la tipicità, la qualità e il legame col territorio delle diverse produzioni, ma anche considerare la loro unicità e pienezza nelle funzioni e nei servigi diretti ed indiretti che i soprassuoli di castagno forniscono anche in considerazione del fatto che la loro gestione è realizzata quasi sempre dalla stessa componente umana.
Diventa così assolutamente prioritario, realizzare l’Inventario Castanicolo Nazionale, base di riferimento per un efficace supporto legislativo, ovvero analizzare con dettaglio il contributo economico, sociale e ambientale della “coltura” del castagno e quale ruolo e peso monetario eserciti sulla permanenza sul territorio dell’uomo in funzione anche delle interrelazioni con le altre filiere produttive
Il documento elaborato dal Gruppo di lavoro “La Valorizzazione dei soprassuoli di castagno in Italia”, è presente nel sito dell’Accademia dei Georgofili, al link: https://www.georgofili.it/contenuti/valorizzzione-castagno-italia/8275
All’arrivo dall’Americhe nel XVI secolo le “sorelle” solanacee del tabacco (Nicotana tabacun), patata (Solanum tuberosum), peperone (Capsicum anuum) e pomodoro (Solanum lycopersicum) non sono bene accolte, come nel VII secolo non lo era stata la loro “cugina” asiatica melanzana (Solanum melongena). Il pomodoro è considerato velenoso perché somiglia all'erba morella e Costanzo Felici (1525 - 1585) nel 1568 scrive “Al mio gusto è più presto belle che buono". Un secolo dopo lo svizzero Theodor Zwinger (1658 – 1724) nel suo erbario "Theatrum Botanicum" (1696) considera una stranezza che in Italia ci si nutra di pomodori, benché sia un alimento "malsano" e la cattiva fama del pomodoro continua per tutto il XVIII secolo quando Carl von Linné (1707 – 1778) nel 1753 lo denomina Solanum lycopersicum o pesca dei lupi. Inaspettatamente nel XIX secolo per il pomodoro in modo quasi improvviso tutto cambia.
A livello fogliare la fotosintesi netta aumenta in modo lineare con l’intensità luminosa (PPFD= Photosynthetic Photon Flux Density) fino al raggiungimento di uno stato stazionario denominato punto di saturazione. Questa soglia luminosa, oltre la quale la fotosintesi netta non mostra incrementi, è variabile con la specie, l’ambiente, lo stato idrico e nutrizionale delle foglie, ecc. Nel bacino del Mediterraneo si registrano spesso livelli di PPFD ben al di sopra dei valori saturanti e, in tali condizioni, le piante, non potendo evitare l’assorbimento di questo surplus energetico, possono andar incontro a fenomeni di fotoinibizione che, sommandosi ad altri stress (idrico, nutrizionale, termico, ecc.), potrebbe avere gravi ripercussioni sulla capacità fotosintetica e, quindi, sulla produttività, sull’accumulo di sostanze di riserva e sulla composizione delle uve.
Le polemiche intorno alle strategie politiche dell’agricoltura biologica mantengono vivo l’interesse dei Social e della stampa specializzata, anche a causa del tentativo di “estensione del biodinamico al biologico”.
Come è ben noto l’UE sosterrà il biologico, come obiettivo primario della strategia “Farm to Fork”, che mira entro dieci anni a far crescere le coltivazioni biologiche dall’attuale 8% della superficie agraria europea al 25% previsto nel 2030 (l’Italia è attestata ora al 15,8%). Si vuole così assecondare una tendenza dei mercati che vedono crescere, in generale, la domanda e il valore dei prodotti biologici e con ciò si vogliono premiare la tutela della biodiversità, le misure agro-climatiche in difesa dell’ambiente, gli investimenti degli agricoltori che hanno scelto questa nuova frontiera di agricoltura “amica della terra”. Non bisogna dimenticare che, così operando, si esclude dai benefici del biologico gran parte delle produzioni specialistiche del Made in Italy, in particolare il settore dell’ortofruttiviticoltura che segue i disciplinari della “produzione integrata”, nell’ecosostenibilità, in continua evoluzione per le innovazioni tecnologiche, recepite a garanzia del sistema.
L’equivoco comunicativo
Queste forti e motivate aspettative sul biologico hanno però creato un certo disorientamento fra gli operatori, mentre altre polemiche sono state conseguenti alla votazione della Commissione Agricoltura del Senato per l’inserimento nel DL in preparazione del biodinamico alla pari del biologico e quindi titolato a godere dei sostegni che l’UE elargirà alle produzioni biologiche.
Ma chiariamo subito che sono due problemi diversi, il primo riguarda il biologico ed è di carattere scientifico-tecnologico-organizzativo, il secondo (relativo al biodinamico) invece è di natura essenzialmente commerciale.
La Rivista di Frutticoltura, recentemente, con gli speciali “Produzioni sostenibili” n. 2/2020 e 2/2021, è intervenuta facendo chiarezza in proposito, per riportare le suddette tematiche ad una corretta comprensione.
Criticità della difesa biologica
Opinioni note. Le
misure offerte finora e prospettate in futuro dai PSR regionali sono
state ritenute insufficienti dalle associazioni dei coltivatori (es.
Federbio) al fine di poter aumentare le superfici – come vorrebbe l’UE –
tanto più che per alcune produzioni l’offerta europea supera già la
domanda di mercato, come sta avvenendo per le mele biologiche. La
qualità dei prodotti biologici deve in ogni caso essere salvaguardata e
non scendere al livello di “brutto e cattivo ma sano” (logica
improponibile). Occorre dunque rivedere ed aggiornare scientificamente
le basi teoriche dei disciplinari di coltivazione (soprattutto nel
settore biologico della difesa e della protezione da malattie ed
avversità). Sembra ragionevole la richiesta pervenuta da più parti di andare verso
sistemi innovativi di prevenzione e difesa dai patogeni promuovendo
anzitutto la ricerca sulla genetica delle resistenze e adattabilità alle
avversità (“attributi di resilienza”, come li definisce il Governo) e
per dare spazio alle novità che posseggono queste specificità. Altra
proposta è quella di valutare, senza preconcetti ideologici, benefici e
rischi dell’introduzione delle nuove biotecnologie (tipico esempio di
attualità il genoma editing, TEA, NBT e NGT) che, non essendo
equiparabili agli OGM, potrebbero rivelarsi arma di salvezza per
risolvere non pochi e gravi casi di insufficiente capacità protettiva da
parte dei presidi sanitari autorizzati dal biologico, come si constata
per varie colture frutticole di pianura.
L'Accademia dei Georgofili, l'Accademia Nazionale delle Scienze detta
dei XL, l'Accademia Nazionale di Agricoltura di Bologna, l'AISSA, la
FISV e la UNASA hanno sottoscritto il seguente documento per chiedere la
revisione dell’attuale formulazione del DDL 988, affinché non possa
costituire una legittimazione ingiustificata dell’agricoltura
biodinamica e possa consentire di utilizzare gli Strumenti di
Programmazione, di Ricerca e di Finanziamento inseriti nel capo V del
DDL anche per quelle pratiche esoteriche e prive di fondamento
scientifico, per le quali l’agricoltura biodinamica si distingue
dall’agricoltura biologica.
In particolare, l’articolo 1 comma 3 del DDL 988, prevede
un’equiparazione tra agricoltura biologica e biodinamica, andando
oltre la normativa UE che semplicemente consente l’uso di
preparati biodinamici in agricoltura biologica. La presenza nel
tavolo tecnico previsto nell’articolo 5 comma 3 di un
rappresentante dell’agricoltura biodinamica rafforza la nostra
preoccupazione ed è difficile da capire, in quanto la ratio del
legislatore dovrebbe essere solo quella di rendere possibile una
equiparazione di diverse forme di agricoltura a quella biologica,
quando queste rispettino i regolamenti in materia di agricoltura
biologica.
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Scarica qui tutto il documento: Posizione condivisa AISSA_FISV_Accademie_ddl988_v2 AA (003).pdf
Quando nel 2002, l’Università degli Studi di Catania ha organizzato il
XIX Congresso Nazionale Italiano di Entomologia, quale insetto da
raffigurare in uno dei gaget, è stato scelto il Lepidottero Anthocharis damone.
poiché il Ropalocero, della famiglia dei Pieridi, è chiamato Aurora
dell’Etna, per la colorazione delle ali anteriori dei maschi che ricorda
l’aurora la cui luce, dorata, e talvolta rosea o purpurea, appare nel
cielo poco prima del sorgere del Sole. Il nome scientifico del genere
deriva dal latino "anthos" = fiore e dal greco "caris" = grazia, cioè
aggraziato come un fiore; mentre il nome specifico si riferisce a
Damone, un musico greco.
Che gli animali siano influenzati e possano apprezzare la musica non
deve stupire. Come nell’uomo la musica è un'espressione di stati d'animo
ed emozioni, con una storia di guarigioni fisiche ed emotive per le sue
azioni analgesiche e ansiolitiche, anche negli animali sono stati
documentati vari effetti della musica sul loro comportamento e
fisiologia, e la letteratura disponibile indica che esiste una
variazione tra gli animali per la preferenza musicale e il loro
comportamento.
Insieme
a lieviti, funghi e batteri, le microalghe vengono definite Single Cell
Protein (SCP), che rappresentano possibili fonti proteiche alternative,
avendo un contenuto in proteina che può considerarsi elevato, potendo
costituire il 45-55% nei lieviti, il 50-80% nei batteri e il 60-70%
nelle microalghe.
Mentre ci avviciniamo a 1,5 gradi di riscaldamento planetario, cresce la
consapevolezza che le foreste sono la migliore soluzione per rallentare
il cambiamento climatico poiché sono, al contempo, una strategia di
mitigazione del riscaldamento globale (riducono le emissioni e la
concentrazione di CO2 attuale) e di adattamento, principalmente
attraverso il rinfrescamento dell’aria e la prevenzione del
riscaldamento delle superfici. Ma soprattutto sono una soluzione basata
sulla natura.
Per questo motivo molti governi nazionali e locali
stanno lanciano campagne di forestazione di massa. Se non possiamo che
plaudire alle diverse iniziative (finalmente, verrebbe voglia di dire!)
dei governi locali e nazionali e anche di organizzazioni private che,
almeno a parole, si preparano alla forestazione/riforestazione di massa,
attraverso diverse iniziative ai diversi livelli, incluso il World
Economic Forum, rimane una grande domanda: dove troveremo esattamente le
decine di milioni (ma si parla di miliardi) di piante per realizzare
gli obiettivi? In questo momento l’offerta dei vivai nazionali,
forestali o di produzione di piante per il verde urbano, si stima sia
intorno ai 10 milioni di piantine (numero totale, non di quelle
potenzialmente vendibili). Dobbiamo anche ricordarci che i futuri
impianti necessiteranno della disponibilità di un numero di piante nei
vivai almeno del 20-25% superiore alle richieste per garantire che le
piante morte (una mortalità del 5% può considerarsi “fisiologica”, anche
se un impianto ben pianificato e realizzato dovrebbe tendere alla “zero
mortalità”) vengano rimpiazzate. Le aziende produttrici devono perciò
affrontare sfide significative per soddisfare questa domanda di
piantine. Ma sono pronte? Saranno pronte?
Rimanendo nel nostro Paese,
possiamo tranquillamente affermare che, senza cambiamenti sostanziali, i
vivai nazionali non possono e non potranno neanche avvicinarsi a
soddisfare la crescente domanda di alberi.
Dovrebbero più che
raddoppiare (ma, azzardo, forse quintuplicare) la loro produzione
attuale per raggiungere gli obiettivi che diverse istituzioni hanno
fissato ma, ovviamente, la cosa non è così semplice neppure nel medio
periodo a causa dell’esistenza di numerose barriere, non solo
economiche.
Infatti, mentre la maggior parte dei vivai potrebbe
essere anche disposta ad espandersi, problemi seri e non facilmente
superabili rendono difficile farlo. I principali tra questi sono
sicuramente la carenza di superfici utilizzabili per le piantagioni, una
forza lavoro non sempre adeguata, la mancanza di contratti di
dimensioni e durata sufficienti per giustificare investimenti per
l’ampliamento e,soprattutto, una serie di vincoli ambientali che, di
fatto, frenano l’espansione delle superfici investite a vivaio. Questo
nonostante che, ormai, la gran parte delle produzioni non solo sono
rispettose delle normative ambientali, ma rappresentano “pozzi di
carbonio”, potendo garantire l’assimilazione, il sequestro e lo
stoccaggio di grosse quantità di CO2.
Un frutto che in Italia ha denominazioni di anguria, cetrone, cocomero, mel(l)one d'acqua, pateca, sandia, sarginesco, zipangolo che documentano introduzioni diverse e chiariscono le numerose varianti dell’odierno frutto che ha una polpa rossa costituita per oltre il novanta per cento di acqua, un discreto quantitativo di zuccheri soprattutto fruttosio, vitamine A, C, B e B6 e particolari aminoacidi tra i quali la levo-citrullina.
Introduzione di Giacomo Lorenzini *
CIRSEC, il Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico dell'Università di Pisa ha organizzato un concorso a tema sul cambiamento climatico riservato agli studenti delle classi quinte delle scuole medie secondarie. Due le sezioni: grafica e narrativa. Decisamente interessanti i premi, che consistevano in sei immatricolazioni gratuite a un qualsiasi corso di studio dell’Università di Pisa. Notevole la partecipazione con ben 58 opere presentate da ragazzi di 31 scuole (nove le province rappresentate).
Vincitore della sezione narrativa è Tommaso Pacini, allievo del liceo Classico XXV Aprile di Pontedera (PI). In parte autobiografico, ma con molti inserimenti di fantasia, il suo testo, intitolato “Una consapevolezza inaspettata”. Un ‘incontro’ fortuito con un articolo di giornale letto sul telefono in piena emergenza COVID e relativo alla prospettiva che le nuove condizioni climatiche mettano in crisi le piantagioni di caffè funge da innesco per un percorso che è un vero richiamo alla necessità di risvegliare, condividere giorno per giorno e mantenere a lungo la consapevolezza legata ai problemi ambientali, e in particolare a quelli legati al cambiamento climatico.
*Direttore CIRSEC, Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico dell'Università di Pisa
Anche se alcune fasce di negazionisti continuano ostinatamente a negarlo, ormai è ampiamente dimostrato che la temperatura del nostro pianeta sta crescendo pericolosamente e che la causa principale sembra essere l’aumento della concentrazione dei gas serra di origine antropica in atmosfera. E qui comincia il tiro a segno mediatico per indicare i responsabili del disastro, con in prima fila gli allevamenti animali.
Comunque sia, le alte temperature insieme alle elevate umidità stressano termicamente gli animali, noi compresi, con conseguenze negative anche sull’apparato digerente, come è stato dimostrato nei polli dai ricercatori della Università della Giordania (Abdelqader et al., J. Anim. Physiol. Anim. Nutr., 2017).
Le elevate temperature che superano la zona di termoneutralità inducono lo stress termico negli animali. Nel caso particolare dei polli vi concorrono diversi fattori, fra cui la mancanza di ghiandole sudoripare, l’elevata temperatura corporea, il rapido metabolismo, il piumaggio che impedisce la corretta dissipazione del calore.
Le conseguenze nei riguardi della fisiologia dei polli sono numerose: fra queste l’aumento della secrezione di ormoni neuroendocrini come il corticosterone e il cortisolo, l’induzione della immunosoppressione, la compromissione delle funzioni intestinale e antiossidante. Tutto ciò comporta da una parte l’aumento di suscettibilità alle malattie e dall’altra la diminuzione del consumo volontario di alimenti con il conseguente ovvio peggioramento delle produzioni di carne e di uova e dei parametri riproduttivi.
Il tutto va ricondotto alla salute del tratto gastro-enterico: lo stress termico causa danni alla mucosa per l’insorgenza di episodi infiammatori che giocano un ruolo importante nell’eziologia dei danni da calore. Ne conseguono la compromissione delle funzioni di digestione e di assorbimento ed il più facile passaggio di batteri e tossine attraverso la barriera intestinale. Ovvero si apre la strada alla colonizzazione da parte di patogeni ed agenti zoonotici come le Salmonelle.
Nelle celebrazioni del bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte non può mancare il Duca di Wellington, che con i suoi stivali è arrivato anche in cucina.
Un indicatore specifico del nostro benessere è la quantità di stress subìto dall’essere umano, stress che a sua volta è indicatore del livello di attivazione sia fisica che mentale nei confronti delle situazioni in cui l’essere umano vive. In alcuni casi lo Stress può assumere un carattere positivo, ma quando la sua attivazione diventa cronica, questa incide negativamente sulla qualità della vita e favorisce l’insorgenza e il mantenimento di numerose patologie (es. cardio-vascolari, gastro-intestinali, psicologiche). Lo stress non è legato solamente con una serie di eventi personali, ma è soprattutto correlato al modo in cui si vivono questi specifici eventi e di conseguenza alle reazioni che noi stessi mettiamo in atto per contrastarli.
I fattori di stress che potrebbero incidere sul benessere sono lo stress acustico, lo stress termico, lo stress nutrizionale, lo stress psicologico, lo stress olfattivo etc.
L’uso delle farine proteiche derivate dagli insetti in alimentazione animale è argomento di crescente interesse in quanto, grazie al loro elevato tenore di proteine (variabile in funzione della specie considerata e del processo produttivo applicato) e buon apporto di amino acidi essenziali, rappresentano possibili alternative alle proteine convenzionali. Oltre al contributo proteico, le farine di insetto sono fonti di lipidi, vitamine e minerali. Recentemente, grande interesse è suscitato dai composti bioattivi che posso essere apportati attraverso l’uso dei prodotti derivati dagli insetti o direttamente estratti da essi. Tali composti (chitina, specifici acidi grassi quali l’acido laurico e peptidi antimicrobici) sembrano in grado di stimolare il sistema immunitario, di modulare positivamente il microbiota e di avere un’azione antimicrobica.
La produzione di insetti, se realizzata utilizzando alimenti non diversamente valorizzati, è anche caratterizzata da elevata sostenibilità in quanto gli insetti sono capaci di applicare al massimo il principio di economia circolare. Essi infatti convertono in modo molto efficiente biomasse di scarto di basso valore nutritivo in prodotti ad elevato valore aggiunto (proteine, lipidi, composti bioattivi).
Le ricerche svolte sinora sull'utilizzo di prodotti derivati da insetti nell’alimentazione delle specie di interesse zootecnico si sono concentrate principalmente su specie ittiche ed avicole, mentre i dati sulla loro introduzione nelle diete per altre specie animali, come suini e conigli, sono ancora limitati. I risultati sono molto promettenti e mostrano come, avendo cura di bilanciare le diete e di coprire i fabbisogni nutrizionali degli animali, i parametri produttivi e di salute degli animali sono confrontabili a quelli ottenuti utilizzando diete di riferimento.
Tra tutte le specie di insetti che sono state valutate per la produzione di prodotti ad uso zootecnico, alcune risultano più promettenti per via della loro facilità di allevamento massale, la completa gestione del ciclo produttivo e per la possibilità di essere allevate su scarti organici. In particolare, le specie maggiormente studiate per l’alimentazione animale risultano essere la mosca soldato (Hermetia illucens), la tarma della farina (Tenebrio molitor) e la mosca comune (Musca domestica).
Recentemente ha fatto molto scalpore una notizia riportata da diversi organi di comunicazione secondo la quale l’Unione Europea vorrebbe proporre l’allargamento delle tipologie di vini su cui concedere la possibilità della dealcolizzazione, ammettendo anche che nell’operazione possa essere aggiunta dell’acqua. C’è stata, ovviamente, una levata di scudi da parte del mondo enologico italiano, difensore da sempre dei valori legati alla tradizione e alla territorialità dei prodotti. Come spesso accade un approfondimento e qualche riflessione possono aiutare a inquadrare meglio la questione, senza che semplificazioni eccessive facciano apparire la Comunità Europea come fautrice di pratiche per ingannare i consumatori. Occorre anche evitare di dichiararci contrari, a prescindere, a pratiche che invece, con approcci adeguati, potrebbero essere ragionevoli e vantaggiose.
La dealcolizzazione è stata ammessa dall’OIV (Organization International de la Vigne et du Vin) tra le pratiche correttive con una risoluzione del 2012 (OIV-OENO 394A-2012), che la descrive come un “procedimento che consiste nel sottrarre una parte o la quasi totalità dell’etanolo contenuto nel vino”, con l’obiettivo di ottenere prodotti di origine vitivinicola a ridotto o basso contenuto alcolico. Dietro questa apertura c’era la necessità di assecondare il mercato dei prodotti dealcolati, che interessa alcuni paesi per ragioni culturali o religiose, ma anche la necessità di tener conto di una tendenza all’aumento del grado alcolico dei vini. Tale fenomeno è dovuto a diversi fattori tra cui le pratiche agronomiche volte ad aumentare la concentrazione di metaboliti secondari nelle uve (polifenoli, sostanze caratterizzanti l’aroma varietale), la selezione del materiale di propagazione che privilegia cloni poco produttivi per migliorare la qualità, in ultimo, ma non meno importante, il cambiamento climatico che ha visto negli anni recenti estati molto calde, che favoriscono la concertazione degli zuccheri, oltre che degli altri componenti. I produttori manifestano preoccupazione non solo perché il titolo alcolometrico elevato può rappresentare un freno al consumo, ma anche perché crescono i pericoli di arresti di fermentazione o di fermentazioni anomale che portano a vini difettosi o alterati. Il tema è quindi molto sentito e le soluzioni da proporre non sono facili. Incrementare la produzione per pianta o sfavorire una ottimale maturazione non appaiono soluzioni ragionevoli, perché porterebbero a vini meno equilibrati e riconoscibili, ai quali i consumatori non sono più interessati.
L’abbassamento del tenore zuccherino di partenza o la parziale sottrazione di alcol dal vino sono quindi argomenti che possono essere di interesse anche per vini espressione del territorio, quindi anche per DOP o IGP.
Lo scorso 20 maggio 2021, il Senato della Repubblica ha approvato quasi
all'unanimità il disegno di legge sull'agricoltura biologica, DDL 988,
con 195 voti a favore, uno contrario ed un astenuto. Il testo è quindi
tornato alla Camera per la terza lettura, avendo Palazzo Madama
introdotto modifiche a quello licenziato da Montecitorio in prima
lettura.
L'unico punto che ha diviso l'Aula del Senato è stata
l'equiparazione, prevista dal testo, dell'agricoltura biodinamica a
quella biologica. La Senatrice a vita Elena Cattaneo ha presentato due
emendamenti, poi bocciati, per espungere tale equiparazione, definendo
l'agricoltura biodinamica "una pratica esoterica e stregonesca" priva di
basi scientifiche. La Senatrice Cattaneo ha poi votato contro il DDL.
Anche la Senatrice Elena Fattori (Leu) ha espresso le stesse critiche,
astenendosi però nel voto finale. Contro l'agricoltura biodinamica si è
anche espresso il gruppo di Fratelli d’Italia, che ha comunque votato a
favore del disegno di legge, valutandone la positività nel suo insieme.
Chiusa la discussione generale sul disegno di legge, il Relatore
Senatore Mino Taricco ha fornito ulteriori precisazioni “proprio alla
luce delle dichiarazioni della Senatrice Cattaneo”, e l’esito del voto
dell’Aula è stato quello già descritto.
L’approvazione del testo
finale è stata seguita da numerose dichiarazioni ufficiali: decisamente
positive quelle rese dalle diverse organizzazioni di produttori
agricoli, fortemente critiche quelle manifestate da parte di una
moltitudine di scienziati appartenenti a varie discipline scientifiche e
aderenti a varie associazioni.
Probabilmente, le forti critiche al
DDL mosse da numerosi scienziati non sarebbero sorte se il DDL avesse
fatto riferimento esclusivo all'agricoltura biologica, senza alcuna
equiparazione con altri metodi di produzione. Invece, l'art.1 comma 3,
così recita:
"3. Ai fini della presente legge, i metodi di
produzione basati su preparati e specifici disciplinari applicati nel
rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea e delle
norme nazionali in materia di agricoltura biologica sono equiparati al
metodo di agricoltura biologica. Sono a tal fine equiparati il metodo
dell'agricoltura biodinamica ed i metodi che, avendone fatta richiesta
secondo le procedure fissate dal Ministro delle politiche agricole
alimentari e forestali con apposito decreto, prevedano il rispetto delle
disposizioni di cui al primo periodo."
L'intero comma non
entusiasma per la pesante burocratizzazione della forma di agricoltura
detta "biologica" -espressione non perfetta sul piano
tecnico-scientifico, anche se ormai in uso comune-, ma si tratta di una
normativa diretta a un modo di fare agricoltura che non confligge con i
principi scientifici sui quali si basa -e si è basata- l'agricoltura
moderna.
Il caso dell'agricoltura biodinamica è assai diverso: i suoi tradizionali presupposti non appartengono al pensiero scientifico e alcuni prodotti, che ancora oggi vengono consigliati agli agricoltori desiderosi di immettere sul mercato alimenti biodinamici, sono ottenuti con procedure che contrastano con le basi scientifiche consolidate. L’agricoltura biodinamica ha le sue origini nelle teorie sviluppate da Rudolf Joseph Lorenz Steiner, un teosofo esoterista austriaco nato nel 1861, quando in Biologia era ancora imperante la teoria della “generazione spontanea”, contro cui si sono impegnati, con esperimenti dai risultati inoppugnabili, due illustri scienziati italiani quali Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani, rimasti purtroppo inascoltati, perché alcune credenze popolari, specialmente quelle convintamente abbracciate su base fideistica, sono difficili da estirpare, anche se poste di fronte alle più solide evidenze scientifiche.
Da Georgofilo e uomo di scienza, quindi, provo un grande disagio nel dover prendere atto che un disegno di legge del nostro Parlamento, nel 2021, tratti di equiparazioni assolutamente insostenibili sul piano scientifico e che sembrano riportarci indietro di secoli.
Gli animali, noi compresi, sono continuamente bersagliati da agenti
patogeni di natura batterica, virale, protozoica. Il sistema naturale di
difesa è costituito dal sistema immunitario, che reagisce con
meccanismi molto complessi ma che, sostanzialmente, consistono nel
riconoscimento del patogeno e nella produzione di strutture di difesa,
del tipo cellule specifiche e anticorpi. Se gli attacchi dei patogeni
si attuano a livello intestinale, si altera la composizione di quella
che una volta si chiamava impropriamente “microflora intestinale” e che
oggi si indica con il termine più appropriato di “microbiota”, che
comprende batteri, archea, funghi, virus e protozoi. Con il termine,
invece, di “microbioma” si intende l’insieme del patrimonio genetico
della micropopolazione, responsabile delle interazioni fra microrganismi
e con l’intestino dell’animale ospite.
Il ferro (Fe) è un elemento essenziale per la crescita di quasi tutti i
microrganismi viventi perché agisce da catalizzatore nei processi
enzimatici, nel metabolismo dell'ossigeno, nel trasferimento di
elettroni e nelle sintesi di DNA e RNA (Aguado-Santacruz et al., 2012).
A
causa della sua bassa biodisponibilità nell’ambiente, i microrganismi
hanno sviluppato strategie di assorbimento specifiche per catturare il
metallo, che dipendono dalla sua disponibilità, dalla sua natura e dal
suo grado di ossidazione. Uno dei meccanismi utilizzato, in particolare
dai batteri, per l’assorbimento del ferro è la produzione di siderofori
(dal greco pherein e sideros, che significa "trasportare il ferro").
Dal confronto di due rilievi aerofotogrammetrici effettuati a 25 anni di
distanza (1990.-2015) in una valle dell’Appennino Ligure Piemontese
emerge che in tale breve periodo ben il 37 % della SAU è stato
abbandonato. Si tratta di un dato dirompente e preoccupante sia per
l’assetto socioeconomico della valle considerata, sia per le conseguenze
che tale abbandono comporta anche sui territori a valle.
Ma ancor
più preoccupante è il fatto che oltre il 50 % del territorio italiano si
trova in condizioni simili, o peggiori. La valle in oggetto, Val
Borbera, è logisticamente ben collocata, sulla direttrice Genova Milano e
con un casello autostradale e uno snodo ferroviario in fondo valle. Si
trova, quindi, in una situazione di vantaggio rispetto a numerose aeree
interne dell’Appennino, e delle Alpi. Ciononostante, il decremento
demografico è tragico con ovvie pesanti conseguenze su agricoltura e
ambiente, paesaggi degradati, boschi abbandonati che, inoltre, perdono
buona parte della loro funzione di carbon sink.
Un territorio
abbandonato e disordinato diventa poco appetibile sia per i residenti,
sia per i proprietari di seconde case, sia per turisti, frenando così
ogni attività economica alternativa al sistema primario e penalizzando
anche il sistema primario medesimo e, quindi, accelerando lo
spopolamento. Ma anche il sistema primario sopravvissuto, che della
frequentazione turistica potrebbe avvantaggiarsi con la vendita di
prodotti locali, soffre, perde ogni convenienza economica e le valli, i
territori marginali in genere, sono destinati a deantropizzarsi con
conseguenze nefaste.
Questi lunghi e numerosi mesi di limitazioni
indotte dal Covid, hanno fatto riscoprire le aree marginali, quantomeno
quelle più vicine ai centri urbani, ove si nota una interessante
frequentazione di ciclisti e randonneurs. Prima che riprendano le
vecchie abitudini delle vacanze esotiche, sarebbe buona cosa cercare di
stabilizzare, o meglio incrementare il fenomeno attraendolo con alcune
infrastrutture, piste ciclabili, sentieri attrezzati e segnalati, ma
soprattutto con un territorio ben curato dalle attività agroforestali e
in grado di offrire prodotti locali enogastronomici e artigianali
interessanti.
Leggendo i titoli dei giornali italiani nei giorni scorsi non può essere sfuggita la notizia della volontà – in alcuni casi riportata quasi come un’imposizione – della Comunità Europea di autorizzare l’aggiunta di acqua e la dealcolazione parziale e totale dei vini. Ma le cose non stanno esattamente così.
È il momento di riflettere sugli obiettivi della “transizione
ecologica”. La cronaca politica ci ha abituati ormai ad un generale
apprezzamento delle azioni politiche sviluppate in Europa dal governo
Draghi. In particolare, il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” per
l’ambiente – PNRR recepito a Bruxelles dal “Recovery Fund”, permetterà
all’Italia di ricevere straordinarie risorse finanziare per raggiungere
gli obiettivi fissati: abbattere del 55% le emissioni di CO2 entro il
2030 ed azzerarle entro il 2050. Un primo interrogativo lo pongono i
tempi: la realizzazione del Piano prospetta un arco trentennale di
interventi, mentre le prime severe verifiche della Commissione Europea
scatteranno nel primo quinquennio, con scadenze che saranno trimestrali!
Questo
PNRR suscita molte preoccupazioni perché, come vedremo, “trascura”
l’agricoltura e l’importanza che questa dovrebbe avere nelle
trasformazioni da mettere in atto. Il nostro sistema produttivo
agroalimentare è accusato, ingiustamente, dagli ambientalisti più
accesi, nella fattispecie il WWF, di essere la principale causa di
emissioni di CO2; ma questo non è vero, come si può dimostrare;
l’agricoltura è consapevole delle responsabilità di operare entro
parametri ecosostenibili e per questo da tempo ha imboccato la via di
una graduale “transizione ecologica” (la stessa definizione delle
competenze assegnate al neo Ministro Roberto Cingolani).
Questa
strategia dovrebbe essere ora parte fondante del Piano governativo, ma
la sua attuazione passerà attraverso interventi settoriali che si
prospettano disorganici, divergenti, in gran parte da definire e quindi
ancora suscettibili di discussione e modifiche. Infatti, i fondi
disponibili (86 miliardi di euro) potranno essere investiti solo in
energie rinnovabili, per far raggiungere al paese, nel corso di un
decennio, una potenza di 70 gigawatt, derivata essenzialmente da solare
ed eolico. Con i ritmi di crescita attuali (incremento annuo di circa
0,8 gigawatt) saremo dunque ben lontani dal centrare l’obiettivo. È ben
vero che disponiamo di una rete di pannelli fotovoltaici e solari già
ampiamente disseminati dal Nord al Sud (tetti di abitazioni, centri
industriali, coperture di superfici di suolo, caseggiati rurali, stalle,
magazzini, ecc.) che hanno finora goduto di varie forme contributive. A
questo va aggiunta l’energia verde ricavata dal biometano, pure in
espansione con significativi impianti industriali operanti in varie
regioni.
Dobbiamo chiederci se l’Italia e la nostra agricoltura
sapranno cogliere appieno l’opportunità del Piano e mettere in campo gli
asset già esistenti e le sue potenzialità, salvo altrimenti esserne
penalizzati, se non esclusi. Potremo anzitutto far valere l’enorme
contributo alla lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico dato
dalle risorse agroforestali distribuite su oltre un terzo della
superficie del paese (fissazione della CO2 ed emissione di O2).
Il Parlamento europeo, nella sessione plenaria dello scorso 29 aprile,
ha definitivamente approvato la mozione con la quale chiede alla
Commissione Europea di predisporre una direttiva specifica per la
protezione del suolo e della sua biodiversità (660 votanti: 605 sì, 55
no, 41 astenuti). Si tratta di un passo fondamentale per raggiungere
l’obiettivo di avere una legislazione unica di riferimento per il suolo.
Già nel 2006 la Commissione europea aveva proposto un quadro giuridico
per la protezione del suolo, che fu però ritirato nel 2014 dopo otto
anni di blocco da parte di una minoranza di Stati membri in seno al
Consiglio. Questa volta le cose potrebbero andare meglio. Infatti, la
Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha fatto della
difesa dell’ambiente uno dei suoi caratteri distintivi, e principio
guida delle scelte di politica economica.
Il documento pubblicato sul sito https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2021-0143_IT.html
sottolinea che il suolo è un ecosistema essenziale, complesso,
multifunzionale e vitale, di importanza cruciale sotto il profilo
ambientale e socioeconomico, che svolge molte funzioni chiave e fornisce
servizi vitali per l'esistenza umana e la sopravvivenza degli
ecosistemi, tra cui la conservazione della biodiversità. I suoli inoltre
influiscono sulla bellezza dei nostri paesaggi europei, al pari delle
foreste, dei litorali e delle zone montane.
Nel documento si afferma
che un quadro giuridico europeo di protezione del suolo è necessario in
quanto le misure di protezione sul suolo attualmente in vigore sono
frammentate tra molti strumenti strategici privi di coordinamento e
spesso non vincolanti; le misure nazionali esistenti si sono rivelate di
per sé insufficienti, tanto che si assiste ad una diffusione
progressiva di varie forme di degradazione del suolo. Le stesse
politiche settoriali vigenti, ad esempio la politica agricola comune
(PAC), non contribuiscono in modo efficace alla protezione del suolo;
infatti, sebbene la maggior parte delle terre coltivate sia compresa nel
regime previsto dalla PAC, in media meno di un quarto di esse applica
effettive misure per la protezione del suolo dall'erosione. In
considerazione dell’interesse pubblico nell’incoraggiare chi utilizza i
terreni a gestire il suolo in modo sostenibile per le generazioni
future, si consiglia di prevedere ulteriori incentivi finanziari e
misure di sostegno a favore dei proprietari di terreni per proteggere il
suolo.