I problemi della peschicoltura italiana

di Carlo Fideghelli
  • 06 July 2016
Diverse delle difficoltà della peschicoltura italiana sono ormai strutturali e il loro superamento richiederà tempo e ulteriori sacrifici.
Il consumo di pesche e nettarine in Europa (seppure in misura lieve), è in diminuzione, nonostante il continuo aumento del consumo di frutta. Le pesche soffrono l’aumentata concorrenza di altra frutta estiva (albicocche, ciliegie, susine, uva da tavola, piccoli frutti, meloni, angurie) e di frutta tropicale e non, importata da altri continenti (banane, ananas, kiwi, mele, pere). L’embargo sulla esportazione in Russia e la crisi economica mondiale appesantiscono ulteriormente il mercato dei produttori italiani.
I costi di produzione italiani sono inferiori solo a quelli francesi e la concorrenza della Spagna, e, in minor misura della Grecia e della Turchia, è sempre più aggressiva. La qualità è una condizione indispensabile per poter competere, ma non è sufficiente per una produzione di massa come è ancora quella italiana. Il caso della Francia è emblematico: alta qualità, alti costi di produzione, continuo ridimensionamento della superficie coltivata a pesco.
Le cultivar in coltivazione sono molto, troppo, numerose; il CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli) stima che quelle coltivate presso i soli soci (il 16% della superficie coltivata a pesco) siano poco meno di 500.
Il problema principale, comunque, non è tanto la numerosità delle cultivar quanto la mancanza di indicazioni chiare circa la tipologia delle caratteristiche organolettiche che oggi sono sostanzialmente pesche-nettarine, gialle-bianche. Il consumatore dovrebbe essere informato di almeno due altri aspetti: sapore dolce (subacido) o acido (acidulo, tradizionale) e polpa soda, croccante ad evoluzione lenta (di sviluppo recente) o deliquescente ad evoluzione rapida (più tradizionali).
La carenza di informazioni relative agli impianti esistenti (in termini di cultivar e pertanto di tipologia e calendario di maturazione) è un altro punto debole del comparto in quanto rende praticamente impossibile una seria politica di programmazione.
L’aggregazione dei produttori, che pure ha fatto passi avanti importanti, è ancora insufficiente, da un lato, per poter trattare alla pari con la Grande Distribuzione, dall’altro, per una seria strategia di programmazione nazionale e, possibilmente e auspicabilmente, internazionale.
Per quanto riguarda lo snellimento della burocrazia e l’applicazione di regole comuni, sia per le produzioni europee che per le produzioni importate in Europa, alcuni passi avanti sono stati fatti, ma molto rimane da fare affinchè sia applicata la stessa regolamentazione nell’uso dei prodotti antiparassitari alle produzioni comunitarie e a quelle importate.
Il finanziamento pubblico a sostegno della ricerca e della innovazione tecnologica in favore degli operatori nazionali è in costante diminuzione e sarebbe pertanto necessario un maggiore impegno dei privati. Qualcosa, in tal senso, si sta positivamente muovendo.