Non ci saremmo occupati di una analisi pubblicata su un blog senza
essere passata al vaglio della comunità scientifica, se non fosse
balzata alle cronache nazionali veicolato dall’ormai onnipresente
Greenpeace (si veda l’articolo: https://espresso.repubblica.it/inchieste/2020/10/15/news/agricoltura-e-allevamenti-non-sono-sostenibili-ogni-anno-consumano-un-italia-e-mezza-1.354532).
Ma è bene farlo, sempre nell’ottica di contrastare una disinformazione dilagante.
Sono passati 25 anni da quando il futurologo George Gilder sentenziò:
“…Le città sono un avanzo lasciatoci dall’era industriale”. Analizzando
le potenzialità di Internet (che si stava rapidamente diffondendo, anche
se era ancora limitata a una piccola percentuale della popolazione
mondiale) Gilder riteneva che la Rete avrebbe annullato le distanze
rendendo obsolete le città. La storia degli ultimi anni ha invece
mostrato una tendenza opposta: i grandi agglomerati urbani sono
cresciuti e stanno crescendo in modo talvolta incontrollabile. Di
conseguenza una porzione sempre maggiore della popolazione si sta
spostando nelle grandi città del pianeta. Internet non ha svuotato di
senso le città, anzi le tecnologie digitali hanno invaso le strade e i
quartieri arricchendoli di nuovi servizi e creando un nuovo modo di
vivere i centri abitati in cui il verde dovrà essere l’attore principale
e non venire relegato a ruoli da comparsa.
Occorre, quindi, agire
velocemente per questo nuovo “urbanismo verde” (Green Urbanism). Negli
ultimi trentacinque anni circa, è emerso un dibattito internazionale
sulla teoria delle eco-città e si è sviluppato un campo di ricerca
rilevante sul futuro dell’urbanistica e della città stessa che è, per
definizione, interdisciplinare; richiede la collaborazione di
paesaggisti, agronomi e forestali, ingegneri, urbanisti, ecologi,
pianificatori dei trasporti, fisici, psicologi, sociologi, economisti e
altri specialisti, sulla base della specificità dei luoghi. Alla base di
questo approccio c’è lo sforzo per ridurre al minimo l’uso di energia,
acqua e materiali in ogni fase del ciclo di vita della città o del
distretto, massimizzandone efficienza ed efficacia, inclusa l’energia
incorporata nell’estrazione e nel trasporto dei materiali, la loro
fabbricazione, il loro assemblaggio negli edifici e, infine, la facilità
e il valore del loro riciclaggio quando la vita di un singolo edificio è
finita.
Però non abbiamo molto tempo ed è necessario bilanciare la velocità del
processo decisionale (in genere lento) con la necessità di agire in
tempi relativamente brevi e affrontare questioni molto difficili. Quali
sono gli aspetti della società che dovrebbero essere maggiormente
considerati? Cosa è giusto ed equo? Chi saranno coloro i cui interessi
saranno soddisfatti prima?
In queste città del futuro la
conservazione degli spazi verdi attuali e la progettazione di nuovi
avranno un ruolo vitale per migliorare, ad esempio, la gestione delle
precipitazioni (sempre più concentrate e caratterizzate da violenti
episodi) e la qualità dell’aria. Dovranno anche aiutare a combattere
l’effetto isola di calore urbana e a migliorare la salute.
Dal punto di vista fitopatologico l’olivo risulta interessato da una
significativa e complessa varietà di specie dannose. Un’analisi recente
(J. Del Morale De La Vega; J. Del Moral Martinez, 2018) descrive più 345
artropodi e microrganismi interessanti la coltura.
Negli ultimi
anni, nei diversi areali olivicoli italiani, sono sempre più numerose
le segnalazioni di diffusi ingiallimenti fogliari, spesso non
riconducibili ad agenti patogeni. Di seguito si analizzano le possibili
cause, evidenziando, in molti casi, l’origine abiotica del fenomeno.
Nell’anno 1518 Michelangelo Buonarroti è a Firenze impegnato per il
progetto per la facciata della basilica di San Lorenzo e nel retro di
una lettera oggi conservata a Firenze nel Museo Casa Buonarroti
Michelangelo e datata 18 marzo, in periodo di quaresima, scrive tre menù di magro corredandoli di schizzi illustrativi.
Che le produzioni agricole siano sempre state condizionate dagli
andamenti climatici è noto fin da che modo è mondo ed è tanto più vero
ora in virtù dei cambiamenti climatici in atto che si possono
sintetizzare, in estrema sintesi, con l’alternarsi di periodi piovosi
con precipitazioni che tendono a intensificarsi (violenti nubifragi) e a
distribuirsi su un numero minore di giorni e di lunghi periodi di
siccità.
Gli effetti più drammatici di queste anomalie climatiche
finiscono per aggravare proprio la situazione di quei settori produttivi
più in difficoltà come, ad esempio, l’olivicoltura che proprio in
questo periodo ci si appresta alla raccolta delle olive, con un certo
anticipo rispetto alla tradizione, un po' per scelta per ottenere un
prodotto migliore, un po' per la naturale anticipazione della
maturazione in seguito ai cambiamenti climatici, appunto.
Se è vero che l’abito non fa il monaco, è altrettanto vero che se
incontro per strada qualcuno vestito da monaco penso che lo sia
veramente. E sono portato a crederlo anche se sulla tonaca esibisce un
cartellino con su scritto in piccolo “bada che non sono un monaco”. Su
questo banale principio di saggezza comune si è basata la battaglia che
l’associazione europea degli allevatori ha portato in Parlamento Europeo
per la corretta etichettatura dei prodotti simil-carne a base vegetale.
Il 23 ottobre scorso il supremo organo collegiale dell’Unione si è
espresso con voto non vincolante sulla denominazione di carne e derivati
(hamburger, salami, ecc..) di prodotti di origine vegetale.
L’iniziativa è nata sulla scorta di una decisione della Corte di
Giustizia Europea che nel giugno 2017, con sentenza sulla causa
C-422/16, aveva rilevato che “i prodotti puramente vegetali non possono,
in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come
«latte», «crema di latteo panna», «burro», «formaggio» e «yogurt», che
il diritto dell’Unione (Regolamento UE n. 1308/2013 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione
comune dei mercati dei prodotti agricoli) riserva ai prodotti di
origine animale. Ciò vale anche nel caso in cui tali denominazioni siano
completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano
l’origine vegetale del prodotto in questione, salvo le eccezioni
espressamente previste”.
Gli emendamenti al Reg. 1308/2013 (https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:347:0671:0854:it:PDF
) sottoposti al vaglio del Consiglio erano tre: a) il 165, che
prevedeva la prescrizione per cui i “nomi che rientrano nell'articolo 17
del Regolamento (UE) n. 1169/2011 e che sono attualmente utilizzati per
prodotti con basi e preparazioni di carne sono riservati esclusivamente
a prodotti contenenti carne, in particolare nel caso delle
denominazioni bistecca, salsiccia, cotoletta, hamburger e burger”; b)
il 264, che recitava “i nomi così come i termini e denominazioni di
vendita relativi a carni che vengono utilizzati per denotare carni,
tagli di carne e prodotti a base di carne secondo Articolo 17 del
regolamento (UE) nº 1169/2011 sono riservati esclusivamente alle parti
commestibili di animali e ai prodotti contenenti carne”; c) il 275, che
proponeva la sostituzione integrale dell’art. 78 del reg. 1308/2013,
introducendo il dettato per cui “oltre agli standard di marketing
applicabili, se del caso, le definizioni tagli e tagli di vendita di cui
all'allegato VII si applicano a settori o prodotti carne bovina, carni
ovine, vino, latte e prodotti lattiero-caseari destinati al consumo
umano, carne di pollame, uova, grassi da spalmare destinati consumo
umano, olio d'oliva e olive da tavola, carne di maiale, carne di capra,
carne di cavallo, carne di coniglio”.
Dopo due giorni di intensa
discussione, i tre emendamenti sono stati respinti con le seguenti
votazioni: 165, 379 contro / 284 a favore; 264, 399 contro / 243 a
favore-; 275, 524 contro/110 a favore.
Sono trascorsi sei mesi da quando l'Accademia ha deciso di avviare un
servizio per gli agricoltori, in particolare per quelli le cui aziende
sono di dimensioni classificate come piccole e medie, nel difficile
periodo del "post Covid19" segnato da emergenze di varia natura.
L'agricoltura era stata esonerata, per ovvie ragioni, dal blocco delle
attività produttive nel periodo Marzo-Maggio del corrente anno, ma,
come risulta in tutti i rapporti sulla agricoltura italiana,
necessitava - e necessita - di una forte spinta innovativa affinché
riesca a superare il doppio ostacolo della critica situazione
socio-economica e di quella ambientale.
Il Presidente dell'Accademia
dei Georgofili, a seguito dell'impossibilità di continuare la notevole
attività convegnistica dell'Accademia, ebbe l'accortezza di avviare un
programma di informazioni on-line sul sito dell'Accademia - chiamato "Antologia"
- specificamente mirato alla diffusione di innovazioni, messe a punto
nei vari centri di studio e immediatamente disponibili per la pratica
applicazione. Si è trattato normalmente di brevi (2-5 pagine) ma
esaurienti descrizioni delle proposte.
Parallelamente si dava vita ad un'altra iniziativa - chiamata "Altri contributi" - che inseriva, nel sito, documenti di maggiore estensione tendenti a fare il punto su aspetti fondamentali dell'agricoltura.
Questa
idea si basava sulla fiducia che vari colleghi, sparsi in centri di
ricerca italiani appartenenti a varie Amministrazioni e a maggioranza
Accademici, si rendessero disponibili per questo lavoro. Per l'arduo
periodo che l'Italia stava attraversando, tale disponibilità era
tutt'altro che scontata. Il risultato è stato invece quasi commovente:
la comunità scientifica agraria italiana ha risposto con una dedizione
straordinaria.
L’Unione Europea ha recentemente pubblicato un importante documento prodotto dalla Commissione di esperti per la salute del suolo e del cibo che mette il suolo al centro dell’attenzione e delle azioni da intraprendere per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile posti dal Green Deal. Ricordo che Il Green Deal europeo prevede di intraprendere una serie di iniziative politiche volte a promuovere l'uso efficiente delle risorse passando a un'economia pulita e circolare, ripristinare la biodiversità e ridurre l'inquinamento.
Come ha messo in luce il recente rapporto sulla digitalizzazione in
Europa l’Italia mostra un grave ritardo nel processo di
trasformazione digitale. Il nostro paese si colloca al quart’ultimo
posto nei valori dell’indicatore, che rispecchia non tanto un basso
livello di copertura, quanto un pessimo livello di competenze e di un
limitato utilizzo di servizi digitali. Solo il 74% degli
italiani usa abitualmente Internet, e l’utilizzo di servizi pubblici
digitali è scarso. Anche le imprese italiane presentano ritardi
nell'utilizzo di tecnologie come il cloud, i big data e il commercio
elettronico.
Il 2020, che a buon diritto può essere classificato come un annus horribilis,
in considerazione degli effetti dolorosi e preoccupanti che ha causato e
sta causando a tutti noi e che sta determinando situazioni critiche al
comparto agro-alimentare nazionale e mondiale, ha visto l’assegnazione
di due premi Nobel che, per motivi diversi ma complementari, hanno una
grande rilevanza per l’agricoltura. Il premio Nobel per la Chimica è
stato attribuito alla francese Emmanuelle Charpentier e alla
statunitense Jennifer A. Doudna, due ricercatrici che, studiando i
meccanismi molecolari di difesa dei batteri da infezioni causate da
virus (batteriofagi) hanno consentito di sviluppare il metodo chiamato genome editing.
Con questa denominazione si richiama il processo di revisione di un
testo scritto, nel caso specifico la sequenza di DNA. Il metodo di
genome editing prevede la rottura delle eliche del DNA e per questo
motivo ci si riferisce spesso all’immagine di forbici molecolari. La
grande innovazione del genome editing sta nella precisione e
relativa semplicità del sistema che è ben sintetizzata nelle parole del
comunicato del Comitato Nobel che riporta: “tali forbici consentono
di modificare il DNA di animali, piante e microrganismi con una
precisione estremamente alta. Questa tecnologia sta avendo un impatto
rivoluzionario sulle scienze della vita”. In un’occasione precedente
su “Georgofili Info” ho avuto modo di sottolineare come l’applicazione
del genome editing possa costituire uno strumento rivoluzionario nel
miglioramento genetico – breeding – delle specie di interesse agrario.
Attraverso interventi mirati su porzioni note del genoma vegetale è e
sarà possibile sviluppare nuove varietà che siano funzionali
all’agricoltura del XXI secolo, ovvero produttive, in grado di
utilizzare al meglio le risorse, che diano prodotti di elevata qualità
sia per il consumo diretto sia per la trasformazione, in definitiva per
un’agricoltura più sostenibile, produttiva nelle diverse condizioni di
coltivazione, in grado di rispondere agli effetti dei cambiamenti
climatici in atto, che salvaguardi e valorizzi l’agrobiodiversità. Le
modificazioni prodotte attraverso l’applicazione del genome editing
sono in larga misura equivalenti a quelle determinate dai processi
naturali di mutazione spontanea, che forniscono la variabilità genetica
sulla quale agisce l’evoluzione, con il grande vantaggio, in questo
caso, di essere mirate e non casuali. Per questo motivo la Società
Italiana di Genetica Agraria – SIGA – ha proposto di definire il genome editing una delle Tecnologie di Evoluzione Assistita ovvero TEA.
Nel corso della loro evoluzione tutte le piante hanno elaborato un
“sistema immunitario” complesso che consente loro di ridurre gli effetti
negativi da stress abiotici (anomalie edafico ambientali) e biotici
(microrganismi patogeni, insetti). A differenza dei sistemi immunitari
animali, costituiti da linfociti ed anticorpi, quelli vegetali, che
potremmo definire “fitoimmunitari”, si distinguono per la complessità delle molecole di difesa prodotte in risposta allo stress.
La cucina è un linguaggio con le sue parole che si modifica ed evolve
con un ritmo molto maggiore di quello dei tempi passati. Indubbio è che
prima nasce un cibo o una sua preparazione che poi riceve un nome nuovo,
come è il caso del carpaccio inventato da Giuseppe Cipriani, o una
variante di un nome precedente, ma più spesso l’origine del nome anche
di successo rimane oscura e indeterminata, come è il caso di apericena e
di mocktail, denominazioni di una tavola che sta cambiando.
Agricoltura e zootecnia hanno contribuito nel tempo a definire le
caratteristiche paesaggistiche e ambientali del territorio, contenendo
da un lato il consumo di suolo, ma al contempo contribuendo alla
riduzione degli ambienti naturali e quindi delle specie floristiche e
faunistiche ad essi legate. Una parte rilevante delle specie animali e
vegetali attualmente più minacciate in Europa, infatti, è propria di
ambienti per lo più originati e mantenuti dall’attività agricola. Nella
convinzione che conservazione della biodiversità e sviluppo
agro-zootecnico possano e debbano coniugarsi, Fondazione Patrimonio Ca’
Granda ha incaricato Fondazione Lombardia per l’Ambiente di realizzare
il progetto di “Monitoraggio della fauna nelle proprietà della Ca’
Granda”.
Nel corso del biennio 2018-2019 sono state individuate e
indagate 18 differenti macroaree rappresentative del vasto mosaico di
agro ambienti di Fondazione Patrimonio Ca’ Granda: 8.400 ettari
complessivi tra coltivati, prati, siepi, filari, piccole aree umide,
boschi e cascine, ubicati in Lombardia nel Parco del Ticino, nel Parco
Agricolo Sud Milano e nel Parco Adda Sud.
La prima fase progettuale
ha riguardato la scelta dei taxa oggetto delle attività di censimento in
campo e l’implementazione dei monitoraggi mediante impiego di tecniche
standardizzate, al fine di ottenere il maggior numero possibile di dati
quali-quantitativi. La scelta dei gruppi è stata effettuata sia sulla
base delle differenti caratteristiche ambientali, sia in relazione al
loro specifico ruolo ecologico.
Quando, il 9 febbraio 2018, ebbi la fortuna di ascoltare Emmanuelle
Charpentier raccontare, durante una conferenza all’Accademia dei Lincei a
Roma, la storia della CRISPR-Cas9 che lei stessa definì “a game changer in genetic engineering”
continuavo a chiedermi quando le avrebbero assegnato il premio Nobel. O
meglio, se mai avremmo assistito al conferimento di quel premio - che
popola i sogni di tutti i ricercatori - alle due donne che, a distanza
di migliaia di chilometri l’una dall’altra, hanno spiegato al mondo come
l’evoluzione avesse fornito a un batterio lo strumento per ritoccare,
potenzialmente, il genoma di qualsiasi organismo.
Sono trascorsi
altri due anni da quella conferenza di Roma, durante i quali abbiamo
assistito allo “scandalo scientifico” delle gemelline cinesi e visto la
Comunità Europea prendere una posizione molto chiara - ma tutta da
rivedere – contro l’impiego di questa tecnica.
Alla fine, la scorsa
settimana, l'Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il premio
Nobel per la Chimica a Emmanuelle Charpentier e a Jennifer Doudna per la
loro ricerca sull’editing genomico. Questo premio non solo rimarrà
nella storia perché condiviso solo tra due donne, ma soprattutto perché
assegnato a una ricerca relativamente giovane (era l’anno 2015 quando le
riviste Nature e Science definirono la
CRISPR come la scoperta dell’anno), a differenza della ormai radicata
consuetudine di conferire il prestigioso riconoscimento a ricerche
iniziate decenni prima.
Dal 2015 le riviste scientifiche sono state
letteralmente invase da articoli in cui questa tecnica è stata adattata
al fine di ritoccare il genoma di organismi diversi. Al di là delle
potenzialità applicative nell’uomo per la cura di molte malattie con
basi genetiche, e delle loro complicate implicazioni etiche, la CRISPR è
uno strumento rivoluzionario anche in agricoltura.
Comincia a delinearsi il Pnrr, orrendo acronimo per indicare il Piano
nazionale rilancio e resilienza, che non è altro che l’insieme dei
progetti con cui l’Italia vuole spendere la pioggia di miliardi del
Recovery Plan. Il governo, la ministra Teresa Bellanova in primis, parla
di “agroalimentare protagonista del Pnrr e del Patto per l'export”. Tra
le priorità indicate dalla ministra (sostenibilità, biodiversità, lotta
al dissesto idrogeologico, digitalizzazione, infrastrutture materiali e
immateriali, agricoltura 4.0) l’ortofrutta – finora davvero la
Cenerentola delle politiche governative – guarda con fiducia ma anche
preoccupazione.
I vitigni “resistenti” rappresentano per la filiera vitivinicola una
delle novità più importanti degli ultimi anni, in quanto danno una
risposta concreta a molte delle problematiche poste dalla sempre
maggiore esigenza di sostenibilità. Più di 120 varietà “resistenti”,
sono iscritte nei Registri Nazionali delle Varietà di Vite dei diversi
paesi Europei e la superficie vitata cresce a ritmi molto più rapidi
di altre “nuove” varietà , non “resistenti”.
Con l’inizio della presidenza semestrale di turno tedesca dell’Unione
europea, c’è stata una accelerazione del processo di riforma della PAC,
iniziato formalmente a meta 2018 e poi arenatosi per ragioni
istituzionali (elezione del nuovo Parlamento Ue e rinnovo del collegio
dei commissari), oltre che per motivazioni di tipo politico, in primis
le difficoltà a definire il bilancio pluriennale 2021-2027, cui si sono
aggiunte altre cause, come la relativa debolezza delle precedenti
presidenze di turno e le difficoltà di collaborazione tra le commissioni
agricoltura e ambiente del Parlamento europeo.
Entro il corrente
mese di ottobre, sia il Consiglio dei ministri che il Parlamento
dovrebbero definire la posizione comune e sarà così possibile avviare la
parte finale del negoziato, con i contraddittori a tre (i cosiddetti
triloghi).
Pertanto, non è più il caso di temporeggiare ed è
arrivato il momento che, a livello nazionale, inizi una fase nuova, di
analisi, di confronto e di proposte che porti a formulare le scelte
applicative nell’ambito del piano strategico della PAC post 2020. Non è
che fino ad oggi l’argomento sia stato accantonato. Piuttosto c’è stata
carenza nella qualità, continuità e spessore del dibattito.
A
differenza del passato, la responsabilità decisionale di Ministero e
Regioni è aumentata e con essa è cresciuta pure la possibilità di
incidere in modo virtuoso sul sistema agricolo. Il new delivery model,
ovvero la più radicale discontinuità della riforma in discussione, non
costringe più a muoversi entro i rigidi confini circoscritti dai
minuziosi regolamenti di Bruxelles.
Un nuovo modello di riferimento della gestione dell’agricoltura viene
definito “smartfarming”; Smart, popolarmente identificabile in
“intelligente” e anche acronimo di Specifico, Misurabile, raggiungibile
(Achievable), Realistico e calendarizzabile (Time_based). Il termine non
è sconosciuto perché già negli anni ’90 l’agricoltura di precisione
veniva anche definita agriculture raisonné e preludeva al
superamento di una semplificazione nelle pratiche colturali indotta da
modelli di gestione normalizzati del dopoguerra e proposti per grandi
aree dai noti prontuari degli anni ’70.
Raisonné, Smart, di
Precisione, sottolineano il recupero di una attenzione specifica alle
singole unità produttive, grazie ai nuovi strumenti di alta tecnologia e
della digitalizzazione: la definizione più accreditata tiene in
considerazione il fare per ogni punto sitospecifico o per ogni soggetto
di coltivazione, la cosa giusta, nel momento più opportuno, nelle
modalità e nelle quantità più appropriate, con la registrazione delle
specifiche azioni per una tracciabilità ai fini di un continuo
miglioramento. Le ulteriori declinazioni in Sostenibile, Durable,
Durevole, ne definiscono l’orientamento etico e strategico.
Uno studio recente del gruppo AgriSmartLab (www.agrismartlab.unifi.it – doi:10.3390/su12177191) ha focalizzato nel termine smartfarming
questo nuovo approccio che, dalla “meccanizzazione” degli anni ’70,
affronta il paradigma nascente dell’alta tecnologia e della
digitalizzazione in agricoltura. Il termine farming specifica l’ambito
di applicazione in quanto identifica tutte le operazioni che si attuano
nel pieno campo dove le attività sono fortemente condizionate dalla
variabilità delle caratteristiche territoriali, in termini di suolo,
giacitura, clima; variabilità che è oggi ampliata dai cambiamenti
climatici con avversità moltiplicate in termini di parassiti alieni e di
eventi eccezionali e improvvisi.
Nei giorni immediatamente precedenti la tornata elettorale del 20 e 21
settembre il Governo ha presentato alle Camere le “Linee guida per la
definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (Pnrr).
È il primo passo per dare avvio ai programmi di rilancio della nostra
economia disastrata a causa del Covid 19. Il documento è stato relegato
in secondo piano dalle polemiche post elettorali, ma merita attenzione.
Negli
scorsi mesi ha prevalso l’obiettivo di contenere le conseguenze di una
situazione economica sull’orlo del collasso. Gli interventi, pari a un
centinaio di miliardi, sono stati utilizzati per sostenere il comparto
sanitario, per aiutare le persone e le categorie più colpite e le
attività bloccate dal lockdown. Non si è seguita una logica selettiva,
ma quella di un intervento generalizzato. Ora, di fronte al compito
immane della ricostruzione e dello stimolo alla resilienza del sistema
servono priorità chiare, scelte vere, sostenute da un ingente sforzo
finanziario che graverà sul futuro del Paese.
Il documento sulle
linee guida costituisce la prima risposta ed era atteso con grande
interesse. Altri paesi hanno già predisposto il proprio documento e la
Commissione Europea negli stessi giorni ha reso note le sue indicazioni.
Il Pnrr è scarno e molto generale, 38 pagine a cui si sommano circa altrettante di diapositive (si veda: linee-guida-pnrr-2020.pdf).
L’analogo piano francese, ad esempio, è di circa 300 pagine ed entra
in elementi di dettaglio, mentre altri paesi europei affrontano la fase
di scrittura in stretto contatto con gli organismi comunitari.
La
struttura del testo è semplice, quasi scolastica, ma a queste
caratteristiche non si accompagnano chiare indicazioni operative.
L’impressione che ne deriva è che il “vero” contenuto debba ancora
essere deciso.