“La metà nascosta della pianta e i suoi invisibili”, questo potrebbe essere il possibile titolo del saggio che entro breve verrà pubblicato a testimonianza dei notevoli progressi compiuti in chiave radicale e nell’interazione con gli invisibili del terreno.
Al fine di rispondere in maniera convinta e appropriata ai più recenti dettami dell’UE in materia di agricoltura rigenerativa, in primis gli studenti frequentanti vari corsi universitari, seguiti da agronomi, periti agrari, forestali oltre che dagli agricoltori più evoluti, dovrebbero accedere con curiosità ai contenuti di questa nuova proposta libraria.
Riguardo ai contenuti, per parlare di terreno è necessario conoscere le piante e le loro radici. Il punto nodale è “senza piante non c’è suolo agrario”. Questo detto spesso viene dimenticato quando si prepara il terreno con le lavorazioni o lo si lascia per lungo tempo scoperto da piante in attesa di seminare o trapiantare le varie colture. La natura insegna che dove c’è un terreno adatto ci sono anche le piante coltivate, al contrario in questo saggio si ribadisce che è proprio dove crescono i vegetali che si forma il suolo agrario. La fotosintesi rilascia nel terreno, attraverso le radici, degli essudati che nutrono le popolazioni microbiche del suolo. In realtà sono proprio questi organismi che “fanno” il terreno. Quindi le piante, le loro radici e organismi associati formano il suolo e non viceversa. Le piante creano un “indotto attivo” che nutre i microrganismi; perciò, è utile lasciare il terreno coperto il più possibile da piante vive (= Agricoltura rigenerativa).
ll ruolo strategico della radice ha sempre destato una notevole curiosità in quanto essa è coinvolta in numerosi processi che incidono sia sul miglioramento quanti- qualitativo della produzione vegetale, sia sulla sua sostenibilità ambientale. L’interesse per quest’ambito di indagine è tutt’ora attuale e la ricerca incentrata sullo studio delle radici appare oggi orientata in modo sempre più puntuale alla conoscenza delle interazioni tra parte aerea, pedosfera e i così detti invisibili.
Un mondo liscio o rugoso?
Volendo poi giocare di fino, nel contesto del saggio appena annunciato si chiarisce che, poiché nei vari oggetti della natura non sono presenti dei bordi lisci, i frattali possono essere utili per rappresentare la geometria dei viventi e non. Quindi i frattali si possono applicare anche agli apparati radicali delle piante.
Il mondo nel quale viviamo si caratterizza per la presenza di rugosità e spigolosità irregolari, mentre le superfici lisce sono una eccezione. Nel passato si sono accettate forme appartenenti ad una geometria piana (euclidea) che descriveva e tutt’ora descrive solo forme che ben di rado, se non mai, si trovano nel mondo che ci circonda. La geometria euclidea descrive forme ideali come il quadrato, il cerchio, la sfera. Nella vita reale incontriamo certamente queste forme, ma esse, afferma il matematico Benoit Mandelbrot, per lo più derivano dall’opera dell’uomo (edifici, scatole …) e non della natura. I frattali rivelano un’area della matematica che ha a che fare in maniera diretta con lo studio della natura.
La natura si presenta a noi con forme non uniformi e con bordi ruvidi. La corteccia degli alberi non è liscia, le nubi non sono sferiche, i fulmini non viaggiano in linea retta, le montagne non sono perfettamente coniche, i bordi delle coste non sono semicerchi. Insomma, la geometria frattale è quella del mondo naturale (animale, vegetale, microbica e minerale).
Il termine «frattale» deriva da «fractus», sostantivo che esprime l’idea di discontinuità, frammentazione, interruzione. La geometria frattale è la geometria delle forme irregolari che si riscontrano spesso in natura. Sono caratterizzati da un dettaglio infinito, una infinita lunghezza e assenza di parti lisce come ad esempio nella radice. La dimensione frattale può spiegare quindi numerosi processi naturali. La caratteristica fondamentale degli oggetti frattali è l’autosimilarità: una forma autosimile è composta da una forma base che si ripete su scala infinita.
Tutto ciò affermiamo comportare non poche difficoltà nel dimensionamento sperimentale degli apparati radicali.
Negli ultimi anni lo studio del sistema radicale e della sua architettura, specie nelle piante coltivate, ha destato un crescente interesse poiché l’acquisizione di sempre nuove conoscenze aiuta a comprendere i meccanismi di colonizzazione della rizosfera e a più ampio raggio il grado di adattamento delle piante all’ambiente. A fini produttivi, tranne nei casi di attacchi parassitari, il generale assioma che recita “per ottenere una resa elevata non è sempre indispensabile un grande apparato radicale”, viene contraddetto dall’affermazione “in genere la causa di una resa scarsa è da porre in relazione ad un apparato radicale troppo ridotto e/o stressato”. In altri termini un’approfondita conoscenza del biomass partitioning, sia come massa che come energia, richiede una particolare attenzione nei programmi di miglioramento genetico per la costituzione di nuove varietà migliorate non solo nell’harvest index ma anche nel rapporto tra fitomassa aerea e radicale.
In regime di climate change i viventi che non si adattano tendono a soccombere. Quando, come e quanto la radice possa influenzare l’adattamento delle piante coltivate al cambiamento climatico non è facile a dirsi. Della singola radice e dell’intero apparato radicale si conosce ancora poco, nonostante il ruolo e le funzioni siano particolarmente rilevanti. È noto come la meccatronica (=meccanica + elettronica) e la robotica si siano inserite prepotentemente nell’odierna agricoltura (precision farming) proprio nella fase di transizione verso la digitalizzazione. Ma quanto più a fondo si indagherà sulla radice, nonostante le difficoltà emerse durante la sperimentazione, tanto migliori saranno i successi raggiungibili, ad esempio nell’applicazione del precision farming, nel corretto dosaggio di acqua e nutrienti, nel controllo delle malerbe e dei parassiti.