I Georgofili e gli Stati Uniti d’America

Si è aperta ieri, 11 febbraio 2020, la Mostra realizzata in collaborazione con Fondazione Osservatorio Ximeniano a cura di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi, Andrea Cantile, Paolo Nanni. Sarà visitabile nella sede accademica fino al prossimo 24 marzo, con ingresso libero.

di Paolo Nanni
  • 12 February 2020

Il 7 marzo 1819 Giacomo Ombrosi veniva eletto socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili insieme a Giuseppe Geri, Cosimo Del Nacca e Gaspero Mannajoni, tutti dichiarati “fiorentini”. In quello stesso 1819 il Granduca Ferdinando III di Lorena, aveva finalmente acconsentito all’apertura in Firenze di una sorta di vice-consolato statunitense (il consolato era a Livorno), con compito di favorire gli scambi commerciali fra i due Paesi e aiutare i numerosi cittadini americani (scrittori, poeti, pittori, incisori, scienziati) che transitavano in quel tempo per l’Italia e la Toscana. A dirigere questa sorta di agenzia commerciale fu, fino al 1823, Giacomo Ombrosi, anno in cui egli venne nominato primo console statunitense a Firenze.
L’Accademia dei Georgofili intende con questa esposizione rendere omaggio a Giacomo Ombrosi che nei suoi lunghi anni di consolato (ben 25) cercò di incentivare il legame fra i Georgofili e gli studiosi e scienziati d’Oltreoceano.
I Verbali delle adunanze accademiche testimoniano l’incremento costante dei soci corrispondenti statunitensi che al gennaio 1820 risultavano essere già circa una cinquantina, di cui tantissimi della “N. York”.
Anche i presidenti Monroe, Madison e Jefferson divennero in questi anni accademici georgofili corrispondenti.
Guardare alle ‘Americhe’ aveva costituito da sempre uno stimolo per l’Accademia fiorentina per quella curiosità scientifica manifestata fino dalla sua fondazione. Non pochi accademici viaggiatori solcarono gli oceani per studiare, osservare e descrivere morfologia, flora, fauna, popoli e abitudini sociali di lontani paesi; altri s’imbarcarono per spirito libertario e di avventura, divenendo poi anch’essi appassionati coltivatori di piante portate dalla Madrepatria. Basti ricordare in questo contesto Filippo Mazzei  che mosso verso gli Stati Uniti per passione politica, giunse poi in Virginia (1773) dove acquistò la tenuta di Colle nella quale volle replicare le colture toscane di “raperonzoli, terracrepoli, cicerbite”, vitigni di più varietà; dai suoi campi in America inviava per contro in Toscana e ai Georgofili prodotti che era riuscito a ottenere nella sua nuova patria, come ad esempio 15 spighe di grano siciliano affinché ne fosse sperimentata la coltivazione.
Anche nel corso del secolo successivo questi viaggi da una parte all’altra dell’Oceano continuarono e sovente con le persone si mossero anche i prodotti della terra, come fu il caso dei vini toscani che furono sottoposti volutamente a lunghi tempi della navigazione (e la transoceanica -andata e ritorno- si rivelò la più adeguata) per saggiarne la durabilità.
Quegli stessi porti furono testimoni, sul finire del secolo e nei primi decenni del successivo, del massiccio esodo degli emigranti italiani che lasciavano le loro magre terre in cerca di fortuna al di là dell’Oceano. L’Accademia dei Georgofili fu particolarmente attenta a questo tema e bandì sull’argomento diversi concorsi la cui documentazione rende conto dell’enorme depauperamento di popolazione che si verificò in Italia a partire dagli ultimi decenni dell’800 fino a buona parte del secolo successivo.
In viaggio verso l’America anche ricercatori e studiosi Georgofili che negli anni ’50-‘60 del ‘900, giunsero negli Stati Uniti in missioni di studio e ricerca; durante la loro permanenza, talvolta anche lunga, sul suolo americano, studiarono le politiche agricole e creditizie di quel giovane Paese, l’assetto del suo territorio e il suo equilibrato utilizzo, la meccanizzazione e l’istruzione agraria. Gli Atti dei Georgofili e altre riviste specializzate riportano al riguardo numerosi articoli e  resoconti, frutto delle osservazioni e riflessioni di questi giovani laureati.
Fra questi il professore Franco Scaramuzzi che durante il suo lungo soggiorno americano ebbe modo di soffermarsi su svariati aspetti dell’agricoltura di quel Paese: la produzione olearia, quella delle olive da tavola, la frutticoltura, la meccanizzazione che stava sostituendo quasi del tutto il lavoro dell’uomo.
Se la nascita del consolato a Firenze nel 1819 aveva rappresentato per la Toscana e per i Georgofili un’ulteriore possibilità di spaziare oltre la vecchia Europa e di stringere relazioni e corrispondenze fra Paesi così lontani, altrettanto rappresentativo in questo ambito, può essere considerato il convegno agrario italo-americano che si tenne a Firenze nel gennaio del 1946.
Tre gli scopi cui il convegno mirava, come dichiarava Renzo Giuliani in apertura dei lavori: favorire una più ampia collaborazione fra Italia e Stati Uniti; far risaltare i possibili rapporti fra agricoltura italiana e americana; rifondare su nuove basi l’agricoltura italiana distrutta dalla guerra.
Guardare agli Stati Uniti e ai progressi da essi compiuti in campo agricolo, ambientale e educativo, poteva essere un buon punto di partenza e un potente stimolo per un’Italia da ricostruire.
Nel messaggio che il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi aveva inviato alla Presidenza del Convegno e di cui fu data lettura in apertura dei lavori, era ricordata la lunga comunanza che univa l’Italia agli Stati Uniti:
In agricoltura come nella storia, America e Italia hanno reciprocamente aperto da secoli un conto corrente lunghissimo.

FOTO: La tenuta di Monticello in Virginia, dove Filippo Mazzei si recò per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi negli Stati Uniti.