Globalizzazione e strategie cinesi

di Franco Scaramuzzi
  • 19 June 2013
Il nuovo Premier Li Keqiang, usando la tattica cinese della umiltà apparente e della paziente attesa, sta compiendo una serie di missioni all’estero, insistendo ovunque nell’affermare che il suo Paese ha bisogno di soddisfare soprattutto le necessità alimentari del popolo e di cercare un maggiore equilibrio nei commerci bilaterali, con accordi che coinvolgono molto spesso l’agricoltura. 
Avvalendosi della forza di una rigida dittatura, che continua a sfruttare una manodopera inamovibile e a basso costo, la Cina opera liberamente sul mercato mondiale, anche senza rispettare regole internazionali e copiando con disinvoltura ogni nuova tecnologia. Inoltre sta acquisendo l’uso di vaste aree agricole in altri Continenti (grabbing), con operazioni che possono essere considerate come nuova forma di colonizzazione incruenta, apparentemente consensuale. Accoglie nel territorio nazionale imprese straniere che vogliano produrre con processi per loro ancora innovativi, attraendoli appunto con il basso costo del lavoro e con un vasto mercato di grandi prospettive; ciò è valso anche per nostre importanti imprese agricole. Libera di non rispettare tante regole, così come i diritti civili del proprio popolo, la Cina sta tessendo una rete sempre più larga di rapporti con diversi Paesi, un po’ ovunque, impegnando miliardi di dollari in opere edilizie.
Questi  pur frammentari elementi riguardanti le iniziative cinesi in atto, ormai ampiamente note, dovrebbero stimolare il vecchio mondo occidentale ed in particolare quello che viene chiamato "eurozona", a riflettere sulla necessità di assumere tempestive strategie, capaci di far crescere le proprie complessive potenzialità produttive in tutti i settori manifatturieri, a cominciare dall'essenziale agricoltura. L'Europa deve capire che le sole rigide misure sull’austerità dei bilanci, non mettono in crisi soltanto suoi singoli Paesi Membri, ma sono capaci di far risorgere improvvide contrapposizioni nazionaliste e rischiano di indebolire le potenzialità dell'intera Unione, necessarie per affrontare le nuove realtà che già accompagnano la ormai irreversibile globalizzazione. 


da La Nazione, 16/06/2013