Il numero 27 (5) – 2020 della rivista Global Change Biology
(Wiley) pubblica un "opinion paper" firmato da Lorenzo Genesio
(IBE-CNR), Roberto Bassi (Univ.Verona) e Franco Miglietta (Accademia dei
Georgofili e IBE-CNR) dal titolo “Plants with less chlorophyll: A
global change perspective”.
L'articolo discute di un tema nuovo ma
che è già molto discusso in ambito accademico: nuove piante a basso
contenuto di clorofilla (pale-green) possono diventare uno strumento per
coniugare produzioni agricole e azioni di mitigazione del cambiamento
climatico. Il ragionamento è paradossalmente semplice anche se non del
tutto intuitivo. Si gioca su due fronti: le piante-pallide riflettono di
più la luce solare e possono, se sono ben costruite, contribuire ad
aumentare le rese colturali.
Ma andiamo con ordine.
Superfici più riflettenti per ridurre il riscaldamento globale
Tutti
sappiamo che l'energia primaria di cui dispone il nostro pianeta arriva
con la luce del sole. Ma non è altrettanto chiaro a tutti che la
temperatura media alla superficie della terra dipende da un complesso
bilancio fra la quota di energia che viene riflessa dal nostro pianeta e
quella che, una volta assorbita, viene riemessa sotto forma di calore.
Calore che poi resta in parte “intrappolato” dai cosiddetti gas ad
effetto serra nell’atmosfera. Per capire questo “bilancio energetico”
basta rifarsi alla nostra esperienza diretta: quando indossiamo abiti
scuri sotto il sole estivo soffriamo molto più il caldo di quando invece
indossiamo abiti più chiari. Ciò che i nostri occhi percepiscono come
“colore scuro” altro non è che il risultato di un maggior assorbimento
della luce da parte dei pigmenti che colorano l'abito che indossiamo. Il
colore chiaro si ottiene invece quando molta luce è riflessa. E così
come fa un abito scuro le piante con molta clorofilla assorbono molta
energia luminosa, ne convertono solo una piccola frazione in zuccheri
attraverso la fotosintesi e riemettono il resto come calore. Le piante a
basso contenuto di clorofilla (che abbiamo già sopranominato “pallide”)
riflettono invece una frazione più elevata di radiazione solare, ne
assorbono meno e di conseguenza emettono meno calore.
E da qui prende
le mosse l’idea discussa nell’Opinion paper: se coltivassimo specie più
“riflettenti” potremmo contrastare, pur solo in parte, l’effetto
globale di riscaldamento dovuto all’aumento dell’effetto serra.
Il 26 gennaio 2021 si è tenuto l'evento online intitolato "Le resistenze
agli erbicidi nelle risaie" in cui è stato presentato il progetto
Epiresistenze. L'incontro ha permesso di far luce su questo nuovo
meccanismo di resistenza e sulla sua importanza per l'efficace gestione
delle malerbe nei campi di riso.
Se l’obiettivo da raggiungere è la sostenibilità delle produzioni
animali, dobbiamo puntare su ingredienti alimentari innovativi, sulla
digitalizzazione, su nuove tecniche di preparazione degli alimenti e
tecnologie di alimentazione, che contribuiscano a ridurne l’impatto
sull’ambiente.
L’umanità non è nuova ad emergenze sanitarie come quella da coronavirus
in corso. Eppure, ne avvertiamo tutta l’eccezionalità. Ha stravolto il
nostro modo di vivere. Ci ha costretti a cambiare le nostre abitudini,
imponendoci comportamenti e modalità di interazione sociale che
rappresentano una vera e propria svolta culturale dai profondi
significati antropologici e dalle immense ricadute psicologiche ed
economiche. Eccezionale è sicuramente lo sforzo collettivo di tante
comunità scientifiche che a livello globale stanno cooperando per
sconfiggere la malattia.
Una malattia generata da un virus
dell’ampia famiglia dei coronavirus, il SARS-COV2, scoperto alla fine
del 2019 e così definito in quanto simile al già noto SARS-COV (severe
acute respiratory syndrome coronavirus). L’infezione da SARS-COV2 è
stata, dunque, denominata dalla World Health Organization ‘COVID-19’
dall’inglese COronaVIrus Disease 2019.
Grandi speranze sono
riposte nel vaccino che ci si augura possa garantire un’immunità di
massa. Non tutti, purtroppo, potranno beneficiarne, come i soggetti già
infetti o allergici, gli immuno-depressi o, ancora, le donne in
gravidanza e attualmente i ragazzi al di sotto dei 16 anni per mancanza
di studi sperimentali. Inoltre, il virus può mutare e mutare in maniera
tale da compromettere l’efficacia del vaccino stesso. Ne consegue che la
ricerca farmacologica finalizzata a mettere a punto delle terapie
antivirali rimane una priorità. La necessità di avere farmaci
prontamente disponibili ha infuso nuova linfa vitale al drug repurposing
(riposizionamento dei farmaci), una strategia che consiste
nell’indentificare farmaci già approvati e commercializzati da usare per
nuovi scopi terapeutici, evitando in tal modo i lunghi stadi necessari
per lo sviluppo di un nuovo agente terapeutico. Alla luce di tali
considerazioni e in virtù di una consolidata tendenza verso i rimedi
naturali, le sostanze naturali biologicamente attive sono subito emerse
come un ricco arsenale a cui ispirarsi per il trattamento della
COVID-19.
L’analisi della Coldiretti fatta sulla base dei dati Inail ha
evidenziato che, su base annua, gli infortuni sul lavoro in agricoltura
denunciati nel 2020 (26.287), sono diminuiti del 19,6% rispetto al 2019
(32.692). Si tratta cioè di una riduzione di ben 6.405 infortuni mai
registrata in maniera così rilevante negli anni passati. Infatti, negli
ultimi dieci anni, le variazioni massime registrate sono state
dell’ordine del 3,5%. Significativo e in controtendenza rispetto agli
altri comparti è stato il calo degli infortuni mortali che, su base
annua, si è ridotto di 38 unità passando da 151 a 113 infortuni
(riduzione del 25%). Anche in questo caso una riduzione mai registrata
in modo così rilevante.
I risultati di questa analisi sono di buon
auspicio in quanto segnalano un calo infortunistico nettamente superiore
rispetto al trend degli ultimi anni. Tuttavia, su circa un milione di
occupati nel settore agricolo, 26.287 denunce di infortunio e 113
denunce di infortuni mortali, a cui vanno aggiunte circa 12.000 denunce
di malattie professionali, sono dati ancora troppo elevati. Inoltre il
risultato di un solo anno non consente di considerare l’entità di questa
riduzione come una tendenza destinata a mantenersi nel futuro. Le
ragioni del calo infortunistico infatti possono essere diverse: può
avere influito una maggiore prevenzione, come pure un miglioramento
delle pratiche colturali e un ammodernamento delle attrezzature, ma
certamente non va dimenticato che l’attività produttiva del 2020 è stata
pesantemente condizionata dal Covid-19, pur tenendo presente che le
denunce di infortunio da Covid-19 registrate dall’Inail nel 2020 non
hanno superato lo 0,3% dei contagi.
L’esplorazione di questa diversità può fornire strumenti genetici per lo
sviluppo sostenibile dell'agricoltura mediterranea, che deve
confrontarsi con sfide difficili a causa dei cambiamenti climatici.
Un diretto uso alimentare di insetti e anche di loro preparazioni
(farine ecc.) non è facilmente accettato dalla nostra cultura
occidentale ma prevedibile è una nuova zootecnia degli insetti da usare in
alimentazione animale, che si affianca a quella tradizionale della
bachicoltura e dell’apicultura. Non dimenticando che gli insetti sono ciò che mangiano, prima di usarli
in alimentazione di animali che producono carne, latte e uova anche loro
bisogna essere sicuri che siano allevati e alimentati con matrici non a
rischio.
L’acqua è, come noto, elemento fondamentale per la vita dell’uomo ed ha permesso i processi di coltivazione e allevamento.
Un
tema, peraltro, importante è quello dell’accessibilità a tale risorsa.
Accessibilità (e cioè facoltà di accedere, avvicinarsi e disporre di
tale risorsa) che può essere analizzato sotto diversi aspetti.
Innanzitutto l’accesso economico,
e cioè la possibilità di approvvigionarsi della risorsa acqua in
termini sostenibili da parte delle popolazioni, evitando anche gli
sprechi dovuti alle perdite nelle condotte di distribuzione.
Vi è poi l’accessibilità politica e sociale,
legata alle difficoltà di accesso dovute alle guerre o alle tensioni
tra stati (si pensi alla Turchia, Siria ed Iraq per i bacini del Tigri e
dell’Eufrate), alle diseguaglianze sociali e ai problemi delle reti di
approvvigionamento e smaltimento.
Importante è poi l’accessibilità fisica che si incrocia con l’accessibilità emozionale:
pensiamo al fascino che riveste per i bambini l’elemento acqua e
l’impulso che provano le persone di avvicinarsi a tale risorsa lungo i
fiumi e gli specchi d’acqua; tale esigenza di rapporto stretto con la
risorsa acqua ha stimolato e favorito tutti i processi di rivalutazione e
rigenerazione dei cosiddetti “waterfront” in tutto il mondo.
L’accessibilità cerimoniale è poi testimoniata dalla presenza
dell’elemento acqua in tutte le rappresentazioni scenografiche
dell’antichità.
Di grande attualità appare l’accessibilità trasportistica, legata all’utilizzo delle vie d’acqua anche in termini ludici e diportistici.
L’accessibilità sanitaria
sicura è poi tema fondamentale per le popolazioni, accesso sicuro che
rimane problematico in molti paesi. Non si dimentichi, poi, il tema
dell’accesso fisico sicuro all’elemento, che se è per noi europei tema
scontato, così non è per molte popolazioni, dove l’accesso all’acqua può
essere pericoloso per la presenza di rettili (i contadini del Myanmar
devono guardarsi dai serpenti velenosi nelle zone umide) o insidie di
tipo biologico (parassiti degli ambienti lacustri).
I vitigni da vino “resistenti” di ultima generazione, ottenuti da
incroci tra viti europee e viti americane ed asiatiche, sono un grande
successo della moderna ricerca genetica, e nel periodo 2019-2020 sono
state prodotte in Italia circa 2,5 milioni di barbatelle innestate con
tali vitigni (dati Mipaaf e Crea-VE). Nelle regioni in cui sono ammesse
alla coltura (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Province
autonome di Trento e Bolzano, Emilia-Romagna, Abruzzo), le barbatelle
innestate nell’ultima campagna vivaistica potrebbero teoricamente dare
origine ad oltre 600 ettari di vigneto, che potrebbero aggiungersi ai
circa 250 ettari che si stima siano attualmente impiantati con le
varietà resistenti.
Nonostante questi lusinghieri risultati, è chiaro
che i nuovi vigneti rappresentano ancora una quota irrisoria della
superficie italiana investita ad uva da vino, che ammonta a circa
650.000 ettari (dati ISTAT, 2020). E’ però evidente che il settore sta
entrando in una nuova era, che si configura come la fase iniziale di una
“viticoltura resistente”, che si innesta su quella che ancora oggi può
definirsi “viticoltura post-fillosserica”.
In realtà, infatti, più
di venti accessioni di uve da vino con caratteri di resistenza sono
state iscritte al nostro registro varietale a partire dagli anni 2000, e
la maggior parte di esse deriva dall’incrocio tra vitigni francesi di
importanza internazionale (Cabernet, Merlot, Pinot, Sauvignon, ecc.) e
varietà ibride di genealogia complessa ed eterogenea (Kozma, Merzling,
Bianca, ecc.). Le nuove accessioni sono state ottenute da varie
istituzioni scientifiche in Italia, in Germania, in Ungheria e in altri
paesi del centro-nord Europa e la loro iscrizione al registro varietale
italiano si accorda perfettamente con l’accresciuta sensibilità
dell’opinione pubblica, che oggi considera la viticoltura come una delle
attività agricole a più alto impatto ambientale.
L’inserimento dei
vitigni resistenti nel settore viti-enologico italiano è infatti
sicuramente un fatto positivo, ma si presta comunque ad effettuare
alcune considerazioni, che riguardano le modalità e i tempi della
diffusione delle diverse varietà e la loro possibilità di coesistenza
con l’assetto conservatore della viticoltura tradizionale e con quello
della viticoltura del futuro.
A crisi di governo conclamata, la noia, l’indifferenza, la delusione, a
volte la rabbia, sentimenti con cui gli italiani guardano ormai alle
vicende della politica nazionale, circondano anche l’ennesimo toto-nomi
per la poltrona di ministro dell’Agricoltura dopo le dimissioni
volontarie della ministra Teresa Bellanova che hanno aperto la strada
all’uscita di scena del governo Conte bis.
Il ministero di via XX settembre, glorioso perché su quella poltrona
prese posto anche Cavour, è ormai come un grand hotel, il suo motto è
“chi va e chi viene”, ma soprattutto “chi va” perché in poco più di
settant’anni di storia repubblicana si sono alternati quaranta
ministri, uno ogni venti mesi.
Teresa Bellanova non ha fatto
eccezione: ha abbassato la media, è durata 16 mesi. Per la sua
successione sta circolando una ridda di nomi, alcuni presentabili, altri
molto meno.
Certamente nella prima categoria più che presentabile è Simona Caselli,
ex assessore dell’Emilia Romagna, oggi presidente Areflh, con ottimi
rapporti a Bruxelles, conoscenza dei dossier comunitari, e capacità di
lavoro e risoluzione-problemi dimostrate sul campo. Il suo problema è
che è fuori dai giochi correntizi del PD e che a Roma il suo partito
non la appoggia come dovrebbe. Una volta la competenza era una qualità
apprezzata nel vecchio Pci-Pds, adesso sembra quasi un problema. Per
quello che conta, noi come Corriere Ortofrutticolo abbiamo aderito alla
campagna social #simonacaselliministra e ci saremo sempre. Tra i
presentabili ci sono anche Susanna Cenni , parlamentare Pd e
vicepresidente Comagri alla Camera e Riccardo Nencini , leader del
partito socialista, politico di lungo corso. Intendo per ‘presentabili’
persone normali , con qualche esperienza politico amministrativa alle
spalle, non animati da pregiudizi anti-europeisti, non portatori di
fantasiose teorie pseudo-scientifiche. Sollevano inquietudine invece i
nomi di altri aspiranti alla poltrona di via XX settembre, come il
battitore libero Di Battista, o i senatori De Bonis, Ciampolillo e
Sandra Leonardo (alias signora Mastella), arruolati in extremis nella
pattuglia dei “volonterosi –costruttori-responsabili”. C’è poi da
considerare che al ministero ci sta un sottosegretario , Giuseppe
l’Abbate dei 5Stelle, che il suo movimento “spinge” dopo aver
garantito l’appoggio della Farnesina (quindi Di Maio) alla candidatura
di Maurizio Martina alla Fao.
Dante Alighieri, del quale si celebrano i settecento anni dalla morte,
tenendo a battesimo la lingua italiana non può dimenticare il cibo e non
manca di citare una ricetta dando anche la possibilità di rintracciarne
una seconda alla quale allude.
In particolare nella “Commedia” il cibo,
come tutti gli aspetti della vita, ha un significativo rilievo
linguistico concreto e simbolico con toni e registri diversi, facendo
anche ricorso a costruzioni ardite che, nella loro varietà, qualifica la
lingua di Dante.
È ormai noto che le aree verdi hanno un ruolo fondamentale nella
riduzione dell’incidenza delle cosiddette patologie “urbane” in
particolar modo su quelle che interessano la sfera psichica. Ma in che
modo l'esposizione e l’interazione con la natura le può ridurre?
Esistono due teorie consolidate su come la natura influenzi il cervello,
entrambe basate sull’assunto che la natura ha un effetto riparatore
sulla funzione cognitiva ed emotiva. Non sono il “vuoto” o la quiete a
essere efficaci, ma è la natura nella sua gloria disordinata, selvaggia,
rumorosa, diversificata, che ha il maggiore impatto nel riportare una
mente stressata a uno stato calmo e vigile.
Apprendo da un breve articolo pubblicato su “All about Feed” a firma
Chris McCullough, che la European Food Safety Authority (EFSA) ha
finalmente autorizzato l’introduzione sulle nostre tavole delle larve
del coleottero Tenebrio molitor, sia essiccate che in farina,
definendolo alimento “sicuro”, “safe” nella versione originale in
inglese. L’articolo è corredato da una fotografia delle larve,
tutt’altro che invitante, almeno dal mio punto di vista. La notizia è
apparsa anche sulla stampa nazionale e riportata dalla nostra
“Georgofili Info”, Newsletter del 20 gennaio scorso (http://www.georgofili.info/contenuti/si-apre-lera-degli-insetti-nel-piatto-lefsa-d-il-via-libera/15402).
Nell’articolo
di McCullough l’introduzione dell’alimento, inconsueto almeno per noi
europei, viene considerata “un’importante pietra miliare in tutto il
settore dell’alimentazione”.
La presa di posizione dell’EFSA segue la
proposta di AGRONUTRIS, una compagnia bio-tech francese specializzata
nell’allevamento di insetti e nella loro diffusione come alimento. Per
il momento si tratta solo di un’autorizzazione, ma l’auspicio dell’EFSA è
che “l’autorizzazione costituisca il primo gradino della scala che
porterà all’approvazione ufficiale della Commissione Europea per la
vendita di insetti come snacks o altri tipi di alimenti”. Secondo
Antoine Hubert, titolare della ditta YNSECT SAS, l’iniziativa subirà
l’effetto palla di neve, che si ingrandisce andando avanti. Aumenterà il
suo potenziale produttivo e di capacità di attrazione di investimenti.
I giovani adulti di numerose specie di lepidotteri Sfingidi, abbandonano
le zone in cui hanno completato lo sviluppo e migrano verso aree dove
hanno maggiori possibilità di trovare piante ospiti sulle quali
ovideporre. La migrazione è una complessa sindrome fisiologica e
comportamentale, finalizzata alla dispersione adattativa unidirezionale.
Ben note sono le migrazioni degli adulti della “lugubre” Sfinge testa
di morto, Acherontia atropos che, dall’Africa raggiungono il Nord
Europa e vengono spesso ritrovati, morti e mummificati con la propoli,
all’interno degli alveari, nei quali si erano introdotti per alimentarsi
del miele. Non meno interessanti sono le migrazioni degli adulti di
altri Sfingidi; quelli della polifaga e polivoltina Hippotion celerio,
di origine asiatica, sono ottimi volatori e spesso raggiungono e si
insediano, più o meno stabilmente, in Nord Africa e nell’Europa
meridionale e Centrale. In Italia è stata segnalata in tutte le regioni.
“Sono stato un salame, quella persona è un salame, avere due fette di
salame in tasca, fare il salame per non pagare dazio, salame in barca” e
molte altre frasi, un tempo frequenti oggi forse più rare,
attribuiscono al salame un senso di persona stupida, uno stolto o uno
che fa lo stupido e danno quindi un significato spregiativo a un cibo
che è invece buono, apprezzato e desiderabile. Tutto deriva da un
cambiamento di uso di un temine che fino al XVIII secolo e oltre
identifica il pesce salato e quindi il salame o salamen è il baccalà che identifica ancora oggi una persona inespressiva da qui il detto di “essere un baccalà”. La parola salume deriva dal latino tardo antico salumen per
indicare l’impiego del sale per conservare gli alimenti. Inizialmente e
nel basso Medioevo, almeno per quanto ne sappiamo, il termine salamen
indica i più diffusi alimenti conservati con il sale, i pesci e in
particolare quello che ora è chiamato o baccalà o anche erroneamente
stoccafisso. Non solo, ma il pesce salato, fino al Quattrocento, è
venduto nelle botteghe dei Lardaroli, insieme alla carne e ai salumi.
Oltre la metà della popolazione del mondiale vive in aree urbane e ormai
la qualità dei suoli urbani e la gestione delle loro funzioni
ecosistemiche è riconosciuta di primaria importanza dalla scienza del
suolo (Calzolari et al., 2020). Molta parte delle aree urbanizzate più
densamente popolate e coltivate è posta nelle aree costiere, spesso in
prossimità dei delta fluviali. Basti pensare ad Alessandria d’Egitto nel
delta del Nilo, New Orleans nel delta del Mississippi, Calcutta nel
delta del Gange, Bangkok nel delta del Chao Phraya o Shanghai, nella
regione del delta dello Yangtze. Con terreni fertili e un facile accesso
alla costa, i delta sono punti critici della produzione alimentare. Il
delta del Mekong in Vietnam da solo fornisce quasi il 20% del riso
mondiale (Dunn e Darby, 2019). Queste aree sono tra le più dinamiche del
mondo e assistono ad un tumultuoso incremento demografico e di
sfruttamento del suolo. Ma molti dei delta del mondo stanno ora
affrontando una crisi esistenziale. I delta stessi stanno affondando
mentre il livello relativo del mare sta aumentando molto velocemente.
I
delta sono costruiti dai sedimenti che vengono trasportati a valle dai
fiumi e alla fine si depositano dove il fiume incontra il mare. Quando
questi sedimenti si compattano sotto il loro peso, i delta affondano
naturalmente. Dove lasciato indisturbato, l'apporto di nuovi sedimenti
fluviali può compensare il cedimento e aiutare a mantenere la superficie
del delta sopra il livello del mare. Ma la realtà è che assistiamo ad
una subsidenza accellerata in molte delle aree deltizie. I risultati di
uno studio condotto dall'Università di Padova e dagli Istituti per la
protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) e di geoscienze e georisorse
(Cnr-Igg) del Consiglio nazionale delle ricerche evidenziano che la
subsidenza è un fenomeno globale che può causare impatti ambientali,
sociali ed economici rilevanti. Le potenziali aree di subsidenza
coinvolgono 1,2 miliardi di persone e il 21% delle principali città del
mondo, con l'86% della popolazione esposta che vive in Asia
(Herrera-García et al., 2021). Una subsidenza accelerata si sta
verificando in diverse regioni del mondo, tra cui Iran, Messico e
Indonesia dove, a Jakarta, l'impatto è così grave che il governo sta
progettando di spostare la capitale nell'isola del Borneo.
Alla fine di un anno, spesso si tende per lo più a guardare avanti, con
richieste, auguri e speranze in un futuro migliore, seguendo
inconsapevolmente una sorta di rito tradizionale e scaramantico. E non
c’è dubbio che il 2020 non appena concluso ci abbia offerto un ottimo
motivo, stavolta razionalmente consapevole, per proseguire tale
tradizione. Quando lo sguardo dovesse volgersi indietro, il 2020 è stato
e sempre rimarrà nei vissuti della maggior parte delle persone come
l’anno della pandemia COVID-19, causata dall’ormai conosciutissimo
coronavirus SARS-CoV-2.
Anche a causa di questo evento pandemico, ma
non solo, pochi tra i non addetti ai lavori hanno avuto l’opportunità
di sapere che il 2020 era stato proclamato “Anno internazionale della
salute delle piante” dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Solo
pochissimi eventi tra quelli previsti ed organizzati hanno avuto
regolare svolgimento, la maggior parte è stata condotta in remoto così
come posticipata al 2021 od addirittura al 2022. Il 2020 doveva essere
l’occasione per sensibilizzare a livello globale governi e singoli
cittadini sul ruolo fondamentale che le piante da sempre giocano sui
nostri destini, che va oltre l’indispensabile elemento del fornire cibo
ed altre importanti materie prime, e che può essere anche motore di un
modello innovativo e sostenibile di sviluppo economico. Ovvero il 2020
era l’occasione per la presa di coscienza a livello globale sul
contributo che ognuno, anche come singoli individui, dovrebbe dare per
preservare e garantire la salute delle piante e sul perché. Ma forse
l’occasione non è persa. Anzi, riguardando con sguardo lucido gli eventi
che hanno condotto alla pandemia COVID-19, i meccanismi biologici e le
interazioni tra i suoi vari “attori”, dal virus agli ospiti ed i suoi
serbatoi, per arrivare alle condizioni ambientali in senso lato nelle
quali si è sviluppata, è addirittura possibile che possa avere reso
governi e società civile più ricettivi a pochi semplici concetti e
relazioni che sono comuni a tutte le epidemie, indipendentemente
dall’ospite, sia questo umano, animale o vegetale. Non vi è dubbio che
“prevenzione” sia tra questi, così come del fatto che la sfida imposta
dal prevenire la diffusione di malattie infettive e lo scoppio di
epidemie sia sempre più ardua. I cambiamenti globali ai quali abbiamo
contribuito e che da qualche tempo stiamo vivendo, non solo quello
climatico ma anche la globalizzazione dei commerci e l’estrema rapidità
di movimento di umani e merci a livello mondiale, promuovono e
favoriscono l’arrivo, lo stabilirsi e la ricomparsa di patogeni
altrimenti non presenti in certe aree o che si credevano sconfitti. E
questi sono i primi elementi essenziali ed ideali per l’innesco di
un’epidemia, anche in ambito vegetale.