Notiziario















Il doppio scudo protettivo dei Diaspini

I Coccomorfa, meglio noti come Cocciniglie, sono un gruppo di insetti che, per la loro conformazione e per i rivestimenti protettivi del loro corpo, fino al ‘700 erano spesso considerati escrescenze delle piante alle quali erano attaccati con i lunghi stiletti boccali; e anche dopo essere stati riconosciuti come insetti, dallo spiccato dimorfismo sessuale, con femmine neoteniche e maschi neometabolici, non hanno mai suscitato l’interesse dei collezionisti, e sono rimasti  quasi esclusivo oggetto di studio degli specialisti.
Un peculiare gruppo è quello dei Diaspidoidi, così denominati perché il loro corpo è dorsalmente ricoperto dal follicolo, mentre, al ventre è presente un secondo strato isolante più sottile, intero o incompleto, denominato velo ventrale. Ai due involucri, che formano un doppio scudo, si deve il nome di Di-aspidi.

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L'indimenticabile bomba ai Georgofili

Giovedì 27 maggio 1993: un boato nella notte sconvolse Firenze.
Ore 1.04: un’autobomba messa dalla mafia colpì il cuore della città, portandosi via 5 vite innocenti.

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I Georgofili sono uniti e operosi!

Non è facile credere che l’attuale staticità della nostra società possa essere costante per un lungo periodo. Occorre quindi impegnarsi a predisporre nuove tecnologie e loro modalità di uso.
Tutti sappiamo come, verso la fine del secolo scorso, lo Stato italiano decise di trasferire le proprie competenze agricole alle Regioni. La nostra Accademia fu informata che non avrebbe più ricevuto il sostegno finanziario ministeriale, che da tempo era in atto. Da allora avremmo dovuto chiederlo a ciascuna Regione interessata ai temi in corso di studio ed elaborazione.
Vorrei solo ricordare che, all’inizio del III millennio, l’Accademia decise a provvedere coraggiosamente a costituire proprie Sezioni (ciascuna con un proprio Presidente e un Consiglio), almeno una per ogni 3 Regioni. Si provvide anche alla nomina di nuovi Accademici, per cercare di raggiungere equanimi numeri di Georgofili in tutte le aree della Penisola. L’iniziativa ebbe un rapido successo. Nel nuovo millennio, i Georgofili hanno infatti realizzato e sviluppato rapporti innovativi e un ruolo nazionale delle Sezioni, aggiungendone una 7a Sezione internazionale, a Bruxelles.
Come era logico e prevedibile, tutte le Regioni non hanno mancato di favorire iniziative nel proprio territorio. Spesso illustrando qualche modello scelto dalle Amministrazioni locali, Cooperative, Associazioni, ecc., per loro interessi diversi, economici e politici. Non mancano anche altre eccezioni competitive e molto confuse.
Si può rilevare che spesso studiosi, ricercatori, tecnici e altri innovatori, progettano e oggi mirano a costituire rapporti reciproci e collegialmente intrecciati (“reti”) tra attività collegiali, anche di grandi dimensioni e universalmente distanti. Questi modelli sarebbero di grande interesse anche per le singole Regioni autonome.

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Micro e nanoplastiche negli alimenti

È indubbio che la plastica ha invaso i mari divenendo pericolosa per gli animali marini, un rischio per la loro sopravvivenza e per la pesca. Non bisogna però sottovalutare i pericoli della plastica che non si vede e che sta invadendo non solo la terra e i mari, ma anche gli alimenti con rischi non ancora determinati. Infatti le plastiche scaricate nelle acque o abbandonate sui terreni, sotto l’azione di diversi agenti anche atmosferici, vanno incontro a una disgregazione dalla quale originano delle particelle sempre più piccole fino a divenire invisibili a occhi nudo: microplastiche e nanoplastiche. Microplastiche sono una miscela eterogenea di frammenti, fibre, sferoidi, granuli, granuli, scaglie o perline di plastica di dimensioni comprese dai cinque millimetri a un decimo di millimetro. Nanoplastiche sono corpuscoli di plastica di dimensione, con struttura interna o struttura superficiale su scala nanometrica che va da uno a cento nanometri (milionesimi di millimetro). Anche per le plastiche bisogna evitare che si ripeta quanto avvenuto con l’amianto o asbesto, ritenuto un materiale sicuro quando è in forma compatta o inglobata con altri materiali, ma che diviene un potente cancerogeno quando si riduce in micro o nanoparticelle. Non bisogna inoltre dimenticando che numerose ricerche stanno dimostrando che microplastiche e nanoplastiche arrivano negli alimenti e per questo l’argomento è stato e rimane oggetto un argomento di indagini scientifiche e d’attenzione di organizzazioni internazionali quali l’Agenzia europea EFSA che nel 2016 ha emesso un’importante e dettagliata dichiarazione (EFSA Statement - Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood - 11 May 2016).
Le microplastiche presenti negli alimenti hanno diverse origini, la più importante delle quali sono i frutti di mare, gamberetti e pesci piccoli che le concentrano nei loro organi, mentre non sono presenti nel pesce grosso nel quale si elimina il tratto gastrointestinale. Vi è presenza di microplastiche anche nel miele, birra e sale da cucina. Non si esclude che le microplastiche contenute nelle farine di pesce date in alimentazione a polli e maiali possano finire negli alimenti da loro prodotti. Inoltre microplastiche possono provenire da altre fonti oltre al cibo, ad esempio nuovi prodotti tessili e altri processi come strumenti di cucina. Le microplastiche possono contenere anche additivi e assorbire contaminanti. Le microplastiche di maggiori dimensioni presenti negli alimenti sembra siano eliminate con le feci senza produrre danni significativi, mentre quelle di minori dimensioni possono attraversare la barriera intestinale causando un'esposizione sistemica. In un quadro di conoscenze sulle microplastiche ancora molto incompleto molto grave è che poco si sappia sui loro effetti sul microbiota digestivo, sulla potenziale formazione di nanoplastiche nel tratto gastrointestinale umano e non si abbia una sufficientemente precisa valutazione del rischio per la salute umana.
Molto scarse sono le conoscenze sulle nanoplastiche presenti negli alimenti o che arrivano all’uomo dall’acqua, aria, rilascio di macchinari, attrezzature e prodotti tessili di poliestere, poliammide, acrilico ed elastane (pile o pail) che durante la fase di lavaggio rilasciano grandi quantità di microparticelle di plastica. Per le loro dimensioni le nanoplastiche possono entrare nelle cellule ma le conseguenze per la salute umana sono ancora sconosciute, come ignoti sono gli effetti di processi del cucinare e cuocere sulle microplastiche. C'è anche mancanza di informazioni sul destino delle nanoplastiche nel tratto gastrointestinale e i dati disponibili riguardano soltanto il loro assorbimento e la distribuzione, mentre difettano informazioni sul loro metabolismo e escrezione.

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La salute e la sicurezza sul lavoro in agricoltura e selvicoltura, sintesi del convegno

Promosso da Accademia dei Georgofili, Inail, Regione Toscana e Università degli Studi di Firenze, il 7 maggio si è svolto, nella sede dell’Accademia, un Seminario su “La salute e la sicurezza sul lavoro in agricoltura e selvicoltura”. La finalità dell’incontro è stata quella di presentare le possibilità di finanziamento alle imprese offerte dal Bando ISI 2018 dell’INAIL, con speciale riferimento all’agricoltura e alla selvicoltura.

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Uno studio sul controllo neurale del salto delle locuste per saperne di più sul cervello umano

Lo studio della lateralizzazione ha enormemente contribuito alla comprensione di diverse funzioni del nostro sistema nervoso. Anche se la struttura a simmetria bilaterale del cervello animale rende i suoi due emisferi quasi identici, alcune funzioni neurali rimangono specializzate su un particolare lato del cervello. Tradizionalmente, si pensava che la lateralizzazione fosse monopolizzata dagli umani.

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Micropolveri e tipicità alimentare

Diversi studi e in particolare quelli di Dominik Guggisberg e collaboratori (Guggisberg D., Schuetz Ph., Winkler H. et alii - Mechanism and control of the eye formation in cheese - International Dairy Journal 47, 118 – 127, 2015) dimostrano che la formazione degli occhi nel formaggio è il risultato di una fermentazione batterica che porta alla conversione del lattato in propionato, acetato e anidride carbonica e che quest’ultima prodotta dai propionibatteri che forma le caratteristiche cavità del formaggio. Accertato che la formazione nel formaggio di occhi o buchi è dovuta alla produzione di anidride carbonica, resta da stabilire come si formano queste cavità, quando l'intero corpo del formaggio contiene notevoli quantità di anidride carbonica.

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Il nome dei vitigni ibridi resistenti alle malattie fungine: un rischio da non sottovalutare per la viticoltura italiana

Dopo la metà dell’800, con la comparsa in Europa di oidio e peronospora, tutte le varietà di vite da vino coltivate in Italia e appartenenti alla Vitis vinifera, che non hanno geni di resistenza a tali malattie, richiedono annualmente un alto numero di trattamenti fitosanitari. Questa situazione è particolarmente sentita dall’opinione pubblica e rappresenta una grande sfida per la viticoltura, che oggi è considerata una delle attività agricole a più alto impatto ambientale. Una soluzione per ridurre l’impiego dei fitofarmaci, esplorata fino dal primo ‘900, è stata quella di realizzare nuovi vitigni ottenuti con incroci complessi tra viti europee e viti americane (Vitis lincecumii, Vitisrupestris, Vitis labrusca, Vitis riparia), che presentano caratteri di resistenza alle malattie fungine.
I frutti di questo lavoro, effettuato soprattutto in Francia, hanno portato alla costituzione di centinaia di ibridi interspecifici, non sempre dotati di resistenza totale a oidio e peronospora e spesso non in grado di produrre vini di qualità. Alcuni hanno avuto ampia diffusione nella stessa Francia, ma in seguito la maggior parte di essi è stata eliminata dalla coltivazione. Alcuni ibridi si diffusero anche in Italia evennero vinificati, ma i risultati furono inferiori alle aspettative e a partire dal 1936 una legge nevietò l’impiego enologico.
Nonostante questi insuccessi, i programmi di incrociocon la Vitis vinifera sono proseguiti fino ai giorni nostri in numerosi istituti di ricerca francesi, tedeschi ed ungheresi, inserendo nell’ibridazione nuovi genotipi (Vitis rotundifolia e Vitis amurensis), ma anche le accessioni migliori, prodotte negli anni ’80-‘90 dal Centro tedesco di Geilweilerhof e battezzate con nomi di fantasia (Pollux, Castor, Phoenix, Silva, Sirius,Orion) non sono state diffuse in Italia.
Solo nel 2009 alcuni ibridi bianchi (B.) e neri (N.) di terza generazione (Bronner B. e Regent N.), prodotti rispettivamente dal Centro di Friburgo e da quello di Geilweilherhof e inseriti nel registro tedesco sono stati iscritti in quello italiano su richiesta della Provincia di Bolzano. Ulteriori immissioni nel nostro registro di ibridi prodotti a Friburgo (Cabernet carbon N., Cabernet cortis N., Helios B., Johanniter B., Solaris B. e Prior N.) sono poi avvenute nel 2013 con il sostegno del FEM di San Michele all’Adige e della Provincia di Trento. Nel 2014, con l’appoggio di Trento e di Bolzano sono stati inseriti nel registro italiano altridue ibridi di Friburgo (Muscaris B. e Sauvignier gris).
Infine, nel 2015, sono stati iscritti al nostro registro altri10 vitigni ibridi resistenti a oidio e peronospora, prodotti in Italia dall’Università di Udine edi cui parleremo in seguito. E’opportuno ricordare che a norma della nostra legislazione nessun ibrido può concorrere alla produzione di vini DOC e DOCG.
Tutto ciò premesso, si possono fare dueconsiderazioni: la prima è che se un vitigno è omologato nel registro di una nazione UE, può essere iscritto direttamente anche in quello italiano; la seconda è che per la prima volta nel 2013 due ibridi tedeschi con il nome aggettivato del genitore europeo (Cabernet carbon N. e Cabernet cortis N.), furono iscritti con lo stesso nome in Italia; la loro omologazione avvenne praticamente “d’ufficio”, poiché nel 2012 era stato sciolto il “Comitato nazionale per la classificazione delle varietà di vite”, che nell’ambito del nostro Ministero aveva avuto fino allora il compito di controllare le richieste di iscrizione.
Si creò così nel catalogo italiano un precedente non trascurabile,e cioè la possibilità di omologare nuove varietà da incrocio che avevano come parte del nome quello di un parentale. Quando infatti nel 2014 l’Università di Udine presentò al Ministero la richiesta di iscrizione dei 10 vitigni ibridi a cui si è accennato, a 3 di essi i Costitutori avevano attribuito un nome di fantasia (Fleurtai B., Soreli B. e Julius N.), ma agli altri 7 avevano dato il nome del genitore “nobile”europeo integrato da un attributo qualitativo (Petit Cabernet N., Royal Cabernet N., Petit Merlot N., Royal Merlot N., Early Sauvignon B., Petit Sauvignon B. e Sauvignon doré B.) . I nuovi ibrididerivavano infatti da incroci tra le indicate varietà internazionali di Vitis vinifera e ibridi complessi ungheresi e tedeschi ed erano stati selezionati dall’Università di Udine con la collaborazione dell’Istituto di Genomica Applicata e dei Vivai Cooperativi Rauscedo. A detta degli stessi Costitutori, la scelta dei nomi europei per alcuni di essi era motivata da motivi commerciali, in quanto molte indagini avevano evidenziato “l’importanza del richiamo al nome di un vitigno di valore internazionale ai fini della diffusione della varietà”.

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La Sfinge,"Sphinx pinastri", nelle pinete etnee

Lungo le pendici etnee, la Processionaria dei pini, è costantemente presente, e va incontro a periodiche pullulazioni che causano estese defogliazioni, condizionando la densità di popolazione degli altri lepidotteri defogliatori dei pini. Le specie, di tale categoria ecologico-funzionale, riscontrate nelle pinete etnee, nel corso di indagini condotte nell’ultimo quarantennio, sono: Dendrolimus pini, Panolis flammea e Sphinx pinastri.

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“Acetaria”, i sottaceti degli antichi Romani

Molto si è studiato e scritto sull’origine e il progresso delle tecniche di conservazione degli alimenti nel passato, ma non mancano le sorprese peraltro ricche d’interesse per attuali, possibili applicazioni. Di indubbia importanza è quanto emerge dalla nuova interpretazione che il filologo Enrico Carnevale Schianca dà al termine latino acetaria e che porta considerare meglio la conservazione degli ortaggi da parte degli antichi romani.

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Antibiotici banditi in alimentazione animale e salute dell’intestino

Se facessimo un sondaggio fra la gente chiedendo: “secondo lei, qual è l’organo più importante nell’organismo degli animali superiori?” Sicuramente, al primo posto figurerebbe il cuore, ma anche il cervello sarebbe fra i primi in graduatoria e, altrettanto sicuramente, l’intestino sarebbe relegato in fondo alla classifica. Siamo influenzati nel giudizio pensando a che tipo di lavoro “sporco” fa l’intestino e, anche, pensando al fatto che è “infestato” da miliardi di microrganismi.
Il relativamente nuovo problema sollevato dalla massiccia presenza di batteri divenuti resistenti agli antibiotici e la messa al bando degli antibiotici stessi in alimentazione animale, hanno avuto come conseguenza il fatto che la salute della micropopolazione intestinale non fosse più facilmente controllabile, con conseguenze disastrose sull’efficienza delle produzioni animali. Da qui il rinnovato interesse dei nutrizionisti verso lo studio delle funzioni dell’intestino e la ricerca di prebiotici e probiotici alternativi ai vecchi antibiotici.
Allo scopo di mettere a fuoco l’argomento, vediamo di fare il punto sulle nostre conoscenze attuali al riguardo.
Molteplici sono le funzioni che l’organo intestino svolge: oltre ad essere il sito più importante per la digestione e l’assorbimento dei nutrienti, esso è anche il maggiore organo endocrino del corpo. Lo strato epiteliale che riveste la parete interna del tubo intestinale è composto da cellule di diversi tipi, fra le quali gli enterociti, con funzioni di assorbimento, di difesa dell’integrità della parete e di secrezione di proteine a spiccata attività antimicrobica. Alla base dei villi sono presenti altre cellule, le cellule del Paneth, le quali, oltre a secernere altre sostanze antimicrobiche, esercitano anche un importante ruolo nel meccanismo delle difese immunitarie. Oltre a tutto questo, l’ambiente intestinale ospita una cospicua varietà di microrganismi, conosciuta come microbiota, fondamentale nel controllo dei patogeni, delle funzioni immunitarie e della produzione di nutrienti indispensabili, fra i quali molte vitamine del complesso B.
Il microbiota intestinale influenza in maniera determinante le condizioni di salute generali dell’animale. Infatti, l’intestino dei neonati viene colonizzato immediatamente dopo la nascita ed i microorganismi inoculati esplicano una azione di “educazione” nei riguardi del sistema immunitario e di moderazione della reazione agli antigeni. Contemporaneamente, il microbiota produce nutrienti, fra i quali alcune vitamine, aminoacidi ed acidi grassi a corta catena, oltre a contribuire alla digestione ed all’assorbimento alimentari.

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La battaglia dei prezzi infuria, ecco perché la perdono sempre i produttori

Fragole italiane, la Spagna ha rovinato (o sta rovinando) tutto, anche sul fronte export. Kiwi italiano (Hayward), la Grecia sta rovinando tutto. Clementine italiane, la Spagna ha già rovinato tutto. Le pere italiane, chi le ha rovinate?   Mah … i prezzi comunque non sono remunerativi. E altre campane a morto suonano dalla Puglia per l’uva da tavola e le verdure invernali. In questi giorni si susseguono impietosi bollettini di crisi che segnalano l’annata “no” per prodotti che sono il vanto della nostra produzione, cavalli di battaglia anche per il nostro export.   
Mi si consenta una digressione personale. Ieri sono andato a fare un po’ di spesa al mio mercatino rionale a Bologna, nulla di lussuoso, nessuna boutique dell’ortofrutta, solo tanti banchi (senza celle frigo) gestiti a livello familiare che propongono qualità discreta, medio-buona, (nessun pachistano per intenderci con i cartellini a 0,99 al chilo). Ebbene ho comprato 2 kg di Tarocco (calibro piccolo), un mazzo di asparagi, un po’ di insalata, 3 cipollotti Tropea, 1 mazzetto di ravanelli, ho speso quasi 18 euro. Voglio dire: l’ortofrutta al dettaglio costa, gli stessi prezzi del mio mercatino li si può trovare sui banchi di qualche store di medie dimensioni (Coop, Eurospar, Conad) nelle vicinanze. I tempi dei cartellini sotto i due euro sono lontani, ormai sono stabilmente tra i 2-2,5 e i 3 euro/kg. Se poi andiamo su prodotti particolari (kiwi giallo, esotico, biologico, primizie di stagione) o su IV e V gamma i prezzi salgono ancora. I consumatori, che generalmente guardano poco ai prezzi, spendono meno perché hanno meno soldi e si accorgono che lo scontrino alla fine è sempre più alto. Così i consumi calano o sono stagnanti e alla GDO manca fatturato, tranne che per le catene dei discount (dove i prezzi sono nettamente più bassi). Sintesi: il prodotto di qualità medio-buona non viene svenduto dagli intermediari (catene, dettaglianti, mercati rionali), viene solamente pagato poco ai produttori. Di qui le lamentele del mondo produttivo, un coro funebre che si ripete più o meno uguale da un anno all’altro, aggravato da tre circostanze: l’aumento della concorrenza internazionale; la domanda che si rarefà con l’aumento dei prezzi; la destagionalizzazione dei consumi e dei prodotti. C’è frutta e verdura di tutti i tipi quasi 12 mesi all’anno, con i relativi prezzi che variano in base alla provenienza e alla stagionalità. E con un elemento che confonde: i prezzi variano dal Nord al Sud in maniera importante. Quando vado in Puglia o Sicilia mi accorgo che, soprattutto al dettaglio, i cartellini (quando ci sono) indicano valori del 30/40 % in meno rispetto al Nord. 

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Il Ficus del Giardino Garibaldi di Palermo e lo Steri

Il gigantesco Ficus macrophylla subsp. columnaris del Giardino Garibaldi e lo Steri. Il monumento verde e quello di pietra, sede del Rettorato dell’Università di Palermo, convivono a piazza Marina fronteggiandosi e dialogando e sono, per ragioni diverse, due tra i più significativi ed esclusivi monumenti della città.

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Dicerie sull’impiego di insetti dannosi

Vengono attualmente indicate come  fake news quelle notizie false, un tempo note come dicerie, o chiacchere, con le quali vengono diffuse illazioni, maldicenze o pettegolezzi sul conto di qualcuno. Rientrano in tale ambito anche le notizie sul presunto impiego di alcuni insetti fitofagi, nella cosiddetta guerra entomologica.

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Inquinamento antibiotico ambientale

Una recente trasmissione televisiva ha diffusola notizia che nelle verdure e nelle carni di animali, anche di allevamenti nei quali non si usano antibiotici, vi sono batteri antibioticoresistenti. Risultati ampiamente prevedibili se non scontati perché da tempo è nota la normale diffusione dei batteri antibioticoresistenti, indipendentemente dall’uso degli antibiotici e anche quando questi non sono usati nell’uomo e negli animali. Che vi siano microrganismi che producono antibiotici e che siano antibioticoresistentiè un fenomeno antichissimo, che probabilmente risale all’inizio della vita sulla terra (Perry J., Waglechner N., Wright G. - The Prehistory of Antibiotic Resistance - Cold Spring HarbPerspectMed. – 6 Jun, 2016).  Batteri resistenti ad antibiotici β-lattamici, tetracicline e glicopeptidi presenti in campioni di trentamila anni fa del permafrost dell'alto nord canadese e risultati analoghi si hanno studiando il permafrost siberiano.
Geni di resistenza agli antibiotici (β-lattamici, fosfomicina, cloramfenicolo, aminoglicoside, macrolide, sulfamidici, chinoloni, tetraciclina e vancomicina) sono presenti nel microbioma intestinale di una mummia andina precolombiana di Cuzco, in Perù (980 - 1170 d. C.) e nelmicrobioma orale di quattro scheletri umani adulti provenienti da un monastero medievale (circa 950 - 1200 d. C.) dimostrando che una resistenza agli antibiotici aminoglicosidici, beta-lattamici, bacitracina, batteriocine, macrolidi e altri ha un’origine antichissima. Anche quello che si ritiene il più antico batterio conservato nella National Collection of Type Cultures (NCTC) del Regno Unito, una Shigella flexnerie che nel 1915 uccise un soldato durante la prima guerra mondiale, molto prima della scoperta e dell'uso di antibiotici, risulta resistente alla penicillina e all’eritromicina.
Oggi è certo che l’antibioticoresistenza ha una storia evolutiva che inizia molto prima dell'era degli antibiotici e che la naturale produzione di antibiotici è strettamente legata all’antibioticoresistenza. L’antibioticoresistenza nasce negli stessi microrganismi che, producendo gli antibiotici usati nella competizione con altri microrganismi, producono anche i geni della resistenza per non essere danneggiati dagli antibiotici da loro stessi creati e per questo gli antibiotici e l’antibioticoresistenza sono un fenomeno naturale largamente diffuso nei terreni e in ogni ambiente. L’insieme dei microrganismi (microbioma) presenti negli uomini e animali e nei diversi ambienti, unitamente al complesso dei geni di resistenza agli antibiotici (resistoma) hanno una diversità e un’estensione che testimonia la loro lunga storia evolutiva. L’attuale aumentata diffusione della resistenza agli antibiotici è un problema che sta raggiungendo i livelli di crisi in conseguenza della pressione selettiva che con gli antibiotici l’uomo esercita sui microbiomi presenti nei diversi ambienti, animali e umani.

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La restrizione dell’uso di rame: benefici per la salute e l’ambiente o penalizzazione per l’agricoltura biologica?

Tra le ricadute maggiormente evidenti e repentine che il cambiamento climatico ha favorito, favorisce e favorirà, appare incontrovertibile l’insorgenza e lo sviluppo di fitopatologie funginee per il cui controllo è indispensabile l’impiego ripetuto e corposo di agrofarmaci. La difesa è naturalmente più difficoltosa in regime di coltivazione biologica, i cui disciplinari prevedono l’impiego di una ristretta lista di composti/sostanze “di copertura” ed i prodotti a base rameica sono i più utilizzati ed antichi, efficaci su un ampio spettro di fitopatologie e, non da ultimo, risultano maggiormente economici.Accolto il parere della Commissione Plants, Animals, Food and Feeds e dell’EFSA (“Review of the existing maximum residue levels for copper compounds according to Article 12 of the Regulation EC n. 396/2005”, March 1st 2018, doi:10 2903/efsa 2018.5212, e “Conclusion of the peer rewiev of the pesticides risk assessment of the active substance copper compunds” EFSA J. 2018,16(1),5152), la Commissione Europea ha emanato il Regolamento di Esecuzione 1981/2018 (in vigore dal 1 febbraio 2019) nel quale si “raccomanda” la riduzione dell’ apporto di rame da 6 a 4kg/ettaro/anno con lissage di 28 kg/ha complessivi, nel lasso temporale di sette anni, fatte salve deroghe a livello nazionale. La recente “raccomandazione” rappresenta un ulteriore passo verso la sostituzione del rame nel novero dei composti fitosanitari, in osservanza dell’art. 24 del regolamento CE 1107/2009. Se tuttavia tale strategia è adesa ai fondamenti propri dell’agricoltura sostenibile ed alle linee politiche inerenti, essa presenta nel contempo altrettante criticità che potranno investire particolarmente nel settore biologico le coltivazioni ad alto reddito, la viticoltura in primis, che richiedono prioritariamente trattamenti con prodotti rameici. Per contro la disposizione europea potrebbe paradossalmente permettere condizioni tutt’altro che restrittive per quelle colture erbacee che tradizionalmente sono soggette a rotazione almeno triennale (generalmente in alternanza a cereali e oleaginose) come ad esempio il pomodoro da industria e la patata, i cui trattamenti rameici potrebbero perfino eccedere la dose annua di 9 kg/ha di rame! Il criterio discriminatorio seguito dalla Commissione per addivenire alle “raccomandazioni” pare decisamente precauzionale, distante dalla oggettiva valutazione di rischio, forse più teso ad accondiscendere strategie comunitarie di armonizzazione (l’uso di rame per il controllo delle fitopatologie è già stato vietato nei Paesi Bassi ed in Scandinavia e bandito da disciplinari di produzione di organizzazioni ed enti di certificazione di Paesi del centro-nord Europa). Appare ragionevole chiedersi se l’uso del rame in agricoltura rappresenti davvero causa di detrimento per la salute e la qualità dell’ambiente o se la raccomandazione della Commissione UE non sia volta piuttosto a penalizzare la coltivazione biologica.

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