Patate fritte sicure

di Giovanni Ballarini
  • 19 September 2018
Essere o Siamo fritti è termine familiare che significa essere perduti, rovinati, senza più speranza di salvarsi oppure di ottenere quello che si voleva. Molte sono inoltre i detti che riguardano la frittura, come quello di fritto e rifritto per indicare un argomento o una notizia vecchia, notissima, risaputa da tutti e ormai scontata e banale, perché ripetuta infinite volte, senza dimenticare l’affermazione aria fritta per designare parole o frasi vuote, inconsistenti, dichiarazioni o promesse non corrispondenti alla realtà, prive di fondamento o illusorie. Da dove provengono queste espressioni? Per l’ultima bisogna rifarsi al fatto che qualsiasi cibo anche inconsisten-te diviene buono se ben fritto, per le altre due espressioni è necessario rifar-si a sistemi di cucina che risalgono all’antichità e quando il romano Marco Terenzio Varrone (116 a. C. – 27 a. C.) in riferimento alla cottura delle carni afferma primo assam, secundo elixam, tertio e iure uti coepisse natura docet. In altre parole, seguendo l’insegnamento della natura per primo è ve-nuto l’arrosto, poi il lesso e per finire la cottura in salsa. In questa sequenza manca la frittura, quasi certamente perché il verbo latino frigo non ha il significato del verbo italiano friggere. Gli antichi Romani infatti e i Latini infatti sono capaci di frigere ceci, lenticchie, fave, ma pure orzo, fronde di cipresso e addirittura sale con un procedimento di cucine parente e sinonimo di torreo, assimilabile dunque a quella che per noi è una tostatura. Un metodo di cottura simile al nostro friggere non manca nell’antichità usando non solo olio, ma anche altri liquidi, ad esempio un misto di garum, olio e vino, oppure di garum, acqua, aceto e olio, o anche in garum e vino, o anche solo nel garum, o infine pure nel miele cotto. Per un diffuso uso della frittura quale da noi ora intesa bisogna arrivare al medioevo e soprattutto alle cotture multiple delle carni, attribuite ai Longobardi, che servono anche per conservare le carni attraverso l’arrostitura, seguita dalla bollitura, poi dalla cottura in salsa o iuscello (guazzetto, salsa, sugo, intingolo, condimento) per arrivare infine alla frittura con l’immersione della carne in un grasso o in un olio bollente. Con la frittura quale oggi intesa si giunge alla fine di un processo oltre il quale non vi è più nulla e quindi, anche ripetendo questa operazione, la carne fritta e rifritta è giunta alla fine. Da qui la probabile origine dell’essere fritti nel senso di essere arrivati alla fine di un percorso oltre il quale si è perduti con una idea di pericolo che oggi per la frittura è individuato nella acroleina e soprattutto nella acrilamide che si producono durante la frittura, un procedimento che non rientrava tra quelli che secondo Marco Terenzio Varrone sarebbero stati insegnati dalla natura e per que-sto si è anche detto che se oggi uno inventasse la frittura, il Ministero della Salute la vieterebbe subito per i rischi sanitari degli alimenti fritti e soprattutto delle patate collegati all’acroleina, alla quale oggi s’affianca l’acrilamide, probabile causa di tumori.
L'acroleina (2-propenale, 2-propen-1-ale, acrilaldeide o semplicemen-te propenale) è una molecola tossica per il fegato e irritante per la mucosa gastrica che è prodotta dalla disidratazione del glicerolo che avviene durante la frittura oltre il punto di fumo del grasso utilizzato. Durante la frittura negli alimenti ricchi di zuccheri riducenti e di asparagina sottoposti alle alte temperature della frittura, ma non nella bollitura o cottura a calore umido, si forma anche acrilamide una molecola ritenuta cancerogena per l’uomo in quanto genotossica, anche se recenti indagini (Pelucchi C. e coll. – Dietary acrylamide and cancer risk: An updated meta-analysis – Int. J. Cancer – 136, 2912 – 2922, 2015) tendono a minimizzare il rischio per-ché l’acrilamide non sarebbe relazionata alle più comuni forme di cancro, senza però escludere una modesta associazione con i tumori del rene, utero e ovaia nei non fumatori.
Per non essere fritti dalla frittura e goderne gli indubbi vantaggi sono consigliate alcune importanti precauzioni che riguardano soprattutto le patate. La prima precauzione è di non friggere alle elevate temperature nelle quali si produce fumo e di non usare a lungo oli e grassi, evitando la formazione di acroleina. Per ridurre la creazione di acrilamide nel 2015 l’EFSA ha prodotto un dossier in base al quale la Commissione Europea ha emanato il Regolamento 2158 del 20 novembre 2017 che istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione della acrilamide negli alimenti. Il regolamento interessa gli operatori che producono patate fritte, patatine, snack, cracker e altri prodotti a base di patate ottenuti a partire da pa-sta di patate, pane, cereali per la prima colazione, prodotti da forno, cracker, pane croccanti e sostituti del pane, caffè e succedanei, alimenti per la prima infanzia e alimenti a base di cereali destinati ai lattanti e ai bambini. La prima misura è di scegliere alimenti e in particolare varietà di patate con basse concentrazioni di asparagina e che non siano germinate perché durante que-sto periodo si formano zuccheri riducenti. Importante è anche il colore dell’alimento fritto e per le patate bisogna fermare la frittura quando queste ha assunto una tonalità dorata, evitando l’imbrunimento.
Nel futuro si potrebbero anche produrre patate, gli alimenti maggiormente interessati nella produzione di acrilamide, di linee genetiche con limitati contenuti dei precursori della molecola (Tran N. L., Barraj L. M., Collinge S. - Reduction in Dietary Acrylamide Exposure-Impact of Pota-toes with Low Acrylamide Potential – Risk Anal., 37, (9), 1754-1767, 2016).