Gli omega-3, come da tempo documenta la scienza dell'alimentazione, sono
un importante alleato della nostra salute. Questi acidi grassi
polinsaturi permettono il mantenimento di alcune funzioni metaboliche e
la risoluzione di processi infiammatori di varia natura. L'organismo
umano ne sintetizza in minima parte: per questo per soddisfarne il
fabbisogno occorre un'alimentazione che contenga, ad esempio, il pesce
o, più in generale, i prodotti ittici.
Nuove acquisizioni in questo campo vengono da uno studio sulla pelle della trota iridea, pubblicato su Waste and Biomass Valorization
dal gruppo di ricerca di Acquacoltura del Dipartimento di Scienze e
Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (Dagri)
dell’Università di Firenze, in collaborazione con l’Università di Udine
[“Rainbow Trout (Oncorhynchus mykiss) Skin as Potential n-3 Fatty Acid Source” https://doi.org/10.1007/s12649-021-01384-3
].
Già da qualche tempo la stampa internazionale specializzata indica
all’attenzione degli specialisti del settore mangimistico le farine di
insetti come ingrediente alimentare proteico alternativo alla soia.
La Direzione Generale Ambiente della Commissione europea ha lanciato un
questionario pubblico per raccogliere pareri sulla nuova strategia
tematica sul suolo che dovrà essere emanata il prossimo anno.
Per compilare il questionario, anche in italiano, c’è tempo fino al 28 aprile p.v. presso https://ec.europa.eu/environment/news/commission-consults-new-eu-soil-strategy-2021-02-02_it
Gli interventi dei Professori Luigi Costato e Giuseppe Bertoni (Georgofili INFO 31 marzo e 7 aprile 2021),
per molti aspetti condivisibili, meritano due chiarimenti sui problemi
peraltro complessi e connessi alle prospettive di arrivare ad una
riduzione degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e CO2,
sostituendo la carne con prodotti di laboratorio contenenti proteine da
cellule animali coltivate, le cosiddette “bistecche sintetiche”.
Un
primo ordine di considerazioni è di tipo storico perché non è la prima
volta che si pensa di produrre alimenti “sintetici”. Il Milleottocento è
il secolo che vede la nascita e lo sviluppo della chimica, quando
Justus von Liebig (1803 – 1873) inventa l’estratto di carne e il
farmacista Hippolyte Mège-Mouriès nel 1869 presenta a Napoleone III la
margarina, e alla fine del secolo le previsioni sono che nessun oggetto
più pesante dell’aria avrebbe solcato i cieli, nessun messaggio si
sarebbe diffuso se non su dei fili e soprattutto che ci si sarebbe
alimentati con pillole prodotte dalla chimica, ma la chimica non riesce a
sostituire l’agrozootecnia. Il Millenovecento è il secolo che vede lo
sviluppo della microbiologia e soprattutto delle fermentazioni
microbiche su scala industriale per la produzione di antibiotici e altre
molecole, per cui non solo si prospettano, ma si iniziano a produrre
proteine microbiologiche destinate all’alimentazione e per combattere la
fame nel mondo, le Single Cell Protein (SCP). Le SCP sono
prodotte da batteri o da lieviti coltivati su substrati contenenti
metanolo derivato dal metano o paraffine d’origine petrolifera e non
hanno successo soprattutto perché non competitive con le proteine
prodotte dalle leguminose, soprattutto dalla soia, che in modo molto
economico, non inquinante e a costo energetico zero, sono capaci
d’utilizzare l’azoto atmosferico, quindi sul campo della sostenibilità
l’agrozootecnia vince su gli alimenti sintetici. Il Duemila è il secolo
della biologia cellulare e della coltivazione delle cellule animali per
scopi farmaco-sanitari e per questo non ci si deve stupire si presenti
la possibilità di produrre “bistecche sintetiche” con una nuova
prospettiva: non più per combattere la fame, perché queste bistecche
sono per i paesi ricchi, ma per contrastare il cambiamento climatico che
sarebbe causato dagli allevamenti animali causa di deforestazione,
inquinamento ambientale e produttori di gas serra. A parte il fatto che
anche nei paesi ricchi le proteine sintetiche sono destinate ai fast
food e i veri ricchi, come nel passato, vorranno mangiare alimenti
naturali, anzi sempre più naturali, un’ampia produzione di “bistecche
sintetiche” è sostenibile per essere una soluzione dell’inquinamento
ambientale e dei cambiamenti climatici, come vorrebbero alcuni e tra
questi Bill Gates?
Il cambiamento climatico sta portando con sé non solo estati più secche,
ma anche primavere più calde. Ciò fa sì che alberi e arbusti germoglino
prima, rendendoli vulnerabili al gelo tardivo.
Quello che tutti gli
anni gli agricoltori temono si è verificato. Lo scorso 8 aprile le
temperature in diverse zone d’Italia sono precipitate fino a raggiungere
valori che neanche durante l’inverno si erano raggiunti. Le gelate
tardive primaverili influenzano non solo la produzione, ma possono
indurre danni esiziali alle piante o, comunque, indebolirle e
predisporle agli attacchi di agenti secondari. Nonostante il loro
impatto ecologico ed economico sull'agricoltura e la silvicoltura, la
distribuzione geografica e l'impatto evolutivo di questi eventi di gelo
sono ancora poco conosciuti.
Un lavoro pubblicato lo scorso anno sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)
ha analizzato la frequenza delle gelate tardive tra il 1959 e il 2017 e
le strategie di tolleranza delle specie legnose dell'emisfero
settentrionale per dedurre gli adattamenti degli alberi, per ridurre al
minimo i danni da gelo alle piante e per prevedere la vulnerabilità
delle foreste causate dai cambiamenti in corso nelle frequenze dei
ritorni di freddo.
I valori dei caratteri sulla data di
germogliamento e sulla tolleranza al congelamento delle foglie
analizzati nella ricerca provenivano da circa 1.500 specie legnose
temperate e boreali coltivate nei giardini comuni. L’analisi ha
evidenziato che le aree in cui le gelate tardive sono comuni, come il
Nord America orientale, ospitano specie di alberi che germogliano più
tardivamente. Le aree in cui i ritorni di freddo sono più improbabili,
come le foreste di latifoglie e gli arbusti in Europa e in Asia,
ospitano invece specie arboree “opportuniste”, che reagiscono
rapidamente al riscaldamento delle temperature dell'aria.
Delle circa 20.000 specie di orchidee, afferenti a quasi 800 generi
diversi, diffuse dai tropici all’artico, circa 200 sono presenti in
Italia. Nei prati e nelle radure soleggiate, le Ofridi, attirano
l’attenzione per la bellezza delle forme e dei colori dei fiori che,
nonostante non producano nettare, vengono visitati da determinati
insetti, dalla cui attività dipende l’impollinazione incrociata.
In una immagine rinvenuta nella vasta
necropoli di Saqqara a trenta chilometri a sud della città moderna del
Cairo è stata trovata quella che si ritiene la prima immagine di una
bottarga, ovaia di pesce e in particolare del muggine o cefalo
conservata con il sale. Siamo nel periodo dell’Antico Regno (2700 – 2192
a. C.) e il bassorilievo rappresenta un uomo che tra le mani ha un
muggine, lo sta aprendo con un coltello e vicino ha due oggetti che
paiono sacche di uova di pesce.
Ritengo giusto dare atto al Prof. Costato per il richiamo, fatto su "Georgofili Info" del 31 marzo 2021 (http://www.georgofili.info/contenuti/lo-storico-problema-dellalimentazione-la-sicurezza-degli-approvvigionamenti-la-food-sovereignty-e-la/15528),
di quanto sia importante la produzione agricola in qualche modo
“autarchica” in tempi di certezze sempre più evanescenti, come il
COVID-19 sta insegnando. Interessante la “carrellata” storica a partire
dal tardo Paleolitico per arrivare ai giorni nostri con gli alti e bassi
della sicurezza alimentare (seguiti da conseguenze talora drammatiche
per le popolazioni italiane), alla cui origine ben diverse sono state le
motivazioni nel tempo. Un documento, quello del Prof. Costato, da
meditare soprattutto in tempi che si caratterizzano per una scarsa
attenzione alla disponibilità di cibo – quasi fosse un assunto -
preferendole altri aspetti ugualmente essenziali: qualità, ambiente,
benessere animale ecc., ma col rischio di perdere l’avverbio
“ugualmente” per diventare prioritari.
Per contro, della posizione
del Prof. Costato, 3 sono gli aspetti che suscitano in me una qualche
perplessità e che, in certa misura, sono interconnessi in quanto
convergono nel 3° di essi insito nella frase: “arrivare ad una
riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la produzione di
metano e CO2, alla sostituzione della carne con prodotti di laboratorio
contenenti altre proteine derivate probabilmente da molecole di carne
che non hanno mai vissuto in una stalla,…”.
I primi due aspetti
riguardano: i) la mancata segnalazione che, fra il 1500 e il 1800, la
rapida crescita della popolazione, e la necessità di coltivare a più non
posso, portò a contrarre lo spazio per gli animali allevati con una
serie di conseguenze di cui la minore altezza dei giovani è stato un
indice inequivocabile (seppure il meno grave); ii) parlare di surplus
nel caso dei prodotti alimentari provenienti dalle colonie del Regno
Unito e di altri Paesi coloniali, è un eufemismo giacché le popolazioni
locali di tali colonie non vivevano certo nell’abbondanza, specie per
gli alimenti di origine animale.
Tuttavia, di maggiore interesse per me è l’invito a questa “drastica riduzione” degli allevamenti che, anzitutto, non è chiaro se limitata all’Italia come sembra:
• In un Paese dove la zootecnia non è fra le massime espressioni dell’attività agricola;
• In un Paese dove l’Ispra (2020) parla di un 7% delle emissioni di CO2 dell’intero comparto agricolo;
• In un paese dove il consumo, specie di carni, supera di poco quei
minimi sotto i quali significherebbe rischio di malnutrizione, specie
per i giovani, le donne e gli anziani;
• In un Paese dove il
bosco sta tornando alla grande e per molte ragioni – non ultima quella
paesaggistica che vede gli animali selvatici e allevati in “pole
position” – per cui tale ritorno andrebbe visto entro forme
silvo-pastorali che accrescono l’effetto “sink” del carbonio.
Prendendo atto delle criticità nella difesa delle piante emerse talvolta
anche in modo drammatico nel corso di due decenni di applicazione del
mercato unico, l’Unione Europea ha intrapreso una profonda revisione
normativa del regime fitosanitario comunitario, che ha portato
all’adozione di due nuovi regolamenti di base, il Reg. (UE) 2016/2031
relativo alle misure di protezione contro i parassiti delle piante e il
Reg. (UE) 2017/625 sui controlli e altre attività ufficiali, con
l'obiettivo di contrastare l'ingresso e la diffusione di organismi e
microrganismi nocivi per la salute delle piante, le produzioni vegetali,
gli ecosistemi forestali, gli impianti di arboricultura da legno, il
verde urbano e periurbano, gli ambienti naturali e più in generale il
patrimonio di biodiversità dell'Unione.
Il nuovo regime, completato
da più di 30 regolamenti esecutivi già adottati, pur mantenendo le
architetture di base preesistenti, ha modificato profondamente le
modalità di intervento sulle emergenze fitosanitarie mediante
l’elaborazione di specifici Piani di emergenza, il rafforzamento dei
controlli alle importazioni, l'individuazione di una rete
laboratoristica per la diagnosi, la modifica della struttura del
passaporto delle piante, ma, soprattutto, attraverso una maggiore
responsabilità a carico di tutti gli operatori professionali, in
un’ottica di tracciabilità delle produzioni e rintracciabilità degli
eventuali problemi fitosanitari.
Se da una parte agli operatori
professionali è richiesta una maggiore responsabilità sui materiali
vegetali prodotti e una migliore organizzazione delle proprie strutture,
dall’altra le autorità competenti per i controlli dovranno dotarsi di
strutture conformi ai requisiti fissati e di risorse umane e finanziare
adeguate a garantire un intervento proattivo sugli organismi nocivi
delle piante.
La cerimonia per l’Inaugurazione del 268° Anno Accademico dei Georgofili
si svolgerà in modalità telematica il prossimo Mercoledì 21 aprile 2021
e potrà essere seguita in diretta streaming sul nostro sito, a partire dalle ore 10.30.
A
causa della pandemia da Covid-19 e delle misure messe in atto per
contrastare la diffusione del virus, infatti, per il secondo anno
consecutivo, non potremo incontrarci nel Salone dei Cinquecento in
Palazzo Vecchio a Firenze, sede che tradizionalmente ha ospitato questa
importante cerimonia.
Dopo i saluti del Sindaco Dario Nardella e la relazione del Presidente, Massimo Vincenzini, la prolusione sarà svolta dall’Accademico Emerito Dario Casati su "Oltre la pandemia, quale futuro per l’agricoltura".
Non
sarà possibile, quindi, dare il benvenuto ai nuovi Accademici, consegnando loro di persona i diplomi, ed anche la
consegna dei consueti Premi, Antico Fattore e AgroInnovation Award,
subirà un cambiamento di programma, non avvenendo più a chiusura della
cerimonia inaugurale, ma in eventi successivi, appositamente organizzati
ma ancora da definire, quando la situazione pandemica lo permetterà.
L'inaugurazione
del 268° Anno Accademico vuole essere più che mai una conferma del
fatto che l’Accademia è presente, vitale ed operativa, e guarda al
futuro con il ragionevole ottimismo di chi ha una incrollabile fiducia
nella Scienza e nel suo metodo.
Deve, tuttavia, essere sottolineato
che, durante gli ultimi terribili mesi, l'Accademia dei Georgofili,
nello spirito del suo secolare motto "Prosperitati Publicae Augendae",
non ha mai interrotto la propria attività, ma ha, anzi, moltiplicato i
propri sforzi a supporto dell'agricoltura e degli agricoltori,
articolando le sue azioni per individuare e diffondere gli strumenti più
adeguati per quella ripresa economica che dovrà porre rimedio ai danni
materiali patiti dalla società per la persistente pandemia.
Diversi studi riportano che le applicazioni fogliari ripetute di prodotti
commerciali a base di idrolizzati proteici di origine animale possono
causare fitotossicità e rallentamenti della crescita delle piante;
nessuna fitotossicità e riduzione della crescita sono state osservate,
in genere, nelle piante dopo applicazioni fogliari di amminoacidi di
origine vegetale.
Anche in Sardegna gli alberi di leccio (Quercus ilex L.), sia nel
verde pubblico che privato, sono oggetto di attacchi fungini che
producono cancri corticali e decadimento strutturale del fusto che, nei
casi più gravi, possono essere accompagnati da pericolosi schianti. Al
fine di contribuire ad approfondire e contrastare questa importante
problematica, uno studio fortemente innovativo è stato recentemente
pubblicato sulla rivista Applied Sciences (Puxeddu, M.; Cuccuru, F.; Fais, S.; Casula, G., Bianchi, M.G., 2021. 3D Imaging of CRP and Ultrasonic Tomography to Detect Decay in a Living Adult Holm Oak (Quercus ilex L.) in Sardinia (Italy). Appl.Sci. 2021,11, 1199) https://doi.org/10.3390/app11031199).
La vita dell’uomo è stata caratterizzata dalla sua costante ricerca di
cibo, sino a quando la scoperta dell’agricoltura gli ha fornito gli
strumenti per soddisfare questa primaria esigenza.
Malgrado ciò sia
accaduto più di diecimila anni fa, ancor oggi quasi un miliardo di umani
patiscono la fame, le vicende del clima sembrano non offrire loro
soluzioni semplici e a portata di mano. Eppure anche gli imperi
antichissimi (Sumeri, Accadi, Faraoni, Romani e Cinesi) adottarono,
ciascuno con tecniche diverse, politiche che consentissero ai sudditi
rispettivi di sfamarsi, specie se abitanti nelle città.
Molto di
recente, grazie allo sviluppo della rapidità delle comunicazioni anche
nel campo delle merci, si sono stipulati accordi multilaterali
(Marrakech 1994) per liberalizzare la circolazione delle merci, ridurre i
dazi in modo da favorire lo sviluppo della “specializzazione” della
produzione dei vari prodotti in certe parti del mondo (mascherine in
Cina, cellulari in USA e in Corea, automobili in Germania ecc.).
Ma
le recenti vicende del Covid 19 hanno dimostrato che, malgrado trattati
multilaterali, contratti, impegni fra privati e fra governi, nella crisi
si può bloccare la circolazione di prodotti ritenuti essenziali, come
le mascherine e i reagenti per tamponi. E questo rischio potrebbe dare
origine anche a crisi alimentari in paesi industrializzati ricchi che
hanno rinunciato ad una agricoltura che garantisca l’autosufficienza
alimentare.
La globalizzazione è apportatrice, certamente, di
vantaggi, anche se il suo governo richiederebbe un approccio diverso:
infatti, se nell’XIX secolo aveva un senso uno stato come l’Italia, la
Francia e persino il Portogallo e Malta, dato che i collegamenti avevano
un raggio efficiente di scarsa postata, oggi la terra si è, di fatto,
rimpicciolita e i problemi che la interessano sono globali non solo dal
punto di vista commerciale ma, cosa ancora più importante, ma da quello
climatico, alimentare e sanitario, come l’attuale situazione sta a
dimostrare.
Un virus può mettere in ginocchio l’intera umanità, i
cambiamenti climatici stanno già mostrando effetti devastanti mentre una
crisi alimentare, che è già presente a un settimo degli umani potrebbe
ampliarsi in modo sorprendente a causa del peggiorare degli affetti
climatici.
Occorre, dunque, un sistema di governance di questi eventi che coinvolga tutti gli stati del mondo, o almeno i principali.
Fra i provvedimenti che sarebbe opportuno considerare ve ne sono alcuni
fondamentali, che coinvolgono l’agricoltura, destinata probabilmente ad
una cambio importante di scopo rispetto a quello che l’ha originata.
Occorrerà
arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la
produzione di metano e co2, alla sostituzione della carne con prodotti
di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da
molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla, ad una
massiccia rivalutazione dei boschi e della loro coltivazione in zone
aride, in zone artiche o in altissima montagna per incarcerare co2, allo
sviluppo di coltivazioni erbacee modificate per produrre non solo
carboidrati, ma anche vitamine e proteine; insomma, ci dobbiamo avviare
verso una nuova rivoluzione agricola dove allo scopo ambientalistico si
affiancherà anche lo scopo produttivistico: l’uomo non abbatterà più
alberi per estendere le superfici coltivate e destinate a pascoli, ma
incentiverà l’arboricoltura e alcune coltivazioni erbacee, ridurrà
drasticamente l’allevamento di animali dando origine ad una nuova
agricoltura, più efficace dal punto di vista ambientale ma anche meglio
adatta alla coincidenza del settore primario con la sopravvivenza del
genere umano, tentando di diminuite la sua invasività e di ricostruire
un pianeta capace di sopportare la nostra pressante presenza.
“Il Nocciolo - Impianto e gestione delle coltivazioni da frutto” di Moreno Moraldi, è qui scaricabile per il lettori di Georgofili INFO
I legumi sono considerati un'alternativa vegetale ai prodotti carnei
grazie al loro profilo nutrizionale, i bassi costi di coltivazione ed il
ridotto impatto ambientale. Nonostante il loro relativamente alto
contenuto proteico, la qualità nutrizionale risente della carenza di
aminoacidi solforati e della presenza di fattori anti-nutrizionali,
quali acido fitico, polifenoli e α-galattosidi (che causano flatulenza).
Questi composti subiscono una parziale degradazione a seguito del
processo di maltazione, che consta in genere di tre diverse fasi:
macerazione, germinazione ed essiccazione.
L’attenzione nei riguardi delle attività zootecniche responsabili,
secondo alcuni, di più della metà delle emissioni totali di gas serra in
atmosfera, si è riaccesa recentemente, tanto da indurre il Comitato
Consultivo “Allevamenti e Prodotti Animali” della nostra Accademia dei
Georgofili a pubblicare un deciso commento sulla “newsletter” del 17
marzo scorso dal titolo “Improvvisazioni, falsità e clamori giornalistici sugli allevamenti e sui prodotti di origine animale. La necessità di un dialogo su vere basi scientifiche”.
Nel
commento si ribadisce che i dati ufficiali, anche della FAO (2019),
attribuiscono alla zootecnia non più del 14% della “colpa” globale
dell’inquinamento, per cui sarebbe opportuno guardare,
contemporaneamente, anche in altre direzioni, ad esempio ai trasporti
terrestri ed aerei, alle attività industriali non rispettose delle
norme, alle centrali elettriche a carbone o all’eccessivo dispendio
energetico per la climatizzazione degli ambienti pubblici, commerciali e
domestici.
Comunque, se vogliamo fare qualcosa per mitigare i guai
connessi agli allevamenti animali, ben vengano le proposte innovative e
non solo le critiche.
I due problemi che sembrano pesare di più in
questo momento sono l’allevamento dei ruminanti, che utilizzano
l’energia della fibra alimentare con emissione di metano, e l’impiego
praticamente esclusivo della soia come ingrediente proteico dei mangimi
un po’ di tutti gli animali allevati. Entrambe le attività spingono alla
criminale pratica della deforestazione di vaste zone con conseguenze
disastrose sulla “purificazione” dell’atmosfera dalla CO2 per
fotosintesi, la salvaguardia delle biodiversità e delle popolazioni
locali. Per non parlare della necessità di trasporti da un continente
all’altro, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di ulteriore
inquinamento da gas serra.
Cosa possiamo fare? Ad alcuni è venuto
spontaneo proporre di divenire tutti vegani o, almeno, vegetariani,
magari eliminando dalla faccia della terra i ruminanti, dimenticando, ad
esempio, che la sola risicoltura contribuisce per l’11% della
produzione globale di metano. Il problema nel problema è che non è
possibile: non disponiamo di sufficienti aree coltivabili, non coperte
da foreste, adeguate a garantire a tutti i quasi otto miliardi di
abitanti di questo pianeta gli alimenti necessari a sostenere i
fabbisogni nutritivi, specialmente proteici, minerali, lipidici (omega
tre) e vitaminici (vitamina B12), dei bambini in special modo.
Negli ultimi trent'anni, a causa di pochi gradi di differenza della
temperatura stanno mutando le vite di specie animali selvatici, uccelli
che migrano prima, renne e caribù che si spostano quando non dovrebbero,
lupi e orsi che trasformano i loro comportamenti e molte specie animali
selvatiche stanno scomparendo, ma cosa avviene negli animali domestici
allevati dall’uomo e nelle loro produzioni a causa dei cambiamenti
climatici in corso e ancor più previsti? Quali le possibili prospettive
per i prodotti tipici dei quali l’Italia è ricca?
Quando si dice che
“Il clima è già cambiato” si elenca un susseguirsi di record che non
possono lasciare indifferenti per un’eccezionalità che è diventata la
norma con una tendenza in Italia alla tropicalizzazione del clima che si
manifesta con un’elevata frequenza di manifestazioni violente,
sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense e sbalzi termici,
aumento delle temperature massime, periodi anormalmente siccitosi o
piovosi con precipitazioni fuori dalla norma. I cambiamenti climatici
sono oggetto d’attenzione soprattutto per gli effetti che gli eventi
estremi hanno sui centri abitati, le strade e le altre strutture umane.
Molto meno il pubblico considera le correlazioni tra i cambiamenti
climatici e il sistema alimentare e quali sono le possibili vie per
affrontare la crisi climatica attraverso le pratiche eco-sostenibili da
adottare nell’intera catena alimentare.
Molte sono le specie vegetali
e animali che siamo abituati a vedere sulle nostre tavole e che da
alimenti comuni potrebbero divenire prodotti privilegiati perché più che
scomparire potrebbero subire gli effetti di uno spostamento di fascia
climatica della loro produzione. Ciò significa che quello che oggi si
coltiva, si alleva, si conserva a latitudini temperate, domani potrebbe
trovare terreno e clima più favorevoli in altre parti del mondo, che
così potrebbero trarre benefici economici dai cambiamenti climatici.
Senza dimenticare che alcune coltivazioni potrebbero trarre vantaggio da
un ulteriore aumento della concentrazione di anidride carbonica in
atmosfera.