La cucina italiana in un cambiamento di era - Capitolo 1: Da regionale a nazionale

di Giovanni Ballarini
  • 15 March 2023

Oggi la cucina in Italia ha superato una regionalità della quale restano solo alcune ricette e con la globalizzazione dei commerci e dei costumi subisce e partecipa a un Cambiamento di Era che non è un fenomeno nuovo, ricordando il mutamento della cucina avvenuto in seguito alla scoperta delle Americhe e una prima globalizzazione alimentare, o l’altro cambiamento a noi più vicino e determinato dalla Rivoluzione Industriale del secolo XIX e XX con la Cucina Borghese oggi quasi scomparsa. Non dimenticando che la cucina è lo specchio della società e dei suoi cambiamenti, sono da considerare e fare chiarezza su alcuni odierni aspetti della cucina italiana.
Nel XIX secolo il Italia lo sviluppo di una borghesia sviluppa una cucina che sulla base di un Servizio alla Russa è di tipo prevalentemente se non esclusivamente regionale, anche per le difficoltà dei trasporti e come dimostrano i diversi ricettari regionali. Con l’Unità del Regno d’Italia, inizia un’unificazione dei costumi anche per un solo esercito e lo sviluppo dei trasporti ferroviari che danno avvio in Italia a un'uniformazione della cucina borghese, la cui prima testimonianza abbiamo a fine secolo con La scienza in cu cucina e l’arte di mangiar bene (1892-2911) di Pellegrino Artusi (1820 - 1911). L’unificazione nazionale procede per tutta la prima metà del XX secolo quando anche nel settentrione si mangia pasta secca e nel meridione risotti e al ricettario dell’Artusi se ne affiancano e si sostituiscono altri come Il Talismano della Felicità (1925) di Ada Boni (1881 – 1973). È nella seconda metà del secolo e a partire dal Boom Economico degli anni Cinquanta che la Classe Borghese e sua cucina entra in crisi e è sostituita da una mal definita Classe Media con una cucina sempre più influenzata dai media. Nel 1971 la televisione italiana trasmette Colazione allo studio 7 che poi diviene A tavola alle 7 ottenendo un notevolissimo successo di pubblico, successo hanno le rubriche di cucina sui giornali e sui settimanali man mano sostituendo le tradizioni delle mamme e delle nonne soprattutto nelle famiglie che dalla povertà contadina entrano nel Ceto Medio. Contestualmente gli orti contadini e i negozi locali di alimentari iniziano a essere sostituiti dai supermercati (il primo a Milano inaugurato nel 1957) che offrono alimenti delocalizzati. Agli inizi del XXI secolo in Italia vi è una cucina sostanzialmente unificata che di tradizionale contiene solo piatti regionali “nazionalizzati”, spesso anche di produzione industriale.
Se anche in cucina il Medioevo finisce il 12 ottobre 1492 con la scoperta dell’America e la Modernità inizia con il 14 luglio 1789 con la Presa della Bastiglia, una nuova era della cucina anche in Italia inizia nel XXI secolo e precisamente l’11 settembre 2001 con il crollo delle Torri Gemelle a New York che indica che il mondo è completamente globalizzato, dalla guerra ad ogni altra attività umana, alimentazione e cucina comprese. Se oggi si può mangiare più o meno bene italiano in ogni parte del mondo, in Italia si possono gustare le cucine di ogni altra parte del mondo in modo altrettanto più o meno bene. Fino a metà del XX secolo la pizza era piatto regionale che si poteva mangiare solo a Napoli e dintorni, ora la pizza è diventata parte di una cucina nazionale. Ora soprattutto i giovani e i “diversamente giovani” dopo aver gustato gustando piatti stranieri come gli hamburger si stanno rivolgendo a piatti esotici dal kebab ai sushi, pokè e altri. Come gli hamburger sono già interpretati dagli chef italiani e entrati nella cucina italiana, lo stesso inizia ad avvenire per il kebab e gli altri piatti d’importazione, per un fenomeno di contaminazione alimentare che segue la contaminazione linguistica e dell’abbigliamento. La contaminazione alimentare non è nuova in un’Italia al centro delle rotte e migrazioni mediterranee, anzi è una delle caratteristiche madri di una cucina che si è formata integrando cibi, ricette e piatti arabi, spagnoli, francesi, austroungarici e di altre origini. Un tempo queste contaminazioni riguardavano solo una piccola parte della popolazione, quella dei nobili e ricchi (con l’eccezione del mais e della patata) e sono avvenute in tempi lunghi. Oggi le nuove contaminazioni interessano larghi strati popolari e sono rapidissime, destando sospetti, preoccupazioni, paure e soprattutto, rendono necessario criticamente giudicare un loro giusto e corretto inserimento nella odierna formazione di una nuova cucina nazionale italiana.
Nelle ere passate i cambiamenti della cucina avvengono nelle cucine delle regge, palazzi e magioni del ceto sociale dominante. A partire dal XIX secolo i cambiamenti della cucina avvengono nelle case di una borghesia ricca dove i cuochi, più spesso le cuoche, partendo da preparazioni tradizionali e con contaminazioni eseguono modifiche. Contemporaneamente assumono un’importanza sempre maggiore i ristoranti dove i cuochi, non raramente formatisi da cuoche come insegna l’esperienza delle Mères Lyonnaises, avvengono cambiamenti attraverso alcune principali linee: interpretazione della tradizione adeguandola alle caratteristiche degli alimenti, innovazioni tecnologiche di conservazione e trasformazione; nuovi fuochi e nuove tecniche; contaminazioni con altre cucine; accettazione da parte di una clientela sempre più ampia e diversificata. Di particolare importanza è che dalla fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, e ancor più in questo XXI secolo, il ristorante con i suoi diversi livelli di qualità e prezzi è il luogo nel quale la cucina evolve ed evolvono i gusti. Tra gli infiniti esempi è al ristorante che gli italiani nell’ultimo dopoguerra conoscono una moderna cucina del pesce anche crudo e nelle pizzerie stanno sperimentando, sembra con successo, la Pizza Napoletana Moderna o Contemporanea.
La cucina è tecnica e la gastronomia è arte, necessarie sono quindi una storia, ma soprattutto una critica. Se non mancano le ricerche e gli studi storici sulla cucina e soprattutto sulle ricette regionali e nazionali italiane, più scarsi sono i contributi di critica gastronomica del passato ma soprattutto del presente, diversamente da quanto avviene per taluni settori, quali ad esempio quello dei vini. Chiaramente insufficiente se non fuorviante è il sistema di attribuire ad un piatto o ad un locale un punteggio, il che equivarrebbe che in una mostra di quadri dove sono presenti opere di Leonardo da Vinci, Caravaggio, Picasso, Burri e Fontana e altri si volesse valutarli con un punteggio e poi trarne una media per valutare l’importanza della mostra stessa. Questo è quello che si sta facendo per un pranzo o una cena per dare un giudizio di un locale, mentre una critica gastronomica dovrebbe essere uno se non il principale argomento di ricerca come sta facendo l’Accademia della Crusca per la lingua italiana. Ma questa è un’altra storia.