Quando la guerra si combatte con l'economia

Riflessioni sulla liberalizzazione temporanea degli scambi commerciali tra Ucraina e Ue

di Dario Casati
  • 11 May 2022

La data del 9 maggio, passaggio evocativo in cui la Russia ricorda con accentuata enfasi la fine della “Grande guerra patriottica” che per tutti è la seconda guerra mondiale, è superata. Ma il conflitto fra Russia e Ucraina prosegue il suo drammatico corso senza lasciar intravedere soluzioni possibili a una guerra in gran parte inedita e imprevedibile sviluppata su tre fronti: quello militare convenzionale con il suo corredo di morte e distruzione, quello economico fatto di sanzioni e ritorsioni, quello mediatico costituito da una serie infinita di notizie, vere o costruite ad arte. Queste hanno l’intento di agire spregiudicatamente tramite i mezzi di informazione sulle popolazioni coinvolte e sull’opinione pubblica mondiale.  Rispetto ai conflitti del Novecento ed a quelli minori di questo secolo il peso del “fronte” convenzionale, pur determinante, è inferiore a quello degli altri due più che in passato. La temuta soglia dell’estensione della guerra guerreggiata al mondo intero non è stata oltrepassata, anche se incombe sul contesto.
La scelta dei Paesi Occidentali di sostenere con lo strumento delle sanzioni economiche l’Ucraina ha assunto un rilievo che è ancora da valutare. Il ricorso ad esso non è una novità ed ha precedenti storici noti avendo colpito, ad esempio, anche l’Italia negli anni ’30 del Novecento. Di recente è divenuto tipico delle guerre commerciali, come nell’ultimo decennio dopo la fase dello sviluppo della globalizzazione e della multilateralità delle trattative e delle regole che ne scaturivano. Nel contesto Gatt/Wto l’imposizione di sanzioni si accompagna a quella di ritorsioni ed entrambe sono sottoposte, o dovrebbero esserlo, a procedura di composizione del conflitto ed alla riduzione/eliminazione delle misure adottate.
L’uso attuale a fini bellici apre una pagina nuova ancora tutta da scrivere, ma con ricadute estremamente serie, anche se talvolta paradossali, come nel caso delle materie prime energetiche in cui, pur combattendo aspramente, le parti continuano a scambiare merci e a corrispondere pagamenti.
Su questo terreno si è registrato un fatto recente che ha avuto una risonanza minore, ma che costituisce un’interessante evoluzione. La Commissione Europea, in una sua Comunicazione del 27 aprile scorso (COM (2022) 195 final) ha presentato al Parlamento ed al Consiglio dell’Ue una proposta di regolamento “relativo alla liberalizzazione temporanea degli scambi che integra le concessioni commerciali applicabili ai prodotti ucraini a norma dell'accordo di associazione” tra l'Unione europea e l'Ucraina. In sintesi, l’Ue si accinge a favorire in maniera legale e palese, secondo le regole contenute nell’accordo con l’Ucraina entrato in vigore nel 2017, gli scambi eliminando i dazi sugli ortofrutticoli, i prodotti agricoli e alimentari oltre ad altri come i fertilizzanti o, in particolare, l’acciaio ed altri metalli per i quali dazi e quote di importazione erano comunque destinati ad essere eliminati. L’intento è di sostenere l’economia ucraina in una fase così complessa favorendo uno sviluppo delle esportazioni che già erano in crescita prima del conflitto.
Per quanto riguarda i prodotti agricoli, come noto, l’Italia importa essenzialmente cereali e derivati delle oleaginose. In valore, su un volume di importazioni agricole dell’ordine di 600 milioni di € nel 2021, circa la metà riguarda olio di girasole per 287 milioni, pari al 7% del totale del prodotto importato, a cui si sommano 35 milioni di panelli per uso zootecnico. Al secondo posto si collocano i cereali per 210 milioni, di cui 179 di mais (16% dell’importato) e 28 di frumento (3%). Al terzo, con 63 milioni, semi e frutti oleosi di cui 54 per la sola soia. Infine importiamo un certo quantitativo di frutta secca o prelavorata per uso industriale. Nel complesso non è un grande volume, ma le principali voci derivano da carenze produttive del nostro Paese dovute alla progressiva contrazione della produzione interna per una nota serie di cause derivanti da vincoli e limitazioni alle tecnologie di produzione e coltivazione. Nel complesso anche se per l’Italia sarebbe interessante importare materie prime agricole a prezzi minori di quelli attuali, il vero problema, ancora una volta, è la mancanza di politiche idonee a garantire la sicurezza alimentare del Paese nelle emergenze.
Le ripercussioni sui mercati mondiali potrebbero essere positive contribuendo ad un certo raffreddamento delle quotazioni a vantaggio di Paesi importatori a basso reddito carenti soprattutto di cereali.
Un aspetto interessante della proposta è costituito dalla previsione di agevolazioni a supporto della logistica che dovrebbero permettere di sbloccare i quantitativi di prodotti agricoli stivati sulle navi ferme per il blocco del Mar Nero attuato dalla Russia. Le merci verrebbero avviate al mercato europeo per via terrestre su ferrovia o strada, sfruttando la contiguità territoriale con i Paesi Ue.
L’Iter della scelta comunitaria deve affrontare il duplice passaggio del Parlamento Europeo e del Consiglio che, visto il recente atteggiamento di qualche Paese Ue verso le sanzioni, potrebbe non essere semplice.
In ogni caso la proposta darebbe un contenuto propositivo sia alla posizione comune europea sia ai meccanismi economici di contrasto che diventerebbero positivi e non solo negativi.
Infine, questa strada permetterebbe di superare la logica delle pratiche sanzionatorie e ritorsive su basi bilaterali per favorire un ritorno alla multilateralità, strumento base per la ripresa degli scambi e la crescita dell’economia mondiale.