Negli oltre 40 anni di indagini sulle gradazioni della Processionaria nelle pinete etnee, condotte con il supporto dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali e del Parco dell’Etna, sono state effettuate parallele osservazioni sui Lepidotteri infeudati su altre essenze forestali presenti sulle pendici del vulcano. Delle oltre 100 specie di defogliatori riscontrate, 5 afferiscono alla famiglia Lymantriidae; di esse la Spilnozia o Falena bianco argentata, Leucoma salicis, L., è presente sui Pioppi che vegetano intorno a quota 2.000 m s.l.m. dove, periodicamente, va incontro a gradazioni della durata di circa 3 anni, intervallate da lunghi e irregolari periodi di latenza.
Lunedì della scorsa settimana, 18/10/2021, il Prof. Franco Famiani
dell’Università di Perugia ha svolto nell’ambito di un ciclo di webinar
organizzati dall’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio, un
bellissimo seminario sulla: “Raccolta delle olive: epoca e
meccanizzazione”. La trattazione, iniziata alle 17 e seguita con vivo
interesse fino alle 19 da oltre 130 persone, si è articolata su quattro
principali tematiche: “Scelta dell’epoca”, “Sistemi di raccolta”,
“Effetti dei diversi sistemi sulla qualità dell’olio”, “Considerazioni
economiche”.
Puntualizzato che i parametri (metodi e processi) di
raccolta hanno effetti di primaria importanza sulle caratteristiche
quali-quantitative dell’olio, sulla produzione dell’anno successivo e
sui costi di produzione, molto spazio è stato opportunamente dedicato
alla scelta dell’epoca di prelievo delle drupe dalla chioma, operazione
che nella maggior parte delle aree olivicole del centro Italia viene
oggi svolta principalmente nei mesi di ottobre-novembre, con forte
anticipo rispetto ai decenni passati.
Da entomologo la mia riflessione è andata sul fronte della mosca delle olive, Bactrocera oleae (Rossi,
1790) (Diptera Tephritidae), verso i cui attacchi autunnali l’epoca di
raccolta ha sempre detto e continua a dire “la sua”.
Che la
produzione olivicola possa essere in parte sottratta all’evoluzione
dell’infestazione del dittero, pare fosse una nozione acquisita fin in
epoca romana: consapevolezza questa che circa due secoli or sono risulta
abbia portato Napoleone e i Borboni regnanti delle “Due Sicilie” a
mettere mano a provvedimenti legislativi per spingere gli olivicoltori
di alcune aree olivicole della Liguria e del Meridione ad anticipare a
inizio autunno l’epoca di raccolta delle olive nelle annate di scarica,
che come è noto sono solitamente caratterizzate da ben più elevati tassi
di infestazione [Anna Foà, Una mosca che divora milioni (la Mosca
olearia). - Milano, 1907, stralcio delle pag. 205-218 dal Secolo XX, con
illustrazioni].
Quattro erano i gusti (dolce, salato, amaro e acido) ai quali si è aggiunto il quinto gusto dell’umami e ora s’incomincia a parlare del gusto di grasso e di fritto e certamente non ultimo sarebbe anche il gusto di affumicato. Senza discutere se all’aroma di affumicato in tutte le sue variazioni corrisponda un gusto, è indubbio che gli alimenti affumicati da necessità si sono trasformati in una tendenza edonistica che sta interessando ogni tipo di alimento, divenendo oggetto di attenzione da parte dell’industria alimentare. Attualmente sapori affumicati stanno avendo un incremento e negli USA interessano anche nuovi settori come quelli dei dessert (+150%) e perfino dei cocktail (+27%). Affumicare inoltre non è più soltanto un procedimento industriale o un privilegio per pochi e si stanno diffondendo tecnologie che vanno dai kit e dagli affumicatori a caldo agli infusori a freddo con vendite in continuo aumento.
La ripresa vegeto-riproduttiva della pianta si realizza, spesso, prima che l’apparato radicale sia capace di assorbire adeguate quantità di nutrienti dal suolo. In tali situazioni le prime fasi di crescita vegeto-riproduttiva sono sostenute dalla “rimobilizzazione” degli elementi minerali accumulati la stagione precedente negli organi perenni (radici, tronco, rami).
La fonte di azoto utile per lo sviluppo e la crescita degli organi nelle piante perenni (come la vite) proviene da due processi: a) assorbimento radicale; b) mobilitazione delle riserve di azoto localizzate nelle strutture perenni (radici e tronco).
Questi due processi possono avvenire contemporaneamente o essere disaccoppiati nel tempo, come avviene nella prima parte del ciclo. La vite, come tutte le piante legnose, è una pianta molto dipendente delle sue riserve di azoto (e carbonio), che svolgono un ruolo cruciale per la crescita all'inizio del ciclo (Tromp, 1983; Loescher et al., 1990).
Il contributo (in %) di ogni compartimento (radici/tronco) alle riserve varia a seconda degli autori: da 40/60 per Wermelinger (1991), 65/35 per Schreiner et al. (2006), vicino a 80/20 Bates et al. (2002).
Sebbene si utilizzino proteine, le riserve di azoto sono preferibilmente costituite da amminoacidi, che sono la forma più comune e più economica di stoccaggio (basso C/N). L'arginina è predominante, rappresentando fino al 60% della quantità di azoto totale.
Le sostanze carboniose vengono accumulate sotto forma di amido (il 90% dello stoccaggio dell'amido è nelle radici), che viene immagazzinato principalmente a livello dei raggi parenchimali delle cellule delle radici e rappresenta 1/3 della massa secca delle radici (Zapata e al., 2004).
La crescita dell’apparato radicale riprende molto lentamente al germogliamento, man mano che il carbonio organicato dalle nuove foglie arriva a livello delle radici.
Il picco di crescita delle radici, generalmente, segue quello del picco di crescita dei germogli di 2 o 3 settimane.
L'assorbimento di azoto (e di altri elementi minerali) è un processo attivo che richiede energia neoformata, non proveniente dalle riserve. Fino al 25% dell'energia prodotta dalla fotosintesi può essere utilizzata per la funzione di assorbimento. La capacità delle radici di assorbire l'azoto è, quindi, dipendente dalla traslocazione dei carboidrati neoformati verso l’apparato radicale. La ripresa dell'assorbimento di azoto (e degli altri elementi minerali) si situa generalmente intorno allo stadio “3-5 foglie distese”. Un piano di fertilizzazione deve cercare di rendere disponibile l'azoto per la vite in questa fase. Apporti molto precoci non consentono alle radici di assorbire l’azoto poiché non ci sono foglie neoformate e, quindi, non c'è fotosintesi per la produzione di zuccheri, fonte principale di energia per l'assorbimento.
Dal punto di vista operativo i migliori momenti per l’applicazione dell’azoto sono quelli fra la fioritura e l’invaiatura o quelli subito dopo la raccolta (fatti precocemente). Prima del germogliamento, infatti, non c’è assorbimento di azoto degno di nota nelle parti legnose della vite. Subito dopo l’apertura delle gemme c’è un assorbimento interessante che raggiunge il massimo circa 4 settimane dopo la fioritura, quando vengono assorbiti 1,5-1,6 kg di azoto/ettaro al giorno. L’azoto applicato tra la schiusura delle gemme e la fioritura viene utilizzato prevalentemente per l’accrescimento vegetativo. Un altro picco di assorbimento si verifica subito dopo la raccolta, con circa 1 kg/ettaro/giorno, anche se interventi effettuati in questo periodo riescono ad assicurare solo il 12% delle richieste primaverili. Le radici continuano ad accumulare azoto fino alla caduta delle foglie.
L’Apocinacea Gomphocarpus physocarpus di incerta origine americana, asiatica o africana, per la bellezza dei suoi fiori e per i caratteristici frutti pelosi simili a palloncini verdi, è stata introdotta a scopo ornamentale in molti paesi europei, compresa l’Italia. Più nota come Asclepis physocarpa (da Asclepius, dio greco della medicina, e da physa (vescica) e carpòs (frutto) è conosciuta come Pianta palloncino, Palle pelose o Palle del vescovo.
Il diòspiro o diòspero, cachi o kaki (Diospyros kaki L., 1782) è un albero da frutto originario dell'Asia orientale, una delle più antiche piante da frutta coltivate dall'uomo, conosciuto in Cina da più di 2000 anni e il cui nome scientifico diospero proviene dall'unione delle parole greche Diòs e pyròs (grano del dio o Zeus) e dal termine giapponese del frutto pronunciato kaki. La prima descrizione botanica del cachi è pubblicata nel 1780 e il frutto arriva in America e in Europa alla metà dell'Ottocento, in Italia nel 1880 e nel 1888 Giuseppe Verdi scrive una lettera nella quale ringrazia chi gliene ha fatto dono.
Raggiungere il traguardo del “carbon neutral farming” entro il 2025 da parte degli allevamenti di bovine da latte si può. È la conclusione dei lavori della ventiduesima conferenza on line della International Farm Comparison Network (IFCN), che si è tenuta il 9 giugno 2021 ed ha visto telecollegati oltre mille esperti di 81 Paesi.
Secondo le ultime rilevazioni, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è la più elevata degli ultimi 650 mila anni, con la conseguenza che abbiamo registrato, fra l’altro, le diciannove annate più calde dal 2000.
Fra i molti settori produttivi responsabili della produzione di gas serra di origine antropica ci sono anche gli allevamenti animali, fra cui quello delle vacche da latte. Gli esperti indicano nel 2.2% delle emissioni globali dei gas serra la responsabilità attribuibile all’allevamento delle bovine da latte. Di questo 2.2%, l’ 1.7% si deve ai Paesi cosiddetti emergenti. D’altra parte, è assolutamente improponibile limitare la produttività del settore lattiero-caseario che gioca un ruolo di vitale importanza nella produzione di proteine alimentari di elevata qualità per sostenere i fabbisogni nutritivi di miliardi di abitanti di questo pianeta, divenuto ormai troppo piccolo.
Se verranno rispettate le linee guida indicate dagli esperti intervenuti, entro il 2050 le emissioni di gas serra per kg di latte prodotto potranno essere abbattute del 28%. Ne consegue che, a fronte di un aumento della domanda di latte del 50%, l’incremento della concentrazione di gas serra sarà di circa l’8% nei prossimi 30 anni.
Per un futuro sostenibile è essenziale trovare nuovi modi di produrre e consumare cibo che rispetti i limiti ecologici del nostro pianeta. Un approccio circolare di gestione dei sottoprodotti agricoli che trasformi il letame, le colture e i rifiuti alimentari, così come le acque reflue urbane, in fertilizzanti organici e biogas risulta una strategia interessante, e attualmente largamente diffusa, in ottica di aumento della sostenibilità dei sistemi agricoli. Questo tipo di approccio risponde alle linee guida espresse dalla Commissione Europea all’interno della strategia “Farm to fork”. Lo sviluppo di strategie di sviluppo sostenibile atte alla valorizzazione dei residui agroindustriali in ottica di economia circolare sono in linea anche con gli Obbiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Attualmente, all’interno degli impianti di biogas oltre all’energia si produce un sottoprodotto, il digestato, ricco di acqua, macro e micro nutrienti, che può essere valorizzato come fertilizzante organico liquido.
Tuttavia, il digestato presenta alcuni inconvenienti che possono comprometterne o limitarne l’utilizzo. In primo luogo, l’elevato contenuto di acqua, che si aggira attorno al 90% del peso totale, può rendere dispendioso l’impiego in terreni troppo lontani dall’impianto. Comunemente viene indicata una distanza limite di 20 km dal centro aziendale al di fuori della quale l’utilizzo del digestato prodotto non risulta economicamente sostenibile. Inoltre, un uso massiccio e prolungato nel tempo può favorire fenomeni negativi come l’inquinamento dei suoli e l’eutrofizzazione delle acque. Infine, soprattutto per quanto riguarda i digestati prodotti da residui solidi urbani o fanghi urbani, la presenza di antibiotici, contaminanti, metalli pesanti e plastiche, possono renderlo del tutto inutilizzabile in campo e renderlo piuttosto un rifiuto speciale da dover smaltire.
Per i grandi impianti esistono già tecnologie atte alla depurazione e al processamento del digestato per ridurne il volume, recuperare i nutrienti. Tuttavia, ad oggi ma mancano le attrezzature dedicate agli impianti di piccola scala che incontrano numerosi ostacoli nel processo di valorizzazione.
Un approccio innovativo che ha l’obiettivo di supportare i piccoli impianti di biogas attraverso una tecnologia mobile ed intelligente vede l’uso di un veicolo con rimorchio capace di raggiungere diversi impianti e processare direttamente in loco il digestato prodotto dall’impianto. Il modulo è capace di convertire un'ampia gamma di digestati in fertilizzanti organici di elevata qualità e ammendanti. Dopo una raffinazione dalle componenti grossolane come sabbia o componenti di maggiori dimensioni, il digestato viene triturato e pastorizzato per una prima eliminazione dei patogeni. In seguito si ha una rimozione degli eventuali residui di antibiotici e di contaminanti prima di procedere alla separazione della frazione solida da quella liquida. Come risultato, si avrà la produzione di fertilizzanti liquidi concentrati e ammendanti solidi essiccati o pellettati, a seconda delle necessità aziendali. Il veicolo sarà quasi totalmente autonomo da un punto di vista energetico grazie al recupero quasi totale dell’energia termica prodotta durante le fasi di raffinazione del digestato e al recupero del biogas residuo prodotto durante questa fase di raffinazione. Inoltre, gli elevati volumi d’acqua recuperati dal processo di raffinazione saranno resi nuovamente disponibili all’interno dell’impianto, in un’ottica di riutilizzo delle risorse.
Oggi riteniamo un’eresia gastronomica la pasta scotta e la esigiamo “al dente” e soprattutto che arrivi in tavola calda e fumante, bollando d’infamia un ristorante che cuoce la pasta la mattina, o peggio il giorno prima, scaldandola rapidissimamente a microonde, anche se può vantare il salutismo dell’Amido Resistente.
Chi ha ragione? La gastronomia o il salutismo dell’Amido Resistente che pare sempre più di moda?
Lo sviluppo delle piante, in tutte le sue varie fasi (crescita, fioritura, fruttificazione, formazione e caduta delle foglie), è regolato dall’integrazione di stimoli esogeni (luce, temperatura, disponibilità idrica) ed endogeni. Tra questi ultimi, rivestono particolare importanza gli ormoni vegetali.
Gli ormoni vegetali, in analogia con quelli animali, possono essere definiti come: “Sostanze naturali che intervengono, a basse concentrazioni, sui processi fisiologici dell’organismo”.
Possono essere divisi in due gruppi:
- Promotori (divisione cellulare e distensione, differenziazione a fiore, ecc.): auxine, gibberelline, citochinine.
- Inibitori o antagonisti dei promotori: acido abscissico ed etilene
Ai cinque gruppi di ormoni “classici”, gibberelline (GGAA), acido abscissico (ABA), citochinine (CK), auxine (IAA) ed etilene, si aggiungono ormoni di natura proteica, recentemente scoperti, e sostanze in grado di regolare la crescita, come brassinosteroidi (BR), poliammine (PA), giasmonati (JA), acido salicilico (SA), strigolattoni (SL).
Altre sostanze possono avere attività di “molecole segnale” (“agenti di segnalazione”): glutammato, glucosio, saccarosio, trealosio 6-fosfato, composti della famiglia degli apocarotenoidi, ROS (es. perossido di idrogeno), RON (es. ossido nitrico), ATP extracellulare, ecc.
Lo sviluppo della chioma e della radice è interdipendente e coordinato. Da una parte esiste un “flusso di messaggi” elaborati a livello della chioma che, muovendosi in direzione basipeta, raggiunge l’apparato radicale; dall’altro un flusso di messaggi elaborati dalla radice che, muovendosi in direzione acropeta, raggiunge la chioma. L’auxina può essere un componente importante del flusso proveniente dalla chioma, mentre le citochinine, sintetizzate a livello dell’apparato radicale, possono rappresentare una componente del flusso elaborato dalla radice.
Il movimento delle citochinine verso le parti superiori della pianta stimola la formazione di rami e foglie; i nuovi tessuti producono auxine che vengono trasportate nella parte inferiore dove si combinano con le citochinine per stimolare la produzione di nuove radici. Sebbene, virtualmente, tutti i tessuti vegetali siano capaci di produrre basse concentrazioni di auxine, i siti primari di sintesi sono i meristemi apicali dei germogli e le giovani foglie.
Mai come ora i richiami alla sostenibilità in agricoltura hanno varcato i confini del mondo scientifico per attrarre l’attenzione della pubblica opinione e soprattutto dei decisori politico-amministrativi. Ad esempio, l’Unione Europea con la sua politica agricola comune (PAC) adotta un approccio combinato e ambizioso alla sostenibilità; basandosi, infatti, sulle conoscenze scientifiche, sull’assoluta necessità di prevenire la degradazione ambientale e sulle innovazioni disponibili la PAC allinea l'agricoltura al Green Deal europeo, che mira a creare un futuro inclusivo, competitivo e rispettoso dell'ambiente per l'Europea. La sostenibilità in agricoltura non comprende solo la salvaguardia dell’ambiente ma poggia proprio su tre pilastri fondamentali e cioè la sostenibilità ambientale, appunto, ma anche la sostenibilità sociale e la sostenibilità economica. Vivendo e viaggiando nelle realtà rurali delle nostre zone agricole si può constatare che non sempre è facile conciliare questi tre aspetti.
A fronte di situazioni virtuose in cui si può constatare l’introduzione di tecnologie innovative basate anche sulla programmazione digitale, come, ad esempio, i nuovi sistemi di irrigazione, l’adozione di lavorazioni alternative a quelle convenzionali, gli inerbimenti nei vigneti e frutteti, ecc., si possono riscontrare anche esempi negativi che fanno riflettere sulle difficoltà di realizzare gli obiettivi della sostenibilità o quanto meno di conciliare, appunto, i tre aspetti di cui sopra.
A titolo di esempio si riporta qui una documentazione fotografica che può sembrare banale o addirittura casuale ma che, purtroppo, in vaste aree agricole, magari anche fragili, non lo è.
Queste foto (in apertura e sotto l’articolo) rappresentano una strada vicinale o interpoderale che, ad un certo punto, devia in mezzo al campo, fra due filari di olivi di un oliveto. Questa deviazione è dovuta al fatto che la strada originale si è dissestata e non più adeguata al passaggio delle macchine agricole; necessiterebbe di lavori di manutenzione ma la manutenzione costa sia in termini di tempo, sia di denaro, fattori essenziali e troppo spesso limitanti nell’attività agricola, e allora si ritiene più conveniente passare in mezzo al campo costituendo di fatto un’altra strada, aggiungendo, magari inconsapevolmente, danno su danno perché si compatta pesantemente il terreno togliendo al suolo, fra l’altro, una delle sue funzioni principali che è quella di lasciar infiltrare l’acqua. In questa situazione, alla luce dei violenti nubifragi, che sempre più spesso avvengono per effetto dei cambiamenti climatici in atto, l’acqua non si infiltra ma scorre lungo il terreno compattato innescando nuovi processi erosivi.
Nel bacino del Mediterraneo sono oltre una quarantina gli insetti
fitofagi le cui popolazioni possono esprimere una dannosità, talvolta
economica, nei confronti di singole piante e di coltivazioni di fico, Ficus carica
L., 1753 (Moraceae). I soli coleotteri xilofagi, principalmente
afferenti alle famiglie dei Cerambycidae, Bostrychidae e Curculionidae,
ammontano a poco meno di 20 specie di cui circa la metà appartengono ai
cerambicidi.
Per i sensi ci accorgiamo della loro importanza quando li perdiamo o anche solo se diminuisce la loro efficacia, come dimostra la diffusione degli occhiali per la vista e degli apparecchi acustici per l’udito. Per il senso del gusto ce ne siamo accorti nella recente epidemia da coronavirus, quando questo virus migra attraverso le terminazioni nervose olfattive e raggiunge i centri orbitali frontali determinando la diminuzione fino alla perdita dell’olfatto e dei sapori, anche in soggetti positivi al tampone e in assenza di altri sintomi di malattia. L’epitelio olfattivo ospita anche terminazioni del nervo trigemino attraverso le quali il virus sembra raggiungere il cervello portando alla ribalta l’importanza della via trigeminale del gusto.
Il processo di programmazione della PAC in corso a livello italiano, da chiudersi entro la fine del corrente anno, è finalizzato a disegnare le future politiche agricole dal 2023 al 2027. È un appuntamento decisivo che segue il negoziato di alto livello conclusosi a Bruxelles, tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei, alla fine dello scorso mese di giugno, con il varo della riforma post 2022.
In questo momento, tutti i rappresentanti istituzionali ed i portatori di interesse sono impegnati alla definizione del Piano strategico nazionale (PSN) che non è solo un’operazione per ripartire i fondi europei disponibili e le risorse aggiuntive nazionali, tra Regioni, Province autonome, settori produttivi ed interventi di politica agraria.
La definizione del PSN rappresenta soprattutto una possibilità - che non si ripeterà per i prossimi 5 anni - di formulare scelte strategiche lungimiranti e tali da affrontare i problemi dell’agricoltura italiana e cercare di risolverli con interventi mirati e con un calibrato utilizzo delle risorse finanziarie.
Le scelte della Spagna
La Spagna è un più avanti rispetto all’Italia ed ha già completato la predisposizione del PSN, compiendo scelte puntuali e dettagliate che ora sono al vaglio del partenariato.
In particolare, per l’olio d’oliva è stato deciso di attivare gli interventi settoriali, ma limitandone l’applicazione ai soli oliveti tradizionali.
A tale iniziativa sarà dedicato lo 0,6% della dotazione del massimale finanziario disponibile per i pagamenti diretti che, in Spagna, ammontano a 4,9 miliardi di euro per anno (il 36% in più rispetto all’Italia che può contare di un budget di 3,63 miliardi). Pertanto ci sarà una dotazione di 30 milioni di euro per anno durante l’intero quinquennio 2023-2027.
Saranno le organizzazioni dei produttori (OP) a gestire i fondi, attraverso dei programmi operativi pluriennali da loro elaborati ed approvati da parte delle autorità competenti nazionali. Le azioni da finanziare e le modalità per spendere le risorse dovranno mirare a tre obiettivi generali come: il miglioramento della competitività, l’ammodernamento dei criteri di gestione aziendale, la riduzione dei costi di produzione. Ad essere destinatari di tali obiettivi sono esclusivamente le imprese olivicole con impianti tradizionali.
“La ricerca scientifica è il motore di sviluppo di ogni nazione”. Queste parole appartenevano al Prof. Michele Stanca, tristemente scomparso a marzo 2020 a causa del Covid-19, il quale ha rivestito per dieci anni il ruolo di Presidente della UNASA (Unione Nazionale delle Accademie delle Scienze applicate all’Agricoltura). A lui è stata dedicata l’inaugurazione dell’anno accademico 2021, che si è svolta lo scorso 29 settembre nella sede dell’Accademia dei Georgofili, proprio là dove l’UNASA fu fondata nell’ottobre del 2000 per volontà del Prof. Franco Scaramuzzi.
Il Presidente dei Georgofili Massimo Vincenzini nel suo saluto introduttivo, oltre al ricordo commosso per Michele Stanca, ha sottolineato che l’UNASA è divenuta ormai “maggiorenne” ed è pertanto necessario che si ponga oggi nuovi e più ambiziosi obiettivi, anche alla luce dei recenti problemi globali legati all’ambiente e ai cambiamenti climatici.
E’ seguito il discorso del Prof. Pietro Piccarolo, Presidente Facente Funzione di UNASA dopo la scomparsa di Stanca. Anch’egli commosso dal ricordo dell’amico e collega, ha ripercorso brevemente le tappe della storia dell’UNASA e l’importante motivazione della sua costituzione, ossia la necessità di fare sinergia da parte delle varie accademie impegnate nella ricerca per lo sviluppo tecnico, economico e sociale e creare quindi un collegamento permanente, dei comuni programmi di attività e soprattutto costituire un’interfaccia unica a livello nazionale, europeo ed internazionale. Al momento della creazione, aderivano ad UNASA 14 istituzioni. Oggi sono 21, dopo che nel 2011 UNASA si è data un nuovo statuto con un proprio comitato esecutivo ed un collegio di revisori dei conti. Piccarolo ha inoltre ricordato il lavoro instancabile di Michele Stanca per divulgare le innovazioni scientifiche nel mondo rurale, promuovere la passione per la ricerca nei giovani e cercare una linea comune di azione tra tutte le istituzioni dedite alla “Science for Farming”, affinché l’agricoltura rimanesse al centro delle scelte politiche mondiali. Proprio grazie alla loro posizione super partes, ha dichiarato Piccarolo, le Accademie hanno pieno titolo di farsi ascoltare sia a livello istituzionale che da parte dell’opinione pubblica.
La lectio magistralis è stata svolta con straordinaria chiarezza ed efficacia dal Professore Mario Enrico Pè della Scuola Sant’Anna di Pisa, sul tema: “Forbici molecolari e miglioramento genetico, strumento necessario (fondamentale) per l’agricoltura italiana”. Dopo di lui, il Direttore CRA-CER di Foggia, Nicola Pecchioni, ha portato il suo ricordo del Prof. Stanca, della sua grande umanità, della sua cultura e del suo entusiasmo nello studio della genetica agraria. In particolare è stata evidenziata la sua volontà di trasmettere la passione per la ricerca ai giovani.
La cerimonia di inaugurazione si è conclusa infatti con la consegna di due premi nel settore del miglioramento genetico delle piante di interesse agrario, intitolati a Michele Stanca e rivolti a giovani ricercatori. La commissione giudicatrice nominata dalla SIGA (Società Italiana Genetica Agraria) ha decretato vincitori, per questa edizione, la dott.ssa Francesca Taranto, con uno studio sul miglioramento genetico del frumento duro negli ultimi 150 anni pubblicato nel 2020 su “Frontieres in Genetics”, e il dott. Francesco Olivieri con uno studio sui meccanismi molecolari per la tolleranza allo stress da caldo nel pomodoro, pubblicato su “Genes” nel 2020. Era presente alla cerimonia la vedova del Prof. Stanca, la quale ha consegnato personalmente i premi ai due ricercatori, ricordando come uno degli ultimi pensieri del marito fosse rivolto ai suoi studenti.
Il progresso è un concetto che nelle società evolute dovrebbe essere quotidianamente perseguito attraverso l’avanzamento della cultura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, dell’organizzazione sociale, affinché sia possibile procurare all’umanità il raggiungimento del “benessere”, uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell'essere umano e del pianeta, e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona all’interno di una comunità di persone.
Il progresso della società prospera se il dibattito scientifico, che nasce e si sviluppa nelle Accademie, riesce a mantenere la posizione autorevole che deve essere tributata alla conoscenza, fondamento affinché le scelte politiche, orientate allo sviluppo sociale, economico e sostenibile delle nazioni, siano prese con “responsabilità”, cioè rispondendo ai cittadini delle conseguenze delle decisioni assunte.
La legittimazione democratica dell’Unione europea si fonda sui principi di sussidiarietà e di proporzionalità, in base ai quali le decisioni devono essere prese a livello più vicino possibile ai cittadini, basti ricordare che l’art. 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea recita quanto segue: “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale”.
Quindi la premessa al tema che tratterò coinvolge la relazione tra scienza e politica, e il rapporto progresso dell’Unione Europea e sviluppo armonioso delle nazioni.
È noto che il 21 maggio 2020 la Commissione europea ha presentato la "Strategia Farm to Fork", uno dei pilatri del Green Deal europeo, che mira a rendere il sistema di produzione alimentare in Europa sostenibile lungo tutta la catena produttiva dal campo alla tavola, per rafforzarne la resilienza e la capacità di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento.
Nell'ambito della "Strategia Farm to Fork", la Commissione Europea ha inteso proporre un sistema di etichettatura nutrizionale obbligatoria armonizzato a livello UE, che dovrebbe essere adottato entro la fine del 2022. L’argomento è attualmente nell’occhio del ciclone dell’informazione generando preoccupanti fratture tra le nazioni e all’interno degli stessi stati poiché si tratta di “informazioni rivolte ai consumatori” in grado di influenzare le scelte di acquisto e di decidere la vita e la morte di intere filiere se lo standard che sarà scelto non sarà scevro da conflitti di interesse tra scienza, sistemi economici e politica.
Siamo abituati a pensare all’India come a un paese in cui le vacche sono
considerate intoccabili, in quanto sacre e, pertanto, la notizia che
l’allevamento di bovine da latte Bhagyalakshmi, nello stato di
Maharashtra ha raggiunto il traguardo di oltre 50 litri di latte
prodotto al giorno per vacca, un po’ ci stupisce, considerando che la
media nazionale è poco più di 10 litri
Molti
fattori sono coinvolti nel declino della fertilità maschile e sono stati fatti grandi
sforzi per salvare la spermatogenesi, ma con pochi progressi nel
miglioramento della qualità dello sperma. Inoltre è stato sottovalutato
il ruolo dell’alimentazione sul quale recentemente hanno richiamato
l’attenzione ricercatori cinesi coinvolgendo, diciamo subito in senso
positivo e di possibile contrasto al calo degli spermatozoi, le castagne
e aprendo un nuovo scenario sul ruolo degli alimenti nella infertilità
maschile.
Il Dott. Ruggero Mazzili, nelle sue chiarissime relazioni, ama spesso
ripetere un concetto che, personalmente, ritengo validissimo e mai
tramontabile, nonostante tutte le agricolture “puntate” (Agricoltura3.0,
4.0, ecc.).
Mazzili così si esprime: “Per effettuare un buon esame del suolo occorrono 1) Mani per toccarlo; 2) Occhi per guardarlo; 3) Testa per capirlo; 4) Gambe e fiato per perlustrarlo”.
La
scienza della fertilizzazione ha visto negli ultimi anni un
intensificarsi di lavori scientifici nel settore della nutrizione
vegetale, in particolare nei riguardi di prodotti e formulati
“innovativi”, spesso indicati come biostimolanti. La ricerca “affannata”
da parte delle società di produzione, ma anche di molti ricercatori, ha
fatto spesso dimenticare che l’agricoltore e il tecnico di molte
aziende, non “super-evolute” dal punto di vista tecnologico, hanno
ancora bisogno di sistemi e mezzi tecnici semplici e facilmente
applicabili.
Questo non significa rifiutare la ricerca e le sue
“produzioni”, ma ci ricorda che l’Italia agricola è fatta ancora di una
moltitudine di piccole aziende con esigenze molto diverse da quelle
“evolute” dal punto di vista tecnologico. Anche queste hanno però il
“sacrosanto” diritto di essere seguite ed aiutate dal punto di vista
tecnico, a maggior ragione oggi che vengono man mano a scomparire i
servizi di assistenza tecnica regionali.
Sicuramente le analisi del
terreno, quelle fogliari, peziolari, ecc., insieme alle innovazioni dei
prodotti e delle tecniche di distribuzione, rappresentano una solida
base tecnico-scientifica su cui far affidamento per stilare corretti
piani di fertilizzazione, ma non deve cadere in secondo piano la
conoscenza diretta dell’appezzamento, della coltura e delle pratiche
agronomiche messe in atto dall’agricoltore.
Molte aziende si affidano
a consulenti capaci ed esperti nella realizzazione di piani di
concimazione, ma sono ancora molte quelle che agiscono senza nessuna
base o concetto scientifico, e si muovono in modo empirico, spesso con
notevoli dispendi finanziari e riflessi negativi sull’ambiente.
Diversi
sono stati i tentativi per cercare di dare indicazioni pratiche sulla
concimazione delle colture, in particolare quelli messi in atto per
redigere i “bilanci di concimazione” per i disciplinari di produzione
integrata, complessi sistemi di calcolo che dovrebbero servire a
razionalizzare l’uso dei concimi, perfezionando dosi, epoche e modalità
di applicazione.