Recentemente la rivista di informazione scientifica “All About Feed”,
citando l’interessante lavoro di rassegna di Zhongyue Yang e Shengfa F.
Liao (Front Vet Sci. 2019; 6: 169), ha riportato l’attenzione dei
nutrizionisti sull’importanza del ruolo dei vari aminoacidi di origine
alimentare sulla salute dell’ambiente intestinale. Vero è che l’articolo
prende in esame l’intestino dei suini, ma sappiamo che l’argomento può
riguardare anche l’intestino di altri animali, uomo compreso.
C’è grande attesa per i primi atti del nuovo ministro Lollobrigida , ministro della Sovranità alimentare e forestale . Il mondo produttivo, ortofrutta in prima linea, lo attende al varco con aiuti concreti sul fronte delle bollette pazze dell’energia che stanno massacrando i bilanci non solo di tantissime aziende produttive, ma delle loro strutture, dei consorzi, delle cooperative, delle altre forme associate. Perché ovunque c’è bisogno di energia per i magazzini, gli impianti, le celle frigorifere, le linee di lavorazione e confezionamento. L’ortofrutta si è dimostrata durante la pandemia e dopo come un comparto resiliente, in grado di rifornire Il mercato nazionale e quelli esteri (record di export nel 2021) con continuità, garantendo qualità dei prodotti e occupazione, ma ora i costi dell’energia, della logistica e delle materie prime rischiano di far saltare il banco. Quindi, cosa chiedere subito al neo-ministro? Intanto aiuti fiscali, agevolazioni e aiuti per pagare le bollette e l’acquisto dei fattori produttivi (gasolio, fertilizzanti, fitosanitari, mangimistica e sementi), che hanno raggiunto costi insostenibili. Poi aiuti per sostenere la liquidità delle imprese, garanzia fidi ecc; riduzione del cuneo fiscale per abbassare il costo del lavoro; interventi concreti e risolutivi per l’eterno problema della manodopera che manca; credito agevolato per i territori colpiti dalle calamità legate al climate change.
Dottor Rondolino, la sua famiglia produce riso da quasi un secolo e Lei è il creatore di un riso particolare, "Acquerello", recentemente entrato a far parte dei grandi brand di Fondazione Altagamma, l’associazione che raggruppa i Brand Italiani di indiscussa reputazione internazionale. Ci racconta brevemente la storia di questo riso e le sue caratteristiche?
Nel 1971 dopo la laurea in architettura ho preso il testimone da mio padre Cesare che dal 1935 coltivava riso alla Tenuta Colombara. Partendo dalla coltivazione tradizionale ho innovato nella meccanizzazione e refrigerazione del risone e nel 1992 iniziato la strada della filiera corta con la produzione di Acquerello in lattina. Nel 2007 ho brevettato il reintegro della gemma ottenendo un riso bianco che recupera i valori nutrizionali più importanti (vitamine e sali minerali) del riso integrale. Dal 2020 i miei figli hanno continuato nell’innovazione con un 2° brevetto per un nuovo prodotto, Black, la grande gemma del riso nero.
In che misura avete risentito della straordinaria siccità della scorsa estate? Come avete affrontato il problema e come pensa che vi muoverete in un futuro sempre più condizionato dai cambiamenti climatici?
L’anno agronomico appena trascorso 13/11/2021 – 10/11/2022 ha avuto delle anomalie climatiche che, per quanto ci è dato sapere, non si sono mai verificate contemporaneamente in tempi storici. 12 mesi con sporadiche piogge e alte temperature per lungo tempo hanno poco o tanto lasciato il segno su quasi tutte le specie vegetali. La coltivazione del riso ne ha risentito in modo molto diverso da caso a caso. È da tener presente che per coltivare riso e ottenere una quantità e qualità di produzione economicamente soddisfacente è necessario si realizzino contemporaneamente 3 condizioni.
-La prima condizione necessaria è la temperatura che nelle zone sub tropicali come l’Italia non deve essere troppo bassa (problema per ora inesistente per l’aumento di 1-2° negli ultimi 50 anni) ma neanche troppo alta e per un periodo troppo lungo (problema emerso nel 2022 per le 17 ore al giorno di insolazione estiva alle nostre latitudini) che ha danneggiato la formazione del chicco, con conseguente minore produzione e resa alla lavorazione in bianco avvenuti in modo diverso da caso a caso.
Per questa prima condizione c’è agronomicamente molto poco da fare.
-La seconda condizione è la disponibilità costante di acqua nel periodo della sommersione perché il riso, pur non essendo una pianta acquatica, ha fin dall’origine sviluppato la caratteristica di crescere e produrre bene solo se coltivato in sommersione. La coltivazione per scorrimento non può dare la stessa quantità e qualità, è ancor peggio nella coltivazione in asciutto. La ricerca di varietà adatte alla coltivazione per scorrimento non è certo una novità e non ha mai dato risultati economici soddisfacenti in tutti i continenti in cui è stata sperimentata.
L’alimentazione italiana antica è dominata da tre divinità Cerere,
Bacco e Atena che presiedono cereali, vino e olio, cardini di una Dieta
Mediterranea sempre menzionata e celebrata, quanto al tempo stesso dai
più dimenticata se non tradita, come dovrebbe insegnare la dilagante
obesità. In questo ampio quadro, quale il ruolo dei cereali?
Quante volte nella storia dell’uomo sono state fatte importanti scoperte
solo casualmente. Probabilmente è successo così anche quando qualcuno
ha osservato che i polli nella cui dieta erano compresi i noccioli
residui della lavorazione dei datteri di palma erano molto meno
sensibili all’azione tossica delle aflatossine.
La pizza napoletana è stata riconosciuta come una delle specialità
tradizionali garantite (STG) dal Regolamento della Commissione Europea
n. 97/2010, che deve esser cotta esclusivamente in forni a legna.
Nonostante
l’ampio utilizzo nei ristoranti e nelle rosticcerie di tutto il mondo,
lo studio di tali forni è stato finora piuttosto carente.
Il funzionamento del forno a legna per pizza illustrato in Figura 1 (link Figura 1.jpg)
è stato caratterizzato sia durante la fase di avviamento che in
condizioni operative quasi stazionarie, valutandone altresì l’efficienza
termica.
Per gestire il riscaldamento dei materiali refrattari e la
loro dilatazione differenziata, il forno è stato avviato alimentando una
quantità (Qfw) di legna da ardere in ciocchi pari a 3 kg/h per appena
un’ora il 1° giorno, per 2 ore il 2° giorno, per 4 ore il 3° giorno e
per circa 8 ore il 4° giorno.
Indipendentemente dalla frequenza di
accensione, dopo 4-6 h la temperatura della volta o della platea del
forno tendeva ad un valore di equilibrio pari, rispettivamente, a 546 ±
53 °C o 453 ± 32 °C (Figura 2 – link Figura 2.jpg).
All’aumentare di Qfw, la temperatura massima della platea tendeva ad un valore asintotico di 629 ± 43 °C per Qfw=9 kg/h (Figura 3 – link Figura 3.jpg).
L’Orto Botanico di Pisa è stato fondato nel 1543 dal medico e
naturalista Luca Ghini (1490–1556), chiamato a tenere la cattedra di
botanica nella città toscana grazie ai finanziamenti concessi dal
Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici. L’ubicazione originaria era
sulla riva destra dell’Arno, nei pressi dell’Arsenale Mediceo. Nel 1563
il giardino fu trasferito per esigenze belliche in una seconda sede,
nella parte orientale della città, per poi trovare sede definitiva nel
1591, sotto la direzione di Giuseppe Casabona (ca. 1535–1595). Nato come
Giardino dei Semplici e con impostazione progettuale
tardo-manieristica, nei suoi quasi cinque secoli di storia l’Orto e
Museo Botanico va incontro ad una serie di espansioni in termini di
superficie e di riarrangiamenti nell’assetto che lo porteranno alla
configurazione attuale, ossia un giardino esteso circa 25.000 m2 e
suddiviso in 7 settori.
La Scuola botanica è il settore più
antico, di origine tardo-cinquecentesca. Unica testimonianza
dell’impianto originario sono sei vasche in arenaria, mentre l’attuale
organizzazione in file di aiuole rettangolari, decisa dall’allora
Prefetto Teodoro Caruel (1830–1898), risale alla seconda metà
dell’Ottocento. L’organizzazione in aiuole rettangolari ha permesso di
allestire le collezioni secondo la famiglia di appartenenza, allo scopo
di facilitare gli studenti nello studio della sistematica vegetale. Ciò
spiega la denominazione del settore, appunto in uso da fine Ottocento.
Il secondo settore per antichità è l’Orto del Cedro, ottenuto annettendo un giardino conventuale nel 1783 e nominato così per un imponente cedro del Libano (Cedrus libani A.Rich.), sradicato da una tempesta nel 1935 e sostituito da un cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara (Roxb. ex D.Don) G.Don). In questo settore sono presenti i due alberi più vetusti dell’Orto: un albero dei ventagli (Ginkgo biloba L.) e una magnolia (Magnolia grandiflora
L.), entrambi messi a dimora nel 1787 sotto la direzione di Giorgio
Santi (1746–1822). L’adiacente Orto del Mirto deve il suo nome a un
imponente esemplare di mirto (Myrtus communis L.) piantato nel
1815. Oggi ospita una collezione di piante officinali, con gli esemplari
disposti secondo un criterio relativo alle proprietà dei principi
attivi delle piante su sistemi e apparati del corpo umano.
La formazione del nuovo Governo ha recato con sé anche una novità di un certo rilievo con nuove denominazioni per alcuni Ministeri. Alcune vengono ridotte all’osso per chiarirne funzioni e significato, altre ampliate e meglio specificate. Il fenomeno non è nuovo e risponde a logiche politiche ed organizzative. È consuetudine che con la nomina dei Sottosegretari si procedesse allo spacchettamento dei contenuti dei Ministeri, per aderire alla personalità degli incaricati e alla coerenza delle politiche del Governo. In questa occasione il numero delle modifiche è superiore al passato e se ne distingue per avere introdotto denominazioni che contengono un messaggio sulle linee di politica del Governo. È così, crediamo, con l’aggiunta del termine “Sovranità Alimentare” al già bisticciato nome del Ministero agricolo. Vogliamo chiamarlo così perché più volte, dai tempi di Cavour in poi, per esigenze di questo genere o più oggettive come rimediare al risultato del referendum che l’aveva improvvidamente abolito, è stato oggetto di modifiche. Ancora in questi giorni si attende il decreto legge definitivo di modifica della denominazione.
L’aggiunta ha destato curiosità, suscitato commenti ed interpretazioni ed è stata ripresa da un’analoga modifica compiuta in Francia quest’anno con l’appellativo di “souverainité alimentaire”. Nihil sub sole novi, dunque.
Nei mesi scorsi e in questa stessa sede ho criticato il sovranismo agricolo, un concetto che circolava da qualche tempo, secondo un certo “esprit du temps”. Un’assurda forma di politica agraria basata sul concetto di autarchia già fallito in campo agricolo sia sul piano tecnico sia su quello economico, accompagnato e sostenuto da uno stretto protezionismo. Una formula inadeguata ai tempi ed alle esigenze attuali e prevedibili, inadatta ad un Paese trasformatore di materie prime agricole, ma importatore netto di prodotti agricoli. Seconda potenza manifatturiera europea dopo la Germania e prima nell’alimentare di cui è esportatore netto.
Ora, però, sembra che si tratti d’altro. E qui soccorre l’esempio francese oltre che l’interpretazione che ne hanno offerto il Presidente del Consiglio e lo stesso Ministro, Francesco Lollobrigida. Il suo obiettivo (cito da un’intervista) è “tutelare l’economia agricola dalle aggressioni del mercato del falso…rimettere al centro il rapporto con il settore per proteggere la filiera e il concetto di cultura rurale”, propositi ovviamente condivisibili. Dopo la lotta all’ italian sounding il Ministro si propone di “togliere il limite ai terreni incolti, abbiamo 1 milione di ettari coltivabili”, “aumentare la resa delle produzioni attraverso un piano di coltivazione che non può prescindere da contratti di filiera...” e poi, dopo il richiamo alla lotta alle pratiche sleali “Investire sull’innovazione e mettere fine alla speculazione sulle materie prime come il grano”. In altre interviste aggiunge la critica al Nutriscore, gli investimenti nella ricerca, l’attenzione alla biodiversità, lo stimolo al coordinamento con le Istituzioni europee “per limitare l’esposizione alimentare del Continente nei confronti del resto del mondo”. Inoltre afferma “E’ necessaria una riforma della Pac che si liberi dall’ideologia intrinseca del Farm to Fork, perché la sensibilità ambientale è sentita anche in Italia e il nostro Paese può dire di avere delle agricolture da sempre più sostenibili”. Infine un Piano di potenziamento delle risorse e delle reti idriche.
Da una linea ad alto contenuto di amilosio derivata dalla cultivar di frumento tenero Cadenza, coltivata in pieno campo in diverse annate, si è ottenuta una farina di grano tenero ad alto contenuto di amilosio, che è stata miscelata in diverse percentuali con una farina commerciale di grano tenero 00 per produrre una pasta fresca (spaghetti), onde determinarne le principali proprietà biochimiche (amido totale, amido resistente), tecnologiche (tempo di cottura ottimale; acqua assorbita dalla pasta cotta; cooking loss; consistenza della pasta cotta tramite test dinamometrici) e nutrizionali (indice glicemico).
HaloFarMs è l’acronimo di “Development and Optimization of Halophyte-based Farming systems in salt-affected Mediterranean Soils”.
E’ un progetto PRIMA che rappresenta l’iniziativa lanciata da 19 paesi euro-mediterranei, dei quali 11 Stati Membri (Cipro, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia, Spagna) e 8 paesi extra europei (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Tunisia, Turchia) per la creazione di un programma europeo congiunto di ricerca e innovazione (R&I) sulle tematiche di “water management and provisions and agro-food systems in the Mediterranean Region”.
Organizzata sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e con il Patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e del Ministero della Transizione Ecologica, si è tenuta a Roma, in Italia, la Conferenza Internazionale sul Ripristino Globale delle Foreste e degli Alberi, 11 e 12 ottobre 2022. L'incontro è stato convocato dall'Accademia Nazionale dei Lincei in collaborazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura, Fondazione Enel, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Accademia dei Georgofili, Accademia Nazionale di Agricoltura, Accademia Italiana di Scienze Forestali, Società Geografica Italiana e Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali (FIDAF).
La Conferenza è stata organizzata a seguito del Vertice del G20, svoltosi a Roma il 30-31 ottobre 2021, e della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), svoltasi a Glasgow il 20 ottobre 2021, che solennemente e autorevolmente hanno affermato il ruolo fondamentale di alberi e foreste nella protezione dell'ambiente globale. In particolare, il punto 19 della dichiarazione dei leader del G20 di Roma afferma testualmente: “Riconoscendo l'urgenza di combattere il degrado del suolo e creare nuovi siti di assorbimento del carbonio, condividiamo la speranza di raggiungere l'obiettivo di piantare collettivamente 1 trilione di alberi, concentrandoci sugli ecosistemi più degradati del pianeta, e sollecitare altri Paesi a unire le forze con il G20 per raggiungere questo obiettivo globale entro il 2030, anche attraverso progetti sul clima, con il coinvolgimento del settore privato e della società civile”.
Quale è il gusto dello zucchero? Dolce ovviamente. E perché allora al
bar troviamo bustine di zucchero bianco e di zuccheri bruni di canna?
Inoltre se amiamo il gusto dolce come scegliere tra gli zuccheri, il
miele e una lunga serie di dolcificanti? Domande che sottintendono molti problemi e interessi economici e sociali ma qui è opportuno soffermarsi su un aspetto di partenza, solo apparentemente semplice e cioè quello del gusto dolce degli zuccheri.
Il progressivo aumento delle temperature, la riduzione della quantità e
l’alterazione della distribuzione delle piogge dovute al cambiamento
climatico rischiano di penalizzare la gestione delle colture di mais.
L’incremento delle temperature negli areali maidicoli, infatti ha
comportato un incremento dell’evapotraspirazione delle colture con un
aumento delle necessità irrigue. Il problema viene aggravato dalla
riduzione degli eventi piovosi. Anche se il mais è una tra le colture
più efficienti nell’utilizzo delle risorse idriche naturali, per
raggiungere grandi risultati produttivi l’irrigazione rimane un fattore
irrinunciabile. Basti pensare che gli stress idrici influiscono sul
numero di cariossidi (chicchi) per spiga e sulla loro dimensione e
dunque sulla produzione totale ottenuta. Un altro aspetto da non
sottovalutare è lo stato sanitario del raccolto, in questo caso lo
stress idrico indebolisce la pianta, favorendo l’insediamento e lo
sviluppo di vari microrganismi patogeni come i funghi del genere
Aspergillus, potenziali produttori di aflatossine.
Durante il ciclo
colturale vi sono due momenti importanti in cui l’irrigazione risulta
fondamentale per l’ottenimento delle produzioni desiderate:
1) in
pre-fioritura e durante la fioritura. Uno stress in questo periodo
influisce negativamente sulla dimensione della spiga e
sull’impollinazione, avendo come risultato un numero inferiore di
cariossidi;
2) in fase di riempimento della granella. La carenza
idrica in questa fase compromette l’efficienza fotosintetica della
pianta e, di conseguenza, la traslocazione dei nutrienti nella granella,
limitando la dimensione e il peso della cariosside e incidendo anche
sul suo valore nutrizionale.
Premessa
Negli ultimi 20 anni molte sono state le
innovazioni tecnologiche introdotte dai costruttori di frantoi.
Indubbiamente da un punto di vista qualitativo sono state raggiunte
punte di eccellenza nella produzione degli EVOO, tuttavia non è stato
ancora raggiunta a livello nazionale una robusta e matura cultura della
qualità nel settore. Infatti ancora oggi sono comuni fra gli utenti dei
frantoi errori o false credenze quali ad esempio:
1) l’aceto è un
ottimo prodotto per disinfettare e pulire contenitori per la
conservazione dell’olio di oliva. Ovviamente questa credenza, pur basata
su alcuni fondamenti, è oggi considerata una prassi da evitare sempre,
in quanto l’aceto lascia comunque un sentore all’olio abbattendone in
modo drammatico gli aspetti qualitativi.
2) L’olio proveniente da
un impianto non deve essere filtrato in modo spinto, ma solo passato in
una centrifuga (separatore finale) per “ripulirlo”, altrimenti perde le
sue proprietà organolettiche. Anche in questo caso, la ricerca
interdisciplinare che ha visto la compartecipazione di elaiotecnici,
microbiologi e tecnologi alimentari ha dimostrato che solo un olio ben
filtrato ad esempio con filtri a cartoni, mantiene intatte le proprie
caratteristiche di flavour e nutrizionali nel tempo, evitando quel
laboratorio microbiologico di degradazione rappresentato dalla fondata
che richiedeva comunque travasi ripetuti.
3) Per una buona
estrazione è necessario che le paste siano ben gramolate acquisendo il
classico colore bruno. Anche questa tradizione è stata smentita
dall’evidenza scientifica che ha dimostrato la necessità di ossidare il
meno possibile la pasta delle olive soprattutto in fase di gramolazione.
Questi
sono solo alcuni esempi di convinzioni che tutti coloro che si occupano
di olio di qualità hanno dovuto affrontare e combattere per arrivare
alla messa in opera di impianti a bassa ossidazione (e quindi che
preservano al massimo il contenuto di polifenoli-antiossidanti
naturali-) con ridotto consumo energetico, grazie alla scelta di
sistemi di lavorazione il meno impattanti possibile sulla materia in
lavorazione.
Una azienda italiana, di cui non facciamo ovviamente il nome, ma della quale ci piace sottolineare l’origine geografica, in cinque anni di studi in collaborazione con istituzioni di ricerca e università italiane, spagnole, argentine, brasiliane, USA e neozelandesi, ha messo a punto un additivo alimentare che riesce ad abbattere fino al 30% del metano. Il prodotto è una miscela di tannini di castagno e quebracho, e saponine, che agiscono in sinergia come agenti antimetanogenici.
Girandola di nomi per il ministero dell’Agricoltura nel nuovo governo Meloni. Ma alla fine le ultimissime voci che davano per certo l’arrivo al ministero di via XX Settembre di Francesco Lollobrigida avevano ragione: è lui il nuovo responsabile del dicastero che assume il nome di ministero per l’Agricoltura e la Sovranità Alimentare. La premier incaricata Giorgia Meloni ha letto la lista dei Ministri alle 18.
50 anni, laureato, nato a Tivoli, in Parlamento dal 2018, tra i fondatori di Fratelli d’Italia, strettissimo collaboratore della premier in pectore, pronipote della celebre attrice di cui porta il cognome.
Diverse ricette tradizionali italiane, sia pure con qualche adattamento ai gusti e con cambiamenti per la disponibilità di nuovi alimenti, hanno quasi mille anni, risalendo al dorato autunno del Medioevo. In questo periodo d’importanti rinnovamenti sorgono i Comuni, Giotto di Bondone (1267 - 1337) rinnova la pittura, Dante Alighieri (1265 – 1321) e Giovanni Boccaccio (1313 – 1375) Francesco Petrarca (1304 – 1374) la lingua. Anche la cucina e la gastronomia delle corti non stanno ferme come testimoniano due libri che fanno riferimento a Federico II (1194 – 1250): il Meridionale, datato attorno al 1240 e scritto in una lingua volgare e il Liber de coquina in lingua latina redatto tra il 1240 e il 1250.
Professore, Lei è il coordinatore del progetto DESIRA (Digitisation: Economic and Social Impacts in Rural Areas), che - cito testuale dal sito https://desira2020.eu/ - ha come scopo quello di incrementare la capacità della società civile e della politica di rispondere alle sfide che la digitalizzazione porta in agricoltura, forestazione e aree rurali. Ci spiega meglio?
Il punto di partenza di DESIRA è che la digitalizzazione è un insieme di processi complessi, che generano trasformazioni profonde nella società. Poiché la tecnologia è solo una delle componenti della digitalizzazione, è importante capire come le tecnologie digitali siano in grado di cambiare l'organizzazione delle imprese, delle famiglie, delle amministrazioni, in modo da poter indirizzare il cambiamento attraverso tecnologie appropriate, formazione, riorganizzazione dei processi. Se lasciata al mercato, la digitalizzazione procede in modo difforme, generando disparità tra imprese, gruppi sociali e territori, e può generare conseguenze inattese e indesiderate. Le amministrazioni pubbliche hanno le risorse - si pensi alla Politica Agricola Comune - per orientare il cambiamento, ma devono imparare a mettere in atto strategie efficaci.
Il progetto, che è stato finanziato dalla Ue con Horizon 2020, coinvolge 25 partner in tutta Europa e 20 laboratori. Come viene suddiviso ed organizzato il lavoro?
Ogni Living Lab ha definito una propria 'domanda-chiave' che fa leva su un problema sentito all'interno della comunità di riferimento, che la digitalizzazione può contribuire a risolvere. Ad esempio, in Italia abbiamo centrato l'attenzione sulla partecipazione dei cittadini e degli agricoltori alla gestione dei rischi idrogeologici nelle aree montane in collaborazione con il Consorzio di Bonifica Toscana Nord, e sulla lotta al commercio illegale di legname, mentre negli altri paesi abbiamo lavorato sui sistemi di irrigazione, gli allevamenti, il commercio online. Ciascuno dei problemi ha richiesto un'attenta analisi dei relativi sistemi, dello stato attuale dell'uso delle tecnologie digitali e l'identificazione di percorsi di adeguamento attraverso soluzioni digitali. I risultati del lavoro dei Living Labs consentiranno di identificare strumenti di intervento e priorità per le politiche pubbliche
Nei giorni convulsi in cui si celebra la transizione fra una Legislatura e quella che la segue siamo sommersi da una quantità di notizie. Nella confusione mediatica è difficile orientarsi e capire quali siano quelle davvero rilevanti e quali, invece, siano effimere destinate rapidamente a scomparire. Pochi giorni fa è capitato di imbattersi in una notizia di agenzia dell’Ansa con un titolo che colpisce: “Arrivano 24 milioni di euro per l’agricoltura biologica”. Verrebbe da pensare ad un fatto positivo, segno della volontà di fornire, in mezzo ai tanti diffusi a destra e a manca, un finanziamento all’agricoltura che fra siccità, carenza di prodotti sui mercati mondiali e inflazione è in serie difficoltà. Forse la volontà è proprio questa ma, ugualmente, vale la pena rifletterci.
La notizia riguarda l’intesa fra Stato e Regioni per sbloccare un finanziamento già approvato, dunque una decisione già presa. Nasce subito il desiderio di comprendere se e quanto venga concesso in un’analoga forma straordinaria al resto dell’agricoltura, quella di gran lunga prevalente e classificata come convenzionale che costituisce la parte più rilevante del settore. Ma le domande sono anche altre, ad esempio perché pensare a finanziamenti straordinari in tempi in cui il denaro a debito sembra non finire mai, con quali obiettivi e con quali aspettative.
Il “biologico” è solo un metodo di coltivazione, produce gli stessi prodotti con pratiche colturali basate su tecniche del tempo che precedette l’agricoltura moderna e che si basano su alcune convinzioni non supportate da un’evidenza scientifica adeguatamente e correttamente formulata. In molti Paesi è detta “agricoltura organica”, ma da noi si è auto definita biologica, con un termine che sembra scelto da esperti di marketing molto abili. Ci si potrebbe chiedere quale alimento non sia biologico, visto che tutti hanno questa natura e derivano da processi biologici. L’agricoltura intera lo è, perché opera su esseri viventi e con esseri viventi seguendo questi processi. La differenza viene spiegata affermando che il biologico non si avvale di prodotti chimici di sintesi. In realtà non è proprio così, la definizione è in buona parte ingannevole, perché la lista dei prodotti ammessi è lunga, ma poco pubblicizzata. E poi bisognerebbe dimostrare la differenza fra lo stesso composto che si ritrova in natura e quello che deriva da una sintesi. Il biologico con le sue tecniche aborre l’introduzione delle innovazioni in ogni ambito scientifico e il trasferimento tecnologico, massimamente in ambito genetico, dimenticando quanto abbia influito la selezione effettuata dall’uomo in quella decina di millenni che costituiscono la storia dell’agricoltura, avviata dalla scoperta del seme, della sua cura, del suo sviluppo e dell’attesa del raccolto.
Mangeremo insetti o animali alimentati con insetti? Molto se ne è parlato e se ne parla, ma diversi aspetti sono poco considerati come la nutrizione degli insetti in allevamenti industriali, l’impatto ambientale di questi allevamenti e non ultimo i virus dei quali questi animali sono portatori. Argomenti importanti perché gli insetti sono ciò che mangiano, prima di usarli in alimentazione bisogna essere sicuri che siano allevati e alimentati con matrici non a rischio. Per questo sono necessarie normative per garantire la loro sicurezza partendo dai materiali organici usati nel loro allevamento stabilendo quindi limiti per quanto riguarda contaminazioni microbiologiche, metalli pesanti, micotossine, pesticidi ed altri residui indesiderati.
Dott. Cattivelli, perché studiare la genomica?
Ci sono tre questioni prioritarie nel mondo dell’agricoltura oggi. La prima sono i cambiamenti climatici, che non sono soltanto gli eventi estremi di cui si parla ai telegiornali, ma è una tendenza costante e molto pervasiva per cui ad esempio non si vendemmia più in ottobre ma lo si fa ad agosto, quindi è evidente che non si possono usare le piante di ieri per fare agricoltura nel clima di domani. La seconda questione è quella della sostenibilità ambientale, per la quale si richiedono meno input chimici quindi per garantire la produzione le piante devono essere geneticamente resistenti. Infine, last but not least, c’è la richiesta di aumento della produzione per soddisfare le esigenze della popolazione in crescita. La produttività è un aspetto fondamentale, tant’è che se si ferma un solo paese, come l’Ucraina, ne vediamo le conseguenze a livello mondiale.
Il Castagno è presente nei nostri territori da tempi immemorabili, sia come origine della specie (Castanea sativa Miller), sia come diffusione per la produzione di frutti, di legname di pregio e di altri prodotti del sottobosco.
Già i Romani nelle loro conquiste e sfruttamento dei possedimenti erano soliti seminare Castagne per la produzione essenzialmente di paleria che la usavano sul piano bellico e strutturale. Poi hanno iniziato ad utilizzare i frutti per l’alimentazione. Più volte abbiamo sottolineato come gli Ordini Monastici abbiano diffuso su tutto il territorio nazionale il Castagno, quale grande risorsa per la gente di montagna, e tali Ordini erano detentori delle conoscenze teoriche e pratica della coltivazione di questa importantissima Fagacea.
Calamità Biotiche e Abiotiche del Castagno
Nel corso dei secoli il Castagno ha dovuto superare avversità, calamità e devastazioni di ogni sorta, e nonostante tutto è ancora in piena attività, soprattutto nei castagneti tradizionali che vengono in qualche modo “curati”.
Chiaramente la nostra esistenza è estremamente limitata rispetto a quella del Castagno e vorremmo superare le tante calamità che si susseguono in tempi brevi. Tra le tante avversità biotiche e abiotiche che hanno colpito il Castagno, ricordo solo tra le biotiche: Cancro corticale (Cryphonectria parasitica), Mal dell’inchiostro (Phytophthora spp.), Cinipide galligeno (Dryocosmus kuriphilus), Bacato da microlepidotteri (Cydia spp.), Bacato da Balanino (Curculio elephas); tra le abiotiche: glaciazioni epocali, siccità e aridità estreme, alluvioni e ristagni idrici prolungati, uragani con forti venti e nevicate precoci, invasione di animali selvatici che non solo si nutrono dei frutti ma deturpano l’ambiente, favorendo erosioni del suolo anche molto gravi.
Soprattutto le calamità abiotiche di sbalzi estremi fra periodi di grande siccità e altri di incontrollabili precipitazioni, disturbano le fasi fenologiche della pianta. Questo fenomeno è già da tempo presente nei fruttiferi comuni, ampiamente coltivati nel nostro Paese e ora si presentano anche sul Castagno. Queste alterazioni delle fasi fenologiche del Castagno si manifestano soprattutto con fioriture secondarie estivo-autunnali che vedono le piante schiudere le gemme e dare corso a fioriture anticipate di gemme che invece avrebbero dovuto schiudersi nella primavera dell’anno successivo. Se il fenomeno è limitato a poche branche della pianta, non crea gravi problemi per la produzione dell’anno successivo, se invece assume proporzioni consistenti, le conseguenze possono anche essere gravi per la produzione. Sappiamo che il Castagno produce nei germogli dell’anno che differenziano gemme a fiore nel corso del loro sviluppo. Quindi queste gemme miste generano sviluppo vegetativo e produttivo nel corso della primavera e dell’estate. Calamità atmosferiche in questa importante fase quasi sempre provocano danni, sia alla vegetazione che alla produzione.
Professore, è di pochi giorni fa la pubblicazione su "Le Scienze" di un articolo firmato da vari scienziati ed esperti di arboricoltura e silvicoltura, tra cui Lei, nel quale in sostanza si ridimensiona come semplice slogan la campagna lanciata dall'ONU di piantare 1000 miliardi di alberi entro il 2030. Perché?
Il titolo dell’articolo è certamente provocatorio e richiama l’attenzione sul rischio sotteso agli slogan nella comunicazione di un problema complesso. Fondazione Alberitalia promuove la piantagione di alberi e nuovi boschi per contrastare la crisi climatica, è la nostra missione principale! Siamo ben coscienti del loro ruolo e delle loro potenzialità, anche nella parallela lotta al declino della biodiversità, di cui parliamo troppo poco, ed è per questo che crediamo importantissimo usare messaggi corretti e ricordare la necessità della diminuzione delle emissioni e della difesa e corretta gestione degli alberi e dei sistemi forestali esistenti. Con il 40% di superficie ormai raggiunta siamo diventati un paese forestale che ancora non sa di esserlo e si ricorda del suo patrimonio solo quando brucia, nell’inconsapevolezza pressoché totale degli altri disturbi e del suo immenso valore multifunzionale.
Si sono esaurite in Sicilia le segnalazioni primaverili delle presenze di adulti di un coleottero, da tempo noto anche agli agricoltori siciliani come Fetula, Fitulina, Addinedda e Jaddinedda. Si tratta del Crisomelide Labidostomis (Labidostomis) taxicornis (Fabricius, 1792) che è una delle circa quaranta specie del genere Labidostomis istituito da Germar nel 1817.
Gli amanti del teatro sanno che nell’opera lirica La Bohème di Giacomo Puccini (1858 – 1924) su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica e rappresentata per la prima volta nel 1896 vi è il racconto di Schaunard che in qualità di musicista è assunto da un ricco lord inglese per suonare fino a quando il pappagallo del piano di sopra non sarebbe caduto morto. Dopo tre giorni di tentativi inutili Schaunard seduce la cameriera, si introduce nell'appartamento soprastante e avvelena il volatile ("Un poco di prezzemolo... Da Socrate morì"). Avvelenamento da prezzemolo come Socrate mito o verità? Prezzemolo velenoso per gli uccelli e usato dalla medicina tradizionale per procurare un aborto o un equivoco per confusione con altri vegetali e in particolare con la cicuta maggiore (Conium maculatum)?
In regime di “climate change” i viventi che non si adattano tendono a soccombere. Quando, come e quanto la radice possa influenzare l’adattamento delle piante coltivate al cambiamento climatico non è facile a dirsi. Della radice e dell’intero apparato radicale conosciamo ancora troppo poco, nonostante il ruolo e le funzioni del sistema radicale siano particolarmente rilevanti.
È ben noto come la meccatronica e la robotica si siano inserite di prepotenza nell’agricoltura di precisione proprio nella fase di transizione verso la digitalizzazione. Quanto più a fondo indagheremo sulla radice, nonostante le difficoltà finora emerse nella fase di ricerca, tanto migliori saranno i successi raggiungibili nell’applicazione del “precision farming”. Ma ancora, sempre in ambito ricerca, è indispensabile affrontare dei temi più specifici quali:
• radice e sviluppo del sistema radicale
• approccio di fenotipizzazione radicale
• fisiologia dello stress radicale
• interfaccia suolo-radice e comunicazione sotterranea
• interazioni "radice-microrganismi"
• relazioni con acqua e nutrienti
• tecnologie di analisi d'immagine per le funzioni radicali
• modellazione dei processi radicali e rizosfera
• sistemi di radici innestate e comunicazione intra-impianto
• servizi ecosistemici/sistemi radicali perennanti.
Questi sono i temi discussi nel 2021 dall’International Society of Root Research (ISRR) in occasione dell’ultimo convegno tenutosi presso l’Università del Missouri Columbia, Missouri, US. Per questi motivi è stato scelto di discutere questo tema che si ritiene possa essere chiarificatore di tanti aspetti pregnanti e migliorativi in termini di sostenibilità reale, tra transizione ecologica e transizione digitale.
Presidente, sta facendo molto discutere la recente adozione da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) del documento “European framework for action on alcohol 2022-2025, che prevede un contrasto al consumo dell'alcol come priorità d'azione e riduzione del 10% del consumo pro capite entro il 2025. Il documento dell'Oms si propone di raggiungere gli obiettivi di un taglio dei consumi di alcol attraverso una strategia precisa che prevede aumento della tassazione, divieto di pubblicità, promozione e di qualsiasi azione di marketing e obbligo di health warming in etichetta. Le bottiglie di vino, insomma, come i pacchetti di sigarette?
Devo dire che il tema ci preoccupa molto, anche perché l’attacco all’alcol, e purtroppo anche al vino, è concentrico. Oltre all’inopinato testo adottato di recente dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il nostro settore è messo in pericolo da altri programmi avanzati dall’Unione europea e dalle istituzioni: penso al Nutriscore o al Cancer Plan votato dall’Europarlamento, ora al vaglio della Commissione europea. Ciò che contestiamo in questi piani - che nascono da nobili obiettivi - è il denominatore comune alla base della loro adozione: il vino è assimilato ad altre bevande simbolo del binge drinking e questo non lo possiamo accettare. La storia, ma anche il presente, è piena di paradossi che sconfessano questa china proibizionista. Quello principale è che il vino è sempre più sinonimo di moderazione; in Italia negli ultimi cinquant’anni il consumo pro-capite si è ridotto del 70%, oggi bere vino è uno status culturale che si accompagna alla Dieta mediterranea e la del Belpaese popolazione vanta un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo, con un’incidenza molto bassa di obesi. E questo aspetto è riscontrabile in tutti i principali Paesi consumatori di vino in Europa, non è un caso che Spagna, Italia e Francia siano nella top 5 europea per longevità. Lo stesso discorso non si può fare con i Paesi del Nord, dove il problema dell’alcolismo è grave e non certo a causa del vino. Inoltre, in molte bevande industriali il contenuto è spesso una miscela di accattivanti ingredienti zuccherosi e fruttati, che mascherano l’alcol e che allo stesso tempo risultano subdoli per i consumatori, in particolare per i giovani. C’è poi una differenza sostanziale tra vino e superalcolici: l’alcol contenuto nel primo è il risultato della fermentazione naturale degli zuccheri contenuti nell’uva, mentre per i secondi è ottenuto dalla distillazione industriale.
Quanto alla determinazione dell’Oms – Regione Europa, occorre dire che c’è stata una modifica last minute nella dichiarazione politica rilasciata che recepisce un emendamento dell’Ue. In pratica è stata inserita la parola “harmful” (dannoso) riferita ai consumi di alcol da debellare, una precisazione che fa ben sperare ma che nel più corposo documento operativo, il cosiddetto “action plan”, non è affatto chiara e dove invece permangono tutte le politiche restrittive che lei ha elencato.
L’Accademia dei Georgofili si associa alla decisa condanna espressa dalla Società Italiana di Genetica Agraria (SIGA) verso i contenuti del rapporto intitolato “Behind the smokescreen: Vested interests of EU scientists lobbying for GMO deregulation” (https://www.greens-efa.eu/en/article/study/behind-the-smokescreen), commissionato dal gruppo dei Greens/EFA del Parlamento dell’Unione Europea e reso noto il 29 settembre 2022.
Il rapporto rivelerebbe relazioni tra “ricercatori, lobbisti di Euroseeds (che rappresenta le industrie sementiere), consulenti e vertici delle grandi aziende che producono pesticidi e prodotti chimici”, ed assume il tono di una vera e propria lista di proscrizione.
Per quanto riguarda l’Italia, compaiono nel documento l'Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e l'Istituto di Genomica Applicata, istituto di ricerca senza fini di lucro fondato dall’Università degli Studi di Udine. Vengono anche nominati due soci SIGA, appartenenti a questi due enti, Roberto Defez e Michele Morgante.
Deprecando l’esistenza di collaborazioni pubblico-privato di ricercatori ed istituzioni, gli estensori del rapporto sembrano dimenticare che l’ormai trentennale sistema di finanziamento alla ricerca a livello europeo (l’attuale Horizon Europe) ha come condizione necessaria per l’accesso ai fondi la presenza nei progetti di partnership pubblico-private.
In direzione completamente opposta agli obiettivi del rapporto, la SIGA continua a rivendicare il suo impegno per ottenere una nuova disciplina delle nuove tecniche di “Editing genomico”, premiate con il Nobel, per il miglioramento genetico delle piante coltivate. D’altra parte, i ricercatori europei e italiani chiedono di poter utilizzare gli stessi strumenti che vengono ormai impiegati correntemente in molti Paesi del mondo. In Italia, anche le organizzazioni professionali degli agricoltori sono ormai su queste stesse posizioni.
Mezzo milione di anni di una alimentazione con una piacevole carne cotta dal gusto umani non può cessare. Da qui l’odierna caccia del gusto umani per un’alimentazione umana in un domani ecosostenibile, perché il gusto umami è fondamentale per avere una dieta sana e soprattutto piacevole.
Al momento attuale più dell’80% dello zolfo prodotto a livello mondiale proviene dalla desolforizzazione per raffinazione degli oli minerali e dei gas naturali fossili. Con la decarbonizzazione dell’economia globale, che sarà necessario attuare per mitigare il fenomeno del riscaldamento atmosferico, si ridurrà drasticamente e significativamente la produzione dei carburanti fossili e, di conseguenza, la disponibilità di zolfo.
Sarà una svolta per l’agricoltura e l’ortofrutta in Italia e in Europa? La cautela è d’obbligo viste le tante delusioni accumulate negli ultimi anni. Certamente un segnale lo darà la scelta del futuro ministro dell’Agricoltura. Il mondo delle imprese dell’ortofrutta attende un segnale preciso: non il solito politico buono per tutte le occasioni o quello da accontentare con uno strapuntino ma - non dico un tecnico- ma almeno una personalità che abbia voglia di capire e studiare i dossier e che si ponga a fianco delle imprese in Italia e in Europa con serietà e decisione. Si perché lo scenario che attende il nuovo governo è quello di una economia di guerra.
Il dubbio espresso nel titolo fa riferimento a talune convinzioni diffuse negli ambienti cattolici, anche se non solo, e che autorizzano una qualche perplessità, perché poco congruenti come cercherò di spiegare. Nel 2019, Padre Fernando de la Iglesia Viguiristi in Civiltà Cattolica (Quaderno 4058, 2019, pag. 163-176) scriveva testualmente: "La fame scaturisce in primo luogo dalla povertà. La sicurezza alimentare delle persone dipende essenzialmente dal loro potere di acquisto e non dalla disponibilità fisica di alimenti, e per questo è molto diffusa nei Paesi poco o male sviluppati.” Dunque, con questa logica che è solo parzialmente vera, parrebbe che la produzione di cibo sia una variabile di scarsa rilevanza; ad essere importante sarebbe invece uno sviluppo equilibrato che produca ricchezza e che questa sia ben distribuita. Forse per questo, lo stesso autore suggerisce: “Va ribadito innanzitutto che nel mondo il cibo è sufficiente per tutti, …la chiave sta nel fatto che c’è un accesso disuguale agli alimenti necessari.”
Anch’io, peraltro, ribadisco che anche questo è solo in parte vero; infatti, gran parte degli 800 milioni di affamati sono nei Paesi a basso reddito (riguardanti oltre 3 miliardi di persone) dove il 65-70% della popolazione è rurale e gli alimenti sono di loro produzione (trattandosi di sussistenza, in teoria, non ne dovrebbero acquistare e l’eventuale fame è solo frutto di insufficiente produzione!). Dunque, pur consapevole della semplificazione, credo risulti assodato che la produzione di cibo rimane fondamentale – anche per rispondere alla crescente urbanizzazione - benché l’equa distribuzione debba essere attentamente perseguita.
Se ciò è senza dubbio vero, non meno vera è la necessità di comprendere quale sia il rapporto fra produzione di cibo (agricoltura) e integrità del pianeta (ecologia), avendo peraltro chiaro che il cibo è in relazione con la popolazione e che questa impatta sul pianeta – specie se si aspira a far si che ogni nuovo nato abbia una buona prospettiva di vita - in molti altri modi: materiali delle fognature con deiezioni, detersivi ecc., sottrazione di risorse di ogni genere come minerali, combustibili fossili, legname, acqua ecc., contaminazione di atmosfera, acque e suoli con sostanze di varia origine (industria, mezzi di trasporto, condizionamento termico degli edifici ecc.), infine il più temuto in quanto causa di alterazione del clima, cioè le emissioni di gas ad effetto serra (GHG). Non trascuriamo dunque il ruolo svolto dal numero di abitanti della terra e non limitiamoci a considerarne i comportamenti individuali, anche se spesso deprecabili. Relativamente al cibo, credo sia utile precisare che 2000 anni fa gli abitanti del pianeta erano stimati in 170 milioni e la superficie di terre occupate pari a 370 milioni di ha (2,8% del totale); ad inizio 1900 la popolazione era già 1,5 miliardi e la superficie agricola 1,3 miliardi di ha (10%), mentre oggi i valori sono rispettivamente 8,0 miliardi e 4,8 miliardi di ha (36%), di cui 1,6 coltivati (12%). Di tutta evidenza è dunque la seguente considerazione: più la popolazione aumenta, maggiore è la superficie necessaria per produrre il cibo richiesto (in verità non solo cibo, ma anche altri beni: cotone e altre fibre tessili, lavoro, fertilizzanti organici ecc.), ma sempre minore ne è la disponibilità complessiva per ciascun essere umano: sui 13,3 miliardi di ha non insistono più 170 milioni, ma 8 miliardi di persone. In realtà, è tuttavia necessaria una precisazione: la stretta relazione fra aumento della popolazione e della superficie agricola, si è fermata al 1960; da allora la popolazione che era 3 miliardi è aumentata di 2,7 volte (8 miliardi), mentre la superficie agricola è passata da 4,6 a soli 4,8 miliardi di ettari. Quanto sia straordinario quest’ultimo fatto, si può comprendere da quanto avvenuto in Cina fra il 1961 e il 2000, la superficie coltivata è rimasta pressoché invariata a 93 milioni di ha, mentre la produzione di cereali è cresciuta da 91 a 390 milioni di tonnellate.
Kalòs kai agathòs, bello è anche buono. Secondo gli antichi Greci questa equazione tra i due termini indica l'ideale di perfezione umana e la bellezza è considerata un dono divino. Per Platone (428 a. C. – 348 a. C.) il bello è lo splendore del vero e Immanuel Kant (1724 – 1804) è convinto che il bello sia il simbolo del bene etico. Il binomio bello uguale a buono è ancora vero per il cibo?
Le alluvioni e il disastro idrogeologico e umano avvenuto nei giorni scorsi nelle Marche ci fanno giustamente preoccupare: cosa avverrebbe dove abito io se arrivasse una bomba d’acqua simile? Ogni volta che sentiamo soffiare forte il vento e vediamo avvicinarsi il mal tempo temiamo che il consueto temporale di una volta si trasformi in una catastrofe. Anche le persone meno informate e più scettiche ormai possono constatare direttamente le conseguenze dei cambiamenti climatici e osservare come il territorio diventi sempre più fragile e a rischio di dissesto. Una volta il dissesto interessava soprattutto le campagne e i villaggi, ma sempre più di frequente interessa le città. L’urbanizzazione in Italia aumenta a un ritmo forsennato (più di 2 metri quadri al secondo, nel 2021 il valore più alto degli ultimi 10 anni) e gli insediamenti coprono territori sempre più vasti e sempre più densamente urbanizzati, contribuendo ad aumentare il rischio di disastro per persone e cose.
Si richiede giustamente una maggiore cura del territorio e manutenzione delle opere idrauliche, ma ai suoli si pone poca attenzione. In occasione del recente disastro si è detto che a motivo della grande siccità estiva i suoli non hanno consentito alla pioggia di infiltrarsi e hanno favorito lo scorrimento superficiale. In realtà, non è tanto la condizione di suolo secco che impedisce l’accettazione delle piogge, ma il suo compattamento! Un suolo ben strutturato, anche se secco, consente all’acqua di infiltrarsi in profondità, ma non se è compattato. Il compattamento avviene in conseguenza della distruzione della struttura superficiale causata dalla mala gestione agricola. I suoli marchigiani sono spesso molto poveri di sostanza organica, che favorisce la strutturazione del suolo, e quando sono interessati dal passaggio di macchinari pesanti si costipano per molti centimetri. Perdono così un servizio ecologico importante: la regimazione dei deflussi idrici. Abbiamo visto e sentito come in occasione del disastro il livello dell’acqua sia aumentato in pochi minuti; se i suoli avessero trattenuto l’acqua anche solo per poche ore avrebbero dato alle persone il tempo di salvare loro stessi e di limitare i danni. Bisognerebbe davvero realizzare una transizione ecologica nella gestione agricola del territorio agricolo e forestale, basata su una agricoltura sostenibile e di precisione.
Analogamente, nelle città e nei paesi i danni sono stati aumentati dalla cementificazione e quindi dalla impermeabilizzazione del suolo. Guardando il territorio urbano nel dettaglio, si nota la scarsità di aree verdi. E’ vero che nel caso di eventi alluvionali così notevoli, i pochi terreni liberi da insediamenti e drenanti non sarebbero stati sufficienti a infiltrare tutta l'acqua, ma avrebbero certamente contributo a limitare i danni. Un aspetto urbanistico che viene poco considerato infatti è che i suoli delle aree verdi nei centri urbani svolgono importanti servizi ecosistemici, tra cui quello di assorbire le acque in eccesso.
La nuova Politica agricola comune che entrerà in vigore nel 2023, e che accompagnerà di riflesso anche tutti i cittadini europei almeno fino al 2027, ha una grande ambizione ambientale. Destinerà come minimo un quarto degli aiuti diretti ai cosiddetti ‘eco-schemi’ e il 35% dei fondi per lo Sviluppo rurale a misure ad alto valore ambientale. Risultati, questi, che determineranno il contributo fondamentale della Pac e dei nostri agricoltori al raggiungimento degli obiettivi che l’Unione si è posta con il Green Deal e con le due Strategie ‘Biodiversity’ e ‘Farm to Fork’. Target di alto profilo che in linea di principio, anche noi al Parlamento europeo, abbiamo condiviso e sostenuto fin dall’inizio.
Il problema è che a tre mesi dall’avvio di questa grande riforma mancano ancora i testi legislativi che supportino gli agricoltori nel tradurre in pratica la sostanza di quanto indicato dalla Commissione Ue per raggiungere la neutralità climatica nel 2050 e, prima ancora, di ridurre fortemente la chimica nei campi e negli allevamenti e aumentando fino a un minimo del 25% le superfici coltivate con metodo biologico. Tutto questo in un contesto climatico sempre più difficile, con una siccità ormai cronica che impone il ricorso a nuove tecnologie e pratiche agricole da sdoganare a stretto giro sul piano legislativo.
Per ridurre del 50% i fitofarmaci di sintesi per difendere le piante e gli antibiotici per curare gli animali, diminuire almeno del 20% i fertilizzanti – come indicato dall’esecutivo – servono insomma regole forti e chiare: norme che vanno prodotte in tempi molto rapidi facendo leva su tecnologie già esistenti, come le Tecniche di evoluzione assistita, e che il Parlamento e il Consiglio dovranno votare in tempi altrettanto rapidi per dare concreto avvio alla tanto agognata ‘Agricoltura 4.0’.
Dallo studio dei dati meteorologici collezionati nel tempo (1881 – 2000)
emerge che sono in atto alcune modifiche dei parametri microclimatici.
Da queste serie storiche si osservano modifiche in aumento nei valori
microclimatici medi e modifiche nei casi estremi. Gli effetti climatici
diventano preoccupanti per l’agricoltura se i cambiamenti avvengono più
velocemente degli adattamenti.
In generale, sono state poste in evidenza:
• variazioni della quantità di pioggia annua e stagionale
• variazione del numero di giorni piovosi e loro ripartizione infra/intrastagionale
• effetti degli stress idrici (e del ristagno) e conseguenti modifiche della profondità di falda
• una generalizzata dilatazione dei singoli periodi di assenza di precipitazione
• un significativo aumento dei casi di periodi secchi, specie di quelli molto lunghi
• i cambiamenti climatici modificano la stagione irrigua ed implicano una maggiore richiesta di risorse idriche di qualità
• un aumento della temperatura media che si accompagna allo stato di
stress idrico provoca un anticipo e un accorciamento del ciclo biologico
delle colture.
Pertanto gli interrogativi da porci sono numerosi e tra questi:
• Quali contromisure attivare per le variazioni climatiche?
• Quanto può essere necessario impostare specifici programmi di breeding?
• Necessità di programmi di breeding per obiettivi a volte opposti a quelli praticati fino
ad ora; infatti disponiamo di varietà selezionate sostanzialmente sulla base di “ideotipi”.
• Quali decisioni agronomiche assumere nel breve periodo?