Il vino è cultura, tradizione e innovazione

A colloquio con Lamberto Frescobaldi, membro del Consiglio dei Georgofili, presidente della Frescobaldi e presidente della UIV, Unione Italiana Vini, che raggruppa cantine, industrie e buyers del vino e rappresenta l'85% dell'export italiano nel settore.

di Giulia Bartalozzi
  • 12 October 2022

Presidente, sta facendo molto discutere la recente adozione da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) del documento “European framework for action on alcohol 2022-2025, che prevede un contrasto al consumo dell'alcol come priorità d'azione e riduzione del 10% del consumo pro capite entro il 2025. Il documento dell'Oms si propone di raggiungere gli obiettivi di un taglio dei consumi di alcol attraverso una strategia precisa che prevede aumento della tassazione, divieto di pubblicità, promozione e di qualsiasi azione di marketing e obbligo di health warming in etichetta. Le bottiglie di vino, insomma, come i pacchetti di sigarette?
Devo dire che il tema ci preoccupa molto, anche perché l’attacco all’alcol, e purtroppo anche al vino, è concentrico. Oltre all’inopinato testo adottato di recente dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il nostro settore è messo in pericolo da altri programmi avanzati dall’Unione europea e dalle istituzioni: penso al Nutriscore o al Cancer Plan votato dall’Europarlamento, ora al vaglio della Commissione europea. Ciò che contestiamo in questi piani - che nascono da nobili obiettivi - è il denominatore comune alla base della loro adozione: il vino è assimilato ad altre bevande simbolo del binge drinking e questo non lo possiamo accettare. La storia, ma anche il presente, è piena di paradossi che sconfessano questa china proibizionista. Quello principale è che il vino è sempre più sinonimo di moderazione; in Italia negli ultimi cinquant’anni il consumo pro-capite si è ridotto del 70%, oggi bere vino è uno status culturale che si accompagna alla Dieta mediterranea e la del Belpaese popolazione vanta un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo, con un’incidenza molto bassa di obesi. E questo aspetto è riscontrabile in tutti i principali Paesi consumatori di vino in Europa, non è un caso che Spagna, Italia e Francia siano nella top 5 europea per longevità. Lo stesso discorso non si può fare con i Paesi del Nord, dove il problema dell’alcolismo è grave e non certo a causa del vino. Inoltre, in molte bevande industriali il contenuto è spesso una miscela di accattivanti ingredienti zuccherosi e fruttati, che mascherano l’alcol e che allo stesso tempo risultano subdoli per i consumatori, in particolare per i giovani. C’è poi una differenza sostanziale tra vino e superalcolici: l’alcol contenuto nel primo è il risultato della fermentazione naturale degli zuccheri contenuti nell’uva, mentre per i secondi è ottenuto dalla distillazione industriale.
Quanto alla determinazione dell’Oms – Regione Europa, occorre dire che c’è stata una modifica last minute nella dichiarazione politica rilasciata che recepisce un emendamento dell’Ue. In pratica è stata inserita la parola “harmful” (dannoso) riferita ai consumi di alcol da debellare, una precisazione che fa ben sperare ma che nel più corposo documento operativo, il cosiddetto “action plan”, non è affatto chiara e dove invece permangono tutte le politiche restrittive che lei ha elencato.

Come si presenta questa annata vinicola che ha visto una prolungata siccità, non soltanto estiva, e temperature molto alte in estate? La vendemmia è stata anticipata da molti nostri produttori?
Non vorrei che si parlasse di una vendemmia siccitosa, perché alla fine non lo è stata. Le piogge, mai così provvidenziali, che hanno interessato gran parte della Penisola a partire dal 15 agosto hanno cambiato non poco le carte in tavola, ridando vigore alle piante e all’uva. In generale la quantità è la stessa dello scorso anno e leggermente superiore (+3%) rispetto alla media degli ultimi cinque anni. La qualità – che è la cosa che più conta – è molto buona, a tratti eccellente. A questo proposito vorrei ribadire un concetto fondamentale per il nostro settore: dobbiamo smettere di pensare di aver già vinto la partita dopo aver conquistato il primato mondiale produttivo, ciò che conta è il valore e la remuneratività di tutto il settore. In questo siamo ancora indietro rispetto al competitor francese, ma abbiamo tutte le carte in regola per giocare alla pari. Quella del valore – ha concluso Frescobaldi – è la grande scommessa di un comparto che da solo vale già quasi il 14% del surplus commerciale con l’estero di tutto il made in Italy”.

Che cosa ne pensa dell'’iniziativa della Commissione europea per la “Revisione dei sistemi delle Indicazioni Geografiche (IG) dell’UE per i prodotti agricoli e alimentari, i vini e le bevande spiritose”, inclusa nel programma di lavoro nell’ambito del Green Deal? 
La riforma del Regolamento europeo sul sistema delle indicazioni geografiche è un tema estremamente rilevante nella misura in cui tocca anche le procedure che riguardano il vino. Da rilevare comunque che la disciplina sulle procedure di riconoscimento e modifica dei disciplinari per i vini è stata già modificata nel 2019.
Riteniamo interessante la nuova proposta della Commissione, in particolare per ciò che concerne l’estensione della tutela ex officio delle IG sul web; auspicabile la proposta di integrare alcuni passaggi del Digital Acts Service per fornire una protezione più ampia delle IG. Da ultimo, valutiamo non necessario inserire nei disciplinari di produzione i requisiti relativi a certificazioni ambientali o di sostenibilità che, invece, devono essere oggetto di disciplina specifica.

Il futuro è nel biologico o nella ricerca e nell'innovazione tecnologica?
Sicuramente il biologico rappresenta per il futuro uno standard interessante per i vini italiani, a condizione che sia migliorato il monitoraggio e valutate oggettivamente le pratiche agronomiche e fitoiatriche, al fine di evitarne la banalizzazione. Per quanto riguarda la ricerca e innovazione tecnologica, il settore vitivinicolo, come tanti altri, ne ha assoluta necessità, sia in vigna – per esempio con nuove varietà resistenti, portainnesti che necessitano di minori quantità d’acqua, lotta alle malattie - sia in cantina, in particolare per aumentare l’efficienza energetica e la riduzione di prodotti ausiliari come l’anidride solforosa e altro.
Sul biologico c’è poi un problema di reale presenza sul mercato su cui lavorare. Il volume di vino bio prodotto nel 2020 è stato di 2,2 milioni di ettolitri, di cui ¼ proveniente dalla Sicilia, seguita da Toscana e Puglia (15% ciascuna) e Veneto (14%). Va segnalato che il volume espresso riflette solo in minima parte il potenziale del vigneto. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini, il volume potenzialmente producibile è pari a 6,4 milioni di ettolitri: il biologico “reale”, quindi, corrisponde circa al 35% del potenziale esprimibile dal vigneto. Ma c’è di più: le vendite di biologico – cioè il vino consumato tra Italia ed estero – non superano i 400.000 ettolitri di prodotto, equivalenti al 17% di quanto certificato realmente (i 2,2 milioni di ettolitri di cui sopra). Il nostro Paese, tra mercato nazionale ed export, muove un volume di circa 40 milioni di ettolitri: ciò vuol dire che le vendite di bio incidono per una quota di circa l’1%. Si pone infine un tema di ordine scientifico dato dagli obiettivi Ue di decremento dell’utilizzo di rame a ettaro (4 kg/ettaro annui). Un livello questo insufficiente per garantire la produzione bio in molte aree del Paese, e per questo diventa fondamentale l’apporto della scienza al fine di sostituire i prodotti rameici con molecole di sintesi meno impattanti sull’ambiente.