“Il metano ti dà una mano” era lo slogan pubblicitario di qualche tempo
fa, che ci invitava a consumare il metano come fonte energetica, in
quanto il meno inquinante fra i combustibili fossili e non fossili. Ma
c’è chi, oggi, punta l’indice contro il metano se prodotto dall’apparato
digerente degli animali erbivori a partire dalla componente alimentare
fibrosa o prodotto dalle fermentazioni vegetali nelle acque delle
coltivazioni del riso e rilasciato in atmosfera. Onestamente, il contributo alla diminuzione della concentrazione di gas
serra in atmosfera che può venire dalla regolamentazione delle attività
agricole appare modesto rispetto a quanto si possa ottenere ponendo un
freno all’uso di combustibili fossili nelle centrali elettriche, nella
climatizzazione degli ambienti e nei trasporti terrestri ed aerei.
Il d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34 (testo unico in materia di foreste e
filiere forestali, TUFF) costituisce la legge quadro di indirizzo e
coordinamento in materia di gestione del bosco, le cui finalità sono
volte a: “migliorare il potenziale protettivo e produttivo delle risorse
forestali del Paese e lo sviluppo delle filiere locali a esso
collegate, valorizzando il ruolo fondamentale della selvicoltura e
ponendo l’interesse pubblico come limite all’interesse privato”.
Dal 23 giugno 2016, il giorno del referendum sull’uscita della Gran
Bretagna (UK) dall’Ue, al 31 dicembre 2020 sono trascorsi quattro anni e
mezzo. Tanto è stato necessario perché si potesse giungere ad un
accordo sulle regole che governeranno d’ora in poi i rapporti fra le
Parti.
La separazione è avvenuta in due tempi: a fine 2019, con la
firma di un Trattato internazionale che definisce le modalità
dell’uscita dell’UK dall’Ue e, a fine 2020, con un Accordo commerciale e
di cooperazione entrato in vigore il 1° gennaio 2021 in via
provvisoria, in attesa delle necessarie ratifiche. L’Accordo regola
tutti gli aspetti concreti della separazione ed è costituito da un
volume di oltre 1200 pagine.
Per arrivare alla conclusione le Parti
hanno compiuto un defatigante lavoro che, ancora ai primi di dicembre,
sembrava sul punto di naufragare per alcune “divergenze
significative”che sembravano insanabili. I punti aperti erano tre: le
condizioni per una competizione leale negli scambi fra le Parti, le
modalità per dirimere contrasti che sorgessero fra di esse e le regole
per i diritti di pesca. Come in ogni trattativa, fino all’ultimo il
risultato è rimasto in sospeso e ha richiesto passaggi clamorosi come i
decisivi contatti diretti fra il premier inglese Boris Johnson e la
Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’Accordo è
stato raggiunto con una volata finale alla vigilia di Natale: il
Parlamento inglese l’ha approvato il 27 dicembre, quello europeo il 29 e
il Consiglio dei Ministri Ue il 31.
Nonostante i sussulti finali, le
questioni in discussione ai primi di dicembre lasciavano intendere che
il traguardo fosse in vista. Considerando che l’interscambio totale fra
UK e Ue vale circa 660 miliardi di euro all’anno e i diritti di pesca
in acque inglesi 650 milioni, si comprende come non potesse essere un
ostacolo insormontabile.
Il genome editing, che potremmo tradurre, in ambito agrario, con
tecnologia per l’evoluzione assistita (TEA) è una tecnica rivoluzionaria
che permette di agire a livello del DNA facendogli esprimere delle
nuove funzioni ritenute positive per l’uomo, per un animale, per una
pianta, per un microorganismo. Nel regno vegetale questa tecnica ha
permesso di ottenere piante di interesse agrario, che resistono a
malattie, siccità, ecc., ma questa nuova biotecnologia non è ammessa
ovunque. Nell’UE per esempio il genome editing è assimilato (vedi
decisione della Corte di Giustizia europea del 25 luglio 2018) a quelle
tecniche con le quali si ottengono gli organismi geneticamente
modificati (OGM), che sono di fatto proibiti alla coltivazione. Da un
punto di vista scientifico l’ equiparazione tra genome editing e OGM
non è corretta; gli organismi pubblici, nazionali ed europei però
stanno cambiando idea e probabilmente sarà possibile anche in Europa
poter sperimentare in campo, e poi coltivare, piante (la vite per
esempio) che siano state rese più resistenti a vari fattori di stress
biotico e abiotico: questo nuovo individuo, nel caso della vite, sarà
considerato (probabilmente) un clone di quel vitigno, per cui la
piattaforma ampelografica di una certa denominazione non cambierà;
questo intervento infatti simula quanto la natura fa normalmente in
pieno campo da millenni e che viene valorizzato mediante la selezione
clonale. Il cambio di visione della Commissione europea (da ostile a
positiva) è riscontrabile anche dal fatto che il genome editing è stato
inserito nella strategia “From Farm to Fork” come strumento per
realizzare gli obiettivi di sostenibilità tracciati dal Green Deal. Le
prospettive sono quindi positive, ma per renderle concrete e utili i
paradigmi scientifici da soli non bastano; bisogna infatti che queste
nuove tecnologie si sviluppino all’interno di una “governance”
condivisa (a livello internazionale) non solo dalla comunità
scientifica, ma anche dalla società, perché solo così l’innovazione
porterà vantaggi a tutti gli attori delle varie filiere agroalimentari,
dai produttori ai consumatori.
In alcune località delle pendici orientali dell’Etna, le favorevoli
condizioni climatiche, riducendo la mortalità invernale delle uova,
hanno creato i presupposti per le attuali pullulazioni del pernicioso
afide Cinara cedri, che forma dense colonie a manicotto sui rami di 1-5 cm delle pinacee Cedrus atlantica, C. deodora e C. libani. La presenza dell’afide è denunziata dall’abbondante melata,
che in parte cade al suolo, sulla quale si insedia la fumaggine; la
melata attrae numerose specie di formiche che proteggono l’afide dai
predatori.
Il detto “scoprire l’acqua calda” indica qualcosa di scontato e
indirettamente sottintende che un’altra scoperta, quella del fuoco, sia
stata più importante per l’umanità, ma tutto questo è messo in dubbio
dalle ricerche di Ainara Sistiaga e collaboratori secondo la quale gli
ominidi che hanno preceduto la nostra specie, circa un milione e
settecentomila anni fa, avrebbero potuto utilizzare le acque calde di
sorgenti termali per modificare gli alimenti, quindi cucinare (Sistiaga
A., Husain F., Uribelarrea D., Martín-Perea D. M. et alii - Microbial biomarkers reveal a hydrothermally active landscape at Olduvai Gorge at the dawn of the Acheulean,
1.7 Ma – PNAS, October 6, 2020, 117 (40) 24720-24728). In base a queste
ricerche è oggi messa in dubbio l’idea che la cucina sia iniziata
quando l’uomo impara a cuocere la carne e i vegetali sul fuoco e la
conoscenza e l’uso dell’acqua calda geotermica in cucina avrebbe quindi
preceduto il fuoco nell’evoluzione umana. Ancora oggi una cucina geotermica
è tradizionale in Islanda dove queste acque calde sono molto diffuse,
anche i Maori della Nuova Zelanda da tempo immemorabile utilizzano le
acque di sorgenti geotermiche per cucinare la carne e nelle Azzorre vi è
uno stufato di cozido riscaldato con acque vulcaniche. Ovviamente non è
possibile stabilire come questo sia avvenuto e ad opera di chi, ma non è
da escludere che la prima cottura di un cibo in un’acqua calda termale
sia stato eseguito da una giovane femmina di ominide. Un’ipotesi
fantascientifica? Non tanto dopo le scoperte che all’inizio degli anni
cinquanta sono state fatte sulle scimmie dell’isola di Koshima.
Coloro che sostengono che il costo delle azioni per contrastare gli
effetti del cambiamento climatico è troppo elevato probabilmente non
conoscono o non vogliono conoscere il reale bilancio economico delle
operazioni. Guardano al costo presente e non guardano all’enorme
guadagno futuro. Un rapporto recente dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità afferma che "l'onere sulla salute delle fonti energetiche
inquinanti è ormai così alto che il passaggio a scelte più pulite e più
sostenibili per l'approvvigionamento energetico, dei trasporti e sistemi
alimentari è efficace e sostenibile di per sé stesso."
Non dobbiamo
dunque scegliere tra il presente e il futuro. I giusti investimenti
nell'azione per il clima possono migliorare la salute pubblica, creare
posti di lavoro e migliorare la qualità della vita nelle nostre città
oggi. Ma per rendere reali questi benefici, dovremo pensare e agire in
modo diverso.
In primo luogo, per ottenere il massimo beneficio dagli
investimenti sul clima, le risorse e l'autorità decisionale devono
fluire verso le aree e le persone che sono maggiormente a rischio
climatico. Queste comunità "di prima linea", che sono state spesso
escluse dalle precedenti realizzazioni di infrastrutture, meritano una
prima e ultima parola nel plasmare il loro futuro. E al fine di
raggiungere gli obiettivi climatici, virtualmente ogni casa, quartiere e
azienda dovrà essere aggiornato e connesso alla nuova infrastruttura. I
leader locali responsabilizzati saranno fondamentali per conseguire
tale obiettivo.
Ogni anno a Natale si ripropone il consueto dibattito sull’impatto
ambientale dell’albero di Natale naturale o artificiale e su quale sia
la scelta più responsabile in termini ambientali e sociali. Tale
dibattito vede argomentazioni razionali sia da un lato che dall’altro.
Di seguito si elencano alcune argomentazioni favorevoli all’albero di Natale naturale:
• Non è prelevato in foresta, ma viene coltivato in terreni montani
marginali che in caso contrario sarebbero semplicemente abbandonati.
L’acquisto di un albero di Natale naturale non ha dunque nessun impatto
sulle dinamiche delle foreste.
• E’ una coltura che prevede pochi
interventi in campo, poche concimazioni, pochi trattamenti. E’ dunque
una coltivazione molto semplice che usa poca energia e che ha basso
impatto sull’ambiente.
• Viene coltivato in zone relativamente vicine alle zone di commercializzazione.
• La coltivazione viene praticata, spesso assieme ad altre colture come
patate e mele, da piccole aziende che sono un patrimonio importante per
l’economia delle zone montane. Queste coltivazioni forniscono
un’importante fonte di reddito in zone con continua tendenza allo
spopolamento.
• L’albero naturale, come tutti gli esseri viventi,
è composto in gran parte da carbonio. Tale carbonio deriva dalla
fissazione dell’anidride carbonica atmosferica attraverso la fotosintesi
clorofilliana e per questo si chiama biogenico. Il carbonio biogenico, è
considerato neutrale nell’ambito delle emissioni di carbonio perché
proveniente dall’atmosfera e non da altri serbatoi (ad esempio il
sottosuolo come nel caso dei prodotti petroliferi).
Alcune argomentazioni sfavorevoli all’albero di Natale naturale sono:
• Essendo un essere vivente è complesso tenerlo in vita per
riutilizzarlo, soprattutto in un contesto urbano con clima relativamente
caldo.
L’albero di Natale artificiale invece ha un profilo
completamente diverso che comunque presenta le seguenti argomentazioni a
favore:
• E’ estremamente facile da riutilizzare e può essere conservato anche per molti anni.
A queste argomentazioni favorevoli si oppongono tuttavia alcune argomentazioni sfavorevoli.
• E prevalentemente fatto in acciaio e PVC (o altre materie plastiche)
che derivano da processi estrattivi e lavorazioni industriali con
elevato impatto sull’ambiente (materie prime non rinnovabili).
• Viene fabbricato in contesti industriali esteri e poi trasportato presso la rete di distribuzione e vendita.
Al
fine di valutare tutti questi aspetti in maniera scientifica e poter
dunque paragonare gli impatti ambientali dell’uno o dell’altro, presso
l’Università di Firenze è in corso una ricerca di analisi del ciclo di
vita dell’albero naturale e artificiale.
Un recente rapporto dell’EMA (European Medicines Agency) informa di un
significativo declino nella vendita di antibiotici per uso veterinario
in tutta Europa, negli ultimi dieci anni. A questo proposito, Ivo Claassen, direttore della Divisione Farmaci per
uso veterinario dell’EMA, osserva che le linee guida europee e nazionali
delle campagne che promuovono l’uso prudente di antibiotici negli
animali stanno avendo effetti positivi e rappresentano la strada giusta
per combattere la resistenza microbica acquisita agli antibiotici.
Lo scorso anno scrissi questo articolo che oggi rivedo completamente alla luce di quanto è accaduto nel 2020.
Gli
ultimi anni sono stati e sono tuttora pieni di notizie allarmanti sul
clima. Già nel 2018 il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC), ci aveva detto che abbiamo una decina di anni per
dimezzare le emissioni di carbonio ed evitare cambiamenti climatici
catastrofici. Nonostante gli allarmi lanciati a più riprese, le
emissioni di carbonio sono di nuovo nella direzione sbagliata, dopo
alcuni anni di livellamento. Neanche la crisi globale determinata dal
COVID-19 ha, se non invertito, almeno rallentato la tendenza.
Anche nel vasto campo della pubblicistica concernente gli aspetti più
diversi dell'attività agricola si annoverano autori di vario talento e
impegno. Facendo attenzione alle varie iniziative editoriali si
riscontrano differenze di stile, di scrupolosità, di rigore
tecnico-scientifico, di attenzione alla forma divulgativa, di
sensibilità agli aspetti storici o, viceversa, di esclusiva proiezione
verso il futuro, tanto per citare alcune prerogative apprezzabili. Sono
disponibili per la nostra lettura molti validi libri; è comunque raro
reperire un testo che abbia saputo rispondere a gran parte delle
esigenze sopra elencate.
Un libro che riassume, a mio parere, le diverse caratteristiche ricordate e altre, non menzionate, ma analogamente rilevanti, è "La Canapa. Miglioramento genetico, sostenibilità, utilizzi, normativa di riferimento" curato, per i tipi di Edagricole, da parte di Paolo Ranalli (v. Georgofili Info, http://www.georgofili.info/contenuti/la-canapa-miglioramento-genetico-sostenibilit-utilizzi-normativa-di-riferimento/15342).
Ranalli,
oltre a scrivere 4 importanti articoli dei 15 che compongono il testo, è
stato anche l'ideatore e l'organizzatore del medesimo, lasciando che
vari collaboratori si assumessero l'onere di descrivere le parti di loro
competenza. Viene offerto, in tal modo, un volume completo
sull'argomento.
Secondo Carbonneau (2007), il flusso della linfa grezza è, in linea
generale, estremamente sensibile alle variazioni brusche della pressione
intravascolare conseguente ad un aumento della richiesta idrica
atmosferica; ciò può provocare la formazione di bolle di aria nei vasi
dello xilema (cavitazione). La rottura della corrente linfatica, causata
da queste bolle, può causare il blocco completo della circolazione
(embolia). Temperature elevate e bassa igrometria conducono ad un
incremento dell’evapotraspirazione con conseguente depressione del
sistema circolatorio e formazione di tille.
La Divina Commedia, è popolata da personaggi reali e mitologici
sui quali Dante esprime, o sottintende, giudizi di assoluzione o di
condanna, assegnando loro una determinata collocazione. In tale contesto
i numerosi riferimenti agli animali assumono, soprattutto, la forma
della similitudine, e sono la testimonianza delle conoscenze zoologiche
del Poeta. Numerosi sono gli uccelli, i rettili, i pesci e gli
artropodi; fra quest’ultimi oltre allo scorpion, cui somiglia la
coda di Gerione, sono citati alcuni insetti: api, farfalle, formiche,
locuste lucciole, mosche, mosconi, pulci, tafani, vermi, vespe e
zanzare.
È noto che il Ginkgo può essere utilissimo per i problemi al sistema
circolatorio, per controllare il peso corporeo e per i problemi legati
alla concentrazione, avendo effetti positivi sulla memoria e
sull'apprendimento.
Meno noti sono invece i meccanismi che rendono
questa specie così longeva. L'invecchiamento è, infatti, una proprietà
universale degli organismi multicellulari. Sebbene alcune specie di
alberi possano vivere per secoli o millenni, i meccanismi molecolari e
metabolici alla base della loro longevità non sono chiari.
Un lavoro
pubblicato lo scorso gennaio e rimbalzato anche dalla stampa nazionale,
ha identificato il “segreto” del ginkgo che gli permette di vivere per
più di 1.000 anni. Lo studio ha evidenziato che l'albero produce
sostanze chimiche protettive che gli conferiscono resistenza alle
malattie e tolleranza alla siccità. E, a differenza di molte altre
piante, i suoi geni non sono programmati per innescare un declino
inesorabile dopo che ha raggiunto la maturità.
Il ginkgo è una pianta
relativamente comune nei parchi e nei giardini di tutto il mondo ma,
nonostante la sua elevatissima resilienza, è sull'orlo dell'estinzione
in natura a causa del disboscamento delle popolazioni spontanee
confinate sul monte Xitianmu nello Zhejiang, in Cina.
I due gruppi di
ricercatori, negli Stati Uniti e in Cina, hanno studiato alberi di
ginkgo di età compresa tra 15 e 667 anni, estraendo gli anelli degli
alberi e analizzando cellule, corteccia, foglie e semi e hanno mostrato
che alberi giovani e vecchi producono sostanze chimiche protettive per
combattere lo stress causato da agenti patogeni o da fattori abiotici
come la siccità.
“Un pane nella composizione del quale entri zucchero, droghe, burro,
latte, uova, frutti preparati, e simili cose che lo rendono dolce, o
molto saporito, non è praticato che per delizia, tornagusto, e lusso,
essendo in primo luogo troppo dispendioso per farne un uso continovo;
secondariamente mangiandolo solo, e mangiandone a sazietà, non
riuscirebbe sano, ma incomoderebbe, e sturberebbe lo stomaco”.
Con
queste parole Saverio Manetti apriva una lunga enucleazione delle
varietà del cosiddetto “pane composto”, che costituisce materia
dell’Articolo VI del suo corposo trattato Delle specie diverse di frumento e di pane siccome della panizzazione (1765).
Prossimi
alle festività natalizie gli scaffali dei negozi e supermercati
abbondano di leccornie e dolci, molti dei quali tipici di questo periodo
e di antica storia; anche Manetti ne trattava, soffermandosi in
particolare sugli ingredienti necessari alla loro preparazione: uova,
birra, burro, latte, zucchero, scorze di cedri e agrumi canditi, “le
droghe tutte ma particolarmente il pepe, la cannella, e la noce
moscada”, uve passe, croco, semi di coriandolo, carvì, comino,
finocchio, uva fresca, fichi secchi, mandorle, nocciuole, pistacchi,
noci.
“Molte di queste insieme unite, e diversamente per la dose combinate, entrano in quella sorte di pane che da noi si chiama Pane impepato”:
ottimo quello prodotto a Siena, ma altrettanto noto per la sua bontà
quello di Buonconvento: “un tal pane è di gusto squisito, ma caloroso
assai a motivo delle molte droghe che si fanno entrare nella sua pasta”.
Se ne produceva “del simile” anche a Firenze, ma di qualità assai
inferiore a quello di Siena e del suo territorio; tre le qualità,
annotava Manetti: la sopraffina, la mezzana e l’inferiore. La prima,
chiamata pane aromatico o pane di spezierie, oltre a
prevedere ingredienti di miglior qualità, veniva impastata con zucchero
bollito e chiarito e coperta con una pasta di marzapane “in varie fogge
lavorata” e ghiacciata con zucchero. La mezzana era lavorata “più
dozzinalmente” e nella sua preparazione entravano ingredienti non molto
scelti, impastati semplicemente con miele, farina, uve passe e droghe.
Infine l’inferiore: “l’inferiore … non ha per il solito nel suo impasto
che pepe, noci, fichi secchi, e farina di grano, lasciatovi tutto o in
gran parte il tritello, e impastato con miele, e questo … si dice in
Firenze Pan forte.
L’Euforbiacea Euphorbia milii è un arbusto spinoso sempreverde,
originario del Madagascar che, nell’Italia meridionale, da tempo
immemorabile è apprezzato come pianta ornamentale da giardino e da
interno. Il nome comune di "Corona di Cristo", fa riferimento alla
presenza di spine, che possono raggiungere i 5 cm, e di brattee fiorali
di colore rosso che evocano le gocce di sangue. Recentemente, su piante di E. milii, coltivate in vaso, nel centro urbano di Catania, è stata riscontrata la presenza di tre polifaghe specie di Diaspini: Chrysomphalus dictyospermi, C. aonidum ed Hemiberlesia cyanophylli.
Come avviene per molte piante, la drupa è un buon cibo per diversi
animali attratti anche dal colore, che si nutrono della parte esterna e
che con processi digestivi liberano i semi che sono eliminati con le
feci e deposti in luoghi lontani favorendo la disseminazione della
pianta. Da qui una simbiosi vantaggiosa tra pianta e animale.
Tra i molti animali che si nutrono delle bacche del caffè vi sono gli zibetti dell’Indonesia (Paradoxurus hermaphroditus)
simili a un gatto o a una civetta, gli uccelli erbivori o Jacu,
originari del Sud America e diffusi nello stato brasiliano di Espírito
Santo, presenti nelle piantagioni di caffè all'ombra di alberi ad alto
fusto e che si ciba dei frutti di caffè maturi, gli elefanti della
Thailandia e è noto che questi animali con le feci eliminano i chicchi
del caffè nei quali gli enzimi digestivi modificano la struttura delle
proteine dei chicchi rimuovendo parte dell'acidità e rendendo l’infuso
di caffè più liscio e quindi di maggior valore. Recentemente a questi
animali si sono aggiunte talune specie di formiche. Dai chicchi di caffè
mangiati dagli animali e poi espulsi con le loro feci si ottengono
caffè di particolare pregio.
La produzione 2020 di olio d’oliva italiano potrebbe attestarsi, secondo
le prime stime, sulle 235.000 tonnellate, circa il 36% in meno rispetto
all’annata 2019. Il Meridione sembra avere le maggiori decurtazioni
produttive con un -51% in Puglia. L’andamento negativo viene genericamente riferito all’alternanza di
produzione. Nell'olivo, la differenza di resa tra gli anni "di carica" e
quelli “di scarica" può raggiungere anche 20 t ha −1 (Lavee 2007).
Sembra
interessante, però, analizzare le possibili interazioni tra il
fabbisogno in ore di freddo e le rese produttive, anche alla luce delle
frequenti “bizzarrie” climatiche.
Il concetto di sostenibilità risale agli anni settanta del secolo
scorso quando il MIT di Boston condusse uno studio relativo ai fattori
critici che avrebbero condizionato l’evoluzione della società, dal
titolo ”I limiti dello sviluppo”(1972). La prima definizione
universalmente accettata di sviluppo sostenibile è del 1987, fornita
dalla Commissione Bruntland (Commissione per l’Ambiente e lo Sviluppo
dell’ONU), che recita: “Sviluppo sostenibile è quello sviluppo che
soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle
generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Recentemente le
Nazioni Unite hanno ridefinito lo sviluppo sostenibile nell’antropocene
come: “ Sviluppo che incontra le necessità dal presente mentre
salvaguarda il sistema di supporto della vita sulla terra, dal quale
dipende il benessere della generazione presente e delle future”. La
definizione di sviluppo sostenibile testè indicata è il risultato
dell’interazione tra aspetti sociali, economici e ambientali. Sono 6 i
grandi obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development
Goals – SDGs) da raggiungersi entro il 2030, e precisamente:
• Supportare il benessere e l’occupazione
• Perseguire la sicurezza alimentare (nel senso di disponibilità di cibo per tutti) in modo sostenibile
• Perseguire la sicurezza idrica (nel senso di accesso all’acqua per tutti) in modo sostenibile
• Utilizzare fonti energetiche pulite a livello globale
• Favorire ecosistemi salubri e produttivi
• Favorire la governance di società sostenibili
Questi
elementi in pratica coniugano le necessità della società con quelle
del nostro pianeta; si tratta di azioni dettate dalla coscienza della
comunità internazionale di porre argine ai mali del pianeta e dei suoi
abitanti. Questi obiettivi sono propri anche della sfera religiosa,
basti pensare alla recente enciclica “Laudato Si’ “ (2015) di Papa
Francesco che inserisce però la tematica in una più ampia prospettiva di
cambiamento delle strutture economiche vigenti, di cui si è discusso
anche nel recente evento “The Economy of Francesco” (19-21 novembre
u.s.).
Quindi tutte le attività umane potrebbero trarre vantaggio
dall’approccio sostenibile che, declinato a livello di singola impresa,
dovrebbe consentire uno sviluppo armonico della componente economica,
ambientale e sociale. L’obiettivo comunque è che, pur partendo dal
particolare, si arrivi a un territorio sostenibile sempre più ampio, e
che il concetto di sostenibilità possa in futuro diventare un
prerequisito di qualsiasi attività produttiva.