Notiziario

Settimana di incontri organizzati dai Georgofili in attesa del G20 dell’agricoltura

Lunedì 6 settembre 2021, nel pomeriggio, ha avuto inizio la serie di incontri tecnico-scientifici organizzati dall’Accademia dei Georgofili in attesa del prossimo G20 dell’agricoltura a Firenze. I lavori sono stati aperti dal Presidente Massimo Vincenzini.
Dopo i saluti istituzionali del Sindaco Dario Nardella, del Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e del Vicedirettore della FAO Maurizio Martina, si è svolto il convegno “Alcuni traguardi per l’agricoltura del futuro”, coordinato dai professori Dario Casati e Gianluca Brunori.
Il Sindaco ha voluto sottolineare l’importanza di coinvolgere le comunità locali ed accogliere le istanze che giungono dalla società civile per affrontare le odierne sfide globali. In questo senso è fondamentale, secondo Nardella, il ruolo dell’Accademia dei Georgofili che è al tempo stesso istituzione internazionale e attore del territorio fiorentino. Grato per il lavoro svolto da tutti gli Accademici, il Sindaco ha espresso l’augurio che i frutti di questa settimana di incontri scientifici possano subito essere raccolti, per dimostrare il grande patrimonio presente nella città di Firenze e condividerlo nel mondo come strumento formidabile di emancipazione. Anche Eugenio Giani ha ricordato il ruolo storico dei Georgofili per lo sviluppo di agricoltura e innovazione, ruolo ancor più importante oggi dal momento che la ripresa dell’Italia post pandemia è in gran parte guidata dal settore agroalimentare.
“Il raggiungimento dell’obiettivo di produrre meglio consumando meno ha bisogno di scelte politiche importanti che accolgano tutti gli strumenti offerti dalla tecnologia e dalla scienza. E’ necessario un nuovo equilibrio nei modelli di sviluppo che risponda alla sostenibilità globale”. Queste alcune delle parole con cui il vicedirettore della FAO, Maurizio Martina, ha salutato con un videomessaggio l’evento inaugurale dei Georgofili in attesa del G20 dell’Agricoltura a Firenze.
Un saluto molto gradito, quello di Martina, che evidenzia da un lato l’importanza di questi incontri tecnico-scientifici dei Georgofili per offrire strumenti ai decisori politici riuniti nel capoluogo toscano i prossimi giorni, dall’altro il lungo legame tra FAO e Georgofili, che risale già al secondo dopoguerra, quando fu creata l’organizzazione internazionale per cibo e agricoltura. Nel settembre 1948, infatti, la FAO organizzò un ciclo di riunioni sul problema della conservazione del suolo. Come sede per queste riunioni furono scelti “i locali di cotesta illustre e benemerita Accademia”, come scriveva la rappresentante italiana della FAO all’allora Presidente dei Georgofili. Nonostante le difficoltà delle comunicazioni che ancora ostacolavano le relazioni tra i vari Paesi, si poterono incontrare a Firenze presso i Georgofili i rappresentanti americani, quelli di molti stati europei (Belgio, Francia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Svizzera) e persino dell’Asia (Cipro, Israele) e dell’Africa (Africa Settentrionale Francese e Congo Belga). Fu proprio in questa occasione, alla cui sessione inaugurale tenne un discorso il Direttore Generale della FAO Norris Dodd, che i vari esperti di suolo si aggiornarono reciprocamente sulle proprie conoscenze tecnico-scientifiche e si crearono i presupposti per una collaborazione internazionale.

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L’Accademia dei Georgofili in attesa del G20 dell’Agricoltura a Firenze

Quasi al via la serie di eventi organizzati dall’Accademia dei Georgofili in previsione del G20 dell’Agricoltura, che si svolgerà a Firenze i prossimi 17 e 18 settembre 2021.
Si comincia il pomeriggio di lunedì 6 settembre con un incontro dedicato ai traguardi dell’agricoltura del futuro. Questo convegno, come anche tutti gli altri, sarà fruibile sia in presenza (compatibilmente alle norme di sicurezza anti-Covid19) che da remoto, avendo fatto l’iscrizione tramite il link che si trova nella sezione eventi del sito dell’Accademia (https://www.georgofili.it/eventi).
Da Martedì 7 a Giovedì 9 si svolgeranno due incontri al giorno, uno la mattina e uno il pomeriggio, sulle tematiche: sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare globale, ricerca sull’apparato radicale delle piante, rischi fitosanitari legati ai cambiamenti climatici, genetica applicata alla zootecnia, ricerca e formazione per la sicurezza sul lavoro in agricoltura. Venerdì 10, solo di mattina, si terrà un convegno sul verde urbano e il benessere del cittadino.
Infine, nella settimana del vertice e precisamente mercoledì 15 settembre, si svolgerà un convegno internazionale sul tema “Water in agriculture: a better use for a better world”, organizzato dai Georgofili in collaborazione con ANBI (Associazione nazionale consorzi di tutela gestione territorio e acque irrigue); CER (Consorzio di bonifica di secondo grado per il Canale Emiliano Romagnolo); CNR-IBE (Istituto per la Bio-economia). Il convegno vedrà la partecipazione di esperti provenienti da Australia, Sud Africa, Brasile e India.
Il ventaglio di argomenti trattati, pur non pretendendo di essere esaustivo, offrirà dunque un ampio orizzonte tecnico-scientifico aggiornato e competente su tematiche di rilevanza mondiale per il settore primario presentare un punto aggiornato sulla ricerca ed offrire il proprio contributo ai decisori politici, per affrontare al meglio tutti gli obiettivi fissati al 2050 dalla Ue, in materia di ambiente, energia e clima.

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Il piacere dei cibi piccanti

Quando si nasce si cerca sicurezza e conforto e per questo i cibi devono essere dolci, caldi, morbidi e bianchi come il latte materno. Cibi amari o piccanti, duri e scuri, se non neri, sono un indicatore di pericolo e da evitare. Man mano che il bambino cresce, inizia l’interesse per la scoperta del mondo e con questo anche il piacere del rischio e della paura, in una ricerca che riguarda anche il cibo. Complesso è quindi il rapporto tra uomo e cibo piccante e va studiato nella prospettiva della storia evolutiva dell’uomo, la cosiddetta alimentazione darwiniana.

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La Ractopamina, un anabolizzante per suini “palestrati”

La Ractopamina cloridrato (RAC) è un additivo alimentare zootecnico largamente usato in alcuni paesi come gli Stati Uniti, tollerato in altri come il Canada, assolutamente proibito in 160 altri paesi, fra cui la Cina, la Russia e i paesi dell’Unione Europea. Che cosa è la RAC e a che scopo viene somministrata? Viene impiegata, quasi esclusivamente, nell’alimentazione dei suini ed ha lo scopo di migliorarne le prestazioni produttive (accrescimenti e indice di conversione), nonché di modificare le caratteristiche della carne, poiché stimola l’ipertrofia del tessuto muscolare a scapito del tessuto adiposo.
L’effetto della RAC sull’anabolismo animale è molto simile a quello esercitato dal Clenbuterolo, un additivo alimentare usato dai nostri “palestrati” e culturisti per esaltare lo sviluppo di bicipiti, pettorali e “tartarughe” addominali. Ambedue questi prodotti sono ritenuti nocivi e pericolosi. I palestrati facciano pure quello che sembra loro meglio, ma per quanto riguarda la carne suina è giusto che dalle nostre parti la RAC non si possa legalmente usare e non arrivi sulle nostre tavole nascosta nella carne.

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La zootecnia non è responsabile dell’aumento dei gas climalteranti in atmosfera. Anzi…

A differenza di molti studi e di quanto i media vanno diffondendo che considerano solo i gas climalteranti prodotti dalle attività zootecniche sul cambiamento climatico nel contributo dato recentemente alle stampe viene valutata la quantità di CO2 prodotta dagli animali e quella equivalente derivante, nel corso di dieci anni, dal metano dell’attività ruminale, ma anche quella fissata nei vegetali utilizzati per l’alimentazione degli animali di allevamento.
Dall’elaborazione effettuata emerge che in Italia la CO2 fissata dai vegetali, prodotti sia in Italia sia all’estero, destinati all’alimentazione degli animali è superiore di circa  il 10% rispetto a quella equivalente emessa dagli animali allevati e dalle attività zootecniche ad essi correlate. Ne deriva che, contrariamente a quanto sostenuto da molti media, gli animali di allevamento contribuiscono a ridurre la CO2 in atmosfera.
Sono state quantificate le emissioni dovute alla respirazione e quelle relative alle fermentazioni ruminali e alle deiezioni di tutti i capi delle specie allevate in Italia, alla loro gestione e al loro spandimento, comprese le deiezioni rilasciate dagli animali al pascolo. È stata poi calcolata l’anidride carbonica (CO2) fissata dalle principali colture di interesse zootecnico tramite il “Ciclo di Calvin-Benson” che è stata sottratta dall’atmosfera. Da dati statistici si è risaliti alla quantità di foraggi (ISTAT) e cereali (ASSALZOO), prodotti nel nostro Paese e all’estero, impiegati in Italia.
Dalla quantità prodotta di foraggi e cereali si è risaliti alla biomassa vegetativa tramite i vari indici di raccolta, calcolando anche la parte ipogea lasciata al suolo come residuo colturale. Si è tenuto conto, inoltre, delle emissioni che provengono dalla coltivazione delle specie vegetali per la lavorazione del terreno, la produzione di fertilizzanti e fitofarmaci, l’elettricità, i combustibili e il funzionamento delle macchine.
Dai risultati emersi, si può affermare che la zootecnia in Italia, escluse le attività legate al trasporto e alla lavorazione di prodotti come carne e latte, non contribuisce all'aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera, ma le diminuisce, anche se di poco, perché il saldo tra le quantità di CO2eq prodotte dal bestiame e quelle fissate nel foraggio utilizzato per la loro alimentazione è nettamente (+10%) a favore di quest'ultima. Se gli alimenti per il bestiame non sono importati, basterebbe aumentare la superficie adibita alla coltivazione di erba medica di 2,6 volte per eguagliare l’equivalente di CO2 prodotta dagli allevamenti e quelli fissati nel foraggio.

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Le insalate. Virtù delle regine dell’estate

“INSALATA”  è  il participio passato femminile del verbo insalàre, che significa condire con sale.
L’insalata non è  un piatto di uno o più vegetali in particolare, ma a qualsiasi pietanza di ortaggi, di solito in foglia, conditi con sale, olio o altri aromi  e, quindi, può essere di sola lattuga o di solo radicchio, ma anche di patate o di pomodoro o di cavolo o un’insalata mista che unisce tante verdure crude e/o cotte o una “insalatona” con ingredienti non solo vegetali.
Il piatto che noi chiamiamo insalata, dagli antichi Romani era chiamata acetaria, visto che era l'aceto il condimento preferito, e del quale facevano largo uso.

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Intelligenza suina per allevamenti a misura di maiale

Recentemente i maiali sono oggetto di ricerche cognitive anche per la loro somiglianza fisiologica e anatomica con l'uomo, possedendo un cervello grande e ben sviluppato e la valutazione delle funzioni di apprendimento e di memoria dei maiali è rilevante non solo per la ricerca umana, ma anche per il loro benessere negli allevamenti, dove sono necessarie migliori conoscenze per assicurare loro giusti livelli di benessere, una buona salute, un’alta qualità delle produzioni e per poter progettare nuovi sistemi d’allevamento “a misura di maiale”.

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Non c’è niente da fare: il consumo di suolo non si arresta

Non bastano le catastrofi ambientali sempre più frequenti, come quelle dei giorni scorsi in Germania, nel Nord Europa ma anche in Cina, con un altissimo costo di vite umane, dovute a eventi climatici estremi che si abbattono su un territorio in precedenza devastato, da un lato, da una cementificazione, e quindi impermeabilizzazione, selvaggia e dall’altro, nelle aree marginali di alta collina e montagna, da abbandono e quindi da totale mancanza di gestione, manutenzione e messa in sicurezza del territorio. Nonostante questo il consumo di suolo non si arresta malgrado i proclami, a vuoto, invocanti un’inversione di tendenza.
Lo scorso anno definimmo i dati del 2019 allarmanti perché le nuove coperture artificiali avevano riguardato altri 57 km2 (57 milioni di metri quadrati) al ritmo, confermato, di oltre 2 mq al secondo; il rapporto ISPRA del 2021 sottolinea che “a livello nazionale le colate di cemento non rallentano neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, e ricoprono quasi 60 chilometri quadrati, impermeabilizzando ormai il 7,11% del territorio nazionale. Ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni ’50)”.
Il rapporto pone all’attenzione anche dati economici non confutabili: senza interventi “è un costo complessivo compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, in pratica la metà del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quello che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030. Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. In altre parole due milioni di volte il giro della terra”.
Si evidenzia anche la correlazione fra consumo di suolo nelle città e nelle aree produttive e isole di calore. Infatti, le nostre città sono sempre più calde e inospitali nei periodi estivi.

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Lo strano caso delle ciliegie senza peduncolo

La campagna cerasicola è agli sgoccioli ed è stata caratterizzata da una produzione abbondante e da prezzi mediamente bassi , nel caso della Puglia anche inferiori alla media, e che hanno provocato numerose proteste di cerasicoltori per i prezzi loro pagati, sotto i costi di produzione se non del costo della sola raccolta. Le ragioni della crisi sono diverse: la produzione abbondante, la crescente concorrenza di altri paesi mediterranei ( Spagna, Grecia, Turchia,….), la diminuita presenza e disponibilità di manodopera stagionale (sia italiana che straniera)  e il suo costo crescente e, salvo poche eccezioni, una scarsa innovazione tecnica ( cultivar, portinnesti, forme di allevamento e densità d’impianto) e organizzativa ( associazione dei produttori).
Tra le innovazioni tecniche, è del tutto assente la coltivazione delle cultivar senza peduncolo che, al contrario, in Spagna incrementano, da anni, la loro produzione e la loro esportazione in Europa . Il grande vantaggio delle ciliegie senza peduncolo è nella facilità della raccolta il cui costo, nelle cultivar tradizionali, è calcolato più o meno pari al 50% del costo totale di produzione. Nella maggior parte dei ceraseti italiani, considerando una produzione media ad ettaro di 120-130 q, la resa della raccolta manuale è di circa 10-12 Kg/ora; il costo è ovviamente determinato da quanto si paga il raccoglitore, ma ragionevolmente si può stimare un minimo di 0,50 ed un massimo di 0,90 euro/Kg. Il costo della raccolta manuale delle cultivar senza peduncolo ( ma è possibile la raccolta meccanizzata) si riduce fino al 50%, ciò che consente la loro vendita ad prezzo più conveniente per il consumatore. Le ciliegie senza peduncolo hanno anche il vantaggio di poter effettuare una selezione meccanica ed un confezionamento più facili e non hanno il problema del disseccamento del peduncolo che evidenzia negativamente il tempo tra la raccolta e la commercializzazione.

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Georgofili: una settimana di eventi per il G20 dell'Agricoltura a Firenze

In attesa del vertice dei Ministri dell’agricoltura del G20, che si terrà a Firenze il 17 e 18 settembre 2021, l’Accademia dei Georgofili ha organizzato una serie di eventi durante la settimana che precederà il vertice (6-10 settembre).
Gli incontri si svolgeranno in modalità mista: in presenza, nella sede dell'Accademia, con un numero di spettatori compatibile alle normative anti-Covid19, e da remoto grazie ad un sistema audio-video che li renderà visibili in diretta su pc, tablet e smartphone.
I temi trattati affrontano aspetti di ampio respiro e di interesse generale, tutti inerenti l’agricoltura e le sfide che dovrà affrontare per cogliere tutti gli obiettivi fissati al 2050 dalla Ue, in materia di ambiente, energia e clima.
Inoltre, nella settimana del vertice e precisamente mercoledì 15 settembre, si svolgerà un convegno internazionale sul tema “Water in agriculture: a better use for a better world”, organizzato dai Georgofili in collaborazione con ANBI (Associazione nazionale consorzi di tutela gestione territorio e acque irrigue); CER (Consorzio di bonifica di secondo grado per il Canale Emiliano Romagnolo); CNR-IBE (Istituto per la Bio-economia). Il convegno vedrà la partecipazione di esperti provenienti da Australia, Sud Africa, Brasile e India.
Il  ventaglio di argomenti trattati, pur non pretendendo di essere esaustivo, offrirà un ampio orizzonte tecnico-scientifico aggiornato e competente su tematiche di rilevanza mondiale per il settore primario quali: lo sviluppo sostenibile dell'agricoltura, il ruolo delle nuove tecnologie, la sicurezza alimentare globale, la tutela del suolo, i rischi fitosanitari legati ai cambiamenti climatici e agli insetti alieni, il futuro della zootecnia, la formazione degli addetti al settore per migliorare la sicurezza sul lavoro, l'importanza del verde in città per il benessere psico-fisico dei suoi abitanti.
L'Accademia dei Georgofili, secondo la finalità sancita dal proprio secolare motto "Prosperitati Publicae Augendae" (per accrescere la pubblica prosperità) intende così presentare un punto aggiornato sulla ricerca ed offrire il proprio contributo ai decisori politici. Anche nel 1946 i Georgofili organizzarono a Firenze un gruppo di lavoro di scienziati ed agronomi per definire un piano di ripresa dell'agricoltura, allora devastata dal secondo conflitto mondiale, che anticipò di un anno il Piano Marshall.

Allegato: il programma Iniziative G20 - Accademia dei Georgofili.pdf


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Ecofisiologia delle colture agrarie

Questo agile volumetto vuole riunire le nozioni fondamentali che ogni “buon tecnico” dovrebbe conoscere per “gestire meglio il campo coltivato” (agroecosistema).

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Il salmone è (ancora) un pesce?

Se noi siamo quello che mangiamo, come sosteneva Ludwig Andreas Feuerbach (1804 – 1872), lo stesso avviene per gli animali e Pellegrino Artusi (1820 – 1911) nel suo classico ricettario La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene (1891) dice che “la folaga si potrebbe chiamare uccello-pesce, visto che anche la Chiesa permette di cibarsene nei giorni magri senza infrangere il precetto”, non solo perché uccello che vive fuori dall’arca di Noè, ma soprattutto perché si nutre di pesce e da questo le sue carni e soprattutto i suoi grassi assumono sapore e aroma. Come dobbiamo oggi considerare il salmone dell’atlantico (Salmo salar) quando da predatore che in mare si ciba di pesci, crostacei e cefalopodi diviene un animale allevato e nutrito in prevalenza con cibi terrestri che modificano soprattutto i grassi di cui diviene ricco?

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L’Aleirode nero sempre meno occasionale negli oliveti siciliani

Delle numerose specie di insetti di secondario interesse fitosanitario negli oliveti, l’Aleirode nero (Aleurolobus olivinus Silv.) pur da tempo diffuso in Italia, raramente supera la soglia di attenzione degli olivicoltori, anche perché gli stadi giovanili vengono spesso scambiati per escrementi di ditteri. Occasionale è la presenza negli oliveti dell’altro Aleirode, noto come Sifonino delle pomacee, Siphoninus phillyreae (Hal), che infesta soprattutto le pomacee e che, su olivo, fillirea e frassino, piante sempreverdi importanti per il suo svernamento, si riscontra di rado e quasi sempre in esigue densità di popolazione, attivamente tenute sotto controllo dal coleottero Clithostetus arcuatus (Rossi) e soprattutto, dal parassitoide Encarsia partenopea (Masi).

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Sul sito dei Georgofili disponibili le registrazioni video di alcuni recenti incontri di studio

Al link  https://www.georgofili.it/contenuti/fonti-proteiche-e-impatto-ambientale-dei-sistemi-zootecnici/8285 è disponibile la registrazione video dell’incontro su "Fonti proteiche e impatto ambientale dei sistemi zootecnici" che si è svolto il 20 maggio u.s., ispirato dalle accuse mosse, in più ambienti, alle attività zootecniche, accusate di essere le principali responsabili delle emissioni di gas serra. Sempre sul sito istituzionale, è disponibile anche la registrazione video dell’incontro "Canapa, l'attualità di una pianta di grande tradizione colturale" del 25 maggio u.s. al link: https://www.georgofili.it/contenuti/la-canapa-lattualit-di-una-pianta-di-grande-tradizione-colturale/8273. L'incontro ha voluto promuovere un confronto sui risultati ottenuti e sui nodi ancora irrisolti della filiera canapa per non farsi trovare impreparati nelle sfide del futuro e nel ruolo che questa pianta può avere verso la transizione ecologica.  Infine, al link https://www.georgofili.it/contenuti/digitalizzazione-per-lagricoltura-e-per-lo-sviluppo-rurale-sostenibile/8305, è disponibile la registrazione video della conferenza web su "Digitalizzazione per l’agricoltura e per lo sviluppo rurale sostenibile", organizzata il 18 giugno u.s. su proposta del Comitato consultivo dei Georgofili sulla digitalizzazione in agricoltura.

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Un valido aiuto per l’ambiente da parte dei batteri denitrificanti

Ci giunge notizia di un progetto che stanno portando avanti alcuni ricercatori della Norwegian University of Life Sciences, di Ås (Oslo) riguardo ad un nuovo metodo che impiega batteri denitrificanti, capaci di organicare la CO2 utilizzando per il salto energetico a carboidrati non l’energia solare, ma quella ottenuta dalla denitrificazione batterica dei nitrati. La ricercatrice Linda Bergaust è la responsabile del progetto, ideato dai professori Lars Bakken e Svein Jarle Horn.
Che alcuni batteri anaerobi possano “respirare” i nitrati invece dell’ossigeno non è una novità, tuttavia la notizia è che si sta studiando di sfruttare questa peculiarità metabolica per produrre sostanze organiche da impiegare come alimenti per uso umano e animale, farmaci, plastiche biodegradabili.

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Il falso mito della dieta paleolitica

Una vita sempre più urbanizzata e la recente progressiva presa di coscienza di un cambiamento climatico in atto portano a considerare la necessità di un nuovo equilibrio tra la società umana e l’ambiente e anche a desiderare una natura spesso solo sognata e non di rado, tra il turbinio delle più diverse diete, tra queste spunta anche la Dieta Paleolitica secondo la quale dovremmo mangiare naturale come i nostri antenati. Un’idea a prima vista non stravagante che si rifà al principio di Theodosius Dobzhansky (1900 – 1975) “Nothing in biology makes sense except in the light of evolution” (niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione) e quindi anche l’alimentazione umana avrebbe un senso solo se fosse quella risultante dall’evoluzione dei nostri antenati nel periodo paleolitico, ma qual è l'evidenza della dieta e dell'alimentazione e della salute umana paleolitica prima dell'adozione dell'agricoltura? Purtroppo estremamente limitati sono i dati e abbiamo soltanto un quadro molto parziale delle diete dei tempi passati che restano in gran parte ancora ignoti anche nei loro rapporti con le condizioni ambientali. Molto diverse sono anche le popolazioni di ominidi che ci hanno preceduti e loro stili di vita, dalla prima comparsa della nostra linea genetica in Africa circa quattro milioni di anni fa, fino all’adozione dell'agricoltura iniziata circa diecimila anni fa.
In base ai cambiamenti nella morfologia del cranio, della progressiva riduzione della mandibola e per l'aumento della dimensione del cervello nel corso dei millenni si può ragionevolmente ritenere che in un’alimentazione e onnivora nella linea Homo vi possa essere stato un aumento del consumo di carne. Poiché questa conclusione si basa su analogie con primati viventi non si può escludere che vi sia anche stato un crescente uso di alimenti vegetali ricchi di energia. Non bisogna dimenticare che una evoluzione con il completo passaggio a una stazione eretta bipedale e uno sviluppo del cervello portano ad avere bisogno di molta energia che può essere raggiunto con una grande adattabilità e variabilità alimentare e anche con un significativo apporto di alimenti provenienti da ogni tipo di animali. La linea Homo negli alimenti d’origine animale e non nei vegetali si procura il ferro in forma facilmente assimilabile, la vitamina B12 e due acidi grassi essenziali, docsaesaenoico e arachidonico, essenziali per lo sviluppo del cervello. Le migliori fonti di questi due acidi grassi sono il midollo osseo e il cervello degli animali (ma anche dei suoi simili) e il loro consumo avrebbe facilitato l'espansione delle dimensioni del cervello e l'aumento della capacità cranica. 

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Eccesso di vigoria, problema maggiore dei vigneti moderni

La qualità del vino è fortemente condizionata dalla vigoria della vite. È necessario definire con esattezza quale debba essere l’andamento dello sviluppo della pianta in funzione del vitigno, dell’obbiettivo di resa, del tipo di vino e della zona di produzione.
Il progresso tecnologico nella moderna viticoltura ha inevitabilmente comportato come conseguenza, spesso imprevista, un eccesso di vigoria vegetativa responsabile di una somma di negatività sia a livello di qualità delle produzioni che di longevità del vigneto e di costi di coltivazione.
Allo stesso tempo, il cambiamento climatico, con aumento di temperatura e della concentrazione media di anidride carbonica nell’atmosfera, sta modificando l’areale di coltivazione della vite, la qualità dei vini e l’equilibrio ecofisiologico dell’agroecosistema vigneto.
L’eccesso di vigoria, da non confondere con un rendimento eccessivo, si manifesta essenzialmente con un detrimento nella sintesi di sostanze “nobili” responsabili della qualità (aromi, polifenoli non ossidabili, tannini non aggressivi, sali minerali, ecc.). A vigoria elevata corrisponde sempre un deprezzamento qualitativo, anche quando si ha l’illusione (o si vuol illudere) di risolvere tutte le problematiche con le tecnologie enologiche moderne.
Naturalmente, anche un accrescimento stentato comporta problemi, con viti indebolite e compromesse nella longevità; i vini risulteranno caratterizzati da aromi e sapori anomali e sgradevoli. Due le possibili spiegazioni: 1) la produzione subisce un calo repentino per problematiche diverse (di natura biotica e/o abiotica); 2) la quantità di grappoli è rilevante rispetto alla massa fogliare che, di conseguenza, è insufficiente per una regolare attività fotosintetica.
Tanti sono i fattori alla base della vigoria eccessiva di una pianta: genetici, trofici, ormonali e colturali; molti, tuttavia, restano sconosciuti.
Una prima serie di elementi riguarda il materiale vegetale, con particolar riferimento ai portinnesti e ai cloni.
Kober 5 BB, SO4, 140 R, 1103 P, ecc. sono tutti portinnesti che in condizioni pedoclimatiche ottimali esprimono grande vigoria; la problematica si accentua ulteriormente se si combinano varietà e portinnesti entrambi vigorosi.
La selezione clonale, resasi necessaria anche per ridurre la gravità di alcune malattie virali, ha messo a disposizione piante risanate, quindi più omogenee e vigorose.
Una seconda serie di fattori concerne le tecniche colturali, quali la densità di impianto, la fertilizzazione, la preparazione del suolo pre-impianto, l’irrigazione, la protezione fitosanitaria, la gestione del suolo (inerbimento, lavorazioni, diserbo), la gestione della chioma (potatura secca, operazioni al verde, ecc.), ecc.
È necessario ricordare che l’eccesso di vigoria predispone la pianta anche ad un aumento della suscettibilità all’attacco dei  patogeni ed a squilibri fisiologici: di preferenza vengono riforniti di sostanze nutritive gli apici vegetativi, mentre le infiorescenze e/o i grappoli ne vengono approvvigionati in misura non adeguata.
A seconda della varietà, dell’ambiente pedoclimatico, dell’annata e delle tecniche colturali si possono osservare fisiopatie complesse, quali il disseccamento del rachide, la formazione di tralci non lignificati (erbacei), il “berry shrivel” (=appassimento dell’acino) e, spesso, alla ripresa vegetativa lo “spring fever” (=febbre di primavera), la colatura e l’acinellatura.
In particolare, poi, piante troppo vigorose, oltre che vedere aumentata la sensibilità a peronospora, oidio, botrite, sono maggiormente soggette all’attacco di funghi del legno.

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Carbon Footprint di una tazzina di caffè

Nel 2019 il consumo italiano di caffè tostato e macinato è stato di circa 304.000 tonnellate. Di questi, l'84% è stato utilizzato per preparare la bevanda sia a casa che negli uffici o nel settore alberghiero, ristorante, catering e dei distributori automatici. Il caffè tostato e macinato copre circa il 90% dei consumi, seguito dal caffè torrefatto in grani (6,7%) e dalle polveri di caffè istantaneo (3,3%), ed è confezionato principalmente in buste flessibili in poliaccoppiato (84,5%), seguite da lattine in acciaio (7,5%) e capsule o cialde monodose (5%). Nel settore del caffè monodose, la richiesta di capsule in alluminio è in crescita del +11% dal 2016, mentre è in calo quella di capsule in plastica e cialde in carta.
In un ns. recente lavoro si è determinata l'energia consumata per preparare una tazza di caffè (40 mL) utilizzando le principali caffettiere usate in Italia (ossia la Moka e le macchine per cialde o capsule), e si è effettuato uno studio di Life Cycle Assessment (LCA) per identificare le emissioni di gas ad effetto serra associate alle sole fasi di utilizzo e post-consumo in conformità al metodo standard Publicly Available Specification (PAS) 2050.

Il caffè preparato con la Moka ad induzione è risultato nettamente più eco-sostenibile di quello ottenuto con le macchine ad autospegnimento del caffè in cialde o capsule per un triplice motivo:
1)  Il consumo di energia elettrica per una tazza di caffè da 40 mL preparata con la Moka è pari a 6.8 Wh contro i 12 Wh consumati dalla macchina per caffè in cialde o gli 8.5 Wh consumati da quella per il caffè in capsule.
2)  La quantità di imballaggi (carta, plastica ed alluminio) da smaltire per singola tazza di caffè ammonta ad appena 0,5 g nel caso del caffè macinato per Moka in buste di poliaccoppiato da 250 g contro i 6,4 g nel caso del caffè in cialde od i 3,0 g nel caso della capsula tipo Nespresso.
3)   L’impronta del carbonio di una tazza di caffè è pari a 48 g CO2e nel caso della Moka contro i 76 g CO2e nel caso del caffè in cialde ed i 61 g CO2e nel caso della capsula tipo Nespresso.

Nonostante il caffè in cialde od in capsule rappresenti un esempio di innovazione diretta alla cosiddetta consumer care (in quanto fornisce al consumatore il prodotto ed il sistema per prepararlo con buone caratteristiche qualitative e con un alto livello di replicabilità), le cialde o le capsule di caffè eludono l'altro aspetto dell'innovazione che punta alla sostenibilità ambientale, in quanto moltiplicano, rispettivamente, per un fattore 10 o 5 le quantità di rifiuti di imballaggi post-consumo.

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