Dal grano duro all'olivo: attività di ricerca nel tacco d'Italia

Il 9 novembre 2017 si è tenuta presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, una lettura del prof Luigi De Bellis dal titolo "Dal grano duro all'olivo: attività di ricerca nel tacco d'Italia". L’accademico, attualmente Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento, Lecce, è stato introdotto dall’attuale Direttore del DiSAAA-a, prof. Alberto Pardossi, nonché compagno di corso ed amico del prof. De Bellis. E’ seguito un saluto da parte dell’attuale Presidente della sezione Centro-Ovest dell’Accademia dei Georgofili, Amedeo Alpi.

di Adriana Ciurli
  • 22 November 2017
Il prof. Luigi De Bellis, livornese di nascita, laureato e dottorato a Pisa, ha lavorato in Fisiologia vegetale coordinato dal prof. Amedeo Alpi, allora docente di Fisiologia vegetale dell’Ateneo pisano.
Sono state elencate alcune sue pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali relative all’attività di ricerca su grano duro e cereali, soffermandosi poi sui risultati della più recente, pubblicata nel 2017 su Journal of Agricultural and Food Chemistry, che centra un tema attuale quello del legame tra alimentazione e salute; affronta infatti l’accumulo e la partizione del metallo pesante Cd (cadmio), in radici, fusti e cariossidi di frumento duro in un confronto fra 14 varietà mostrando dati che indicano quali varietà ad alto accumulo di Cd nelle cariossidi Cirillo e Svevo, e varietà a basso accumulo Iride e Russello.
Il prof. De Bellis ha poi fatto una lunga e dettagliata dissertazione sul batterio Xylella fastidiosa e sulle numerose sottospecie presenti oltre che in Italia in altre parti d’Europa e nelle Americhe. Il batterio causa danni fino alla morte della pianta in olivo, ma anche in altre specie come oleandro, mandorlo, ciliegio e piante ornamentali, non dimostra tossicità per agrumi e vite, mentre in Sud America è patogeno anche per agrumi e caffè.
Il professore ha raccontato l’inesorabile avanzata dell’infezione verso il nord a partire dal “tacco d’Italia”; la X. fastidiosa è stata infatti rilevata inizialmente in un’area intorno a Gallipoli nel 2013, velocemente si è diffusa verso nord, fino a Lecce, ma già nel gennaio 2014 un focolaio di infezione è stato rilevato a Trepuzzi, comune a nord di Lecce. A niente è valso prevedere una “zona cuscinetto” per arginare l’infezione: a marzo 2015 è stato rilevato un nuovo focolaio di infezione ancora più a nord, oltre l’area cuscinetto, a Oria. In conseguenza di questo è stata modificata la delimitazione dell’area cuscinetto per includere senza discontinuità il nuovo focolaio, quindi, una nuova determina regionale del 24 maggio 2016 ha individuato a nord una nuova zona cuscinetto ai confini della Provincia di Bari, ma recentemente un nuovo focolaio è stato individuato nel comune di Cisternino comune confinante con il Comune di Locorotondo (Provincia di Bari). Insomma, una storia senza fine quella della Xylella fastidiosa, un evento epidemico che ha coinvolto tutti: gli agricoltori, gli enti pubblici, i politici, i semplici cittadini ed il sistema della ricerca scientifica. Un’emergenza fitosanitaria di difficile gestione perché coinvolge l’intero ecosistema, il patrimonio culturale di una regione ed ha ricadute anche in settori apparentemente distanti dall’agricoltura quali il turismo, le arti e la letteratura della regione. Difficile la gestione della problematica anche perché, come ha spiegato il prof. De Bellis, è molto complesso far accettare una “incurabilità della malattia” alla popolazione.
Il professore ha quindi affrontato come tra le altre operazioni utili a rallentare la diffusione dell’epidemia di Xylella sia stata decisa l’estirpazione, entro un raggio di 100 metri dalle piante infette:
a) di tutte le piante ospiti indipendentemente dal loro stato di salute
b) delle piante infette da Xylella e
c) delle piante che presentavano sintomi indicativi della possibile infezione o sospettate di esserlo.
Nonostante tale decisione, ben poche sono state le piante di olivo estirpate (in particolare per il focolaio di infezione di Oria) a causa delle proteste di ambientalisti e proprietari che hanno presentato ricorsi al TAR, così che ben poco è stato fatto per ridurre l’inoculo nelle zone a nord della zona infetta. La decisione di estirpare nel raggio di 100 metri era evidentemente basata sull’ipotesi di una diffusione a macchia d’olio dell’infezione, ipotesi poi smentita dalla realtà dei fatti in quanto i nuovi focolai di infezione si sono sviluppati a vari km di distanza dai precedenti; evidentemente, le modalità di diffusione della malattia sono scarsamente prevedibili e non rispondono ad alcun modello previsionale. In aggiunta, l’estirpazione delle piante nel raggio di 100 metri, è stata decisa in mancanza di dati riguardo i tempi di incubazione della malattia, in base ad una imprecisa conoscenza le distanze percorribili in volo dagli insetti vettori, i quali, non solo possono spostarsi volando per brevi distanze, ma possono percorrere notevoli distanze attraverso il trasporto passivo in autoveicoli o spinti dal vento (molto presente nel Salento). Da notare poi che il taglio delle piante nel raggio di 100 metri comporta la distruzione di 3,14 ha di coltura, una superficie rilevante considerando la frammentazione della proprietà fondiaria nel Salento; questo ha immediatamente scatenato l’opposizione e le proteste dei proprietari, dei cittadini e soprattutto degli ambientalisti “estremi” che non condividendo tale prescrizione ne hanno impedito l’applicazione con la conseguenza di non contrastare in maniera efficace la diffusione della Xylella. Il docente ha spiegato che soltanto una prescrizione diversa, meno aggressiva e condivisibile da tutti i portatori di interesse, quale un’eradicazione entro 10-20 metri intorno alle pinte infette, avrebbe potuto e potrebbe contribuire ad oggi a rallentare la diffusione della Xylella fastidiosa; infatti, gli stessi proprietari potevano essere indotti a estirpare rapidamente le piante infette per non danneggiare il vicino ed il territorio.
Nel mentre, recenti pubblicazioni scientifiche hanno indicato quali cultivar di olivo tolleranti o resistenti alla malattia Leccino, Frantoio e Favolosa (Fs 17), mentre le cultivar tradizionali del Salento, Cellina di Nardò e Ogliarola sono altamente suscettibili. Le ultime evidenze scientifiche del prof. De Bellis individuano nei polifenoli la risposta fisiologica delle piante allo stress rappresentato dall’infezione; alti livelli di idrossitirosolo glucoside caratterizzano le cultivar tolleranti Frantoio e Leccino, mentre un significativo incremento nel livello fogliare di acido quinico è stato evidenziato in risposta all’infezione. Questi dati hanno portato ad ipotizzare che l’idrossitirosolo glucoside, a livelli più alti in Frantoio e Leccino, sia un utile “marker” per la selezione di cultivar tolleranti / resistenti, e che l’acido quinico sia un “marker” della avvenuta infezione.
De Bellis ha terminato la lettura mettendo in evidenza il pathway dei polifenoli ed il collegamento con la sintesi della lignina; ulteriori evidenze sperimentali indicano che un aumento di concentrazione di quest’ultima costituisca una delle risposte fisiologiche in piante tolleranti l’infezione di X. fastidiosa. Ulteriori brevi cenni di attività di ricerca sono stati riguardo la messa a punto di un chip per la rapida diagnosi di infezione da Xylella, l’applicazione di un programma basato sulla analisi delle immagini di foglie di olivo per la rilevazione dell’infezione, e l’utilità della tecnica FISH (Fluorescence in situ hybridization) per rilevare la presenza di X. fastidiosa nei vasi xilematici.