Il'ja Il'ič Mečnikov (1845 – 1916), biologo e immunologo russo oltre a
scoprire la fagocitosi per la quale gli è assegnato il Premio Nobel per
la Medicina (1908), studia la longevità delle popolazioni caucasiche che
mette in relazione all'assunzione a una dieta con latte fermentato che
ritiene capace di ritardare l'invecchiamento. I cibi e le bevande
fermentate sono tra i primi alimenti trasformati dagli esseri umani e da
tempi immemorabili presenti nell’alimentazione dei popoli mediterranei
che con fermentazioni producono yogurt e latte fermentato, pani
lievitati, formaggi, vino e birra, vegetali quali crauti, pesci e loro
derivati come il garum, salami e le salsicce apprezzando la loro conservabilità, sicurezza e proprietà organolettiche.
La scelta selettiva di allevare scrofe iperprolifiche, che partoriscano
cioè un numero di suinetti per figliata superiore al numero delle
mammelle disponibili allo scopo di aumentare la produzione
dell’allevamento, comporta dei grossi problemi, soprattutto di elevata
mortalità perinatale.
Infatti, tanto per cominciare, l’elevato numero
di suinetti concepiti non permette loro un normale sviluppo intra
uterino, tanto da arrivare sotto peso alla nascita, se non morti. Il
fenomeno viene indicato con l’acronimo IUGR, ovvero “Intra Uterine
Growth Restriction” ed i nati vengono indicati come suinetti IUGR.
Durante il periodo di clausura causa coronavirus quante volte abbiamo
sentito da tutti i mezzi di comunicazione di massa che tutto non sarà
come prima, che dovremo cambiare le nostre abitudini, ecc. Forse sarà
che siamo ancora immersi nella pandemia ma non sembra proprio che
qualcosa sia cambiato; dalle cronache attuali emerge il ritratto di una
società ancora più intollerante, imbarbarita e incattivita. Quello che
sicuramente è cambiato, anzi peggiorato, è la crisi economica che
attanaglia il Paese, sommerso da mille emergenze: dalla mancanza di
lavoro, dalla chiusura di molte attività, dal crollo del turismo con
conseguente disastrose sull’intero settore e qui viene da pensare al non
aver saputo valorizzare a dovere, salvo alcune eccellenze, il nostro
immenso patrimonio culturale e paesaggistico e pare che solo ora si
comprenda il suo reale valore per la nostra economia. Inoltre, si
assiste all’aumento delle disuguaglianze sociali, molto preoccupanti,
all’aumento della criminalità e, soprattutto, all’incredibile
impoverimento culturale che fa gettare ombre sinistre sullo sviluppo
futuro del nostro paese. È chiaro che il diffuso impoverimento culturale
nella popolazione porta anche ad un forte decadimento delle competenze,
con il rischio di avere, in futuro (neanche lontano), classi dirigenti
non all’altezza del proprio compito.
Si deve quindi affrontare una
serie di impellenti emergenze e, visto che le risorse finanziare sono
limitate, gioco forza dovranno essere stabilite delle priorità di
interventi.
Ecco, è proprio la scelta di queste priorità che
preoccupa, perché sicuramente il settore agricolo e la tutela del
territorio, come sempre del resto, finirà in fondo alla lista. Ancora
una volta l’agricoltura non avrà l’attenzione che merita e, in pratica,
finirà per essere la solita cenerentola.
All’inizio degli anni ‘70, Samuel Mines (Gli ultimi giorni dell’umanità,
Einaudi, 1972) affermava che, improvvisamente, e con terrore, ci siamo
resi conto di non essere altro che delle scimmie che giocano con i
computer...”. Questa frase fa impressione, se si pensa che è stata
scritta quasi 50 anni fa, quando la maggior parte di noi forse neanche
sapeva dell’esistenza dei computer. Il progresso ci ha consentito, per
fortuna, l’uso di massa del computer, che ha portato a dei progressi
enormi in tutti i campi, ma che, sempre di più, ci sta riconducendo a
quell’immagine di Mines. Scimmie che giocano, e male, con il computer e
che, in massa, spesso negano l’evidenza scientifica. Eppure, se possiamo
lanciare i nostri strali da un computer, da uno smartphone da ogni
luogo del mondo e a ogni ora del giorno, lo dobbiamo ai progressi della
scienza e della tecnologia.
Allo stesso tempo, dovrebbe essere
acquisito che il progresso scientifico prospera sul dibattito
scientifico logico, secondo il quale è importante cercare di
identificare le ragioni logiche per cui una teoria scientifica è vera,
come anche portare ragioni per quali potrebbe non essere corretta.
Lo
spostamento del dibattito scientifico dalle Accademie, dalle riviste
specializzate e dagli eventi congressuali al mondo dei social si pensava
potesse contribuire alla diffusione delle conoscenze e al progresso
della Società globale.
La stessa Accademia dei Georgofili di cui mi
onoro di far parte, è molto attiva sui social network, con l’intento di
raggiungere un pubblico che potrebbe essere “spaventato” dalla storia di
questa Istituzione e, forse, anche influenzato da pregiudizi e da
un’intrinseca ostilità verso ciò che ritiene, a torto, un mondo
elitario. Così non è, lo sappiamo. L’Accademia dei Georgofili è per
tutti, di tutti.
Nell’agorà pubblica dei social esistono tuttavia
centinaia di falsi miti che seppur screditati dalla comunità
scientifica, sono duri a morire, e il messaggio che emerge è che la
scienza non è, né è mai stata, un insieme immutato e immutabile di
verità. Al contrario, ha da secoli proceduto per prove ed errori, a
volte anche grossolani, smentendo e migliorando sé stessa anno dopo
anno, secolo dopo secolo. Ma è, e rimane, SCIENZA.
È sconfortante,
invece, che alcuni pseudo-scettici credano che le bislacche teorie
irrazionali (pensiamo, ad esempio, ai terrapiattisti) facciano parte di
un dibattito scientifico logico e, in certi casi, qualche furbo
personaggio costruisce la propria carriera (e fa soldi), in particolare
su Internet, diffondendo ad arte e in modo surrettizio, teorie
palesemente false e antiscientifiche, senza addurre alcuna
giustificazione logica a loro supporto.
A 20 anni dalla firma della Convenzione Europea del Paesaggio
(CEP, Firenze, 2000) e in piena attuazione degli obiettivi ONU per lo
sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030, con il loro specifico
richiamo alla salvaguardia degli ambienti terrestri, al contrasto ai
cambiamenti climatici e alla trasformazione delle città verso modelli
sostenibili, resilienti e salubri, la formazione di competenze e
professionalità in grado di affrontare queste sfide rappresenta una
necessità, ma anche una opportunità di sviluppo economico green e di lavoro nel settore dei green jobs.
Come ogni anno assistiamo alla presentazione da parte di ISPRA del
rapporto annuale sul consumo di suolo cioè il suolo consumato a seguito
di una variazione di copertura e, quindi reso impermeabile. Lo scorso
anno definimmo i dati allarmanti perché le nuove coperture artificiali
avevano riguardato altri 51 chilometri quadrati di territorio, ovvero,
in media, circa 14 ettari al giorno, oltre 2 metri quadrati al secondo.
Fu auspicata un’inversione di tendenza per porsi l’obiettivo del
“consumo 0” di suolo.
Ma quale inversione di tendenza! In sostanza,
mentre la crescita demografica in Italia diminuisce, il cemento cresce
più della popolazione.
Una delle ipotesi che sono state fatte sull’origine della pandemia da
Covid-19 in Cina è quella della diffusione del contagio a partire dalle
carni e dagli animali vivi esposti per la vendita in un mercato di
Wuhan. Si sono registrati focolai di contagio anche in diversi altri
paesi, principalmente negli Stati Uniti, Irlanda, Australia e Spagna.
Più recentemente, situazioni analoghe si sono verificate fra gli addetti
alla macellazione e lavorazione delle carni in stabilimenti in Germania
e in Italia. In Germania a Gütersloh ed in Italia nelle province di
Reggio Emilia e Mantova. I paesi più colpiti sono Viadana e Dosolo, con
diversi comuni interessati in tutta la zona della bassa padana. Alla
data del 6 luglio scorso i 68 lavoratori del mantovano risultati
contagiati erano quasi tutti asintomatici o paucisintomatici, ma due di
essi sono stati ricoverati.
Il cittadino cui arrivano queste notizie è
portato verosimilmente a concludere che sono gli animali che arrivano
al macello e le loro carni in fase di lavorazione all’origine della
diffusione del virus e di chi sa quali altre malattie. È tutta legna sul
fuoco della scelta alimentare dei vegani. Ma come stanno veramente le
cose? Sentiamo alcuni esperti.
Leggiamo da Internet che Lawrence
Young, professore di Oncologia Molecolare nell’Università di Warwick
(UK), intervistato ha dichiarato: “le fabbriche e, in particolare, i
luoghi di lavoro freddi ed umidi sono ambienti perfetti per la crescita e
la diffusione del coronavirus. Il virus sopravvive molto bene sulle
superfici fredde e, in assenza di adeguata ventilazione e luce solare,
le goccioline contenenti il virus emesse con la tosse o gli starnuti da
individui infetti sono, con tutta probabilità, il veicolo ideale per la
diffusione ed il mantenimento del virus”. Ed inoltre: “in queste aree
chiuse con intensa attività lavorativa, le distanze sociali sono
difficili da mantenere. Si tende a parlare ad alta voce per superare il
rumore delle macchine e questo aumenta la produzione e lo spargimento di
goccioline e aerosol infettanti”.
Nei mesi scorsi, a seguito del drammatico diffondersi della Covid-19
causata dal virus SARS-CoV-2, numerosi sono stati gli interventi
giornalistici – spesso definibili come “fake news” - sulla possibile
relazione fra agricoltura moderna, squilibri ambientali ed emersione di
nuove zoonosi potenzialmente pandemiche. In particolare: agricoltura
intensiva = deforestazione e comunque impatto negativo sull’ambiente
(PM10 e cambiamenti climatici) = passaggio dei virus dagli animali
all’uomo = pandemia.
Sul tema sono recentemente intervenuto per
ricordare che le zoonosi sono malattie antiche quanto l’uomo, non solo
virali, ma anche batteriche e parassitarie; la sola via ragionevole di
prevenzione è controllarle e bloccarle sul nascere, intensificando le
buone norme di bio-sicurezza negli scambi mondiali e sicuramente con una
adeguata sorveglianza nelle aree a rischio (circostanza mancata in toto
a Wuhan per la Covid-19). Che vi possa essere una relazione con gli
squilibri ambientali non è da escludere in toto, mentre meno credibile è
che ciò sia in relazione con l’agricoltura, specie intensiva. Infatti,
non è stata l’agricoltura in sé, quanto piuttosto l’aumento della
popolazione, a determinare la progressiva occupazione della superficie
terrestre: dai 370 mila ettari in epoca romana ai 4,5 miliardi attuali
(di cui coltivati rispettivamente 170 mila e 1,5 miliardi di ettari) in
stretta relazione con la popolazione: da 170 milioni a 7,6 miliardi. Men
che meno si può parlare di agricoltura intensiva quale concausa di tale
occupazione; infatti, questa forma ha avuto grande diffusione dagli
anni ’60 e – in coincidenza a ciò – la superficie agricola mondiale non è
più aumentata (benché la popolazione sia passata da 3 a 7,6 miliardi,
mentre il n° degli affamati sia proporzionalmente diminuito). D’altra
parte, è ben vero che in questi ultimi decenni sono vieppiù aumentati
gli squilibri ecologici, in particolare i processi di deforestazione e i
cambiamenti climatici, nonché l’inquinamento atmosferico da polveri
sottili, tutti fenomeni interconnessi e ritenuti fra le cause delle
pandemie. Tuttavia, anche questi sono fenomeni riconducibili
all’andamento demografico e ai processi di sviluppo degli ultimi due
secoli, ma in misura modesta all’agricoltura.
Dunque, a provocare il crescente aumento del prelievo di risorse (rinnovabili e non), sono state la numerosità delle bocche e la loro voracità (senza
intento irriverente, anche perché molte delle accresciute esigenze, e
non solo alimentari, sono connesse ai diritti di ogni uomo che l’Umanità
ha voluto sancire nel 1948). Indiretta conferma del ruolo marginale
dell’agricoltura si desume dal fatto che il suo contributo ai gas serra e
al PM10 non raggiunge il 20%, che i 2/3 dell’acqua da essa utilizzata è
quella verde (da pioggia senza usi alternativi) e che i Paesi con
agricoltura intensiva stanno riducendo le superfici coltivate con
avanzamento del bosco (al contrario delle agricolture di sussistenza dei
PVS e dell’agricoltura biologica in quelli sviluppati).
L’isolamento forzato di questi mesi sicuramente avrà pesato su ognuno di
noi con incidenze diverse; vero è però che forse tutti quanti ci siamo
trovati a fare i conti con la mancanza delle relazioni umane,
fondamentali quali ‘trama’ e ‘ordito’ del tessuto della nostra
convivenza sociale.
In compagnia di Saverio Manetti questo tempo di
‘silenzio vuoto’ è stato meno pesante e anzi avere a che fare con uno
studioso del suo calibro ha contribuito in modo sostanziale a riempire
gli spazi dell’isolamento e l’impegno a studiare ciò che egli compilò
magistralmente a metà del ‘700, Delle specie diverse di frumento e di pane siccome della panizzazione, è stato uno stimolo e una forma di sana risposta razionale alle incertezze del momento.
I vari rapporti periodicamente pubblicati dall’International Panel on Climate Change (IPPC) e la corposa letteratura scientifica forniscono dettagli sulla prova fisica del cambiamento climatico: a livello del terreno, nell'aria, negli oceani. Il riscaldamento globale è, infatti, "inequivocabile", con “buona pace” (ma in questo caso sarebbe meglio parlare di “cattiva pace”) dei negazionisti.
La filiera bovina da carne è considerata tra quelle a maggiore impatto
nel panorama della sostenibilità ambientale. Le accuse di produrre i
massimi impatti in termini di gas climalteranti e di consumo di acqua
spinge i media a raccomandare la forte riduzione del consumo, o
addirittura, la sostituzione di queste carni. L’adunanza dell’Accademia
dei Georgofili dedicata a questo delicato tema ha voluto riportare il
dibattito nella giusta sede scientifica e tecnologica, mettendo in luce
quanto oggi conosciamo sui reali impatti delle filiere bovine da carne
italiane sull’ambiente, evidenziare le buone prassi di allevamento già
in essere mirate al miglioramento della sostenibilità e indicare gli
sviluppi futuri che la ricerca in atto fa intravedere.
Il primo degli
argomenti trattati, quello della metrica della sostenibilità, cioè cosa
si misura e come si misura, ha consentito di illustrare i principali
sistemi di valutazione dell’impatto ambientale della produzione di
carne, con riferimento alle normative e agli standard internazionali.
Sono emerse le principali criticità legate all’applicazione di tali
sistemi e la necessità di una maggiore uniformità nell’applicazione
degli standard, onde evitare l’estrema variabilità delle stime ad oggi
disponibili relativamente all’impronta di carbonio degli allevamenti. In
tal senso, l’applicazione di metodologie che consentano di ponderare
adeguatamente il ruolo attivo degli allevamenti nell’assorbimento del
carbonio e il peso relativo delle diverse fonti di carbonio in funzione
della durata della loro emivita nell’atmosfera, rappresenterebbe un
sicuro passo in avanti verso una maggiore uniformità di valutazione.
Gli scenari economici attesi come conseguenza della crisi attuale
collegata alla pandemia SARS-CoV-2 e delle misure di contenimento prese
sono già oggetto di numerose analisi da parte delle istituzioni preposte
e delineano una situazione di forte riduzione del PIL almeno per i
prossimi due anni. Tutto ciò sta causando e causerà la peggiore
recessione economica globale dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Se
gli effetti della pandemia SARS-CoV-2 sul macrosettore delle produzioni
animali possono essere valutati in base alle informazioni provenienti
dai canali di mercato della grande distribuzione organizzata, va però
tenuto presente che una quota importante del comparto è articolata in
realtà con forte radicamento locale. A tale riguardo possono essere
ricordate le numerose produzioni DOP e IGP, talvolta basate su pochi
produttori e trasformatori, con canali di mercato diversificati e non
sempre tracciabili con la sopra citata fonte.
In questo contesto è
evidente la necessità che i decisori politici possano disporre di pareri
tecnico-scientifici che consentano loro di individuare gli strumenti
più efficaci per aiutare gli allevatori e massimizzare gli effetti degli
sforzi economici al fine di riportare il settore verso la normalità.
Tale necessità è tanto più evidente dal momento che si moltiplicano
pareri, spesso pittoreschi e privi di fondamento tecnico-scientifico,
che delineano soluzioni tecniche poco praticabili le quali, in mancanza
di alternative, potrebbero far perdere di efficacia gli interventi messi
in campo dal decisore politico.
L’Accademia dei Georgofili e
l’ASPA hanno elaborato un documento su “Impatto dell’emergenza
coronavirus sui sistemi zootecnici italiani”, con l’obiettivo di
individuare le principali criticità che affliggono le aziende in questa
complessa fase, delineando così gli itinerari tecnici verso i quali i
ministeri preposti e le regioni dovrebbero indirizzare gli sforzi per
garantirne il pieno accesso o la rimozione di eventuali impedimenti,
inclusa la necessità di promuovere azioni di trasferimento di
innovazione. Tali pareri sarebbero utili per fare chiarezza sul
ruolo delle attività zootecniche nel garantire la salute e il benessere
della società.
Una delle più importanti scoperte botaniche, effettuata in Sicilia, è quella di una Ulmacea relitta del genere Zelkova ritrovata, alla fine dello scorso millennio, in due siti dei Monti Iblei, nei territori comunali di Buccheri e di Melillli.
Il genere Zelkova
era ritenuto estinto in Italia, a causa dei cambiamenti climatici che,
dal Pliocene (circa 3 milioni di anni fa), portarono all’avvento del
clima mediterraneo, caratterizzato da siccità estiva. Gli unici
esemplari di Zelkova, conosciuti nel nostro Paese, erano stati trovati, come fossili, nel Lazio e datati a circa 31.000 anni fa.
La via dell’abbondanza dell’antica Pompei era piena di termopolia che vendevano cibi da consumare per strada, nel milleottocento a Napoli i maccheroni si mangiavano per strada come a Palermo il pani câ meusa un panino imbottito con la milza di cavallo, e si può dire che ogni regione italiana aveva e spesso mantiene il suo tipico cibo da strada a forte connotazione identitaria, un tipo d’alimentazione che non manca in altri paesi mediterranei e di tutto il mondo. Secondo la FAO il cibo di strada (street food) è costituito da cibi e bevande pronti per il consumo venduti e spesso anche preparati in strada o in altri luoghi pubblici come mercatini o fiere, anche da commercianti ambulanti, spesso su un banchetto provvisorio, ma anche da furgoni o carretti e nei centri storici di alcune città italiane in piccoli locali specializzati nella preparazione e vendita di cibi da mangiare in strada.
Si è conclusa con piena soddisfazione e risultati superiori alle
aspettative dei partecipanti il primo corso Formazione Formatori,
realizzato nell'ambito “Progetto pilota di certificazione dei formatori
qualificati mediante corsi di formazione per formatori che operano
nell’ambito della sicurezza delle macchine agricole”, in attuazione
della Delibera di Giunta Regionale della Toscana n. 540 del 23/04/2019.
Il
corso risponde ad una carenza grave nell’offerta formativa che troppo
spesso è insufficiente per un comparto come quello agricolo, dove gli
incidenti costantemente a livelli molto alti e spesso con conseguenze
anche mortali.
Sei giornate (piene) in cui alla condivisione di
materiali di illustrazione dei diversi aspetti tecnici, legislativi,
normativi e organizzativi nella gestione della sicurezza nelle
operazioni meccanizzate agricole ed in particolare nell’uso dei
trattori, si è attuato un percorso di addestramento pratico alla guida
delle diverse tipologie di trattore con prove di difficoltà crescenti
durante le giornate di formazione del corso.
Il progetto pilota è
stato promosso dall'Accademia dei Georgofili, nell'ambito di un
protocollo d'intesa con Regione Toscana, ha trovato il sostegno
finanziario di INAIL Direzione Toscana e Regione Toscana – Direzione
Agricoltura e Sviluppo Rurale ed è stato strutturato e coordinata dal
Laboratorio AgriSmartLab dell’Università di Firenze. CAI (Confederazione
Agromeccanici e Agricoltori Italiani) ha supportato il corso con la
messa a disposizione di macchine agricole ed ENAMA (Ente Nazionale per
la Meccanizzazione Agricola) con la messa a disposizione dell’istruttore
di Guida Sicura e in qualità di Ente certificatore.
Teoria e pratica
sono state attuate nella strutture di Ente Terre Regionali di Cesa
(Arezzo) e Suvignano (SI) e presso il Centro di Formazione “La Pineta
“ a Tocchi (SI) della Regione Toscana, strutture che potranno essere
valorizzate per future edizioni del corso.
Mentre l’umanità attonita ancora si interroga sul futuro della pandemia e
sulle conseguenze che essa sta producendo in campo sanitario ed
economico, oltre che in tanti altri ambiti meno evidenti che al momento
intuiamo appena, la vita procede e non può essere altrimenti.
Nel
2019, giusto in questo periodo dell’anno, ci eravamo lasciati con alcuni
interrogativi che ora quasi abbiamo dimenticato. I temi più assillanti
erano la Brexit, i nuovi assetti politici dell’Ue dopo le elezioni del
Parlamento Europeo (PE), i confusi orientamenti politici nei Paesi
membri, l’esplosione delle rozze guerre commerciali a colpi di dazi e
ritorsioni dopo decenni di pax commerciale gestita dal Gatt e dalla Wto.
Il Pil mondiale era in ripresa anche se iniziava a mostrare qualche
piccolo segno di rallentamento.
Quantum mutata ab illa la
situazione, verrebbe voglia di dire e nello stesso tempo, invece,
quanto è cambiata la prospettiva in cui questi problemi si collocano. Ma
il trascorrere del tempo costringe ad andare avanti, affrontando
scadenze e trovando soluzioni.
Consideriamo le questioni europee: un
primo inestricabile groviglio si presentava allora, con la Gran
Bretagna impegnata a trovare la soluzione per la sua uscita dall’Ue e
quest’ultima, francamente, paralizzata dall’evento “impossibile”, al
punto da essere a mala pena previsto nei Trattati. L’uscita della Gran
Bretagna destinata a cambiare gli equilibri politici ed economici
interni si è sovrapposta alle elezioni con le incertezze provocate dal
crescente sovranismo all’interno dell’Ue. Una compagine costruita
baldanzosamente all’insegna dell’opposto e cioè un (incerto) sovra
nazionalismo. Ma al di là dell’amara rottura chiarificatrice di un sogno
ambiguamente spinto all’estremo come quello di un’Europa Unita, non
solo commercialmente, c’erano e ci sono i normali interessi quotidiani.
Gli inglesi escono e cambiano gli equilibri economici interni. Le
risorse finanziarie europee calano e le spese vanno ripartite in modo
diverso. Era alle porte il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (QFC), e
lo è ancora oggi, mentre cambiano anche le priorità da soddisfare.
Mentre allora si trattava di quelli che ci sembrano aggiustamenti, oggi
ci rendiamo conto che il mondo è cambiato a causa della pandemia. La
politica economica passa dalle lotte sulle percentuali di scostamento
della spesa e dalle discussioni sul piano di stabilità, al più massiccio
progetto di indebitamento finanziario che si ricordi, affrontato con
un’insospettabile tranquillità.
La nuova Politica Agricola Comune
(Pac) per il settennio 2021/2017, che la Commissione uscente aveva
lasciato in bozza è ferma, in attesa del QFC valido per lo stesso
periodo. La saggezza dell’Ue, accusata di essere carente di fantasia,
li aveva correttamente abbinati, ma gli imprevisti li hanno separati e
le follie di un virus sconosciuto sino al giorno prima li ha sconvolti.
In questo contesto però le regole della Pac devono esistere e
funzionare, perché nelle campagne l’integrazione europea è andata
avanti. L’agricoltura italiana ed europea ha retto l’impatto della
COVID-19 anche e soprattutto perché c’era la Pac.
Sicuramente la pandemia tuttora in atto ci riserva, oltre ovviamente ai
drammatici effetti sulla salute umana, un futuro incerto e sicuramente
difficile. A questo, purtroppo, non sfugge il settore agricolo che già
aveva notevoli difficoltà anche prima della pandemia; non c’è dubbio
però che le sfide del futuro per l’agricoltura debbano passare
attraverso le innovazioni e la protezione del suolo.
Dopo vari gridi
di allarme, la divulgazione di dati che quantificano il suo stato di
degrado, di dissesto, di impermeabilizzazione (consumo di suolo) e
soprattutto i vari eventi catastrofici degli ultimi anni, si è preso
coscienza dell’importanza di questa risorsa e del fatto che il 95% del
cibo proviene proprio dal suolo. A questa presa di coscienza devono
seguire azioni concrete e programmi di tutela del territorio. Intanto
gli agricoltori, pur fra mille difficoltà, stanno facendo la loro parte;
infatti, visitando le campagne delle zone agricole per eccellenza si
cominciano a vedere, ad esempio, colture di mais con impianti di
irrigazioni a goccia automatizzati con centraline elettroniche. Con
questo sistema si risparmia fino al 75-80% di acqua rispetto alla
tradizionale irrigazione per aspersione con irrigatori a lunga gittata
ed inoltre si evita l’azione battente delle gocce sul terreno che
causano la rottura degli aggregati superficiali, specialmente nelle
prime fasi della coltura quando la superficie del suolo non è
interamente coperta dalla vegetazione, con conseguente formazione di
croste che riducono l’infiltrazione dell’acqua e, quindi, la sua
parziale perdita per ruscellamento superficiale. Con l’irrigazione a
goccia, non solo l’acqua non viene minimamente sprecata, ma il
miglioramento delle qualità fisiche del suolo e della sua porosità, non
alterata dalla formazione delle croste, porta ad un sensibile aumento
delle produzioni di mais.
Altro esempio virtuoso rilevabile nelle
zone vocate alla viticoltura, anche del centro e sud Italia, è la
tangibile diffusione dell’inerbimento coadiuvato, anche qui, da impianti
di irrigazione a goccia. È noto che la pratica dell’inerbimento,
specialmente nei terreni declivi, riduce fortemente l’erosione del suolo
prevenendo così una delle cause più importanti della sua degradazione.
Inoltre, attenua considerevolmente l’effetto compattante del passaggio
delle macchine agricole per la gestione del vigneto (trattamenti
fitosanitari, raccolta, ecc.), contribuendo, anche in questo caso, a
prevenire la degradazione del suolo. L’uso dell’irrigazione a goccia è
fondamentale per compensare la competizione idrica delle essenze erbose
con la vite, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici in atto in
cui l’acqua da risorsa può diventare calamità quando è troppa (violenti
nubifragi) o troppo poca (lunghi periodi di siccità).