Se sul mondo produttivo continuano a scaricarsi tutte le contraddizioni del sistema, tutti i bei discorsi che si fanno sul giusto prezzo, sulla qualità, sul made in Italy che senso hanno? Il giusto prezzo non deve essere ‘giusto’ in primo luogo per chi produce? Domande a cui qualcuno prima o poi dovrà rispondere.
Nel toccare i diversi aspetti che rientravano tra gli obiettivi, il Convegno di chiusura del Progetto BEENOMIX 2.0 (PSR 2014 – 2020 di Regione Lombardia), ha fornito qualche spunto interessante circa la vexata quaestio della mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici in apicoltura. Di tutti gli animali che l’uomo alleva forse sono proprio le api quelle che risentono maggiormente dell’impatto del clima impazzito. Abbiamo inverni brevi e miti che finiscono troppo presto e incoraggiano le colonie di api a iniziare in anticipo una vigorosa deposizione di covata in modo da disporre di un numero di bottinatrici all’altezza degli attesi raccolti primaverili. Ma è una falsa partenza. I mesi primaverili che seguono possono essere freddi, piovosi oppure così secchi da inibire quella abbondante secrezione di nettare che è il punto di partenza per una generosa produzione di miele. Le covate troppo copiose e precoci che, fino a pochi decenni fa, permettevano alla nostra benemerita varietà Ligustica di Apis mellifera di produrre nell’ambiente mediterraneo raccolti da record oggi sembrano controproducenti. Tanta covata significa tanta energia per tenerla calda ed alimentarla. Tutto bene se poi le fioriture primaverili, tipicamente l’acacia (Robinia pseudoacacia), potevano giovarsi di uno sterminato popolo di bottinatrici, capaci di portare a casa raccolti straordinari. Se però questi mancano le colonie si trovano spiazzate e a rischio di collasso per fame. Diventa necessaria una nutrizione di soccorso proprio nel momento in cui dovrebbe esserci la massima abbondanza di nettare e polline da raccogliere. Nutrizione che lo scorso anno ha superato spesso il chilo di sciroppo per chilo di miele prodotto. Un fatto che espone l’apicoltore che salva la vita alle sue colonie al rischio di passare per adulteratore del miele, se mai vi si trovassero tracce dello sciroppo. Coi tempi che corrono quindi gli apicoltori più avveduti hanno capito che è giunto il momento di plasmare l’operoso insetto in modo da renderlo resiliente al disastro climatico che si annuncia inevitabile. La selezione deve qui agire con prontezza e il Progetto BEENOMIX 2.0 ha indicato un paio di strategie che meritano di essere portate in evidenza.
I confini tracciati dall’uomo sulle cartine geografiche perdono il
proprio significato di fronte alle moderne sfide globali poste dal
clima, dalla salute e da un mondo sempre più interconnesso. Considerarci
come elementi estranei all’ecosistema ha fatto sì che alterassimo molte
terre emerse, mari ed oceani, spesso non rispettandone gli equilibri.
Invece, facciamo parte di un solo sistema, in cui la salute di ogni
elemento del pianeta (umano, vegetale e animale) è strettamente
interdipendente con quella degli altri.
Per questo motivo, si parla
sempre più diffusamente dell’approccio “One Health”, ovvero la
constatazione che esiste UNA sola salute che interconnette l’uomo con le
piante, con gli animali e l’ambiente (visione olistica del concetto di
salute). Detto più semplicemente, la salute del pianeta e di tutti i
suoi abitanti deve avere pari dignità se vogliamo creare un ecosistema
sostenibile, resiliente e durevole.
Le città di tutto il mondo stanno crescendo drammaticamente. Oggi il 55%
degli abitanti del pianeta vive in aree urbane ed entro il 2030 si
prevede che il 60 per cento della popolazione mondiale, ovvero quasi 5
miliardi di persone, vivrà nelle aree urbane. I movimenti di popolazioni
non sono mai avvenuti in precedenza con questa velocità e con questa
modalità. Tuttavia, le città non si stanno solo espandendo, ma stanno
anche cambiando nei loro ruoli e nella loro funzione. La
deindustrializzazione, l'aumento della mobilità e un settore dei servizi
in crescita hanno visto le aree urbane trasformarsi in economie di
consumo post-industriali basate sulla conoscenza piuttosto che sulla
produzione.
Emerge da questo spostamento del focus della funzione
delle città un cambiamento “evolutivo” nella forma e nei modi in cui le
città stesse dovrebbero essere progettate e costruite e come la natura
dovrebbe far parte di questo cambiamento. Ciò ha attirato ulteriori
ricerche e sviluppi da parte di persone interessate e con obiettivi
comuni e il desiderio di consentire una maggiore opportunità per gli
abitanti delle città di affiliarsi con la natura, e di tutti i vantaggi
che ciò offre, all'interno dell'ambiente urbano. L'attenzione sulla
connessione uomo-natura non è più relegata agli ambientalisti e alle
aree naturali al di fuori delle città; è una richiesta che proviene
dagli abitanti delle città.
Si è perciò evoluto un movimento sociale
basato sul design biofilico sostenuto dall'aumento della popolazione
urbana e dal cambiamento della funzione della città che ha portato a una
dinamica mutevole e all'interazione tra luoghi e spazi urbani. Questa
trasformazione recente, e in espansione, negli insediamenti urbani umani
richiede un nuovo approccio alla costruzione delle città. Le città
devono essere progettate, pianificate, costruite e adattate per essere
sostenibili e vivibili (Storey e Kang 2015). La maggiore densità
edilizia, i canyon urbani e le superfici impermeabilizzate modificano il
clima locale, in particolare la temperatura, aumentando il fenomeno
noto come effetto isola di calore urbano.
In Italia il settore forestale si trova ad affrontare problematiche in
ampia misura connesse alla necessità di valorizzare in maniera più
efficace le potenzialità e le opportunità in termini di salvaguardia
ambientale, presidio del territorio e sviluppo socioeconomico e
occupazionale, soprattutto, ma non solo, nelle aree interne e montane.
In questo quadro, la ricerca ha raccolto la sfida di tradurre i
risultati degli avanzamenti metodologici e tecnologici in applicazioni
operative.
Questo 2023 si presenta difficilissimo, forse il più difficile dopo
l’anno della pandemia. Inflazione che viaggia al 12-13%, prezzi al
consumo in aumento, consumi sempre più calanti. Un quadro di necessaria
resistenza per le imprese, anche perché chi doveva tirare la cinghia
l’ha già fatto, chi doveva sacrificare parte dei propri margini ha già
compiuto i riti sacrificali. Adesso margini non ce ne sono più.
In Europa ogni anno si verificano 4 milioni di infezioni dovute a
batteri resistenti agli antimicrobici e il costo per i sistemi sanitari
dei Paesi coinvolti è stimato attorno a 1,1 miliardi di euro. È stato
calcolato che, se non controllata, nel prossimo decennio la resistenza
antimicrobica potrebbe comportare un calo del Pil mondiale di 3,4
trilioni di dollari all’anno e spingere 24 milioni di persone in più
nella povertà estrema. La resistenza antimicrobica è la capacità dei
microrganismi di persistere o crescere in presenza di farmaci progettati
per inibirli. Questi farmaci, chiamati appunto antimicrobici, sono
usati per trattare malattie causate da batteri, funghi, virus e
parassiti protozoici. Ogni volta che utilizziamo antimicrobici su
persone, animali e piante, i germi hanno la possibilità di acquisire la
capacità di tollerare i trattamenti diventando resistenti, rendendo i
farmaci meno efficaci nel tempo. Quando i microrganismi diventano
resistenti agli antimicrobici, i trattamenti standard sono spesso
inefficaci. Di conseguenza, i trattamenti falliscono, aumentando le
malattie e la mortalità negli esseri umani, negli animali e nelle
piante.
La frana di Ischia “celebra” il centesimo anniversario della legge
Serpieri, il primo fondamentale intervento (regio decreto n. 3267 del 30
dicembre 1923) a tutela del vincolo idrogeologico del territorio per la
sua salvaguardia, con il divieto rigoroso di trasformazione per il suo
rimboschimento e rinsaldamento di fronte alla crescente domanda di esso
per il pascolo e l’agricoltura.
Con quel provvedimento si
introdussero le prescrizioni di massima e di polizia forestale e la
sistemazione dei bacini montani senza indennizzi, a differenza di altri
vincoli, in vista di un interesse pubblico che prevale sugli interessi
privati.
Il disastro di Ischia rappresenta l’ennesima conseguenza di
un degrado del territorio che deriva dalla sua fragilità geofisica.
Quest’ultima nasce sia da fattori climatici, sia dal suo consumo e
cementificazione dissennata in un contesto di “anarchia urbanistica” e
di abusivismo; si snoda in una catena ininterrotta di alluvioni e di
frane.
Una “tragedia annunziata” emblematica del consumo del suolo e
del suo dissesto idrogeologico su scala nazionale, nei cento anni
trascorsi dalla introduzione di quella legge, che rappresentò un primo
passo dell’Italia unitaria per la difesa dai disastri ambientali.
Una
tragedia che sottolinea ancora una volta – se ve ne fosse bisogno –
l’urgenza di intervenire drasticamente per la tutela dell’ambiente,
della salubrità e della salute in uno con quella della dignità umana,
quest’ultima di fronte alla “rivoluzione digitale” con i suoi sviluppi
prodigiosi e i suoi rischi.
Sono due temi fra loro strettamente connessi e intrecciati, come ricordava la Presidente della Commissione europea all’atto del suo insediamento, a proposito della necessità di realizzare un modello innovativo di politica europea che tenga conto della sinergia fra l’ecologia e le tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione (ICT). La necessità di affrontare la transizione ecologica e quella digitale – al di là delle dichiarazioni di propositi e buone intenzioni a livello nazionale, europeo e globale per il pianeta terra – è un dato drammaticamente urgente per i problemi che coinvolgono le persone, le collettività e i paesi per una svolta “epocale” del modo di vivere e di convivere, di lavorare, di produrre e di consumare risorse, di relazionarsi, di conoscere e di ricercare: sia nelle riflessioni più approfondite e specialistiche di carattere scientifico, sia in quelle più semplici ed accessibili tratte dall’esperienza quotidiana.
Si inaugura mercoledì 18 gennaio 2023, nella sede dell’Accademia dei
Georgofili, la mostra “Terra” del Maestro Andrea Roggi, autore
dell’opera ‘Albero della Pace’ che nel 2021 è stato posta in Via dei
Georgofili a simboleggiare la memoria ma anche la speranza e la
rinascita dopo l’attentato del 27 maggio 1993, di cui quest’anno ricorre
il trentesimo anniversario.
L’attuale scenario geopolitico impone imminenti riflessioni e
adeguamenti dei correnti modelli gestionali attuati nel mondo delle
produzioni agrarie. Da un lato la crisi energetica, con la difficoltà
delle nostre istituzioni di organizzare nuovi e affidabili canali di
approvvigionamento a costi sostenibili, dall’altro l’aumentata
competizione da parte di paesi agricoli emergenti rendono evidente la
necessità di un ripensamento nelle tecniche e tecnologie impiegate.
Un insetto è composto di tre parti: testa, torace e addome. Ricordo
ancora la prima lezione del Prof. Luigi Masutti, entomologo
dell’Università di Padova. Alla lavagna sapeva disegnare come nessun
altro, riproducendo organi che sembravano veri. Da allora, quando vedo
una mosca, o una farfalla, o una formica, la prima cosa che il mio
cervello vede sono queste tre parti: le zampe sono solo sul torace, gli
occhi e le antenne sulla testa, l’addome è come una pancia-cuore esterno
che continuamente pompa alimenti nel resto.
Anche il suolo è
composto di tre sezioni: Humipedon, Copedon e Lithopedon. Per
svilupparsi un suolo necessita di qualche migliaio di anni, ma anche
molto di più! È una matrice viva, una sorta di spugna in cui le piante
inseriscono le loro radici. All’inizio coesistono humipedon e
lithopedon. In un clima temperato, un vero e sviluppato copedon arriva
solo dopo centinaia di anni.
L’humipedon è la sede del riciclo di tutto ciò che muore e che cade sul pabulum del bosco. Bisogna immaginare una macchina biologica che decompone le molecole fino ad un livello strutturale minuto simile a “mattoncini”, capace di ricostruire nuove strutture viventi. L’humipedon è anche il volume di suolo occupato dalle radici che alimentano e sostengono le piante. Fin dall’inizio e per tutta la durata della vita della pianta, un dialogo si installa tra questa e il suolo. I vettori di tale scambio sono dei microrganismi.
Il 21 dicembre 2022 il Prof Giovanni Bernetti, noto docente presso la
Facoltà di Agraria di Firenze, ci ha lasciato. Era nato a Firenze l'8
settembre del 1934.
Nel 1956, dopo la laurea in Scienze forestali,
aveva frequentato come Assistente volontario l’Istituto di Mineralogia e
Geologia, e nel 1957 aveva ricoperto il ruolo di Assistente incaricato
presso l’Istituto di Selvicoltura, nel 1959 aveva vinto il concorso di
Assistente presso la cattedra di Assestamento forestale.
All’Istituto
di Assestamento forestale, sotto la guida del Prof. Patrone e la
stretta collaborazione con i proff. Bernardo Hellrigl e Mario Cantiani,
ha iniziato un’intensa attività di studi e ricerche nel settore della
Pianificazione forestale, della Dendrometria, dell’auxologia. I Piani di
assestamento elaborati dai Proff. Bernetti e Cantiani si arricchirono
di indagini dendro-auxologiche, pedoclimatiche, turistico-ricreative,
ecologico-ambientali.
Le tappe importanti della Sua carriera: dal
1956 al 1970 ha ricoperto il ruolo di assistente, ha conseguito la
libera docenza in Assestamento forestale nel 1968, è stato professore
incaricato dal 1970 al 1973 e professore di prima fascia dal 1974 al
1999. E’ stato Direttore d’Istituto dal 1984 al 1990 e dal 1997 al 1999
(anno del suo pensionamento).
Ha insegnato Dendrometria, Assestamento
forestale e Selvicoltura speciale. Nelle suddette discipline, e non
solo, ha lasciato importanti contributi scientifici e divulgativi.
Dal
Suo cv risulta che era socio dell’Accademia Nazionale di Agricoltura di
Bologna, della Società Botanica Italiana, dell’Accademia dei
Georgofili.
Il mondo accademico e professionale hanno perduto un
illustre studioso che ha dato importanti contributi allo sviluppo delle
Scienze forestali e un Maestro poliedrico e geniale nella divulgazione
del sapere.
Come sappiamo la Federazione Russa e l'Ucraina sono tra i più importanti produttori di materie prime agricole al mondo. Entrambi sono esportatori netti di prodotti agricoli ed entrambi sono leader nei mercati globali di prodotti alimentari e fertilizzanti, dove le forniture esportabili sono spesso concentrate in una manciata di paesi. Concentrazione che rende questi mercati estremamente vulnerabili agli shock e alla volatilità.
Nel 2021, la Federazione Russa e l'Ucraina risultavano essere tra i primi tre esportatori mondiali di grano, mais, semi di colza, semi e olio di girasole. Inoltre la Russia si è classificata anche come primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, il secondo fornitore leader di fertilizzanti al potassio e terzo esportatore di fertilizzanti al fosforo. Inevitabilmente, la guerra ha avuto un forte impatto anche sulla sicurezza alimentare globale.
In particolare su molti paesi della regione del Vicino Oriente e del Nord Africa (NENA). Questi infatti dipendono fortemente da prodotti alimentari e fertilizzanti importati dalla Russia e dall'Ucraina, compreso il grano come alimento base. Prima del conflitto, inoltre, la maggior parte dei paesi della regione aveva mostrato una tendenza all'aumento delle importazioni alimentari per soddisfare esigenze crescenti di consumo interno. Tale aumento della domanda stava già affrontando gli effetti negativi degli alti prezzi internazionali di alimenti e fertilizzanti a causa del caro-energia prima dello scoppio della guerra. Il conflitto non ha fatto altro che peggiorare la vulnerabilità della regione con seri rischi per soddisfare la domanda alimentare dei paesi della regione le cui importazioni dipendono fortemente da Russia e Ucraina.
La soia, come è noto, è l’ingrediente proteico di origine vegetale più usato in alimentazione animale, soprattutto per la buona qualità biologica della miscela dei suoi aminoacidi. Purtroppo, la sua coltivazione è spesso messa in discussione perché contribuisce indirettamente al riscaldamento globale. Infatti, da una parte, le vaste aree necessarie per la sua coltivazione vengono ottenute prevalentemente con l’abbattimento delle foreste naturali, dall’altra il prodotto necessita di trasporti a lunga distanza, con tutto ciò che ne consegue in termini di consumi energetici ed inquinamento ambientale.
Nei giorni che precedono il Santo Natale e in quelli di Vigilia delle Feste comandate le salumerie esponevano una bacinella piena d’acqua dove il baccalà, merluzzo salato e da secco e duro diviene umido e morbido. Il merluzzo (Gadus morhua), soprannominato anche maiale del mare perché e come il maiale di terra di lui non si butta via niente, è conservato con il sale e l’asciugatura. Conservato con il sale il merluzzo prende il nome di baccalà che deriva dal basso tedesco bakkel-jau che significa duro come una corda o dal nome baccalai che gli indigeni del Nord America danno ai merluzzi, oltre a questo ben poco di certo si sa. Lo stoccafisso cosi chiamato quando il merluzzo (pesce, visch o fish) è essiccato al vento su pali o bastoni (stoc) divenendo quasi un pesce-bastone (stoc-visch o stocfish).
Nel numero di Georgofili Info dello scorso 14 dicembre (https://www.georgofili.info/contenuti/le-nuove-politiche-europee-sul-suolo/23268) l’onorevole Paolo De Castro segnalava, tra le altre interessanti notizie, una di particolare rilevanza per la difesa del suolo, e cioè la decisione del governo italiano di costituire attraverso la legge di Bilancio un “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”. Si tratta dell’art.127 che recita: “Al fine di consentire la programmazione e il finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il «Fondo per il contrasto del consumo di suolo», con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2023, di 20 milioni di euro per l'anno 2024, di 30 milioni di euro per l'anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027”.
Si tratta senz’altro di una opportunità per incentivare il ripristino delle aree degradate e con esse il recupero di almeno parte della funzionalità ecosistemica dei suoli più danneggiati dalle attività dell’uomo, ma l’articolo di legge in effetti non affronta il problema della limitazione del consumo di ulteriore suolo.
Come è noto, il consumo di suolo in Italia ha raggiunto negli ultimi anni un livello insostenibile, peraltro non correlato con l’andamento demografico. In Italia si cementificano più di 14 ha al giorno, oltre 2 metri quadrati al secondo, e nella maggior parte dei casi si tratta dei suoli migliori, quelli più fertili di pianura. La superficie coperta da strutture e infrastrutture raggiunge ormai i 21.500 km2, circa il 7,1 % della superficie nazionale.
L'utilizzo del suolo da parte dell'uomo, con le sue opere infrastrutturali, l'edilizia, ma anche per l’abbandono di tanti terreni agricoli prima coltivati, resta un problema grave e per ora insoluto. Un problema che sempre più spesso, anche se in parte compensato da un aumento delle superfici boschive e forestali, combinato agli effetti del cambiamento climatico e a un uso delle risorse idriche non sempre attente provoca dissesti idrogeologici, con enormi danni economici e rischi per le popolazioni nei territori più fragili.
Da qui il giusto richiamo alle istituzioni, nazionali e comunitarie, affinché intervengano in modo coordinato e puntuale per mettere cittadini, imprese e agricoltori, nelle condizioni di operare in via preventiva con una corretta gestione delle superfici a uso civico e delle aree rurali.
A Bruxelles, dove nel corso degli anni ho maturato esperienza in Consiglio, Commissione e Parlamento europeo, ci sono diverse novità sul piano normativo che possono contribuire ad affrontare questi annosi problemi. Tra queste, l’utilizzo di fertilizzanti organici: prodotti innovativi ampiamente conosciuti, e sicuri, finalizzati a rendere i terreni agricoli più fertili e produttivi con l’impiego di meno acqua e a minori costi. Un input, questo, reso ancora più urgente dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente inferiore disponibilità sui mercati di mezzi tecnici come i concimi.
Un’altra novità arriva dalla proposta di nuovo regolamento Ue sul Carbon farming presentato dalla Commissione; un atto legislativo che si lega al consumo di suolo, ma soprattutto a una grande opportunità per gli agricoltori che potrebbero sfruttare i cosiddetti crediti di carbonio. La stessa norma non entra tuttavia nel merito, in particolare sui criteri di calcolo di questi crediti, rimandando il tutto a futuri atti delegati e lasciando di fatto gli agricoltori senza strumenti di valutazione per procedere correttamente.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento Elio Conti, figura esemplare di studioso della realtà fiorentina, urbana e rurale, dal Medioevo alla contemporaneità, mise insieme circa 5.000 scatti dedicati alle campagne toscane nel momento dell’abbandono del sistema mezzadrile e dello spopolamento. I seminari universitari di Elio Conti sono rimasti famosi per l’esegesi della documentazione scritta fatta esattamente nei luoghi ai quali si riferiva: le foto costituivano il naturale completamento sul campo della ricerca che lo studioso andava effettuando sulle carte d’archivio per comprendere l’evoluzione storica del paesaggio agrario toscano.
Dal 2023, sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali, secondo le regole stabilite nel decreto ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022.
Lo scorso anno, in questi giorni, ci si chiedeva quali fossero le prospettive per l’immediato futuro, fra le continue sorprese riservate dalla pandemia di cui ancora si temevano inaspettati colpi di coda e la certezza che la tanto attesa ripresa non avrebbe avuto un andamento lineare e progressivo a causa di fattori avversi che non trovavano composizione.
A distanza di 12 mesi, se da un lato il quadro epidemiologico sembra migliore, dall’altro rimangono vive le preoccupazioni per quello economico che anzi sembrano ingigantite anche per le conseguenze della guerra aperta dall’aggressione russa all’Ucraina. Con la ripresa avviata già nell’ultimo trimestre del 2021 la salita dei prezzi aveva assunto valori oltre i livelli di sicurezza. A quel punto il timore di un calo della crescita del Pil mondiale è divenuto certezza. Le previsioni per il 2022, corrette al ribasso ad aprile, a luglio e infine ad ottobre 2022, mostrano un tasso di incremento ridotto al 3,2% e quelle per il 2023 al 2,7%, ma nel’Ue allo 0,5%. Lo scenario economico è dominato dagli sviluppi della combinazione fra salita dell’inflazione e proseguimento della guerra russo/ucraina.
Il conflitto si è rivelato ben diverso dalle previsioni: la durata si allunga e l’intensità cresce. Quella che sembrava una guerra lampo, come quella del 2014, è divenuta un conflitto convenzionale, per molti aspetti simile alla parte finale della seconda guerra mondiale e minaccia gli equilibri generati dalla fine della guerra. Muta il quadro dei rapporti fra i principali Paesi con il superamento della globalizzazione su basi multilaterali e il formarsi di un potere mondiale diffuso ed esteso a nuovi protagonisti. Le grandi economie emergenti come Cina, India e la stessa Russia seguono linee strategiche venate da un imperialismo che si riteneva tramontato con la caduta del comunismo e degli imperi coloniali.
Mai come in questo momento
per questo sono necessarie alcune considerazioni sulla tradizione in
cucina e gastronomia che non si articola nelle strettoie di un tema o di
una ricetta, ma in un linguaggio gustativo che manipola la materialità
degli ingredienti, loro incorporazione, presentazione e uso per
esprimere una identità e mantenere una memoria e a questo riguardo vi
sono almeno due tendenze o atteggiamenti.
Sta aumentando l’interesse verso questo tipo di trattamento dei liquami
e dei residui organici provenienti dagli allevamenti bovini perché
rappresenta un sistema efficace nell’abbattimento dei due gas serra più
“cattivi”, il metano (CH4) e il protossido d’azoto (N2O) che vi si
sviluppano.
La "Shindo Trap", trappola vibrazionale contro la cimice asiatica
prodotto nell’ambito di una ricerca condotta dalla Fondazione Edmund
Mach, è stata recentemente insignita a Basilea del Premio Bernard Blum
per le migliori innovazioni del 2022. Ne parliamo con il Prof. Mario Pezzotti, georgofilo, dirigente del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione.
La tracciabilità, descrivendo l’intero percorso di un prodotto
all’interno della filiera produttiva e riunendo tutte le informazioni
relative ad ogni fase di produzione, trasformazione, e distribuzione, è
legata a doppio filo con la garanzia della sicurezza alimentare, poiché
permette di individuare gli ingredienti impiegati per la preparazione di
un determinato prodotto alimentare, e di valutare, prevenendo o
correggendo, gli eventuali fattori di rischio per il consumatore,
fornendo informazioni indispensabili alle autorità di controllo e
assicurando così la capacità d’intervento in tutte le circostanze in cui
possono sorgere rischi sanitari o emergenze di vario genere.
Secondo una classifica riportata sul Journal of Food Science
il settore dell’olio extravergine di oliva è uno dei più soggetti ai
fenomeni delle frodi alimentari, fattore che mina la fiducia dei
consumatori e la redditività dei produttori onesti.
Pertanto, lo
sviluppo di metodiche che supportino la verifica della tracciabilità del
prodotto e delle materie prime ha risvolti non solo sulle garanzie
assicurate ai consumatori ma anche sulla redditività potenziale di un
prodotto che rispecchia le aspettative di autenticità e per il quale può
innalzarsi la disponibilità a pagare.
In un recente articolo apparso sulla rivista internazionale Foods,
i ricercatori dell’Enea - l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie,
l'energia e lo sviluppo economico sostenibile - hanno messo a punto uno
studio che ha lo scopo di valutare il profilo degli oligoelementi in
olive e foglie di diverse cultivar come strumento per risalire all'area
di produzione. Il profilo dei microelementi (Sr, Cu, Rb, Ti, Ni, Sn, Cr,
V, Co, Sb Cd, Pb, As e Zr) è stato valutato, sia sui frutti che sulle
foglie di olivo di undici cultivar provenienti da due aree di produzione
differenti, per mezzo della spettrometria di massa a plasma accoppiato
induttivamente (ICP-MS) e della spettroscopia laser fotoacustica (LPAS),
supportate da un approccio chemiometrico.
Qualche decennio fa, trasferendomi a una sede universitaria settentrionale dopo un fecondo quinquennio siciliano, feci la conoscenza di una parola che mai nella mia carriera avevo sentito profferire dai miei maestri in arboricoltura, né a dire il vero da nessun altro: piantumazione.
Parola, con i suoi affini piantume e piantumare, che ha in seguito acquisito grande popolarità tra i non addetti ai lavori, compresi i giornalisti che sulla carta e nell’etere ne fanno ampio uso.
Lo scorso 27 ottobre 220 scienziati provenienti da diverse parti del mondo hanno sottoscritto “The Dublin declaration of scientists on the societal role of livestock”. Tale documento è l’atto finale di un gruppo di lavoro che ha dato vita nei giorni 19 e 20 ottobre 2022, a Dublino, presso il Teagasc (Irish Agriculture and Food Development Authority), a un simposio internazionale sul “Ruolo della carne nella società – Il parere della scienza”.
L’obiettivo della dichiarazione è di contribuire ad affermare il ruolo della ricerca scientifica per il miglioramento dei sistemi di allevamento degli animali di interesse zootecnico, in relazione all’insostituibile ruolo che le produzioni animali hanno per la società. I risultati della ricerca dovrebbero essere punti essenziali di riferimento per guidare gli sviluppi futuri, evitando pericolose semplificazioni ideologiche.
Le sfide che dovranno affrontare i sistemi di produzione animale sono legate sia alla necessità di soddisfare le esigenze nutrizionali di una popolazione mondiale in continua crescita, sia alla necessità di migliorare l’impronta ambientale degli allevamenti e lo stato di salute e benessere degli animali, secondo un approccio “One health”.
I prodotti di origine animale possiedono elevati valori nutrizionali e salutistici, unici e non facilmente sostituibili, perché ricchi di componenti bioattive non riscontrabili in alimenti di altra origine. La storia evolutiva dell’uomo dimostra chiaramente che il consumo regolare di carne, latte-prodotti caseari e uova, all’interno di una dieta bilanciata, è fondamentale per la salute e il benessere.
Gli allevamenti svolgono anche importanti funzioni ambientali, spesso non conosciute o trascurate. La zootecnia si colloca in modo armonico all’interno di sistemi di economia circolare, in quanto permette di riutilizzare e valorizzare prodotti di scarto di diverse filiere produttive, trasformandoli in alimenti di alto valore biologico. In molte aree del pianeta l’allevamento animale permette di valorizzare territori non idonei per altri tipi di utilizzazione produttiva, garantendo al contempo anche la loro conservazione. Molteplici sono i servizi ecosistemici collegati con i sistemi di allevamento, di tipo ecologico, culturale e produttivo.