Si è svolto lo scorso 4 giugno il web meeting di avvio del nuovo
progetto di ricerca europeo INCREASE, che vede alla guida l’Università
Politecnica delle Marche, come capofila, e altri 27 partner
internazionali di 14 paesi diversi. Con un budget di 7 milioni di euro,
finanziati dal programma di ricerca e innovazione dell'Unione Europea
Horizon 2020, in un periodo di 5 anni, il consorzio di INCREASE lavorerà
per analizzare le risorse genetiche e mettere punto strumenti e metodi
di conservazione efficienti ed efficaci per la gestione,
caratterizzazione e valorizzazione della biodiversità agricola in
quattro importanti legumi alimentari tradizionali europei (cece,
fagiolo, lenticchia e lupino).
La conservazione e la valorizzazione
delle risorse genetiche dei legumi alimentari e il loro utilizzo
nell'agricoltura europea costituiscono un elemento chiave sia per lo
sviluppo di una agricoltura sostenibile che per la promozione di una
alimentazione più sana.
Tutti sanno, o almeno credono di sapere che cosa è il ragù, in modo particolare quello della propria terra o paese e soprattutto della mamma. Come oggi dicono i dizionari – ma dobbiamo fidarci? - ragù è un termine utilizzato per indicare un trito grossolano cotto per molte ore a fuoco basso, composto di numerosi ingredienti che variano a seconda delle regioni. Spesso a base di carne, ma in cucina vi sono anche ragù di pesce: di spigola, di cernia, o altri pesci, e ora, in un clima vegetariano, anche di tofu.
Vista l'eco che ha suscitato una mia affermazione, riportata qualche
mese fa dalla stampa (e che mi ha fatto guadagnare molte offese
personali e professionali), riguardo alla riduzione dell'inquinamento da
parte delle piante in riferimento alla struttura di una strada, penso
sia opportuno chiarire alcuni aspetti, fermo restando che ciò che ho
affermato corrisponde al vero ed è basato su una consistente letteratura
scientifica internazionale e che la mia affermazione, preceduta da un
“probabilmente”, si riferiva a un solo parametro considerato, cioè le
polveri sottili.
La gran parte delle ricerche pubblicate su riviste
internazionali e anche dal gruppo di ricerca che coordino, hanno
mostrato la generale efficacia di alberi e arbusti nel ridurre la
concentrazione di inquinanti, sia riguardo ai metalli pesanti sia,
soprattutto, alle polveri sottili. Su questo non ci sono dubbi, ma non è
possibile generalizzare. La ricerca ci dice anche cose diverse delle
quali dobbiamo tenere conto nelle scelte per il verde nella città del
futuro.
È infatti da precisare che, riguardo alle polveri sottili, il
processo di deposizione differisce sostanzialmente in funzione delle
diverse dimensioni delle particelle e delle interazioni di queste con i
vari elementi della vegetazione e con la struttura del costruito. Ciò
richiede studi combinati sulle diverse dimensioni delle particelle,
sulle diverse specie di piante e in ambienti che differiscano per
caratteristiche intrinseche: es. strade aperte verso i cosiddetti
“canyon urbani”.
L’introduzione, in Europa, di una delle prime specie aliene sud-americane, sembra sia avvenuta subito dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. Si tratta del dittero Hermetia illucens, rinvenuto nel sarcofago di Isabella d’Aragona (morta nel 1524), e segnalato in Italia nel 1956, per i danni arrecati a materiale organico conservato.
Secondo le fonti ufficiali gli usi di prodotti fitosanitari sarebbero in
forte diminuzione da ormai trent’anni. Un calo inaspritosi nel tempo a
dispetto della comune percezione popolare, storpiata questa da false
narrazioni che parlano a sproposito di “abusi di pesticidi” o di “usi
sempre più massicci di pesticidi”. Tali toni allarmisti trasferiscono
peraltro l’idea che sulla fitoiatria vi sia una situazione emergenziale
da gestire radicalmente e pure in fretta, riproposizione in chiave
moderna delle multi millenarie profezie per cui tutto va sempre peggio,
la fine del mondo sarebbe incipiente e solo una conversione di stampo
para religioso potrà salvarci.
Si valuta che oltre 60 milioni di cavallette (locusta migratoria)
si siano abbattute sull’Africa orientale, Asia e Medio Oriente,
causando un’imponente devastazione delle colture ed enormi disagi alle
popolazioni. In aggiunta a tutto questo, le forti piogge hanno creato le
condizioni ideali per lo sviluppo e la crescita degli insetti, divenuti
sempre più voraci.
Il direttore della FAO alle Nazioni Unite, Qu
Dongyu, ha scritto: “l’invasione delle cavallette, insieme alle
conseguenze della pandemia da Covid-19, potrebbe avere delle conseguenze
catastrofiche sulla sopravvivenza delle popolazioni colpite e sulla
sicurezza alimentare. I nostri sforzi per affrontare l’emergenza sono
stati significativamente efficaci, ma la battaglia non è vinta ed il
pericolo rischia di allargarsi ad altre zone geografiche”.
Leggiamo
da un articolo della giornalista sudafricana freelance Natalie Berkhout
che in Pakistan il tecnico ministeriale Muhammad Khurshid ed il
ricercatore Johar Ali hanno lanciato un progetto che prevede la cattura
delle cavallette durante la notte da parte della popolazione residente e
la successiva trasformazione dell’ingente massa di insetti in mangime
per polli. Infatti, le cavallette volano solo durante il giorno. Durante
le ore notturne si riuniscono formando degli agglomerati di migliaia di
insetti che rimangono adagiati sugli alberi e sul terreno, praticamente
immobili fino all’alba. Pertanto, è relativamente facile “raccoglierle”
e catturarle.
Il governo pakistano ha offerto 20 rupie pakistane
(0,12 US $) al kg di cavallette catturate. Secondo la stampa locale si
sono raccolte, in media, 7 tonnellate di cavallette per notte,
ricavandone più di 700 dollari. Le cavallette sono state cedute ad un
locale mangimificio per la trasformazione in farina di insetti per
l’alimentazione dei polli.
A volte le leggende metropolitane nascondono una verità come quella che
un normale distillato versato da una bottiglia con un’etichetta
prestigiosa è spesso più apprezzato dello stesso distillato versato da
una bottiglia anonima. Molti sono i vantaggi nutrizionali degli alimenti
leggeri e magri nella dieta, ma come sono apprezzati per gusto e sapore
dal consumatore che ne legge le etichette? Qual è il ruolo di queste
ultime? Domande alle quali si cerca di dare risposte soprattutto per i
formaggi presenti sul mercato, in particolare quelli magri con
percentuale di grassi ridotta e nei quali i grassi saturi non superano
il 20%. Questi formaggi magri forniscono alla dieta nutrienti
indispensabili per il corretto funzionamento dell’organismo e sono
energetici, ricchi di proteine, vitamine e sali minerali e l’elevato
contenuto di calcio e di fosforo li rendono un alimento essenziale per
la salute delle ossa, sono inoltre facili da digerire e contengono
inoltre limitate quantità di sale, la cui riduzione nella dieta è
considerata uno dei principali obiettivi necessari per migliorare la
salute.
Un numero crescente di consumatori sta diventando sempre più
consapevole degli aspetti sanitari della dieta e per questo le industrie
hanno sviluppati prodotti alimentari che rispondono a queste esigenze e
contengono meno sale e grassi. Per informare i consumatori della
composizione degli alimenti e della loro riformulazione questi alimenti
sono accompagnati da etichette che con bella evidenza indicano la
riduzione del sale e dei grassi, che si tratta di cibi leggeri o light
e nella loro pubblicità non di rado si enfatizzano effetti salutistici
quali la perdita di peso corporeo, l’abbassamento della pressione
sanguigna ecc. Ci si è però accorti che le etichette che comunicano i
pregi nutrizionali degli alimenti a basso contenuto di sale e di grassi
hanno spesso l’effetto d’indurre i consumatori a dare giudizi negativi
sull’alimento. Diversi studi dimostrano infatti che le indicazioni
salutistiche delle etichette influenzano il gradimento dei consumatori
nei confronti dei prodotti alimentari e per esempio il gradimento di una
zuppa è inferiore quando l’etichetta enfatizza una riduzione del sale e
nel cioccolato al latte il gradimento diminuisce quando l’etichetta
vanta un ridotto contenuto di grassi. Anche per i formaggi si è studiata
l'influenza di messaggi salutistici, come quelli di contenuto ridotto
di sale e di calorie, sulla valutazione sensoriale attesa e percepita,
esplorando anche le implicazioni emotive che i consumatori associano ai
messaggi presenti nelle etichette.
La complessa situazione economica dell'Italia presenta alcune vere e
proprie precarietà e frequentemente, sia economisti di valore come pure
gli estensori di documenti di orientamento per le scelte governative,
riscontrando oggettive difficoltà per una energica azione sull'economia
italiana, finiscono per fare riferimento, tra varie iniziative, alla
attività di ricerca che, in modo taumaturgico, sarebbe in grado di
incamminare la debole Italia su una strada di sicuro successo.
Certamente la ricerca è una spinta propulsiva, ma deve essere calata
entro realtà molto precise. Affermata genericamente può essere illusoria
e può solo servire a sostenere surrettiziamente scelte politiche
discutibili. L'Accademia dei Georgofili crede senza esitazioni
nell'attività di ricerca e sa quanto essa sia utile non solo
all'avanzamento delle conoscenze, del quale ne è lo strumento primario,
ma anche per le inevitabili ricadute applicative. Comunque deve essere
chiaro che tra il momento della ricerca e il possibile trasferimento
delle innovazioni di processo e di prodotto nelle attività varie, può
passare talora molto tempo, sempre che si riesca nell'intento di rendere
trasferibile il lavoro di ricerca.
Le argomentazioni sopra riportate
vanno bene per ogni periodo, ma pensiamo che siano particolarmente
incisive in un momento, per molti versi drammatico, come questo del post
Covid19, che stiamo attraversando.
A tal proposito l'Accademia ha
deciso di attuare un servizio per gli agricoltori, in particolare quelli
piccoli e medi che sono la maggioranza degli agricoltori italiani e che
hanno necessità di accedere a informazioni circa la disponibilità di
pratiche nuove che apportino o minore spesa o maggior guadagno -o
entrambi- nelle loro attività aziendali. E' stata istituita una "Antologia delle innovazioni mature" (http://www.georgofili.it/sezioni/l-accademina-per-il-post-covid-antologia/50)
articolata in varie "categorie" in modo da coprire la notevole varietà
di richieste che possono emergere dai tanti settori agricoli, dalla
cerealicoltura alla viticoltura e alla orticoltura, dalla difesa delle
piante all'enologia, o dalla meccanizzazione alle tecnologie alimentari,
ecc. Tutte le innovazioni contengono precise indicazioni su specifici
interventi a carattere innovativo; si tratta cioè della vera utile
innovazione, quella nata da problemi reali e che prospetta soluzioni
ampiamente sperimentate e quindi pronte al trasferimento. Un rilievo non
secondario: ogni innovazione è sottoposta al "referaggio" di colleghi
specialisti, in gran parte Accademici georgofili, che validano il
contenuto di ciascuna proposta. Questo lavoro ha preso l'avvio nel bel
mezzo del "lockdown" causato dalla epidemia Covid19 ed è destinato a
perdurare ancora per molte settimane con l'esame di un numero assai
elevato di innovazioni mature. La immediata e generale risposta che la
comunità scientifico-agraria sta dando a questa iniziativa mette in luce
la generosità e la serietà dei moltissimi colleghi coinvolti.
Molte
delle innovazioni pubblicate sullo specifico sito dell'Antologia sono di
facile comprensione da parte degli agricoltori e immediatamente
trasferibili; altre sono certamente frutto di studi accurati, ma ancora
non validati dalle autorità competenti, in particolare dall'Unione
Europea.
Il mondo occidentale produce tanto, ma consuma solo una quota di ciò che
ha prodotto. Il resto non è però detto sia da considerare spreco in
senso stretto, dato che sono le moderne catene distributive a implicare
perdite di prodotti che al momento non sembrano comprimibili con le
tecnologie attuali. Sia come sia, però, ogni chilo di cibo che non
raggiunge le bocche dei cittadini manda comunque in fumo ogni sforzo
fatto per produrlo, inclusa l’acqua necessaria a generarlo, quel cibo.
Non è però colpa dell'agricoltura se insieme al cibo che si perde lungo
le filiere alimentari o nelle case degli Italiani si va a perdere anche
l'acqua servita per produrlo. Vi sono infatti alcune precisazioni da fare già sulle terminologie
comunemente usate. Per esempio "consumare" ha davvero poco senso, visto
che l'acqua non si "consuma", bensì si trasforma. Il ciclo dell'acqua
esiste da quanto l'acqua stessa è presente sul Pianeta, quindi pensare
che un turno irriguo la "consumi" è del tutto fuorviante.
Recentemente sull’ “Informatore Agrario” (supplementi nn. 14 e 20/2020)
sono comparse tre note con le firme, rispettivamente, di Cozzi et al.,
Barbano et al. e Cassandro et al., che ci informano dell’importanza
delle analisi del latte vaccino finalizzate alla diagnosi dello stato
nutrizionale e di salute sia della singola bovina che della mandria.
L’esecuzione delle analisi risulta notevolmente semplificata con la tecnica MIR (Mid Infra Red),
tanto che il solo laboratorio di Reggio Emilia, per adesso unico nel
nostro Paese, sta monitorando più di 40 aziende di Parmigiano Reggiano,
Grana Padano e latte alimentare. Tutto nasce da un progetto di studio
condotto negli Stati Uniti a cura del prof. Barbano dell’università
Cornell, con risultati positivi e importanti.
Una delle eredità principali della recente pandemia è la consapevolezza
della necessità di improntare il nostro rapporto con le risorse naturali
su canoni di maggior equilibrio e rispetto. Si tratta, in altri
termini, di riconoscere ad esse quel ruolo regolatore della funzionalità
dei sistemi produttivi e di consumo dal quale abbiamo cercato di
affrancarci, come se la nostra sopravvivenza e il nostro benessere
fossero strettamente dipendenti dalla dominazione e dal controllo
dell’ambiente, anziché dalla sincronizzazione dei nostri ritmi con
quelli ineluttabili che sono propri delle leggi della fisica e della
biologia. La COVID-19 è esplosa a seguito di un costume alimentare,
diffuso in alcuni paesi dell’Asia, sul quale non si esprime alcun
giudizio di valore se non per segnalarne il significato, molto più che
simbolico, in termini di mancato rispetto delle più elementari norme
della convivenza con le risorse della natura. Queste ultime, a loro
volta, non hanno tardato a riappropriarsi degli spazi lasciati
temporaneamente privi di presidio, a seguito della chiusura forzata
delle attività umane imposta dallo stato di emergenza.
Tali segnali
suggeriscono inequivocabilmente l’inderogabile urgenza di modificare un
atteggiamento culturale, consolidato nei secoli, di arrogante hybris nei
confronti dell’ambiente. Troppo spesso la natura è stata relegata a un
ruolo subalterno e funzionale al nostro benessere, dimenticando che tale
scopo può essere perseguito non a suo discapito, ma insieme e in
armonia con essa. La prevaricazione dell’hybris dell’antropocentrismo è
destinata a imbattersi, prima o poi, nella nèmesis della giustizia e
dell’equilibrio che regolano la vita e la sopravvivenza su questo
pianeta. Formazione, ricerca e progresso non devono dunque arrestarsi o
arretrare, ma approfondire la conoscenza delle funzionalità degli
ecosistemi allo scopo di coniugarla col benessere dell’uomo attraverso
una relazione win-win.
La responsabilità delle scienze economiche, su
questo piano, è centrale. Ad esse si chiede di promuovere una
transizione della società verso modelli di produzione e consumo coerenti
con i criteri di convivenza e sostenibilità appena richiamati. Non è un
caso che il pensiero economico, di fronte ai fallimenti della dottrina
classica, sulla quale tuttora si formano generazioni di studenti, abbia
ramificato il proprio sviluppo attraverso l’adozione di nuovi approcci
paradigmatici. Tra i più rilevanti, occorre menzionare quello della
cosiddetta “green economy”, una teoria dello sviluppo con connotazioni
egualitarie ed ecologiche. La green economy misura ricchezza e benessere
non più in termini di flussi di PIL, ma come accumulazione di stock di
diversi tipi di capitale, compreso quello naturale. L’economia verde
consiste sostanzialmente nel ridefinire l’obiettivo delle attività
legate alla produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi in
migliori condizioni di benessere umano nel lungo periodo, in modo tale
da non esporre le generazioni future a rischi ambientali.
Le api mellifere sono state considerate un importante esempio di
perfetta struttura sociale e di buon governo. Esiodo nel libro Teogonia,
del 700 a.C., paragonò le api operaie agli uomini che nutrono le donne,
quest’ultime paragonate agli sfaticati fuchi, che “restando dentro gli ombrosi alveari | l'altrui fatica nel loro ventre raccolgono”. Nel panorama politico italiano, l’acronimo ape è stato utilizzato,
insieme all’immagine dell’insetto, dall’apparenza fumettistica, nel
2009, dagli Autonomisti per l’Europa - A.P.E.; nonché dalla formazione politica Alleanza popolare ecologista nel cui logo l’ape è raffigurata, con due sole ali. Sempre nel 2009 è nato il partito politico API Alleanza per l’Italia, che è stato ufficialmente sciolto nel 2016, e nel cui logo, del 2011, compaiono due api sempre con due sole ali.
Le ricorrenti diatribe e proteste che ricorrono in occasione del fermo pesca stanno dimostrando l’esistenza di una crisi del sistema nel quale vi è anche un passaggio dalla raccolta o caccia del pesce al suo allevamento o coltivazione, come in tempi passati più o meno lontani era avvenuto per i vegetali e soprattutto per altri animali con contrasti anche aspri e non ancora terminati tra cacciatori e agricoltori dei quali è segno il primo biblico delitto dell’agricoltore Caino che uccide l’allevatore Abele. Un passaggio dalla raccolta all’allevamento del pesce trova una migliore comprensione considerando lo studio di Brian Fagan (Fagan B. - Fishing: how the sea fed civilization - Yale University Press 2017) su come la pesca, non come sport ma come sostentamento, è stata un elemento indispensabile nella crescita della civiltà fornendo cibo in modo sostenibile per consentire alle città, alle nazioni e agli imperi di crescere.
Ronald Reagan disse che causavano l'inquinamento atmosferico (è vero,
non è una fake news, controllate). I ricercatori affermano che
raffrescano l’aria, limitano l’inquinamento e forniscono tutta una serie
di benefici sul nostro benessere. Gli agenti immobiliari dicono che
aumentano i valori abitativi. Alcune persone li temono per le loro
dimensioni, altre li “odiano” perché sporcano, danneggiano le
pavimentazioni, ecc. Non c’è dubbio che esistano opinioni divergenti
sugli alberi!
Se considerato da sole, c'è una base di verità per
ciascuna di queste affermazioni. Purtroppo, anche in quella di Reagan,
ma in altri articoli abbiamo già spiegato che è una piccola verità che
va contestualizzata.
Molti alberi emettono gas organici volatili
nell'atmosfera. Spesso sentiamo l'odore dei terpeni emessi dai pini e
anche da altre conifere, ma anche da molte delle più comuni latifoglie.
Ecco
perché il presidente Reagan ha incolpato gli alberi per l'inquinamento
atmosferico. Questo composti organici volatili di origine biogenica
(BVOCs) sono dei precursori della formazione di ozono nella bassa
troposfera. L'ozono è uno dei principali componenti dell'inquinamento
atmosferico che colpisce l'uomo, ma i gas organici degli alberi non
vengono convertiti direttamente in ozono. La reazione è catalizzata
dagli ossidi di azoto le cui sorgenti sono concentrate soprattutto nelle
aree industrializzate e densamente popolate dove la presenza di
agglomerati urbani e di fabbriche incide fortemente sullo stato di
inquinamento dell’aria. La fonte di maggior emissione è rappresentata
dal traffico veicolare, in particolar modo nei centri urbani, mentre
nelle periferie risulta dominante la produzione industriale, in
particolare quella delle centrali energetiche a combustione fossile; di
una certa entità sono anche i contributi dati dagli impianti di
riscaldamento.
Quindi la colpa è nostra…come sempre. Mentre emettono
gas organici volatili, gli alberi assorbono una varietà di inquinanti
atmosferici, inclusi l'ozono e gli ossidi di azoto, riducendone le
concentrazioni nell’aria che respiriamo. Nell'atmosfera, gli ossidi
nitrici vengono convertiti in acido nitrico, che gli alberi assorbono
attraverso i loro pori o stomi. L'ozono nell'aria sarebbe dunque più
alto se non fosse per l'assorbimento di ossidi nitrici da parte degli
alberi. È la quantità di ossido nitrico che determina i livelli di ozono
in molte regioni, non la quantità di BVOCs che le piante hanno sempre
prodotto naturalmente, ma che vengono prodotti in maggior quantità in
situazioni di stress ambientali. E chi è il colpevole maggiore delle
situazioni di stress. Ancora una volta è spesso l’uomo a mettere gli
alberi in condizioni di stress e, quindi, ad aumentare la produzione di
composti organici volatili.
Dopo un cammino che è stato lungo e incerto, giunge ad una conclusione,
non sappiamo quanto definitiva, il percorso legislativo delle norme che
riguardano la concessione al Governo di “particolari poteri di veto in
caso di acquisto di partecipazioni societarie o di aziende o rami di
aziende, oppure per impedire l’adozione di determinate delibere
societarie, atti e operazioni da parte di soggetti stranieri” la
definizione è ripresa dall’articolo di N.Lucifero a cui si rinvia (http://www.georgofili.info/contenuti/risultato/15026).
Ciò
è avvenuto con il decreto legge 23/2020 poi convertito in legge che
riguarda l’emanazione di norme fortemente vincolanti della libertà di
impresa nel caso di investimenti esteri in condizioni che richiamino
esigenze superiori di “sicurezza e di ordine pubblico” e la strategicità
di specifici settori o comparti economici. Fra le novità del d.l 23 vi è
l’inserimento fra i fattori determinanti previsti dal Reg. 2019/452
articolo 4, par. 1), lettera c) anche la “sicurezza
dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia
e le materie prime nonché la sicurezza alimentare”.
Quest’ultima
intesa nel senso di “food security” ha assunto con l’epidemia
un’importanza rilevante ed ha riportato, fra i temi in discussione per
un futuro più consapevole, la gestione degli approvvigionamenti
alimentari. Tutto ciò ha fornito lo spunto per completare il quadro
normativo avviato nel lontano 1994 delle misure eccezionali da
introdurre nell’agroalimentare in casi gravissimi.
L’opinione
pubblica italiana ha sempre mostrato un’elevata sensibilità alle
questioni alimentari, ma la questione non è semplice come si potrebbe
credere e non può essere affrontata superficialmente. Già in passato ed
ancora di recente, quasi a “furor di popolo”, si tentò di intervenire
sull’agroalimentare introducendo poteri speciali mutuati dai comparti in
cui questi erano già in vigore, con risultati sostanzialmente nulli.