“Plant Vigour Hypothesis” e “Plant Stress Hypothesis” nella gestione degli agroecosistemi

di Silverio Pachioli
  • 05 May 2021

L’agricoltura “moderna” ha rivoluzionato non solo il modo di fare, ma anche il pensiero quotidiano degli operatori agricoli e dei consumatori. La gestione moderna degli agroecosistemi deve partire dalla conoscenza, la quale non può essere sempre “delegata” ad altri, ma deve diventare patrimonio fondamentale di agricoltori, tecnici e consumatori. Le discipline fitopatologiche e della nutrizione vegetale dovrebbero  permettere, se applicate con corretti criteri scientifici, di migliorare la salute delle piante coltivate senza aggravamenti delle stesse problematiche da risolvere.
Nonostante l’esistenza di una potenziale relazione tra fertilità del terreno e protezione delle colture, la gestione integrata dei fitofagi (IPM, Integrated Pest Management) e la gestione integrata della fertilità del suolo (ISFM, Integrated Soil Fertility Management) si sono sviluppate separatamente (Altieri e Nicholls, 2003).
L’approccio agroecologico moderno considera, invece, i sinergismi fra queste due tecniche, alla luce, anche,  delle numerose ricerche che dimostrano come molte pratiche di gestione del suolo influenzino le interazioni colture-fitofagi. A questo si aggiunge il riconoscimento scientifico dei legami ecologici esistenti tra il biota di superficie e biota del suolo, fino a definire una nuova strategia innovativa di gestione dei fitofagi su base ecologica (EBPM, Ecologically-Based Pest Management).

Agroecologia e agricoltura

La gestione agroecologica del paesaggio agrario può limitare lo sviluppo di fitofagi dannosi mediante due “effetti” principali (G. Burgio, 2020):
    1) Effetti top‐down: la gestione  dell’ambiente agrario potenzia direttamente gli insetti utili (es. inerbimento, piante nettarifere, aree di interesse ecologico, field margin complex, cover crop, living mulch, beetle banks, minum tillage, consociazioni colturali, lavorazioni conservative, intercropping, ecc.).
    2) Effetti bottom‐up: la gestione dell’ambiente agrario mitiga direttamente gli insetti dannosi (es. rotazioni, precessioni colturali, piante resistenti, cover-crop, piante trappola o catch-trap, piante biocide, tecniche di sfalcio mirate, lavorazioni, intercropping, ecc.).
Vengono definite best practices (buone pratiche) l’insieme delle tecniche agronomiche che consentono una
gestione ottimale della coltura in modo da prevenire e minimizzare il danno da fitofagi.
Molte ricerche recenti dimostrano come la resistenza di una coltura nei confronti di insetti e patogeni è anche legata alle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del terreno. L’incremento del tasso di crescita, maturazione (precoce o tardiva), dimensioni degli organi vegetali, spessore e consistenza della cuticola, ecc. possono influenzare indirettamente la capacità di molti insetti di attaccare le loro piante ospiti (Jones, 1976). In una review di articoli di cinquanta anni (Scriber, 1984), 135 studi hanno dimostrato un incremento del danno da insetti  ed  acari dannosi a seguito di un aumento di fertilizzazione azotata; circa cinquanta studi hanno, invece, dimostrato come il danno da insetti viene ridotto da regimi di fertilizzazione normale di azoto.
Letorneau (1988) ha revisionato cento lavori mostrando, in due terzi di essi, come gli insetti sono caratterizzati da aumento dei tassi riproduttivi, densità di popolazione, sopravvivenza, tassi di crescita, dannosità a seguito dell’incremento della concimazione azotata. Un terzo dei lavori mostra cambiamenti non significativi o una diminuzione dei danni.
L’argomento diventa più complesso se vengono considerate le possibili interazioni delle fertilizzazioni:
a) sulla sintesi dei metaboliti vegetali secondari che possono influenzare in maniera selettiva le modalità di alimentazione dei fitofagi; b) sui diversi tipi di resistenza delle piante proposti da Painter nel 1951 (preferenza, antibiosi e tolleranza); c) sui rapporti fra piante, artropodi predatori-parassitoidi ed impollinatori.
Anche se sono necessarie ulteriori ricerche, molti studi indicano che le pratiche  di fertilizzazione del terreno possono influenzare (almeno in termini relativi)  la resistenza delle colture agli insetti fitofagi. Inoltre, una maggiore quantità di azoto solubile nei tessuti vegetali sembra ridurre la resistenza naturale ai fitofagi, anche se questo non è un fenomeno generalizzabile (Phelan et al., 1005).

I concetti moderni di “Plant Vigour Hypothesis” (PVH) e “Plant Stress Hypothesis” (PSH)
Fattori abiotici come la temperatura, la disponibilità di risorse nutritive e idriche possono avere un forte impatto sugli insetti fitofagi, sia direttamente che indirettamente, attraverso i loro effetti sulle piante, in quanto substrati nutritivi di tali organismi (Evans et al., 2012). Diversi sono stati gli studi condotti in merito, dai quali è stato possibile sviluppare due concetti principali: “Plant Vigour Hypothesis” (PVH) e “Plant Stress Hypothesis” (PSH). La prima ipotesi presuppone che le piante vigorose siano ospiti più adatti per gli insetti fitofagi (per cui la loro performance è massimizzata) per una maggiore disponibilità di nutrienti e per più alti potenziali osmotici rispetto alle piante stressate (Tariq et al., 2012). La seconda ipotesi è invece basata sulla presenza di cambiamenti biochimici nelle piante sotto stress, come ad esempio un incremento del contenuto di amminoacidi solubili, che contribuiscono all’aumento della performance degli insetti (Larsson, 1989).
Mattson e Haack (1987) propongono sei diversi meccanismi per spiegare l’aumento delle popolazioni di insetti su piante in stress idrico:
    1. La siccità sviluppa condizioni di temperatura più favorevoli allo sviluppo di alcune specie fitofaghe.
    2. Le piante stressate possono essere più attrattive per gli insetti per modificazioni termiche, acustiche e biochimiche. I cambiamenti  biochimici e fisici del contenuto cellulare delle piante (es. amminoacidi, zuccheri, sali minerali, viscosità, pressione osmotica, ecc.) possono giocare un ruolo di fagostimolazione per diversi insetti, in particolare per i fitomizi (Calatayud et al, 2002).
    3. Le piante in stress idrico possono non favorire e/o impedire  l’azione dei nemici naturali dei fitofagi (predatori e parassiti).
    4. Lo stress idrico può stimolare lo sviluppo e l’attività di microrganismi eso ed endosimbionti dei fitofagi. Un aumento del tenore di glucosio e fruttosio nelle foglie può ugualmente favorire la crescita di questi simbionti.
    5. Lo stress idrico e le elevate temperature possono provocare modificazioni genetiche negli insetti e comparsa di nuove varianti con potenziali riproduttivi ed adattativi più elevati.
    6. Le piante in condizioni di stress idrico possono indurre negli insetti sistemi di detossificazione e/o di immunocompetenza.L'effetto della disponibilità di azoto sull'esito dell'interazione pianta-parassita è stato particolarmente studiato, ma con risultati contrastati. Alcuni studiosi hanno riscontrato un impatto positivo dell'aumento di azoto sulla performance degli insetti (Aqueel & Leather, 2011), mentre altri hanno evidenziato un effetto negativo (Bethke et al., 1998).
Difatti, l’azoto influenza la crescita delle piante in quanto modifica la relazione dei nutrienti e, quindi, la composizione biochimica degli organi vegetali e della linfa floematica di cui i fitofagi si nutrono.
In particolare, in linea con la “Plant Vigour Hypothesis” (PVH), le piante che mostrano una crescita ridotta a causa della limitazione di azoto sembra siano in grado di investire più carboidrati nel metabolismo secondario e, quindi, in composti di difesa, mentre quelle che presentano un maggior sviluppo, per alti livelli di azoto, sembra risultino più appetibili e, quindi, più suscettibili agli insetti (Rousselina et al., 2016).
Nel caso specifico di Myzus persicae, la letteratura in merito evidenzia un comportamento dell’afide aderente
alla “Plant Vigour Hypothesis” (PVH) (Gre'chi et al., 2008) rispetto al livello di concimazione azotata del substrato vegetale. Tale interazione si evidenzia  sul tabacco, sul pesco (Rousselina et al., 2016) e sulla  patata (Jansson & Smilowitz, 1986).
Altri lavori sperimentali (Chee et. al, 2004) hanno verificato aumenti di amminoacidi liberi nei fiori, in particolare di fenilalanina, durante il periodo di picco delle popolazioni di Frankliniella occidentalis.
I  risultati sono coerenti con gli effetti benefici dell'alto contenuto di azoto alimentare sulle popolazioni di tripidi e supportano anche l'ipotesi che gli amminoacidi aromatici (es. fenilalanina) giochino un ruolo centrale nell'ecologia nutrizionale di F. occidentalis. Han et al. (2014) hanno scoperto che l'apporto di azoto subottimale non è favorevole per la sopravvivenza e lo sviluppo di Tuta absoluta su pomodoro, e ciò potrebbe essere dovuto a modificazioni dei sistemi naturali di difesa e/o alla diminuzione del valore nutritivo delle foglie.
Interessanti anche gli studi sulle possibili interazioni dell’azoto con la produzione di Volatile Organic Compounds (VOCs). I volatili delle piante (isoprenoidi) possono agire come repellenti o attrattivi per gli insetti (Unsicker et al., 2009 ; Dicke e Baldwin, 2010 ; Mumm e Dicke,2010 ). La composizione e i livelli di VOCs delle piante potrebbero essere significativamente influenzati dalla fertilizzazione azotata (Chen et al., 2010 ) e, di conseguenza,  verrebbe modificato il loro potenziale attrattivo verso gli insetti fitofagi. La relazione tra i livelli di applicazione del fertilizzante e l'emissione di composti volatili  dipende dalle specie vegetali e può esserci una relazione positiva, negativa o nessuna relazione tra di loro. Jang et al. (2008) hanno osservato una riduzione dei livelli di acido jasmonico nelle piante di riso quando ricevevano quantità elevate di azoto. In uno studio, Bleeker et al. (2009) hanno scoperto che monoterpeni e sesquiterpeni rilasciati dalle piante di pomodoro stimolano una risposta dai recettori sulle antenne di Bemisia tabaci.  Successivamente Tuomi et al. (1994); Lee et al. (2005) e Chen et al. (2008)  hanno verificato che le piante coltivate con un alto livello di fertilizzante avevano una concentrazione di terpeni inferiore rispetto alle piante coltivate con un basso livello di fertilizzante. I risultati delle ricerche di Md. Nazrul Islam et. al.( 2017) confermano che alti livelli di azoto hanno un ruolo importante nel rilascio di terpeni (tra cui β-pinene, (+)-4-carene, α-terpinene, p-cymene, β-phellandrene, α-copaene, β-caryophyllene, and α-humulene), diminuendone la produzione da parte delle piante di pomodoro. Questo riduce le difese naturali  della pianta e favorisce l’infestazione di Bemisia tabaci.
Gli esempi riportati non esauriscono l’argomento della relazione fra artropodi-piante e pratiche colturali (in particolare la fertilizzazione). Gli studi sono complessi e, spesso, non generalizzabili, ma appare evidente come risulti sempre più fondamentale affrontare la “nuova produzione agricola” in termini più complessi e alla luce di nuova coscienza agroecologica.