Notiziario

Un tesoro alimentare nella pelle della trota

Gli omega-3, come da tempo documenta la scienza dell'alimentazione, sono un importante alleato della nostra salute. Questi acidi grassi polinsaturi permettono il mantenimento di alcune funzioni metaboliche e la risoluzione di processi infiammatori di varia natura. L'organismo umano ne sintetizza in minima parte: per questo per soddisfarne il fabbisogno occorre un'alimentazione che contenga, ad esempio, il pesce o, più in generale, i prodotti ittici.
Nuove acquisizioni in questo campo vengono da uno studio sulla pelle della trota iridea, pubblicato su Waste and Biomass Valorization dal gruppo di ricerca di Acquacoltura del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (Dagri) dell’Università di Firenze, in collaborazione con l’Università di Udine [“Rainbow Trout (Oncorhynchus mykiss) Skin as Potential n-3 Fatty Acid Source” https://doi.org/10.1007/s12649-021-01384-3 ].

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Il contributo degli insetti come ingredienti alimentari per salvare il pianeta

Già da qualche tempo la stampa internazionale specializzata indica all’attenzione degli specialisti del settore mangimistico le farine di insetti come ingrediente alimentare proteico alternativo alla soia.

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La consultazione pubblica europea sulla nuova strategia per il suolo

La Direzione Generale Ambiente della Commissione europea ha lanciato un questionario pubblico per raccogliere pareri sulla nuova strategia tematica sul suolo che dovrà essere emanata il prossimo anno.
Per compilare il questionario, anche in italiano, c’è tempo fino al 28 aprile p.v. presso https://ec.europa.eu/environment/news/commission-consults-new-eu-soil-strategy-2021-02-02_it

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Bistecche sintetiche : quale sostenibilità energetica e ambientale?

Gli interventi dei Professori Luigi Costato e Giuseppe Bertoni (Georgofili INFO 31 marzo e 7 aprile 2021), per molti aspetti condivisibili, meritano due chiarimenti sui problemi peraltro complessi e connessi alle prospettive di arrivare ad una riduzione degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e CO2, sostituendo la carne con prodotti di laboratorio contenenti proteine da cellule animali coltivate, le cosiddette “bistecche sintetiche”.
Un primo ordine di considerazioni è di tipo storico perché non è la prima volta che si pensa di produrre alimenti “sintetici”. Il Milleottocento è il secolo che vede la nascita e lo sviluppo della chimica, quando Justus von Liebig (1803 – 1873) inventa l’estratto di carne e il farmacista Hippolyte Mège-Mouriès nel 1869 presenta a Napoleone III la margarina, e alla fine del secolo le previsioni sono che nessun oggetto più pesante dell’aria avrebbe solcato i cieli, nessun messaggio si sarebbe diffuso se non su dei fili e soprattutto che ci si sarebbe alimentati con pillole prodotte dalla chimica, ma la chimica non riesce a sostituire l’agrozootecnia. Il Millenovecento è il secolo che vede lo sviluppo della microbiologia e soprattutto delle fermentazioni microbiche su scala industriale per la produzione di antibiotici e altre molecole, per cui non solo si prospettano, ma si iniziano a produrre proteine microbiologiche destinate all’alimentazione e per combattere la fame nel mondo, le Single Cell Protein (SCP). Le SCP sono prodotte da batteri o da lieviti coltivati su substrati contenenti metanolo derivato dal metano o paraffine d’origine petrolifera e non hanno successo soprattutto perché non competitive con le proteine prodotte dalle leguminose, soprattutto dalla soia, che in modo molto economico, non inquinante e a costo energetico zero, sono capaci d’utilizzare l’azoto atmosferico, quindi sul campo della sostenibilità l’agrozootecnia vince su gli alimenti sintetici. Il Duemila è il secolo della biologia cellulare e della coltivazione delle cellule animali per scopi farmaco-sanitari e per questo non ci si deve stupire si presenti la possibilità di produrre “bistecche sintetiche” con una nuova prospettiva: non più per combattere la fame, perché queste bistecche sono per i paesi ricchi, ma per contrastare il cambiamento climatico che sarebbe causato dagli allevamenti animali causa di deforestazione, inquinamento ambientale e produttori di gas serra. A parte il fatto che anche nei paesi ricchi le proteine sintetiche sono destinate ai fast food e i veri ricchi, come nel passato, vorranno mangiare alimenti naturali, anzi sempre più naturali, un’ampia produzione di “bistecche sintetiche” è sostenibile per essere una soluzione dell’inquinamento ambientale e dei cambiamenti climatici, come vorrebbero alcuni e tra questi Bill Gates?

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Danni da gelo e cambiamenti climatici. Le temperature sotto zero dell’8 aprile 2021

Il cambiamento climatico sta portando con sé non solo estati più secche, ma anche primavere più calde. Ciò fa sì che alberi e arbusti germoglino prima, rendendoli vulnerabili al gelo tardivo.
Quello che tutti gli anni gli agricoltori temono si è verificato. Lo scorso 8 aprile le temperature in diverse zone d’Italia sono precipitate fino a raggiungere valori che neanche durante l’inverno si erano raggiunti. Le gelate tardive primaverili influenzano non solo la produzione, ma possono indurre danni esiziali alle piante o, comunque, indebolirle e predisporle agli attacchi di agenti secondari. Nonostante il loro impatto ecologico ed economico sull'agricoltura e la silvicoltura, la distribuzione geografica e l'impatto evolutivo di questi eventi di gelo sono ancora poco conosciuti.
Un lavoro pubblicato lo scorso anno sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha analizzato la frequenza delle gelate tardive tra il 1959 e il 2017 e le strategie di tolleranza delle specie legnose dell'emisfero settentrionale per dedurre gli adattamenti degli alberi, per ridurre al minimo i danni da gelo alle piante e per prevedere la vulnerabilità delle foreste causate dai cambiamenti in corso nelle frequenze dei ritorni di freddo.
I valori dei caratteri sulla data di germogliamento e sulla tolleranza al congelamento delle foglie analizzati nella ricerca provenivano da circa 1.500 specie legnose temperate e boreali coltivate nei giardini comuni. L’analisi ha evidenziato che le aree in cui le gelate tardive sono comuni, come il Nord America orientale, ospitano specie di alberi che germogliano più tardivamente. Le aree in cui i ritorni di freddo sono più improbabili, come le foreste di latifoglie e gli arbusti in Europa e in Asia, ospitano invece specie arboree “opportuniste”, che reagiscono rapidamente al riscaldamento delle temperature dell'aria.

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Le seduttive orchidee

Delle circa 20.000 specie di orchidee, afferenti a quasi 800 generi diversi, diffuse dai tropici all’artico, circa 200 sono presenti in Italia. Nei prati e nelle radure soleggiate, le Ofridi, attirano l’attenzione per la bellezza delle forme e dei colori dei fiori che, nonostante non producano nettare, vengono visitati da determinati insetti, dalla cui attività dipende l’impollinazione incrociata.

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La bottarga dei Faraoni e della Sardegna

In una immagine rinvenuta nella vasta necropoli di Saqqara a trenta chilometri a sud della città moderna del Cairo è stata trovata quella che si ritiene la prima immagine di una bottarga, ovaia di pesce e in particolare del muggine o cefalo conservata con il sale. Siamo nel periodo dell’Antico Regno (2700 – 2192 a. C.) e il bassorilievo rappresenta un uomo che tra le mani ha un muggine, lo sta aprendo con un coltello e vicino ha due oggetti che paiono sacche di uova di pesce.

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Dal laboratorio anti-Covid, al laboratorio pro-bistecche?

Ritengo giusto dare atto al Prof. Costato per il richiamo, fatto su "Georgofili Info" del 31 marzo 2021 (http://www.georgofili.info/contenuti/lo-storico-problema-dellalimentazione-la-sicurezza-degli-approvvigionamenti-la-food-sovereignty-e-la/15528), di quanto sia importante la produzione agricola in qualche modo “autarchica” in tempi di certezze sempre più evanescenti, come il COVID-19 sta insegnando. Interessante la “carrellata” storica a partire dal tardo Paleolitico per arrivare ai giorni nostri con gli alti e bassi della sicurezza alimentare (seguiti da conseguenze talora drammatiche per le popolazioni italiane), alla cui origine ben diverse sono state le motivazioni nel tempo. Un documento, quello del Prof. Costato, da meditare soprattutto in tempi che si caratterizzano per una scarsa attenzione alla disponibilità di cibo – quasi fosse un assunto - preferendole altri aspetti ugualmente essenziali: qualità, ambiente, benessere animale ecc., ma col rischio di perdere l’avverbio “ugualmente” per diventare prioritari.
Per contro, della posizione del Prof. Costato, 3 sono gli aspetti che suscitano in me una qualche perplessità e che, in certa misura, sono interconnessi in quanto convergono nel 3° di essi insito nella frase: “arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e CO2, alla sostituzione della carne con prodotti di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla,…”.
I primi due aspetti riguardano: i) la mancata segnalazione che, fra il 1500 e il 1800, la rapida crescita della popolazione, e la necessità di coltivare a più non posso, portò a contrarre lo spazio per gli animali allevati con una serie di conseguenze di cui la minore altezza dei giovani è stato un indice inequivocabile (seppure il meno grave); ii) parlare di surplus nel caso dei prodotti alimentari provenienti dalle colonie del Regno Unito e di altri Paesi coloniali, è un eufemismo giacché le popolazioni locali di tali colonie non vivevano certo nell’abbondanza, specie per gli alimenti di origine animale.
Tuttavia, di maggiore interesse per me è l’invito a questa “drastica riduzione” degli allevamenti che, anzitutto, non è chiaro se limitata all’Italia come sembra:
    • In un Paese dove la zootecnia non è fra le massime espressioni dell’attività agricola;
    • In un Paese dove l’Ispra (2020) parla di un 7% delle emissioni di CO2 dell’intero comparto agricolo;
    • In un paese dove il consumo, specie di carni, supera di poco quei minimi sotto i quali significherebbe rischio di malnutrizione, specie per i giovani, le donne e gli anziani;
    • In un Paese dove il bosco sta tornando alla grande e per molte ragioni – non ultima quella paesaggistica che vede gli animali selvatici e allevati in “pole position” – per cui tale ritorno andrebbe visto entro forme silvo-pastorali che accrescono l’effetto “sink” del carbonio.

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La riorganizzazione del Servizio Fitosanitario Nazionale nel quadro delle nuove sfide per la difesa delle piante: il Decreto Legislativo 2 febbraio 2021, n.19

Prendendo atto delle criticità nella difesa delle piante emerse talvolta anche in modo drammatico nel corso di due decenni di applicazione del mercato unico, l’Unione Europea ha intrapreso una profonda revisione normativa del regime fitosanitario comunitario, che ha portato all’adozione di due nuovi regolamenti di base, il Reg. (UE) 2016/2031 relativo alle misure di protezione contro i parassiti delle piante e il Reg. (UE) 2017/625 sui controlli e altre attività ufficiali, con l'obiettivo di contrastare l'ingresso e la diffusione di organismi e microrganismi nocivi per la salute delle piante, le produzioni vegetali, gli ecosistemi forestali, gli impianti di arboricultura da legno, il verde urbano e periurbano, gli ambienti naturali e più in generale il patrimonio di biodiversità dell'Unione.
Il nuovo regime, completato da più di 30 regolamenti esecutivi già adottati, pur mantenendo le architetture di base preesistenti, ha modificato profondamente le modalità di intervento sulle emergenze fitosanitarie mediante l’elaborazione di specifici Piani di emergenza, il rafforzamento dei controlli alle importazioni, l'individuazione di una rete laboratoristica per la diagnosi, la modifica della struttura del passaporto delle piante, ma, soprattutto, attraverso una maggiore responsabilità a carico di tutti gli operatori professionali, in un’ottica di tracciabilità delle produzioni e rintracciabilità degli eventuali problemi fitosanitari.
Se da una parte agli operatori professionali è richiesta una maggiore responsabilità sui materiali vegetali prodotti e una migliore organizzazione delle proprie strutture, dall’altra le autorità competenti per i controlli dovranno dotarsi di strutture conformi ai requisiti fissati e di risorse umane e finanziare adeguate a garantire un intervento proattivo sugli organismi nocivi delle piante.

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Inaugurazione dell'Anno Accademico dei Georgofili

La cerimonia per l’Inaugurazione del 268° Anno Accademico dei Georgofili si svolgerà in modalità telematica il prossimo Mercoledì 21 aprile 2021 e potrà essere seguita in diretta streaming sul nostro sito, a partire dalle ore 10.30.
A causa della pandemia da Covid-19 e delle misure messe in atto per contrastare la diffusione del virus, infatti, per il secondo anno consecutivo, non potremo incontrarci nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, sede che tradizionalmente ha ospitato questa importante cerimonia.
Dopo i saluti del Sindaco Dario Nardella e la relazione del Presidente, Massimo Vincenzini, la prolusione sarà svolta dall’Accademico Emerito Dario Casati su "Oltre la pandemia, quale futuro per l’agricoltura".
Non sarà possibile, quindi, dare il benvenuto ai nuovi Accademici, consegnando loro di persona i diplomi, ed anche la consegna dei consueti Premi, Antico Fattore e AgroInnovation Award, subirà un cambiamento di programma, non avvenendo più a chiusura della cerimonia inaugurale, ma in eventi successivi, appositamente organizzati ma ancora da definire, quando la situazione pandemica lo permetterà.
L'inaugurazione del 268° Anno Accademico vuole essere più che mai una conferma del fatto che l’Accademia è presente, vitale ed operativa, e guarda al futuro con il ragionevole ottimismo di chi ha una incrollabile fiducia nella Scienza e nel suo metodo.
Deve, tuttavia, essere sottolineato che, durante gli ultimi terribili mesi, l'Accademia dei Georgofili, nello spirito del suo secolare motto "Prosperitati Publicae Augendae", non ha mai interrotto la propria attività, ma ha, anzi, moltiplicato i propri sforzi a supporto dell'agricoltura e degli agricoltori, articolando le sue azioni per individuare e diffondere gli strumenti più adeguati per quella ripresa economica che dovrà porre rimedio ai danni materiali patiti dalla società per la persistente pandemia.

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Idrolizzati proteici in agricoltura: se sì, con moderazione!

Diversi studi riportano che le applicazioni fogliari ripetute di prodotti commerciali a base di idrolizzati proteici di origine animale possono causare fitotossicità e rallentamenti della crescita delle piante; nessuna fitotossicità e riduzione della crescita sono state osservate, in genere, nelle piante dopo applicazioni fogliari di amminoacidi di origine vegetale.

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Tecnologie innovative per la valutazione dello stato di salute degli alberi

Anche in Sardegna gli alberi di leccio (Quercus ilex L.), sia nel verde pubblico che privato, sono oggetto di attacchi fungini che producono cancri corticali e decadimento strutturale del fusto che, nei casi più gravi, possono essere accompagnati da pericolosi schianti. Al fine di contribuire ad approfondire e contrastare questa importante problematica, uno studio fortemente innovativo è stato recentemente pubblicato sulla rivista Applied Sciences (Puxeddu, M.; Cuccuru, F.; Fais, S.; Casula, G., Bianchi, M.G., 2021. 3D Imaging of CRP and Ultrasonic Tomography to Detect Decay in a Living Adult Holm Oak (Quercus ilex L.) in Sardinia (Italy). Appl.Sci. 2021,11, 1199) https://doi.org/10.3390/app11031199).

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Lo storico problema dell’alimentazione: la sicurezza degli approvvigionamenti, la food sovereignty e la nuova agricoltura

La vita dell’uomo è stata caratterizzata dalla sua costante ricerca di cibo, sino a quando la scoperta dell’agricoltura gli ha fornito gli strumenti per soddisfare questa primaria esigenza.
Malgrado ciò sia accaduto più di diecimila anni fa, ancor oggi quasi un miliardo di umani patiscono la fame, le vicende del clima sembrano non offrire loro soluzioni semplici e a portata di mano. Eppure anche gli imperi antichissimi (Sumeri, Accadi, Faraoni, Romani e Cinesi) adottarono, ciascuno con tecniche diverse, politiche che consentissero ai sudditi rispettivi di  sfamarsi, specie se abitanti nelle città.
Molto di recente, grazie allo sviluppo della rapidità delle comunicazioni anche nel campo delle merci, si sono stipulati accordi multilaterali (Marrakech 1994) per liberalizzare la circolazione delle merci, ridurre i dazi in modo da favorire lo sviluppo della “specializzazione” della produzione dei vari prodotti in certe parti del mondo (mascherine in Cina, cellulari in USA e in Corea, automobili in Germania ecc.).
Ma le recenti vicende del Covid 19 hanno dimostrato che, malgrado trattati multilaterali, contratti, impegni fra privati e fra governi, nella crisi si può bloccare la circolazione di prodotti ritenuti essenziali, come le mascherine e i reagenti per tamponi. E questo rischio potrebbe dare origine anche a crisi alimentari in paesi industrializzati ricchi che hanno rinunciato ad una agricoltura che garantisca l’autosufficienza alimentare.
La globalizzazione è apportatrice, certamente, di vantaggi, anche se il suo governo richiederebbe un approccio diverso: infatti, se nell’XIX secolo aveva un senso uno stato come l’Italia, la Francia e persino il Portogallo e Malta, dato che i collegamenti avevano un raggio efficiente di scarsa postata, oggi la terra si è, di fatto, rimpicciolita e i problemi che la interessano sono globali non solo dal punto di vista commerciale ma, cosa ancora più importante, ma da quello climatico, alimentare e sanitario, come l’attuale situazione sta a dimostrare.
Un virus può mettere in ginocchio l’intera umanità, i cambiamenti climatici stanno già mostrando effetti devastanti mentre una crisi alimentare, che è già presente a un settimo degli umani potrebbe ampliarsi in modo sorprendente a causa del peggiorare degli affetti climatici.
Occorre, dunque, un sistema di governance di questi eventi che coinvolga tutti gli stati del mondo, o almeno i principali.
Fra i provvedimenti che sarebbe opportuno considerare ve ne sono alcuni fondamentali, che coinvolgono l’agricoltura, destinata probabilmente ad una cambio importante di scopo rispetto a quello che l’ha originata.
Occorrerà arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e co2, alla sostituzione della carne con prodotti di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla, ad una massiccia rivalutazione dei boschi e della loro coltivazione in zone aride, in zone artiche o in altissima montagna per incarcerare co2, allo sviluppo di coltivazioni erbacee  modificate per produrre non solo carboidrati, ma anche vitamine e proteine; insomma, ci dobbiamo avviare verso una nuova rivoluzione agricola dove allo scopo ambientalistico si affiancherà anche lo scopo produttivistico: l’uomo non abbatterà più alberi per estendere le superfici coltivate e destinate a pascoli, ma incentiverà l’arboricoltura e alcune coltivazioni erbacee, ridurrà drasticamente l’allevamento di animali dando origine ad una nuova agricoltura, più efficace dal punto di vista ambientale ma anche meglio adatta alla coincidenza del settore primario con la sopravvivenza del genere umano, tentando di diminuite la sua invasività e di ricostruire un pianeta capace di sopportare la nostra pressante presenza.


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Un volume sul nocciolo scaricabile gratuitamente

“Il Nocciolo - Impianto e gestione delle coltivazioni da frutto” di Moreno Moraldi, è qui scaricabile per il lettori di Georgofili INFO

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Miglioramento delle caratteristiche nutrizionali del pane utilizzando farina di ceci maltati

I legumi sono considerati un'alternativa vegetale ai prodotti carnei grazie al loro profilo nutrizionale, i bassi costi di coltivazione ed il ridotto impatto ambientale. Nonostante il loro relativamente alto contenuto proteico, la qualità nutrizionale ​​risente della carenza di aminoacidi solforati e della presenza di fattori anti-nutrizionali, quali acido fitico, polifenoli e α-galattosidi (che causano flatulenza). Questi composti subiscono una parziale degradazione a seguito del processo di maltazione, che consta in genere di tre diverse fasi: macerazione, germinazione ed essiccazione.

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Le alghe marine e le larve di insetti come alimenti proteici alternativi alla soia

L’attenzione nei riguardi delle attività zootecniche responsabili, secondo alcuni, di più della metà delle emissioni totali di gas serra in atmosfera, si è riaccesa recentemente, tanto da indurre il Comitato Consultivo “Allevamenti e Prodotti Animali” della nostra Accademia dei Georgofili a pubblicare un deciso commento sulla “newsletter” del 17 marzo scorso dal titolo “Improvvisazioni, falsità e clamori giornalistici sugli allevamenti e sui prodotti di origine animale. La necessità di un dialogo su vere basi scientifiche”.
Nel commento si ribadisce che i dati ufficiali, anche della FAO (2019), attribuiscono alla zootecnia non più del 14% della “colpa” globale dell’inquinamento, per cui sarebbe opportuno guardare, contemporaneamente, anche in altre direzioni, ad esempio ai trasporti terrestri ed aerei, alle attività industriali non rispettose delle norme, alle centrali elettriche a carbone o all’eccessivo dispendio energetico per la climatizzazione degli ambienti pubblici, commerciali e domestici.
Comunque, se vogliamo fare qualcosa per mitigare i guai connessi agli allevamenti animali, ben vengano le proposte innovative e non solo le critiche.
I due problemi che sembrano pesare di più in questo momento sono l’allevamento dei ruminanti, che utilizzano l’energia della fibra alimentare con emissione di metano, e l’impiego praticamente esclusivo della soia come ingrediente proteico dei mangimi un po’ di tutti gli animali allevati. Entrambe le attività spingono alla criminale pratica della deforestazione di vaste zone con conseguenze disastrose sulla “purificazione” dell’atmosfera dalla CO2 per fotosintesi, la salvaguardia delle biodiversità e delle popolazioni locali. Per non parlare della necessità di trasporti da un continente all’altro, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di ulteriore inquinamento da gas serra.
Cosa possiamo fare? Ad alcuni è venuto spontaneo proporre di divenire tutti vegani o, almeno, vegetariani, magari eliminando dalla faccia della terra i ruminanti, dimenticando, ad esempio, che la sola risicoltura contribuisce per l’11% della produzione globale di metano. Il problema nel problema è che non è possibile: non disponiamo di sufficienti aree coltivabili, non coperte da foreste, adeguate a garantire a tutti i quasi otto miliardi di abitanti di questo pianeta gli alimenti necessari a sostenere i fabbisogni nutritivi, specialmente proteici, minerali, lipidici (omega tre) e vitaminici (vitamina B12), dei bambini in special modo.

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Cambiamento climatico e prodotti tipici

Negli ultimi trent'anni, a causa di pochi gradi di differenza della temperatura stanno mutando le vite di specie animali selvatici, uccelli che migrano prima, renne e caribù che si spostano quando non dovrebbero, lupi e orsi che trasformano i loro comportamenti e molte specie animali selvatiche stanno scomparendo, ma cosa avviene negli animali domestici allevati dall’uomo e nelle loro produzioni a causa dei cambiamenti climatici in corso e ancor più previsti? Quali le possibili prospettive per i prodotti tipici dei quali l’Italia è ricca?
Quando si dice che “Il clima è già cambiato” si elenca un susseguirsi di record che non possono lasciare indifferenti per un’eccezionalità che è diventata la norma con una tendenza in Italia alla tropicalizzazione del clima che si manifesta con un’elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense e sbalzi termici, aumento delle temperature massime, periodi anormalmente siccitosi o piovosi con precipitazioni fuori dalla norma. I cambiamenti climatici sono oggetto d’attenzione soprattutto per gli effetti che gli eventi estremi hanno sui centri abitati, le strade e le altre strutture umane. Molto meno il pubblico considera le correlazioni tra i cambiamenti climatici e il sistema alimentare e quali sono le possibili vie per affrontare la crisi climatica attraverso le pratiche eco-sostenibili da adottare nell’intera catena alimentare.
Molte sono le specie vegetali e animali che siamo abituati a vedere sulle nostre tavole e che da alimenti comuni potrebbero divenire prodotti privilegiati perché più che scomparire potrebbero subire gli effetti di uno spostamento di fascia climatica della loro produzione. Ciò significa che quello che oggi si coltiva, si alleva, si conserva a latitudini temperate, domani potrebbe trovare terreno e clima più favorevoli in altre parti del mondo, che così potrebbero trarre benefici economici dai cambiamenti climatici. Senza dimenticare che alcune coltivazioni potrebbero trarre vantaggio da un ulteriore aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera.

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