Notiziario





Interventi pubblici a supporto della conoscenza e dell’innovazione in agricoltura

Le politiche agricole dell’Unione europea hanno da tempo fatto la scelta di sostenere il processo di innovazione delle imprese e dei territori rurali. Da almeno tre cicli di programmazione, i regolamenti europei volti a promuovere lo sviluppo e la sostenibilità mediante il sostegno ad investimenti strutturali propongono e finanziano azioni di diffusione delle innovazioni mediante interventi di crescita del capitale umano e di cooperazione.
Analizzando gli obiettivi e le modalità proposte dalla Commissione europea in questi 18 anni, è possibile notare un’evoluzione nei contenuti, nelle metodologie adottate e nell’approccio.
Si è passati da un sostegno a strumenti tradizionali come formazione, informazione e consulenza che avevano l’obiettivo generico di far crescere le professionalità impiegate in agricoltura e avvicinarle ai temi dell’innovazione (2007-2013) ad un’impostazione più strutturata che, finanziando gli stessi interventi, li ha posti decisamente al servizio delle priorità della politica agricola quali acceleratori delle specifiche istanze di competitività, sostenibilità e inclusione (2014 -2027).
Un altro aspetto evolutivo ha riguardato l’attenzione che le politiche hanno rivolto agli approcci e agli elementi metodologici proponendo precise scelte tecniche, operative e di governance. E’ stata infatti evidenziata l’importante differenza fra attività di informazione e attività di consulenza segnalando quanto la prima sia rivolta ad un pubblico più vasto e generalizzato e la seconda sia invece un servizio “tailor made” (su misura) che deve essere calibrato alle esigenze della singola impresa e dello specifico territorio. Per la diffusione delle innovazioni è stata data preferenza al modello interattivo utilizzando lo strumento della cooperazione e della progettazione di interventi che coinvolgessero un ampio partenariato di soggetti (i Gruppi Operativi del Partenariato europeo per l’innovazione in agricoltura).

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Il grano Creso compie 50 anni

Nel 1974 in Italia si coltivavano 1,6 milioni di ettari di grano duro, la resa media era di 18,4 q/ha e la produzione nazionale era di 2,84 milioni di tonnellate. Nello stesso anno la produzione di pasta era di 0,87 milioni di ton. e il fabbisogno di materia prima veniva soddisfatto con le importazioni di grano duro dall’estero. Qualche anno prima in Italia era stata varata la legge 580/1967, le cui norme vincolavano i produttori di pasta all’utilizzo esclusivo della semola di grano duro. Questo provvedimento amplificò ulteriormente la necessità di aumentare la produzione nazionale, estendendo la coltivazione del grano duro all’Italia centro-settentrionale, con la prospettiva di limitare l’approvvigionamento dall’estero. La possibilità di sostituire la produzione di grano tenero al Nord era però legata alla necessità di poter disporre di varietà di grano duro capaci di esprimere lo stesso potenziale produttivo.
E’ in questo contesto che si inserisce l’esperienza rivoluzionaria del Creso e del suo costitutore Prof. Alessandro Bozzini, agronomo e genetista agrario, allievo del Prof. Francesco d'Amato durante i suoi studi a Pisa. Alla fine degli anni ’50, durante la specializzazione post-laurea all’Università del Minnesota, Bozzini ebbe l’opportunità di conoscere il futuro premio Nobel N. Borlaug. Nell’occasione, Borlaug gli confidò l’intenzione di trasferire i geni per la riduzione della taglia, presenti nel frumento tenero giapponese Norin 10, anche nel frumento duro, attraverso un programma di incroci da realizzarsi in Messico al CIMMYT. Bozzini, in quell’occasione, gli consigliò di utilizzare, nel nuovo programma di incroci, la varietà Cappelli, esaltandone l’ampia adattabilità e le spiccate caratteristiche qualitative della granella.
Nel frattempo, tornato a Roma, Bozzini iniziò a lavorare su un programma di citogenetica, mutagenesi artificiale e miglioramento genetico presso il Centro Studi Nucleari della Casaccia (CNEN), sotto la guida del Prof. G.T. Scarascia Mugnozza. Anche in questo caso l’obiettivo era quello di identificare e selezionare mutanti di grano duro a taglia bassa, a partire dalle varietà coltivate all’epoca, particolarmente sensibili all’allettamento. Il risultato di questo programma portò alla selezione di mutanti più bassi rispetto ai parentali di origine, di circa 15-30 cm. Tuttavia, questi materiali non assicuravano un buon rendimento agronomico, si presentavano con un ciclo di sviluppo eccessivamente tardivo ed una scarsa qualità della granella. Tra essi solo il mutante Cp B144, derivato da Cappelli, possedeva una granella vitrea di buona qualità.

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Il nuovo Pacchetto Qualità

1.- Il Regolamento (UE) 2024/1143: la dimensione sistemica
Il 23 aprile 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea in nuovo Regolamento (UE) 2024/1143 sulle Indicazioni Geografiche e sulle altre indicazioni di qualità, in applicazione dal 13 maggio 2024.
Si tratta di una disciplina originale ed innovativa, che conferma – già nella scelta della base giuridica (l’art. 43.2. TFUE sul perseguimento degli obiettivi della politica comune dell'agricoltura e della pesca, e l’art. 118 TFUE sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale) – la capacità espansiva della Politica Agricola Comune, che dalle regole di produzione si estende a comprendere le regole di comunicazione nel mercato, in una dimensione che non è soltanto europea, ma sempre più investe l’intero mercato globale.
Le novità introdotte sono numerose, nel merito, nelle procedure, e nel disegno istituzionale.
Un primo elemento va sottolineato: la dichiarata ambizione sistemica del legislatore europeo, che dopo aver unificato nel 2012 DOP, IGP, ed STG, e collocato in un unico testo normativo anche gli altri regimi di qualità, prosegue oggi lungo questo percorso, accogliendo nel nuovo regolamento sui prodotti di qualità anche i vini e le bevande spiritose, sin qui tradizionalmente oggetto di testi normativi formalmente (ed in più punti anche sostanzialmente) separati e distinti. Tutto ciò ha, fra l’altro, conseguenze rilevanti per il settore del vino, a cominciare dalla generalizzata applicazione della tutela ex officio, che il Regolamento del 2012 aveva introdotto con formula innovativa ma limitata alle sole DOP e IGP dei prodotti agricoli ed alimentari, e che oggi è estesa anche al vino ed alle bevande spiritose.

2.- Le nuove disposizioni di merito ed istituzionali
All’interno di questo approccio unitario e sistemico, le novità sono numerose, nel merito e sul piano istituzionale e dei procedimenti.
Nel merito, oltre alla tutela ex officio (art. 42), e l’esplicita estensione della tutela ai nomi di dominio (art. 26 e 35), ed alla disciplina tra IGs e marchi, novità importanti sono state introdotte, fra l’altro: quanto all’uso dell’IG nella denominazione di vendita di prodotti che contengono tale IG fra i propri ingredienti (art. 27) con la previsione, fra l’altro, della notifica preventiva scritta di tale uso al gruppo di produttori riconosciuto per l’IG; nonché quanto all’applicazione della disciplina a tutti i prodotti realizzati nel territorio dell’Unione Europea, anche se destinati esclusivamente all’esportazione al di fuori dell’Unione (art. 26).
Trova conferma, nelle nuove disposizioni di merito così introdotte, il dialogo fra istituzioni europee e nazionali, e fra legislatori e giudici (ad esempio quanto all’adozione di una specifica disciplina UE sull’uso del nome protetto all’interno della denominazione di prodotti composti, che propone alcune prime risposte al noto caso dello Champagne Sorbet deciso dalla Corte di giustizia, e riprende alcuni elementi della disciplina italiana in materia; e quanto all’estensione della tutela anche ai prodotti destinati esclusivamente all’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione, che offre risposte alle criticità evidenziate dalla Corte di giustizia nella decisione del 2022 sulla produzione in Danimarca di un formaggio denominato “Feta” che non rispettava il disciplinare di tale prodotto).
Anche sul piano istituzionale e dei procedimenti, le nuove disposizioni introducono modelli innovativi, che tengono conto delle esperienze maturate in sede nazionale, e delle criticità sin qui manifestate.
Esplicito rilievo è assegnato alle collettività di produttori, investite del governo delle denominazioni e chiamate a rispondere alle domande, anche in tema di sostenibilità, dell’intera società, complessivamente intesa, oltre che dei produttori e dei consumatori.

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Cambiamento climatico e irrigazione sostenibile in agricoltura

Il cambiamento climatico ha già avuto e ancor più avrà in futuro un forte impatto negativo sull’agricoltura, che è tra i settori che più ne subisce gli effetti a causa: dell’accelerazione di eventi estremi con l’alternarsi di ritorni di freddo, ondate di calore e di precipitazioni torrenziali; delle temperature elevate con lunghi periodi di siccità e cronica carenza della risorsa idrica.
In merito, il servizio sul cambiamento climatico di Copernicus ha reso noto che nel 2023 la temperatura media globale è stata di 14,98 °C. Il 2023 è stato più caldo di 0,60 °C rispetto alla media del periodo 1991-2020 e di 1,48 °C rispetto al livello del periodo preindustriale 1850-1900. L’incremento delle temperature per l’agricoltura comporta un aumento dell’evapotraspirazione delle colture, e quindi la necessità di aumentare gli interventi irrigui al fine di tutelare quantità e qualità della produzione.
Lo scorso 22 aprile l’UNASA, l’Accademia di Agricoltura di Torino e il DISAFA dell’Università di Torino, nell’ambito dell’incontro preparatorio dei G7 clima, energia e ambiente svoltosi presso la Reggia di Venaria Reale (TO), hanno promosso un Convegno dal titolo “Cambiamento climatico e irrigazione sostenibile in agricoltura”. L’obiettivo, alla vigilia della nuova legislatura europea, è stato quello di fornire un contributo di conoscenza ai decisori pubblici nazionali ed europei, mirato a evidenziare gli aspetti relativi all’approvvigionamento e alla gestione della risorsa idrica nel quadro della situazione climatica in corso.  Di seguito vengono riportati alcuni degli elementi emersi.
Per cercare di far fronte agli effetti del cambiamento climatico attraverso la salvaguardia della risorsa idrica in modo da garantirne un uso multifunzionale (potabile, agricolo, energetico), è importante attuare una corretta progettazione infrastrutturale in grado di evitare le elevate perdite dell’acqua piovana. Da qui la necessità di realizzare nuovi bacini di raccolta dell’acqua. La progettazione deve però tenere conto delle reali necessità dei diversi territori, al fine di definirne capienza e costi e di valutare, con attendibili dati tecnico-scientifico ed economici, la effettiva necessità della costruzione. Non solo la costruzione, ma anche la progettazione di bacini di grandi dimensioni, richiede investimenti molto elevati che non possono essere lasciati a carico dei soli privati, per cui è necessario che vi sia un concorso pubblico-privato. 

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La flavescenza dorata in Europa e in Italia: aggiornamenti scientifici

La flavescenza dorata è una grave malattia della vite nota in Francia dal 1922 dove è stata studiata a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Poiché la sintomatologia di questa malattia non è distinguibile da quella associata alla presenza di altri fitoplasmi che, pur infettando la vite, hanno caratteristiche epidemiologiche diverse è fondamentale che venga effettuata l’identificazione del patogeno ad essa associato tramite metodiche diagnostiche molecolari specifiche. 

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Verde Urbano: Affrontare i “Cigni Neri e i “Cigni Grigi” del cambiamento climatico

Nassim Nicholas Taleb, nel suo libro "Il Cigno Nero" (2008), ha introdotto il concetto di eventi imprevedibili e di grande impatto che possono cambiare radicalmente il corso della storia.
Il libro di Taleb esplora il concetto di eventi imprevedibili e altamente impattanti che hanno conseguenze significative, ma che sono difficili da prevedere in anticipo e l’autore usa il termine "cigno nero" per riferirsi a questi eventi, ispirandosi alla credenza errata diffusa in passato che tutti i cigni fossero bianchi, fino alla scoperta di esemplari neri in Australia.

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100 anni dell’OIV

Il 23 aprile 2024 l’Accademia dei Georgofili e l’Accademia Italiana della Vite e del Vino hanno celebrato il centenario dell’istituzione dell’Office International du Vin (OIV), avvenuta a Parigi il 29 novembre 1924 con la sottoscrizione di un accordo fra Italia, Francia, Spagna, Lussemburgo, Tunisia, Ungheria, Grecia e Portogallo per far fronte alle devastanti conseguenze economiche e sociali prodotte dalla fillossera sul territorio europeo, aggravate dal dramma del primo conflitto mondiale. In questi 100 anni l’OIV ha ampliato il suo raggio di interesse a tutti i prodotti della vite diventando nel 1957 Office International de la Vigne et du Vin e poi Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino nel 2001
Nel tempo l’OIV ha affrontato tutte le tematiche tecniche, normative e istituzionali di interesse della filiera vitivinicola guadagnandosi il ruolo di Ente di armonizzazione a livello globale. Negli anni, il numero dei paesi membri è progressivamente cresciuto: oggi si contano 50 membri, includendo paesi con interessi nella produzione e/o nel consumo dei prodotti vitivinicoli. Le 1432 risoluzioni approvate dalle assemblee generali dell’OIV rappresentano il riferimento per l’orientamento delle legislazioni vitivinicole nazionali, anche di paesi non membri dell’OIV, nonché per la definizione di accordi commerciali bilaterali. Ciò ha agevolato l’applicazione degli accordi raggiunti in sede di Organizzazione Mondiale per il Commercio per quanto riguarda le barriere tecniche agli scambi (TBT), le barriere sanitarie e fitosanitarie (SPS) e la protezione della proprietà intellettuale (TRIPS) in materia di indicazioni geografiche. A livello europeo, l’UE con il regolamento 1308/2013 art.80 assume l’OIV come riferimento esplicito in materia di norme vitivinicole. Di particolare rilievo sono le risoluzioni che hanno consentito di compilare i Codici internazionali delle pratiche enologiche e dei prodotti utilizzabili in enologia, i compendi dei metodi di analisi, le norme internazionali di etichettatura del vino e delle bevande spiritose di origine vitivinicola, i cataloghi delle varietà di vite, delle indicazioni geografiche e dei programmi di formazione, nonché aggiornamenti statistici sul settore vitivinicolo, linee guida e raccomandazioni.
Le risoluzioni dell’OIV sono approvate dai rappresentanti dei governi degli stati membri ma sono preparate dagli esperti che operano in quattro commissioni scientifiche (Viticoltura, Enologia, Economia e diritto, Sicurezza e salute), ciascuna articolata in gruppi di esperti e in due in sottocommissioni (uva non da vino e suoi derivati; metodi di analisi) cui sono affidati temi specifici. Nel tempo migliaia di ricercatori internazionali di università e centri di ricerca hanno avuto modo di confrontarsi con rappresentanti del mondo della produzione, delle professioni e delle amministrazioni, con rigido autocontrollo scientifico dei risultati generati dalle loro conoscenze, garantendo in questo modo sempre l’autorità e l'indipendenza intellettuale e morale dell’OIV.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: Monitoraggio dell’acqua nel suolo attraverso i sensori

Pagliai – Non c’è dubbio che negli ultimi cinquant’anni le conoscenze sul suolo sono aumentate a dismisura; oggi disponiamo di miriadi di dati nella letteratura scientifica internazionale e le metodologie e la strumentazione attualmente a disposizione dei ricercatori non hanno niente da invidiare, ad esempio, ai mezzi adoperati per lo studio del corpo umano, basti pensare all’evoluzione della sensoristica, dell’analisi d’immagine fino ad arrivare alla microtomografia basata su radiazione di sincrotrone. A fronte di queste conoscenze, nell’ambito della comunità scientifica, si riscontra nell’opinione pubblica, inclusi i decisori politico-amministrativi a livello globale, una quasi totale mancanza della percezione dell’importanza della risorsa suolo e dal fatto che da essa dipenda il 95% del cibo necessario all’umanità. Ma tornando all’evoluzione delle metodologie non vi è dubbio che l’affermazione dell’uso dei sensori nello studio del suolo rappresenta una delle metodologie più innovative ed in forte espansione.

Priori – Si, negli ultimi 10-15 anni c’è stato un progressivo e continuo sviluppo tecnologico sui sensori per il monitoraggio e la cartografia del suolo. Esistono due grandi famiglie di sensori, quelli da remoto, ovvero utilizzati tramite satellite, aereo o drone, e quelli prossimali, utilizzati a diretto contatto o a pochi cm dalla superficie. I sensori remoti, in particolar modo quelli da satellite, hanno la capacità di coprire grandi aree, ma, per il monitoraggio del suolo, sono soggetti a maggiori errori legati alla copertura vegetale, ai residui colturali, alla diversa zollosità del terreno ed alla pietrosità superficiale. Inoltre, riescono ad indagare solamente i primi cm di suolo. I sensori prossimali superano queste difficoltà e riescono ad indagare anche profondità superiori al metro, ma hanno la possibilità di coprire superfici minori. I sensori prossimali si dividono, a loro volta, in sensori mobili, utilizzati nella cartografia, e sensori fissi o puntuali, utilizzati per il monitoraggio delle variazioni temporali del contenuto idrico o di altre caratteristiche, tra cui la salinità. 

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Grano saraceno, da povero a prezioso cibo nutraceutico

Nonostante le caratteristiche nutrizionali, funzionali e nutraceutiche del grano saraceno la sua produzione nell’Unione Europea non soddisfa la domanda e si ricorre soprattutto alle importazioni.

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Il peperoncino nella dieta delle bovine fa diminuire la concentrazione dei gas serra in atmosfera

Nel caso delle bovine da latte l’effetto principale dell’inclusione nella loro dieta del derivato del peperoncino (Capsicum oleoresina), da solo o in combinazione con l’olio essenziale di chiodi di garofano, è stato quello di far utilizzare più efficacemente agli animali l’energia alimentare, con la conseguenza di limitare la produzione di metano enterico. 

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Il residuo di estrazione di stevia, interessante additivo alimentare

La stevia è una pianta perenne tipica delle regioni tropicali del Sud America, ricca di molte sostanze dalle caratteristiche immunoregolatorie, antiossidanti ed antiinfiammatorie. La composizione analitica del residuo dopo l’estrazione del dolcificante è complessa per i numerosi principi attivi che contiene, fra cui l’acido caffeico, l’acido clorogenico, flavonoidi, la quercetina e alcuni loro derivati.

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Le patate invece dello zucchero

La sgangherata riforma del mercato europeo dello zucchero del 2006, che tutti applaudirono  (a proposito di ‘follie’ dell’Europa) che ci ha consegnato mani e piedi alle importazioni da Francia e Germania, privandoci per sempre di una commodity strategica per la nostra industria agroalimentare,  portò alla chiusura di quasi tutti i nostri zuccherifici: invece di puntare sull’innovazione e sulla ricerca preferimmo una montagna di milioni, sul cui utilizzo non è mai stata fatta una indagine esaustiva. Chi invece ha puntato sull’innovazione nel suo settore (le patate) è il gruppo Pizzoli che nel sito di uno degli zuccherifici chiusi (a San Pietro in Casale nel Bolognese) ha aperto un impianto-modello all’avanguardia per le patate surgelate, il più grande di tutto il sud Europa.

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Il declino degli alberi urbani

Nelle città di tutto il mondo, gli alberi sono spesso considerati l'elemento vitale per la salute ambientale e il benessere della comunità. Tuttavia, dietro l'incantevole scenario di fronde verdi e ombre ristoratrici si nasconde una realtà inquietante: la mancanza di cure adeguate e di un adeguato monitoraggio in grado di fornire informazioni utili alla gestione sta portando al degrado accelerato di questi preziosi ecosistemi urbani.
Uno dei principali problemi da affrontare riguarda l’età e le condizioni vegetative degli alberi presenti nelle nostre città. Molti di questi alberi sono ormai vetusti, affetti da problemi fitopatologici e strutturali, che li rendono vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici con problemi sempre più evidenti. Con fenomeni meteorici estremizzati e l'aumento della virulenza dei parassiti, anche quelli precedentemente considerati endemici, gli alberi urbani diventano purtroppo bersagli facili e costosi in termini di gestione.
Come possiamo/dobbiamo agire? Il tutto potrebbe essere riassunto in tre parole: monitoraggio, cura e rinnovo.
L'ignavia di alcune amministrazioni locali e la timidezza dei politici nel fronteggiare queste problematiche rappresentano una vera e propria condanna per il futuro del verde urbano.
Riguardo al monitoraggio, inteso come rilevazione periodica e sistematica di parametri chimici, fisici e biologici, mediante appositi strumenti, allo scopo di controllare la situazione o l'andamento di sistemi anche complessi, seppur molte amministrazioni si sono dotate di adeguati sistemi, ancora resta molto da fare e su questo potranno sicuramente dare una mano le nuove tecnologie come l’uso di sistemi avanzati come le tecnologie GIS per web e applicazioni mobili per la gestione dei dati territoriali e altri strumenti innovativi per le smart cities del futuro, incluso le opportunità che potrà fornirci l’intelligenza artificiale.
Relativamente al rinnovo graduale delle alberature, mentre alcune persone si impegnano con lodevole determinazione per sensibilizzare e proteggere gli alberi urbani, altre mostrano ostilità verso la pubblica amministrazione e pretendono interventi privi di fondamento tecnico o scientifico, oppure il mantenimento sine die di alberi con evidenti problemi. La pressione di un estremismo ambientalista, spesso miope e non disponibile al dialogo, che in alcune sue componenti ha preso una strada senza uscita, non aiuta certo a migliorare l’ambiente, ma rappresenta un problema aggiuntivo. L’essere sempre contro senza giustificazioni è deleterio, perché non c’è coscienza ambientale senza conoscenza.
È, infatti, cruciale comprendere che la cura degli alberi urbani non è solo una questione estetica, ma una necessità imprescindibile per preservare la qualità della vita nelle nostre città. Gli alberi forniscono una serie di benefici vitali, dall'assorbimento di CO2 e la produzione di ossigeno alla riduzione della temperatura urbana e al controllo delle acque piovane. Tuttavia, se non vengono adeguatamente monitorati e curati, questi benefici diminuiscono drasticamente, lasciando le città vulnerabili a una serie di rischi ambientali e sanitari.

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Agricoltura 2030: le riflessioni dei Georgofili per il futuro dell’Agricoltura

Il futuro dell’agricoltura comincia oggi.
Attualmente è il Green Deal che delinea i percorsi dell’agricoltura del continente europeo con un obiettivo preciso: quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Eppure, siamo giunti a metà del percorso che era stato immaginato con l’Agenda 2030 e siamo in ritardo su tutti gli obiettivi, a livello nazionale, europeo e locale!
Le scelte da compiere necessitano tempi medio lunghi per la loro realizzazione, quindi si impone al più presto una riflessione da parte della comunità scientifica agraria, che possa indicare le migliori strategie da perseguire, basate su dati sperimentali responsabilmente valutati.
L’agricoltura, pur con accenti diversi, è oggi obbligata a trovare un punto di equilibrio tra le necessità di incrementare la produzione delle materie prime e di salvaguardare l’ambiente nella sua accezione più vasta. Questo punto è stato definito, in vari stati europei, come “intensificazione sostenibile”, che si può tradurre sinteticamente come l’utilizzazione di tecnologie avanzate per consentire alti livelli produttivi, senza impoverire le fondamentali risorse ambientali.
L’Accademia dei Georgofili ha quindi organizzato un ciclo di incontri, dall’emblematico titolo “Agricoltura 2030”, che si svolgeranno tra la metà di maggio e la metà di luglio, data in cui dovrebbe insediarsi la nuova Commissione UE. La finalità è quella di fornire una visione del prossimo futuro e proporre alla politica indicazioni e strategie di indirizzo per il settore agricolo.
Il ciclo si articolerà in 9 iniziative dedicate ai principali temi da approfondire: la difesa delle colture, la gestione del suolo e dell’acqua, le nuove tecnologie, la gestione delle foreste, le produzioni vegetali e animali, la lotta al cambiamento climatico, il trasferimento delle conoscenze, gli aspetti normativi e la prossima Pac.
Ogni incontro sarà moderato da un esperto georgofilo e vedrà l’intervento di tre o quattro relatori di chiara fama. Al termine di ogni evento, a cura del coordinatore e dei relatori, verrà resa disponibile una articolata sintesi, di cui potranno beneficiare tutti gli operatori agricoli.

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Sud chiama Nord: acqua e agricoltura

Se al Nord sono arrivate le tanto desiderate piogge e nevicate, al Sud permane una situazione meteorologica tragica di siccità, ormai giunta a condizioni non più sostenibili.
Non si tratta semplicemente di rinnovare le solite raccomandazioni per un uso ragionato e razionale delle risorse idriche, ma di implementare una serie di riflessioni e programmazioni, a tutti i livelli, per cercare di arginare un problema che sembra, ormai, sfuggito a ogni forma di gestione e controllo. Non basta risparmiare acqua, ma bisogna riciclarla e accumularla quando e dove il terreno non è in grado più di tesaurizzarla.

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Quale relazione fra sostenibilità dell’agricoltura e agro-biodiversità?

Il termine “biodiversità” esprime un concetto molto più ampio di quanto comunemente si pensi, poiché racchiude la variabilità tra gli organismi viventi all’interno di una singola specie (diversità genetica), fra specie diverse e tra ecosistemi. La biodiversità potremmo dire è l’accumulo di 3,5 miliardi di anni di coesistenza e di esperienze di tutte le forme di vita, un’eredità che non possiamo perdere ai ritmi frenetici e angosciosi degli anni recenti.

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Pubblicato il nuovo censimento delle piante in Italia

In Italia ci sono circa 10mila piante secondo il nuovo censimento e sono 46 in più le specie autoctone e 185 in più quelle aliene. Dai dati complessivi aggiornati rispetto al 2018, emerge che nel nostro Paese ci sono oggi 8.241 specie e sottospecie autoctone, di cui 1.702 endemiche (cioè esclusive del territorio italiano) mentre 28 sono probabilmente estinte. A queste si aggiungono 1.782 specie aliene. Tra di esse, 250 sono invasive su scala nazionale e ben 20 sono incluse nella 'lista nera' della Commissione Europea, che elenca una serie di piante e animali esotici, la cui diffusione in Europa va assolutamente tenuta sotto controllo.
“Rispetto all’analogo censimento pubblicato sei anni fa abbiamo un incremento dei numeri totali: ciò è dovuto a nuovi studi e all’esplorazione di nuovi territori, ma anche, per quanto riguarda le aliene, all’ingresso di numerose nuove specie, da monitorare attentamente e se possibile eradicare”, racconta Lorenzo Peruzzi, fra i coordinatori della ricerca, professore di Botanica sistematica nel Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e direttore dell’Orto e Museo Botanico.
Gli elenchi aggiornati della flora vascolare (ossia felci e affini, conifere e piante a fiore) autoctona e aliena presente in Italia sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale “Plant Biosystems”, organo ufficiale della Società Botanica Italiana. Si è trattato di una ricerca collaborativa, realizzata grazie agli sforzi congiunti di 45 ricercatori italiani e stranieri. Insieme a Lorenzo Peruzzi hanno coordinato lo studio anche Gabriele Galasso del Museo Civico di Storia Naturale di Milano e Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti dell’Università di Camerino. Tra gli autori della ricerca anche Francesco Roma-Marzio, Curatore dell’Erbario dell’Orto e Museo Botanico dell’Ateneo pisano.
“C’è ancora molto da fare – conclude Peruzzi – e il lavoro di continua ricerca e verifica svolto dai floristi e dai tassonomi per descrivere la biodiversità vegetale italiana è ben lungi dall’essere concluso. Certamente, però, il quadro delle conoscenze che abbiamo oggi è sempre più completo e potrà permettere azioni di tutela maggiormente mirate e consapevoli”.
Per quanto nel mondo occidentale, da alcuni lustri, si sia fatta strada una agricoltura più rispettosa dell'ambiente, dobbiamo ammettere che la maggioranza dell'attività dei campi è ancora orientata, soprattutto, dal livello produttivo e dal ricavo economico aziendale. Questi due obiettivi vengono ancora individuati, troppo frequentemente, nella monocoltura. Si impone pertanto una considerazione sulla indispensabilità -al fine di ottenere una maggiore stabilità degli ecosistemi- della biodiversità come modello che, dalle comunità della flora spontanea, venga introdotto, con opportuni accorgimenti, all'interno dei sistemi agricoli. 

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L'illusione verde: la moda di piantare alberi senza pianificazione

Una tendenza sempre più diffusa, nel tessuto urbano contemporaneo, è quella di integrare elementi naturali all'interno delle città, con l'obiettivo di creare spazi verdi che migliorino la qualità della vita dei cittadini. Tra le molte opzioni disponibili, l'idea di introdurre alberi anche nei centri storici può apparire promettente: oltre a fornire un piacevole aspetto estetico, gli alberi possono contribuire a migliorare il microclima di certe aree. Tuttavia, dietro questa apparente idilliaca immagine, si nasconde una serie di sfide e difficoltà che rendono l'impresa molto più complessa di quanto si potrebbe immaginare e i risultati potrebbero essere molto diversi rispetto a quanto prospettato, soprattutto in ambienti ostili come i canyon urbani.
Una delle prime e più ovvie sfide nell'introdurre alberi in certe situazioni è lo spazio limitato a disposizione e il volume di suolo utilizzabile. Le città sono caratterizzate da una densità abitativa sempre crescente e da una costante competizione per l'uso del suolo. In quest'ottica, trovare spazio sufficiente per ospitare alberi può essere un compito arduo, se non impossibile.
E anche se si riesce a trovare lo spazio necessario, ci si trova di fronte a un altro ostacolo significativo: la selezione delle specie più adatte alla vita urbana. Le città presentano, come è noto, una serie di condizioni ambientali avverse per la crescita delle piante, tra cui l'inquinamento atmosferico, il calore urbano, la carenza di suolo e l'ombra degli edifici circostanti.
Tuttavia, nonostante queste difficoltà, molte città stanno promuovendo la piantagione di alberi spesso senza una valutazione accurata delle specie più adatte al contesto urbano e senza, soprattutto, un’adeguata analisi del sito d’impianto. Spesso vengono scelte specie che richiedono terreni profondi e fertili, che non possono essere facilmente garantiti nelle città. Inoltre, alcune specie richiedono una grande quantità di acqua e gestione, rendendo difficile il loro mantenimento nelle condizioni urbane.

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La biodiversità per l'innovazione e la resilienza nei sistemi agroalimentari

Il termine biodiversità, usato in molteplici circostanze e talvolta abusato, è molto più di una semplice parola alla moda. Questo concetto, cruciale in ecologia, si riferisce alla vasta varietà delle forme di vita ed è stato introdotto dall'entomologo Edward O. Wilson nel 1986. La biodiversità abbraccia la variabilità genetica entro le specie, la diversità tra specie diverse e la varietà degli ecosistemi. Questa diversità biologica è vitale per la resilienza e la sopravvivenza delle specie e degli ecosistemi, permettendo loro di adattarsi ai cambiamenti e alle perturbazioni ambientali. Tuttavia, l'interpretazione comune di biodiversità spesso ignora la sua estensione, limitandosi all’agrobiodiversità, ovvero alla varietà di piante coltivate e animali domestici, che rappresenta solo una piccola frazione della biodiversità complessiva seppure di vitale importanza. L’agrobiodiversità si riferisce al patrimonio di risorse genetiche vegetali, animali e microbiche, prodotto dal lavoro di generazioni di agricoltori e allevatori che, dall'alba dell'agricoltura, hanno selezionato, domesticato e trasferito specie da diverse zone geografiche per ottenere prodotti utili all’uomo.
La cosiddetta Rivoluzione Verde (1940-1970) ha segnato un’epoca di industrializzazione agricola con incrementi produttivi notevoli, ma a spese di un elevato consumo energetico e di una riduzione della diversità agroalimentare. La biodiversità delle colture è stata particolarmente compromessa: secondo la FAO nel corso del XX secolo abbiamo perso il 75% delle varietà di colture disponibili. Oggi, il sistema agroalimentare mondiale si affida a un numero molto limitato di specie: meno di 200 delle 6000 coltivate per la produzione di cibo contribuiscono significativamente all'approvvigionamento alimentare globale, con solo 9 specie che dominano la produzione (rappresentando il 66% della produzione totale).
La storia ha mostrato gli effetti catastrofici di epidemie su colture geneticamente uniformi, come la carestia della patata in Irlanda nel 1845 o l'epidemia di Bipolaris maydis negli Stati Uniti nel 1970. Esempi recenti in Italia includono il punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus), che dal 2005 si è diffuso in Italia soprattutto lungo la linea costiera trovando la sua via tra i filari di palme, o la Xylella fastidiosa che ha infettato ventuno milioni di ulivi pugliesi, coprendo ottomila chilometri quadrati, circa il 40% del territorio regionale. Secondo la FAO, inoltre, molti effetti negativi del cambiamento climatico sulle piante hanno parassiti come intermediari; la presenta di insetti benefici, diminuita dell'80% negli ultimi tre decenni, sta aumentando il rischio di invasioni di insetti dannosi. Un esempio chiaro di quest’ultimo fenomeno sta avvenendo in modo drammatico nell'Africa orientale dove negli ultimi decenni avvengono infestazioni di locuste senza precedenti.

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Natura, arte, cultura nei festoni di Giovanni da Udine nella Villa Farnesina

Giorgio Vasari nella biografia dedicata al pittore friulano Giovanni da Udine elogia l’artista per aver dipinto intorno al 1518 nella villa romana di Agostino Chigi, oggi detta ‘Farnesina’: “…stagione per istagione di tutte le sorte di frutte, fiori e foglie con tanto artifizio lavorate, che ogni cosa vi si vede viva e staccata dal muro e naturalissima”.

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Ricerca e innovazione per la qualità e la sostenibilità della filiera agrumicola

La coltivazione degli agrumi si configura come un sistema complesso nel quale è sempre più difficile incastrare i diversi vincoli che rischiano di contrarre il già insoddisfacente reddito degli imprenditori. Vi è quindi un costante e crescente bisogno di innovazioni, dalla fase di impianto sino al post raccolta dei frutti, che permettano di utilizzare in maniera efficace i diversi input dei quali queste specie hanno storicamente bisogno. 

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Acqua, inutili gli allarmismi senza nuove infrastrutture

Dopo il momento di grande interesse mediatico della cosiddetta guerra dei trattori, coinvolta, volente o nolente, nell’inizio della campagna elettorale per le ormai incombenti elezioni per il Parlamento Europeo dei primi di giugno, e dopo la pronta risposta delle Istituzioni europee con le decisioni di fine marzo su alcuni adattamenti della Pac in vigore, sembra essere calato il silenzio su presente e futuro della Politica agricola europea. Lo stesso avviene per quanto riguarda le diverse transizioni, in particolare quella ambientale e quella energetica che, al contrario, dovrebbero essere al centro del dibattito politico e dei programmi dei partiti europei e delle forze nazionali che li costituiscono.
Ma se la Politica, quella con la maiuscola, rimane paradossalmente in secondo piano nel momento in cui si prepara il futuro scenario politico europeo, altrettanto non si può dire per l’attività agricola che non può rimanere ferma sia per ragioni di prospettiva e di indirizzi sia perché il trascorrere dei giorni è fondamentale.
Il mondo agricolo ha visto con sorpresa che il tabù dell’intangibilità della Pac e delle transizioni non era poi tanto rigido e poteva essere quantomeno modificato. Le piccole correzioni concesse mostrano che qualche cosa si potrebbe fare, se solo si volesse seguire il sentiero della concretezza e della compatibilità con le condizioni che determinano il quadro di fondo delle politiche economiche dell’Ue.
Perché ciò potesse accadere, però, bisognerebbe entrare nel concreto. Un esempio fondamentale, che oltre a tutto collega la Pac alle politiche di transizione, ci sarebbe e riguarda proprio un elemento chiave nell’esercizio dell’agricoltura e nella formazione stessa dell’ambiente: l’acqua.
Francamente fanno amaramente sorridere le trite celebrazioni della Giornata dell’acqua, officiate secondo un copione pseudo ambientalista e falsamente agricolo, oltre che anti umanitario, ma in realtà più obbligate e fredde che spontanee e sentite dal resto del mondo non agricolo.
Gli episodi che fanno notizia sono le sempre più frequenti calamità provocate ed aggravate dalle alterazioni meteo, l’alternanza sempre più evidente di periodi anomali di siccità e di eccessi di piovosità, le gravi carenze di acqua per gli usi umani ed agricoli che ne derivano.

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Basilico dalle mille proprietà: aiuta nei disturbi cognitivi

Tradizionalmente le foglie di basilico (Ocimum basilicum L.) sono raccomandate per vari disturbi cerebrali con evidenze scientifiche di una loro capacità di produrre un miglioramento cognitivo, ma poco si conosceva sul composto o sui composti responsabili di questo effetto e sul loro meccanismo. Recentemente sono stati studiati le molecole responsabili degli effetti di miglioramento della memoria, precisandone anche il loro meccanismo d'azione.

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La buona volontà del settore bovine da latte per ridurre le emissioni di carbonio

Le fonti dei gas serra prodotti dall’uomo sono molte. La quota prodotta dalle attività zootecniche è senz’altro minoritaria (FAO, 2019), eppure le attività zootecniche, in particolare quelle da latte, sono spesso indicate come le peggiori responsabili. Riconosciamo che non è così, anche alla luce dei nuovi sistemi di valutazione e di calcolo che, ridimensionando le responsabilità dei ruminanti, ci fa sentire meno in colpa.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: L’irrigazione di precisione

Pagliai – Non c’è dubbio che negli ultimi decenni è cambiata l’agricoltura, soprattutto il modo di fare agricoltura e fra le pratiche agricole che hanno subito i maggiori cambiamenti vi è proprio l’irrigazione. Oggi nelle campagne non si vedono più, o quasi, i grandi getti d’acqua sopra le colture o lo scorrimento sul suolo di grandi masse d’acqua, ma si vedono sempre di più le ali gocciolanti lungo la fila delle colture stesse. Un cambiamento verso la modernizzazione indotto sia dai cambiamenti climatici che, con i lunghi periodi di siccità, è necessario non solo risparmiare acqua ma anche garantirla per la maggiore richiesta delle colture, sia per abbassare l’impatto sul suolo, visto la sua continua degradazione o, come si dice oggi, il suo precario stato di salute.

Mastrorilli –  Voglio ricordare quanto grande sia stato il ruolo della Ricerca italiana nell’ambito della idrologia del Suolo e di conseguenza sulla Scienza Irrigua. Perché di Scienza bisogna parlare anche in Irrigazione. “Aridocoltura” fu scritto da Enrico Pantanelli all’inizio dello scorso secolo. Pantanelli precisò che l’acqua è solo uno dei mezzi di produzione che si applicano ai sistemi colturali. Questi si gestiscono armonizzando tutte le “regole” della Agronomia, senza sconti. Alle prassi agronomiche tradizionali si è aggiunta una serie di aggiornamenti scientifici e tecnici, in continua evoluzione che riguardano la relazione “acqua – produzione”. La Ricerca produce innovazioni che poi si vedono applicate in campo a decenni di distanza. Le attuali tecniche irrigue si uniformano a istanze economiche, ambientali e sociali: l’acqua per l’agricoltura (e per tutti i settori produttivi) scarseggia, il costo dell’esercizio irriguo sale, i consumatori sono attenti all’impronta idrica dei prodotti agricoli. La micro-irrigazione fu concepita nei laboratori di ricerca più di mezzo secolo fa per ottimizzare le rese, ma solo oggi è largamente adottata come unico rimedio per contenere i volumi irrigui. Questa tecnica irrigua si pratica solo se l’azienda dispone di acqua “a domanda”. 

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Realtà e prospettive per il settore vitivinicolo nazionale

Dottor Frescobaldi, in occasione dell'inaugurazione del 75° anno accademico dell'Accademia della Vite e del Vino, che si è svolta pochi giorni fa, Lei come Presidente dell'Unione Italiana Vini (UIV) ha svolto una prolusione dal titolo: "Situazione attuale e prospettive per il settore vitivinicolo nazionale". Innanzi tutto, qual è lo stato di salute generale del settore?
Avete registrato flessioni per i cambiamenti climatici o a seguito della campagna salutista contro il consumo di alcol, che ogni tanto ritorna anche sui media italiani
?
Lo stato di salute del settore può essere definito buono, soprattutto se lo guardiamo in rapporto al contesto in cui stiamo vivendo, fatto di turbolenze quando non di vere e proprie tempeste. Dopo il Covid, ci eravamo illusi che il mondo sarebbe ritornato su un sentiero di relativa tranquillità e invece ci siamo trovati ad assistere a più di una guerra, a subire tensioni economico-finanziarie e politiche. Anche il 2024 non è iniziato nel migliore dei modi, come dimostrano gli accadimenti recenti. Il vino, essendo un prodotto fatto dagli uomini per gli uomini, non può non risentire di tutto questo: quando si ha la febbre, si cerca prima di tutto di guarire. Quindi, alla luce di quanto sta accadendo, le performance – anche leggermente negative – che hanno contraddistinto il 2023 devono essere prese con ottimismo. Vero che – guardando nello specifico del nostro settore – le politiche antialcol stanno facendo clamore, ma riteniamo che in linea generale non siano queste a incidere sui consumi. E’ in atto – soprattutto in Occidente – una presa di coscienza dell’importanza della propria salute, un effetto post-pandemico spesso sottovalutato, per cui le persone tendono a cercare nel cibo che mangiano e nelle bevande che bevono sia elementi salutari, sia edonistici. Il vino – ma direi anche l’alcol in genere - sta in questa seconda aspirazione: oggi si beve qualcosa per il piacere che esso dà in termini anche e soprattutto di gratificazione, sia essa personale o anche sociale. Le persone scelgono la bevanda alcolica sempre più spesso in rapporto alla coerenza che essa ha con il proprio stile di vita. La sostenibilità di cui tanto si parla dimentica spesso e volentieri l’elemento umano, ma la ricerca di prodotti “sostenibili per lo spirito e per il corpo” – quindi, tanto per fare esempi non esaustivi, a basso contenuto non solo alcolico ma anche zuccherino - è oggi uno degli elementi chiave nei processi d’acquisto, che stanno portando a una riduzione strutturale dei consumi tradizionali, compensata da un aumento di quelli non tradizionali.

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Viticoltura sostenibile nell’ottica dei cambiamenti climatici

L’accelerazione dei cambiamenti climatici registrata negli ultimi anni impone una decisa risposta da parte di tutte le attività produttive che direttamente o indirettamente contribuiscono alle modifiche in corso.
Anche l’agricoltura deve dare il suo contributo e diversi settori, tra cui la viticoltura, si stanno adeguando sulla scorta di una maggiore sensibilità e percezione del valore ambientale da parte dei consumatori.

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Meccanizzazione agricola: evoluzione e prospettive

L’evoluzione della meccanizzazione può essere significativamente espressa attraverso l’esame dell’evoluzione della macchina principe dell’agricoltura, cioè del trattore.
All’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso il trattore, costruito con una tecnologia prettamente meccanica, da macchina per la trazione, grazie alla presa di potenza e all’attacco a tre punti, diventa centrale mobile di potenza nei lavori agricoli.
Nel 1980 l’immatricolazione dei trattori era pari a 66.000 unità per una potenza media di 45 kW, mentre gli occupati in agricoltura erano circa 3 mln. Quindi una forte presenza di manodopera e una meccanizzazione, in conformità col trattore, poco evoluta tecnologicamente, la cui gestione non richiedeva particolare competenza.
Alla fine degli anni ‘80 l’elettronica inizia ad interessare le macchine agricole. L’immatricolazione era intorno alle 40.000 unità, mentre la potenza media saliva a 50 kW e gli occupati in agricoltura scendevano a poco più di 2 mln. L’incidenza della manodopera è ancora elevata, si registra un incremento della potenza dei trattori immatricolati, senza che vi siano state innovazioni significative.
E’ negli anni ‘90 che avviene il passaggio dalla cosiddetta agricoltura 2.0 all’agricoltura 3.0. Questo grazie alla meccatronica applicata alle macchine agricole, cioè al connubio tra meccanica, informatica ed elettronica e alla digitalizzazione, che portano: allo sviluppo della sensoristica di prossimità e da remoto; all’introduzione dei dispositivi per la geolocalizzazione satellitare (GPS, RTK); a software sempre più evoluti grazie alla crescente disponibilità di dati e di informazioni acquisite. Si tratta di informazioni fornite, non solo dai sensori a terra o montati sulle macchine, ma anche da altre fonti, come, ad esempio, le immagini multispettrali di Sentinel-2 del programma Copernicus (disponibili ogni 4 giorni), o quelle ottenute dai droni, ecc. Dai dati acquisiti si ricavano informazioni che servono, ad esempio, per creare le mappe di prescrizione, ed anche per ottenere gli indici di vegetazione, quali l’indice di vigoria, l’indice di stress idrico, l’indice della clorofilla, ecc. Tutte informazioni di supporto alle decisioni che consentono di attuare una corretta smart farming.

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Narrativa ambientale e realtà pratica: le sfide nella piantagione degli alberi

Nel mondo moderno, dove l'attenzione verso l'ambiente e la sostenibilità è diventata una priorità, la narrativa ambientale ha spesso assunto il ruolo di un catalizzatore per la sensibilizzazione e l'azione. Tra le molte iniziative promosse, una delle più diffuse è la piantagione degli alberi. Tuttavia, mentre la narrativa attorno a questo tema è ricca di entusiasmo e speranza, la realtà pratica spesso svela una serie di sfide e ostacoli che possono rendere difficile tradurre gli ideali in azioni concrete.
In molti discorsi pubblici e campagne di sensibilizzazione, si parla con fervore della necessità di piantare alberi per contrastare il cambiamento climatico, proteggere la biodiversità e migliorare la qualità dell'aria. Eppure, quando si passa dalla teoria alla pratica, emergono molte questioni complesse che possono minare tutte queste promesse.
Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalla disponibilità di terreni idonei per la piantagione. In molte aree urbane e rurali, il suolo è già impegnato per altri scopi o è degradato a causa dell'urbanizzazione, dell'agricoltura intensiva o dell'industria. Trovare spazi adeguati e adatti per piantare alberi diventa quindi una sfida logistica e politica che richiede tempo, risorse e coordinamento tra diverse parti interessate.
Inoltre, anche quando si identificano aree idonee per la piantagione, sorgono ulteriori ostacoli legati alla mancanza di risorse finanziarie e umane. Piantare e mantenere alberi richiede investimenti significativi, che possono non essere disponibili o prioritari rispetto ad altre esigenze urgenti. Infine, la manodopera qualificata per gestire e curare gli alberi può essere limitata, specialmente nelle comunità più svantaggiate.
Un altro aspetto spesso trascurato è la necessità di una pianificazione a lungo termine e di un impegno continuo. Piantare alberi è solo l'inizio di un processo che richiede cure costanti nel corso degli anni. Senza un adeguato follow-up e una altrettanto adeguata cura, gli alberi possono morire prematuramente o non raggiungere il loro pieno potenziale nel contribuire agli obiettivi ambientali.
In ultimo, ma forse primo per importanza, c'è l'assoluta necessità di acqua per la cura degli alberi nei primi anni dopo la loro piantagione. Abbracciare questa soluzione come se l'acqua fosse un bene infinitamente disponibile può portare a dei fallimenti perché la realtà è ben diversa. Viviamo in un mondo dove l'acqua, risorsa vitale per ogni forma di vita, è sempre più scarsa e contesa. La crisi idrica è una realtà che non possiamo più ignorare. Anni sempre più siccitosi ci mettono di fronte a una sfida senza precedenti.

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Arriva il “Manifesto per una selvicoltura più vicina alla Natura”

La redazione della rivista Sherwood ha sintetizzato in 10 punti le Linee Guida europee per la gestione forestale, dando recentemente vita a un “Manifesto per una selvicoltura più vicina alla Natura”, che è stato sottoscritto anche dall’Accademia dei Georgofili.  

Chiediamo a Paolo Mori, direttore di Sherwood e accademico georgofilo: perché la necessità di questo manifesto?
Negli ultimi anni in Italia sono stati fatti molti passi in avanti nei campi della governance, della normativa, della raccolta dati, della comunicazione, dell’associazionismo e dello sviluppo di filiere nazionali del legno. Manca tuttavia un adeguamento dell’operatività quotidiana. Si percepisce una notevole distanza tra “selvicoltura predicata” nei documenti internazionali e nazionali, nei risultati delle attività di ricerca così come nelle pratiche innovative testate e proposte attraverso progetti europei e “selvicoltura praticata” nella gestione ordinaria del patrimonio forestale. 
Non è una novità di questi anni il ritardo della selvicoltura praticata rispetto a quella predicata. È normale che tra la conoscenza più avanzata e quella che poi viene tradotta in azioni sul territorio ci sia una certa distanza. Il fatto che ci ha spinto a produrre il Manifesto è la diffusa mancanza di una cultura dell’aggiornamento costante degli attori della gestione forestale. Senza un sistema che promuova e si organizzi per un costante aggiornamento culturale, l’operatività non ha la capacità di recepire l’innovazione, trasformarla in possibilità di agire e quindi di adattarsi ai nuovi bisogni delle persone, delle associazioni, delle imprese e… ai nuovi scenari climatici e ambientali. 
La selvicoltura che viene praticata nel patrimonio forestale italiano non dipende da una sola categoria di operatori, ma da un ampio insieme di soggetti che devono lavorare insieme; ognuno con il proprio ruolo e le proprie competenze. Si parte da chi forma tecnici e operatori per passare ai legislatori, ai tecnici pubblici, ai liberi professionisti, agli imprenditori, agli addetti al controllo fino a chi si occupa di monitoraggio, informazione e comunicazione. Tutti devono avere la cultura dell’aggiornamento e la capacità di tradurla in scelte coerenti e consapevoli, finalizzate a soddisfare, con il minor impatto possibile sull’ambiente, le esigenze di ogni categoria di persone. Se anche una sola categoria non si aggiorna culturalmente, tutte le altre ne subiranno le conseguenze e il sistema non sarà in grado di progredire.

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Terra e sole fanno colore e sapore

Per realizzare un’agricoltura fortemente competitiva bisogna fare un uso intelligente e leale degli strumenti offerti da natura e scienza.

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Il Silvomuseo di Vallombrosa

Negli ultimi decenni si sono verificati dei profondi mutamenti nella percezione del valore totale dell’ambiente e delle foreste. Oggi non si può prescindere dalla consapevolezza dell’impossibilità di trasformare un bosco, cioè un sistema biologico complesso, in un semplice insieme di alberi organizzato in modo da assolvere alle sole esigenze produttive. La Foresta di Vallombrosa può essere considerata un caso esemplare di questa svolta.

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Tra mercati globali e mercati locali: scenari di riferimento per la filiera del pane

Il frumento, la coltura principale nel mondo per superficie e seconda per produzione, ha una storia millenaria nel commercio internazionale. Considerando il suo ruolo fondamentale nella sicurezza alimentare globale, non può non essere oggetto di attenzione il fatto che, a partire dal 2000, il mercato mondiale ha visto cambiare in modo consistente i suoi assetti. Gli Stati Uniti, un tempo il principale paese esportatore, hanno ceduto la posizione di leadership nelle esportazioni alla Russia e dell’Ucraina. Il conflitto tra questi due paesi ha fatto emergere chiaramente la necessità di ripensare le politiche di questo delicato settore anche in una chiave geopolitica.
L’Europa, all’inizio del secondo dopoguerra importatore netto, è oggi uno dei grandi attori del mercato globale, in quanto è uno dei principali esportatori mondiali. Al tempo stesso, per la segmentazione dei mercati e la diversa specializzazione dei suoi membri all’interno della catena del valore, l’Europa è anche un grande importatore. Tra i paesi europei l’Italia, ad esempio, pur essendo un importatore netto, ha un ruolo significativo nell'export di prodotti trasformati.
Nello spiegare i cambiamenti nel mercato globale del grano, è importante considerare che la mutata sensibilità dei consumatori ha sollecitato un passaggio da modelli di mercato basati sulla quantità a modelli basati sulla qualità, all’interno del quale si inserisce anche una crescente determinazione da parte dei policymaker occidentali a limitare gli incentivi alla produzione e incoraggiare pratiche più sostenibili.   In questo passaggio i modelli di business tradizionali, basati sulla cerealicoltura specializzata con tecniche convenzionali sono da tempo caduti in una crisi di prospettive, vedendo la loro quota di valore progressivamente erosa a vantaggio degli operatori a valle e risultando esposti alla variabilità dei prezzi degli input produttivi, strettamente correlati con i prezzi dell'energia. Le proteste degli agricoltori degli ultimi mesi, per le quali e il taglio dei sussidi della PAC ha rappresentato un fattore scatenante, sono in buona parte legate a questa tendenza di fondo.

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Dalla ricerca nuove fonti di alimenti proteici sostenibili: non buttate via i gusci delle mandorle

Le preoccupanti condizioni delle attività agricole in conseguenza dei cambiamenti climatici e la conseguente scarsa disponibilità di alimenti proteici stanno spingendo i ricercatori a cercare nuove fonti, soprattutto a partire dai sottoprodotti e dagli scarti alimentari.
I gusci delle mandorle, oltre ad essere comunemente usati come combustibile al posto dei pellet, possono essere un ottimo materiale di partenza. È questo l’argomento di un recente lavoro dal titolo “Production of high protein yeast using enzymatically liquefied almond hulls”, (Sitepu et al., PLoS One, 2023, 18(11): e0293085).
I ricercatori dell’Università di Davis (California) sono partiti dal fatto che in California la produzione delle mandorle genera circa tre tonnellate di biomassa all’anno, di cui il 50% sotto forma di gusci. Ed hanno proposto per i gusci di mandorle una possibile utilizzazione come sottoprodotto di scarto, potenziale fonte di proteine alimentari.
Siamo tutti d’accordo che, con il riscaldamento globale che incombe e con la necessità di fornire soprattutto proteine alimentari alla popolazione mondiale che cresce esponenzialmente, ben vengano iniziative come quella dei ricercatori dell’università di Davis che propongono una forma sostenibile di produzione proteica, compatibile con l’agricoltura circolare, da usare in alimentazione animale. L’impiego di sottoprodotti e prodotti di scarto alimentari, non solo contribuisce a ridurre l’impiego di terreno coltivabile e la necessità di bruciare i residui, con produzione di gas serra, ma può portare benefici alla nutrizione proteica degli animali da reddito.
I gusci delle mandorle vengono fermentati con lieviti che consumano una larga porzione dei saccaridi contenuti nei gusci come fonte energetica per produrre grandi quantità di aminoacidi essenziali, importanti per l’alimentazione animale. L’analisi della composizione dei gusci di mandorla ha dimostrato che questo materiale è ricco di pectine e saccarosio. Pertanto, il processo inizia con la fermentazione indotta da enzimi pectinolitici che liquefano il prodotto e rilasciano zuccheri solubili e proteine prodotte dai lieviti usati come fonti enzimatiche per le fermentazioni.
Gli stessi ricercatori della UC Davis stanno lavorando anche su un altro prodotto agricolo di scarto, il pastazzo d’uva. Usandolo come substrato fermentativo con gli stessi lieviti impiegati sui gusci di mandorle, se ne ricava un olio che solidifica a temperatura ambiente che può egregiamente sostituire i grassi animali e, in particolare, il famigerato olio di palma, come componente energetico nelle diete per animali.

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