Sembra essersi diffusa l’errata idea che la globalizzazione possa
offrire un mercato mondiale, dotato di una continua disponibilità di
commodities
alimentari, dal quale attingere indefinitamente e spesso a condizioni
convenienti, nonostante le speculazioni finanziarie e la volatilità dei
prezzi.
Le nostre agroindustrie alimentari sono state giustamente libere di importare queste
commodities a
condizioni vantaggiose. Ma, contestualmente, i nostri agricoltori hanno
dovuto invece sostenere costi di produzione sempre più alti e sempre
meno competitivi rispetto a quei prezzi.
In questa anomala
situazione la nostra agricoltura ha finito per essere ingiustamente
considerata di importanza ormai trascurabile e parrebbe destinata ad un
triste futuro. Le nostre agroindustrie alimentari potrebbero anch’esse
andare incontro ad analogo destino, qualora venisse meno la
disponibilità di prodotti agricoli locali, la cui apprezzata qualità, ha
finora determinato la reputazione ed il successo dei marchi alimentari
Made in Italy.
Se contribuiremo a non dare più valore al prestigio di questi legami
con i territori di origine, gli attuali Paesi esportatori di
commodities potranno
più facilmente sviluppare un’autonoma, altrettanto competitiva,
trasformazione ed esportazione, anche in Europa, di ogni prodotto
alimentare elaborato, magari etichettato con i nostri apprezzati marchi,
acquisiti e usati da multinazionali o da singole imprese delocalizzate.
E’ quindi interesse di tutti fermare l’attuale progressiva
consunzione di gran parte della nostra agricoltura, realizzando con
lungimiranza un maggiore equilibrio nei rapporti fra tutte le imprese
che partecipano ad una intera filiera “dal campo al consumatore”. E’
indispensabile una più equa ripartizione del complessivo valore aggiunto
finale, così da eliminare o attenuare le attuali eccessive e pericolose
sperequazioni fra i redditi dei componenti di una stessa filiera, a
cominciare dagli agricoltori per aiutarli ad uscire dalle crisi di
sopravvivenza che stanno attraversando.
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