Pandemia da Covid-19 e agricoltura

di Giuseppe Bertoni
  • 03 June 2020

Gli inglesi parlerebbero di boring, ma prossimo a diventare annoying, con riferimento al tema della connessione Covid 19, disastri ecologici e, questo non deve mai mancare, agricoltura intensiva. Comunque, bene ha fatto “Georgofili Info” a riprendere l’articolo da Repubblica dell’11 maggio (http://www.georgofili.info/contenuti/la-deforestazione-aumenta-il-rischio-di-nuove-pandemie/15023); esso infatti, mi consente di esprimere, con la necessaria fermezza, una serie di puntualizzazioni su questo malvezzo di riferire ogni disgrazia umana alla deforestazione e all’agricoltura (specie se intensiva).
In primo luogo, i rischi da virus “mantenuti in vita” da animali selvatici sono reali, ma hanno ben poco in comune con la deforestazione, semmai col fatto che sempre più vengono facilitati gli scambi con i mercati umidi (specie in Cina e, guarda caso da lì è venuto il SARS-CoV-2, non dal Brasile) e con i fenomeni turistici più o meno estremi nelle aree naturali, cui – ovviamente – si aggiunge la facilità di diffusione legata alla globalizzazione (come constatiamo ogni giorno in agricoltura con le forme aliene). Per favore, si legga al riguardo “Predicting wildlife reservoirs and global vulnerability to zoonotic Flaviviruses” di P. Pandit et al. (2018) su Nature Communications.
In secondo luogo, pur senza negare un ruolo agli squilibri ambientali, ci si deve render conto che le pandemie non si evitano “bloccando nelle foreste i virus”; anche perché le popolazioni locali fanno “man bassa” di quanto le foreste offrono: quante scimmie ed “altro” affumicati sui banchetti del mercato di Kabinda (RD Congo), dove vado spesso, e quanti turisti arrivano in simili località. Piuttosto ascoltiamo gli esperti e non i presunti tali; essi dicono che vi è la necessità di controlli sanitari per l’identificazione precoce di nuovi patogeni potenzialmente zoonosici nelle popolazioni di animali selvatici, al fine di prevedere interventi tempestivi (Jones et al, 2008, Global trends in emerging infectious diseases, Nature); concetto confermato con parole analoghe da UNEP Frontiers 2016 Report Emerging Issues of Environmental Concern nel capitolo delle zoonosi.
In terzo luogo, la causa dell’occupazione delle aree naturali (deforestazione) non è l’agricoltura né tantomeno – come diremo poi – l’agricoltura intensiva, ma la popolazione (e oggi, oltre al numero, aumentano anche le esigenze in quanto “dettate” dai diritti dell’uomo, 1948, ora divenuti i 17 goals dell’ONU). Se infatti partiamo dal 100 d. C., quando gli abitanti erano 170 milioni e la superficie coltivata pure 170 milioni di ettari, al 1900 la popolazione era aumentata di circa 9 volte e la superficie coltivata di 5, ma guardando all’attualità, la popolazione è aumentata di 44 volte (7,6 miliardi) e la superficie coltivata di solo 9 volte (1,5 miliardi). Spero non si voglia concludere che l’espansione agricola ha stimolato l’aumento della popolazione, mentre si deve notare che negli ultimi 60 anni la superficie coltivata non è più aumentata, bensì diminuita nei Paesi ad agricoltura intensiva, tanto che i boschi si espandono e non si riducono come in Brasile dove l’agricoltura dovrebbe essere “migliorata”, adottando tecniche intensive corrette.
In quarto luogo, e concludo, tralascio le semplificazioni di chi negli ultimi due mesi ha pontificato sulle colpe dell’agricoltura intensiva causa del PM10 diffusore del virus e dei gas serra causa dei cambiamenti climatici, oltre che della deforestazione. Faccio solo notare che, per una sorta di nemesi storica, hanno poi dovuto constatare, con somma sorpresa – che ad agricoltura fortunatamente attiva vi sono ora fiumi e mari puliti, aria tersa (basso PM10), riduzione delle emissioni di gas serra e animali selvatici (anche questi veicoli di zoonosi) che scorrazzano per le città vuote.
Ci potremmo allora chiedere perché non sia mai sorto il dubbio – ai sostenitori, che sono anche fra noi, delle agricolture “naturali”: biologico, biodinamico, sussistenza ecc. – se proprio a tali forme di agricoltura “drammaticamente” improduttive, non sia legata la continua occupazione per fini agricoli delle foreste. Con questo, lungi da me l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” dell’agricoltura convenzionale; ma, anche qui un dubbio, invece di condannare l’intensificazione, non sarebbe opportuno spingerla alla conversione in intensificazione sostenibile come disse… Zarathustra…? No la FAO!!!