Fonti proteiche e impatto ambientale dei sistemi zootecnici: le alghe come fonti alternative alla soia

di Giuliana Parisi
  • 16 June 2021

Si contano oltre 100.000 specie di microalghe, prevalentemente fotoautotrofe ma alcune naturalmente eterotrofiche, delle quali solo una minima parte sono state studiate e caratterizzate e poche sono quelle sfruttate commercialmente; fra queste alcune specie marine (Tetraselmis suecica, Nannochloropsis sp., Phaeodactylum tricormutum, Isochrysis sp. T-ISO, Cylindrotheca sp., Chaetoceros gracilis, Skeletonema sp.) e altre di acqua dolce (Arthrospira platensis, Anabaena spp., Monodus subterraneus, Chlorella spp., Scenedesmus quadricauda, Haematococcus pluvialis).
Insieme a lieviti, funghi e batteri, le microalghe vengono definite Single Cell Protein (SCP), che rappresentano possibili fonti proteiche alternative, avendo un contenuto in proteina che può considerarsi elevato, potendo costituire il 45-55% nei lieviti, il 50-80% nei batteri e il 60-70% nelle microalghe.
Le varie specie di microalghe presentano una simile composizione in aminoacidi, sono ricche in aminoacidi essenziali e hanno un contenuto abbastanza elevato in azoto non proteico (circa il 12% in Scenedesmus obliquus, l’11.5% in Arthrospira platensis e il 6% in Dunaliella).
Il termine SCP non è adeguato alla caratterizzazione delle microalghe che sono certamente qualcosa di più che una fonte di proteina, avendo il potenziale per essere considerate supplementi con alto valore aggiunto, dal momento che oltre ad essere una fonte di macronutrienti (proteine, lipidi, carboidrati) e micronutrienti (vitamine A, B1, B2, B6, B12, C, E, acido folico, …), sono una fonte di energia e pigmenti che possono sostituire additivi sintetici nei mangimi. Apportano inoltre molecole funzionali di indubbio interesse per la salute e la performance degli animali allevati ma anche per la qualità finale del prodotto ottenuto, grazie all’arricchimento negli acidi grassi a lunga catena e a elevato grado di insaturazione (EPA e DHA).
Tra le microalghe maggiormente sperimentate in alimentazione zootecnica ricordiamo il cianobatterio Arthrospira, Chlorella, Isochrysis galbana, Dunaliella salina (ricca in β-carotene), Haematococcus pluvialis (con elevata presenza di astaxantina).
Una caratteristica importante delle microalghe è la loro plasticità e la possibilità quindi di modellarne la composizione chimica, modificando il mezzo di coltura e le condizioni di crescita. Questa caratteristica è sicuramente un atout ma d’altra parte è anche responsabile della grande variabilità nelle proprietà macro- e micronutrizionali che può costituire un problema per il loro impiego nelle formulazioni mangimistiche. Tecniche di produzione tecnologicamente evolute consentono di stabilizzare le caratteristiche del prodotto, standardizzando i vari parametri coinvolti nel processo produttivo. Ma queste tecniche comportano anche investimenti e competenze maggiori, che poi gravano sul costo di produzione e quindi sul prezzo di mercato, che resta ancora molto elevato e non competitivo rispetto ad altre fonti proteiche.
Le percentuali di inclusione che sono state sperimentate variano in relazione alla specie microalgale e alla specie zootecnica, considerando che la presenza della parete cellulare ne limita la digeribilità nel caso delle specie monogastriche, qualora le microalghe non vengano preventivamente sottoposte a trattamenti fisici o chimici in grado di migliorarne la digeribilità.
L’inclusione delle microalghe nei mangimi produce effetti controversi sulle prestazioni zootecniche ed effetti decisamente più coerenti sulla qualità dei prodotti, sia dal punto di vista delle caratteristiche chimiche (incremento in n-3 LCPUFA, in EPA e DHA, diminuzione del rapporto n6/n3) che sensoriali (come il colore, nel caso dell’impiego di determinate specie di microalghe).
Nel caso dell’impiego in acquacoltura, l’inclusione di Chlorella e Haematococcus (fonti naturali di astaxantina) nei mangimi per pesci salmonati influenza positivamente il colore della livrea e della carne, mentre l’inclusione di Arthrospira platensis, Tetraselmis suecica o di un mix di Tisochrysis lutea e Tetraselmis suecica in percentuale del 9-12% ha prodotto effetti marcati e negativi sul colore, come evidenziato in un articolo (DOI: 10.1016/j.aquaculture.2021.736989) recentemente pubblicato nell’ambito del progetto AGER 2-SUSHIN n. 0112-2016 (“Novel ingredients and underexploited feed resources to improve sustainability of farmed fish species: growth, quality, health and food safety issues”), finanziato dalla Fondazione AGER. Infatti, i filetti di trota iridea presentavano tonalità giallastre, sicuramente poco apprezzabili da parte del consumatore, derivanti dal tipo di caroteni presenti nelle microalghe incluse nella dieta.
Notevoli sono i punti di forza di questi ingredienti, che forniscono nutrienti ben bilanciati, composti immunomodulatori e sono fonte di molecole funzionali. Piccole quantità di biomassa nei mangimi si traducono in benefici per la fisiologia animale, dal momento che migliorano la risposta immunitaria, aumentano la resistenza alle malattie, esercitano funzione antibatterica e antivirale, stimolano la funzione intestinale e la colonizzazione di batteri ad azione probiotica. Si tratta di ingredienti altamente competitivi sotto il profilo della sostenibilità rispetto ad altre fonti proteiche vegetali, presentando una modesta impronta ecologica, capacità di biorimediazione dell’acqua ed elevata effcienza di fissazione della CO2.
Da considerare che il ruolo delle microalghe in acquacoltura riveste un interesse rilevante in quanto le microalghe possono tamponare gli effetti negativi della sostituzione delle farine (e degli oli) di pesce nei mangimi. Infatti, come conseguenza dell’inclusione delle fonti proteiche e lipidiche vegetali nei mangimi per pesci, la frazione lipidica dei filetti è cambiata drasticamente nel corso degli ultimi decenni, riscontrando una sensibile riduzione della percentuale di EPA e di DHA nei lipidi del filetto.
Da non trascurare sono tuttavia i punti di debolezza dell’impiego delle biomasse microalgali nell’alimentazione di specie di interesse zootecnico. Tra questi
    • la variabilità della composizione chimica in relazione alla specie e alle condizioni di coltura, alla modalità di raccolta e alla manipolazione post-raccolta
    • la presenza di una parete cellulare praticamente indigeribile per i monogastrici. Fondamentale per l’industria mangimistica sarebbe dunque la messa a punto di appropriate tecnologie per migliorare la biodisponibilità dei nutrienti presenti nelle microalghe (come nel caso di Chlorella e Nannochloropsis)
    • la necessità di sviluppare tecnologie produttive particolarmente efficienti e in grado di rendere più stabile la composizione e di aumentare il livello di scala della produzione. Quest’ultimo aspetto potrà produrre effetti rilevanti sui costi di produzione, riducendo quindi i prezzi della biomassa e rendendola così più competitiva rispetto alle altre fonti proteiche attualmente utilizzate.
Per quanto l’impiego delle microalghe nei mangimi ponga ancora problemi di vario tipo, nel caso dell’acquacoltura il loro ruolo è attualmente insostituibile e lo sarà nel medio periodo in particolari contesti e fasi della filiera produttiva, come nel caso della produzione di prede vive in avannotteria o nell’allevamento delle fasi larvali e post-larvali negli schiuditoi per molluschi bivalvi.