La notte della luna 50 anni dopo

Cosa rimane di quel sogno davanti a celebrazioni fredde, di maniera, a frasi scontate, quasi atti dovuti.

di Dario Casati
  • 31 July 2019

Il 20 luglio 1969 il mondo trascorse una notte in bianco. Gran parte della popolazione era incollata ai televisori per vedere le immagini dello sbarco del primo uomo sulla luna. Vi erano un’attenzione, un entusiasmo e un interesse che oggi forse sembrano eccessivi o, anche, come molti sostengono, infantili.  Era la vera notte delle meraviglie, un sogno antico dell’umanità giungeva a compimento: la luna a portata di mano, quella del Pastore errante di Leopardi, dell’Astolfo di Ariosto o di tante notti romantiche col naso all’insù. Anch’io trascorsi quella notte in bianco, ma per altri motivi. Ero ufficiale di picchetto in una delle nostre caserme ed erano i primi tempi in cui la guardia e il picchetto montavano in servizio con il colpo in canna. Non mi fu possibile seguire l’evento. Poi, come tutti, vidi quelle immagini in bianco e nero, un po’ sgranate, ma che, così si credeva, aprivano all’umanità una nuova era, secondo un’aspirazione costante a migliorarsi.
Ricordo l’entusiasmo, il senso di una grande conquista dell’uomo, l’ansia di andare avanti, la fiducia nel progresso scientifico e nelle sue ricadute. L’umanità diventava adulta o così sembrava.
A 50 anni ci chiediamo che cosa rimanga di quel sogno e ci risvegliamo davanti a celebrazioni fredde, di maniera, a frasi scontate, quasi atti dovuti. Un gran battage preliminare, poi l’evento e il ricordo bruciati in poche ore.
Il sogno è svanito in un mondo che, per voler apparire evoluto e disincantato, mette persino in dubbio lo sbarco sulla luna: declassato a invenzione dei soliti poteri forti per ingannare le masse e renderle schiave di ideologie finalizzate al dominio degli stessi poteri.
Non è un fatto isolato. Negli stessi anni, la sensazionale scoperta della struttura e delle proprietà del Dna era recente, nei confronti di tutta la scienza e dei suoi sensazionali progressi l’atteggiamento era lo stesso: enormi speranze, sconfinata fiducia, un interesse sincero e fiducioso in nuove acquisizioni. I grandi segreti a portata di mano, le accalorate discussioni sull’uso e sui fini della scienza. Le generazioni di allora riponevano grandi speranze nel progresso scientifico. Oggi tutto ciò è messo in disparte e bollato come ingenuità indotta da non si sa bene chi, ma certamente da “loro” i profittatori del “falso progresso” e della scienza “ufficiale” ad esso assoggettata.
50 anni dopo siamo vittime di un relativismo assurdo che rifiuta di capire la differenza fra scienza vera e altre modalità di organizzare il pensiero che scienza non sono e che quindi non offrono quelle garanzie che il metodo scientifico pone alla sua base. Secondo i nuovi profeti quando due affermazioni si confrontano una vale l’altra per correttezza e (malinteso) senso di democrazia. Non è così. La scienza e il pensiero scientifico sono diversi e faticosi perché si impongono limiti molto rigorosi. Un conto è concedere ad ognuno il diritto di esprimere il suo pensiero con pari dignità, altro è la verifica della validità seriamente accertata.
Si riscoprono vecchie pratiche colturali o alimentari utilizzate in passato e oggi accantonate, superate da altre, più sicure ed efficaci. Tornano di moda processi produttivi messi a punto magari da pensatori e studiosi sulla base di speculazioni mentali e con un bagaglio di conoscenze scientifiche fermo a quello dell’epoca in cui vennero pensati. Sarebbe come se reimpostassimo tutta la chimica sulla teoria del flogisto. Si parla di “scienze di confine” per indicare un’incongruente mescolanza fra scienza e chiacchiere, senza alcun riscontro validato in modo oggettivo.
Forse è anche per questa grande confusione che la celebrazione dell’allunaggio del 1969 o della scoperta della doppia elica del Dna di Watson e Crick di pochi anni prima non sono sentite come allora.
Ci assale il tremendo dubbio che la corsa a ritroso verso l’età dell’oro sia solo il pavido rifugiarsi nell’arretratezza del passato, nella paura di andare avanti e fare quello che nei millenni ha reso grande la specie umana quando sapeva vincere le sue paure.
Se discendiamo dalla luna dove non saremmo nemmeno giunti, se usciamo dai laboratori scientifici per tornare agli antri degli stregoni, se abbandoniamo la terra all’incolto e alle superstizioni che cosa avranno da celebrare quelli che verranno dopo di noi e in che condizioni vivranno?