Notiziario


Mangiare in strada: bivacco o street art?

Ascoltare in un parco di Vienna musiche viennesi eseguite da un’orchestrina mentre si gusta una fetta di torta Sacher è una doppia Street Art, musicale e gastronomica? Allo stesso modo può essere Street Art a Napoli mangiare un verace piatto partenopeo, da una pasta a una pizza, mentre un piccolo complesso suona con un interprete di canzoni napoletane?

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Coltivare la connessione con la natura: il ruolo cruciale dell'approccio biofilico nella pianificazione del verde

Il concetto di biofilia, coniato da Edward O. Wilson nel 1984, ha rappresentato un importante punto di svolta nella nostra comprensione della relazione tra l'uomo e l'ambiente naturale. Esso enfatizza la profonda connessione emotiva ed evolutiva che l'essere umano ha con la natura, suggerendo che la separazione da essa possa avere ripercussioni negative sul benessere individuale e collettivo.
L'approccio biofilico alla pianificazione del verde non riguarda solo la contemplazione estetica della natura, ma implica un riconoscimento profondo della sua importanza per la nostra salute fisica, mentale e spirituale. 

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Dalla ricerca nuove fonti di alimenti proteici sostenibili: non buttate via i gusci delle mandorle

Le preoccupanti condizioni delle attività agricole in conseguenza dei cambiamenti climatici e la conseguente scarsa disponibilità di alimenti proteici stanno spingendo i ricercatori a cercare nuove fonti, soprattutto a partire dai sottoprodotti e dagli scarti alimentari.
I gusci delle mandorle, oltre ad essere comunemente usati come combustibile al posto dei pellet, possono essere un ottimo materiale di partenza. È questo l’argomento di un recente lavoro dal titolo “Production of high protein yeast using enzymatically liquefied almond hulls”, (Sitepu et al., PLoS One, 2023, 18(11): e0293085).
I ricercatori dell’Università di Davis (California) sono partiti dal fatto che in California la produzione delle mandorle genera circa tre tonnellate di biomassa all’anno, di cui il 50% sotto forma di gusci. Ed hanno proposto per i gusci di mandorle una possibile utilizzazione come sottoprodotto di scarto, potenziale fonte di proteine alimentari.
Siamo tutti d’accordo che, con il riscaldamento globale che incombe e con la necessità di fornire soprattutto proteine alimentari alla popolazione mondiale che cresce esponenzialmente, ben vengano iniziative come quella dei ricercatori dell’università di Davis che propongono una forma sostenibile di produzione proteica, compatibile con l’agricoltura circolare, da usare in alimentazione animale. L’impiego di sottoprodotti e prodotti di scarto alimentari, non solo contribuisce a ridurre l’impiego di terreno coltivabile e la necessità di bruciare i residui, con produzione di gas serra, ma può portare benefici alla nutrizione proteica degli animali da reddito.
I gusci delle mandorle vengono fermentati con lieviti che consumano una larga porzione dei saccaridi contenuti nei gusci come fonte energetica per produrre grandi quantità di aminoacidi essenziali, importanti per l’alimentazione animale. L’analisi della composizione dei gusci di mandorla ha dimostrato che questo materiale è ricco di pectine e saccarosio. Pertanto, il processo inizia con la fermentazione indotta da enzimi pectinolitici che liquefano il prodotto e rilasciano zuccheri solubili e proteine prodotte dai lieviti usati come fonti enzimatiche per le fermentazioni.
Gli stessi ricercatori della UC Davis stanno lavorando anche su un altro prodotto agricolo di scarto, il pastazzo d’uva. Usandolo come substrato fermentativo con gli stessi lieviti impiegati sui gusci di mandorle, se ne ricava un olio che solidifica a temperatura ambiente che può egregiamente sostituire i grassi animali e, in particolare, il famigerato olio di palma, come componente energetico nelle diete per animali.

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Perché la goccia ha infine scavato la roccia? Nuove riflessioni a seguito del dibattito sul “doppio vincolo” paesaggistico

Lo scorso 21 febbraio su Georgofili.info è uscito un interessante commento, a cura della Professoressa Nicoletta Ferrucci (v. https://www.georgofili.info/contenuti/risultato/29693), sulla questione che tanto ha scaldato gli animi nelle ultime settimane: la deroga alla necessità di autorizzazione paesaggistica per le aree forestali sottoposte a “doppio vincolo” rispetto al Codice dei beni culturali e del paesaggio. In seguito alla decisione del Governo, nella valanga di commenti entusiasti da un lato e di indignazione condita da fake news dall’altro, abbiamo trovato finalmente, in questo articolo, una critica pacata, seria e costruttiva sui cui a nostro avviso vale la pensa soffermarsi.
Ci occupiamo di questo tema dal punto di vista giornalistico da ormai diversi anni, a partire dal “caso” che ha portato la questione all’ordine del giorno, ovvero la vicenda mediatico-giudiziaria legata alla ceduazione di alcune leccete nel complesso del Marganai, in Sardegna. Da osservatori dell’intera vicenda sentiamo quindi la necessità di rispondere all’articolo della Professoressa Ferrucci con ulteriori considerazioni, allo scopo di far proseguire il positivo dibattito da lei innescato.
Nicoletta Ferrucci è Ordinaria di Diritto agrario presso l’Università di Firenze e il suo punto di vista sulla questione è chiaro fin dal titolo del commento: “Gutta cavat lapidem, ovvero questa autorizzazione paesaggistica non s'ha da fare”. La goccia (l’istanza di superare la necessità di autorizzazione paesaggistica per le aree a “doppio vincolo”) ha infine scavato la roccia (le amministrazioni e la politica) andando oltre la necessità, imprescindibile secondo il parere di Ferrucci, di un regime autorizzatorio differenziato “nell’ottica di una corretta presa d’atto di quel quid pluris che in termini di valori culturali i boschi vincolati ex art. 132 del Codice dei beni culturali e del paesaggio possiedono rispetto agli altri boschi”. Ferrucci si chiede come mai, con così tanta tenacia, è stata scelta una strada diversa da quella prevista dal TUFF - Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali, che prevedeva la formulazione di linee guida specifiche per la gestione di quelle peculiari tipologie di bosco.
In parte la risposta è contenuta nello stesso commento della Professoressa: “La reiterata assenza delle Linee guida ha creato una pesante situazione di impasse”. Utilizzando la stessa metafora, si può dire che la “goccia” non è stata raccolta in un contenitore dentro cui sarebbe stato possibile analizzarla, elaborarla, comprenderla e infine indirizzarla verso la direzione di una soluzione da tutti accettabile.

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Europa: dopo le elezioni occorre rivedere seriamente la Pac

Le elezioni del Parlamento Europeo (PE) sono alle porte, tre mesi ci separano dal giorno in cui i cittadini dell’Unione europea (Ue) voteranno per eleggere i loro rappresentanti. Il sistema delle Istituzioni europee è piuttosto complesso e, forse, anche per questo motivo si creano incomprensioni e diffidenze nell’opinione pubblica. Il caso del PE è esemplare. Creato per dare un fondamento democratico alle Comunità europee all’inizio era in realtà una “assemblea parlamentare” formata da membri designati dai singoli parlamenti nazionali. I suoi poteri si limitavano al voto sul bilancio comune ed allo scioglimento della Commissione europea, il vero motore del processo di unione. Forse per questo motivo, forse per essere nominato da organi eletti per governare i singoli paesi otteneva una scarsa attenzione popolare. Perciò nel 1979 la sua nomina venne affidata a elezioni dirette ed i suoi poteri ampliati in particolare per quanto riguarda quello legislativo, esercitato congiuntamente con la Commissione e il Consiglio dei Ministri. Anche così il seguito era modesto e l’elezione diretta in genere ha avuto un basso tasso di partecipazione, attorno al 50% degli elettori, con un minimo del 42% nel 2014 e un recupero al 50% nel 2019. Le previsioni per il 2024 sono attorno allo stesso gradimento.
Pur accresciuta, l’importanza del voto è poco compresa e viene utilizzata in genere nei diversi Paesi come una sorta di macro-sondaggio sulla situazione politica interna di ognuno. Confuso nel calderone incluso nella generica definizione di “Bruxelles” con cui ci si riferisce a tutto ciò che viene deciso nella Ue. Da ciò nasce probabilmente il distacco dell’opinione pubblica e l’atteggiamento che conduce alla lamentela molto diffusa in Italia del tipo “Bruxelles ci perseguita” “L’Europa ha deciso” e via discorrendo.  La stessa elezione dei deputati europei viene considerata di minore importanza dai candidati rispetto a quella nei Parlamenti nazionali. I partiti nazionali nel PE sono uniti in gruppi (partiti europei) secondo la maggiore prossimità ideologica. Gli eletti hanno dunque una doppia appartenenza: al Paese ed al partito d’origine ed al PE in quello europeo in cui si collocano. Filoitaliana quando parlano in Italia e filoeuropea quando lo fanno a Bruxelles o a Strasburgo (il PE ha due sedi).
Le recentissime vicende della crisi agricola e del malessere dalle manifestazioni “dei trattori” sono un esempio del modo di intendere la missione e le modalità d’azione degli Organismi europei e di come potrebbero migliorare il rapporto fra i cittadini, nel caso gli agricoltori, e l’Ue.

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Le esigenze dell’ambiente devono convivere con produttività e reddito

Gli agricoltori chiedono che venga condiviso con loro un percorso verso la sostenibilità economica ed ambientale. Se le aziende non guadagnano chiudono, e se chiudono il cibo per gli europei verrà prodotto in Paesi terzi. Non si fraintenda: non vi è volontà di demonizzare il lavoro degli agricoltori extra-UE, sia ben chiaro; ma sia chiaro anche che il cibo importato è prodotto secondo regole sulle quali il controllo dei requisiti ambientali e sanitari è debole, e che aumentare le importazioni verso l’UE aumenta come conseguenza – è dimostrato da diversi studi – la deforestazione e quindi l’impatto ambientale nei Paesi da cui importiamo.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: I microrganismi del suolo e i cambiamenti climatici

Pagliai – Il suolo è uno degli ecosistemi più complessi in natura e uno degli habitat più variegati sulla terra: esso contiene una miriade di organismi diversi, i quali favoriscono e partecipano ai cicli globali che rendono possibile la vita. Sebbene il suolo ospiti il maggior numero di comunità di organismi sulla Terra, tale biodiversità rimane per la maggior parte ignota all’uomo poiché si trova sotto la superficie del suolo, cioè sotto i piedi. Non c’è dubbio che l’avvento delle tecniche molecolari hanno consentito un autentico salto di qualità nelle conoscenze della quantità, qualità e funzionalità delle comunità di microrganismi del suolo.

Mocali - Hai perfettamente ragione. Per lungo tempo non è stato possibile comprendere a fondo le caratteristiche biologiche del suolo per la mancanza di adeguati strumenti. È relativamente semplice, ad esempio, caratterizzare piante ed animali in base alle loro caratteristiche fenotipiche. Sfortunatamente la maggior parte degli organismi del suolo non è visibile ad occhio nudo, sia perché questi vivono nel terreno, sia per le loro dimensioni spesso microscopiche. Essi rappresentano un mondo “invisibile” difficile da decifrare per lungo tempo, praticamente fino all’avvento delle tecniche molecolari, sviluppatesi enormemente negli ultimi vent’anni, e basate principalmente sullo studio del DNA estratto dal suolo. Attraverso di esso, infatti, è possibile ottenere preziosissime informazioni sugli organismi presenti nel suolo e, in una certa misura, capirne anche il potenziale funzionale. In pratica si tratta della più grande rivoluzione scientifica per lo studio della biodiversità del suolo.

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Esplorando l'intreccio complesso tra Natura e Città

La dinamica relazione tra natura e città ha da sempre suscitato interesse e indagini, spingendo studiosi e urbanisti ad approfondire le intricate connessioni che plasmano gli ambienti urbani. Dalle strade affollate delle metropoli agli angoli tranquilli dei parchi urbani, la presenza della natura si manifesta in modi sfaccettati, influenzando non solo il paesaggio fisico ma anche il tessuto sociale delle città di tutto il mondo. Ed è così importante approfondire il profondo intreccio tra natura e spazi urbani, esplorandone le implicazioni per la nostra comprensione delle città e della loro natura in evoluzione.

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Le Foreste Modello in Italia

Si è svolto lo scorso 20 febbraio a Roma il convegno “Le Foreste Modello in Italia”, organizzato presso il Masaf in collaborazione con la Direzione generale delle foreste, per ufficializzare l’ingresso all’interno della Rete Internazionale e, in particolare, Mediterranea della seconda Foresta Modello italiana, quella della Valle dell’Aterno, e discutere sul ruolo delle foreste e della loro gestione nel contesto della crisi climatica e della rigenerazione delle aree interne.
Ne abbiamo parlato con Alessandra Stefani, accademica dei Georgofili, della Direzione generale economia montana e foreste del Masaf, che ha partecipato all’incontro.

Dottoressa Stefani che cosa sono le foreste modello e quante sono nel mondo e in Italia?
Le foreste modello costituiscono una delle risposte che, a livello mondiale, si sono concretizzate per rispondere alle sfide globali identificate compiutamente durante la Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo del 1992. Si tratta di modelli di comunità forestali che si fondano su un partenariato più ampio possibile per diffondere la gestione forestale sostenibile e la cura dei paesaggi forestali. L’adesione alle foreste modello è del tutto volontaria, aperta a singoli, associazioni ed enti, e si prefigge di risolvere tutti i possibili conflitti tra i diversi interessi legati alle foreste attraverso discussioni paritarie e processi trasparenti, con scelte condivise e rappresentative di tutti gli interessi in gioco, per un territorio forestale definito.
Avviata dal Governo canadese, questa Rete Internazionale vede in questo momento 60 Foreste Modello costituite in 30 Paesi di tutto il mondo. L’Italia, in particolare, grazie alla Regione Toscana che si è candidata a mantenere la gestione del Segretariato Mediterraneo anche per i prossimi cinque anni, ha dato ulteriore impulso per lo sviluppo delle Foreste Modello nella regione raggiungendo il risultato di 13 in 10 Paesi e proprio da oggi, con la neoriconosciuta Valle dell’Aterno, ottenendo la seconda Foresta Modello italiana dopo quella delle Montagne Fiorentine. 

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La voce dei trattori e la voce delle campagne

Ciò che ha maggiormente destato impressione della recente “protesta dei trattori”, che ha attraversato e interessa ancora diversi angoli d’Europa, è la sua connotazione spontanea: un fiume che è straripato da argini che apparivano stretti e non più adeguati a regimentare umori, speranze e progetti delle donne e degli uomini che vivono nelle campagne. Se da un lato tale impulsività incontrollabile ha inevitabilmente portato con sé improvvisazione, assenza di organizzazione e una comunicazione non chiara e spesso contraddittoria, e pertanto facilmente strumentalizzabile da chi vorrebbe ricacciare il fiume nel suo letto, dall’altro ha rivelato la frustrazione di un mondo che da tempo chiede solo di essere capito. Troppi soggetti, oggi, si occupano di agricoltura e ne decretano le sorti, spesso senza avere contezza del reale stato della vita rurale. Si parla di tecnici, di pseudo-rappresentanti, di burocrati che ogni giorno dispongono, interpretano e sanciscono norme, piattaforme e protocolli. Tutti parliamo in nome e per conto degli agricoltori e degli allevatori, ma non li ascoltiamo più con l’attenzione necessaria per aver coscienza delle loro quotidianità, presi come siamo dalle nostre narrazioni. E allora, scendiamo dalla cattedra, dal pulpito, dallo scranno, e ascoltiamoli. La lezione oggi proviene da Agnese Cabigliera, allevatrice sarda che ho l’orgoglio di aver conosciuto nelle aule del mio Ateneo a Sassari e che oggi conduce una brillante attività d’impresa, in cui la redditività si coniuga con la sostenibilità, la passione con la competenza, il coraggio con la prudenza. Ecco il suo pensiero, ecco la voce delle campagne. 


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Esistono delle considerazioni che vengono fatte da chi non vive nelle campagne, quando si rivolge a noi pastori, e riguardano i pagamenti degli aiuti comunitari. Almeno una volta nella vita, un pastore, si è sentito mortificato da un ignorante che afferma che lavorare in campagna sia semplice, perché il nostro è un settore continuamente foraggiato da Stato e Unione Europea e, in aggiunta, lavorare all'aria aperta non è un lavoro. Gestire e lavorare in un'azienda agricola, oggi, non è semplice e, la confusione che passa dai canali di informazione non aiuta. Si mischia la farina di grillo, con il ritardo nell'erogazione dei pagamenti comunitari, e la "carne sintetica" con il Green Deal.

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“Newstalgia”: voglia di antico in tavola

Orto del nonno, animali al pascolo, cucina della nonna, ricetta della mamma, cucina di un tempo, cibo di un’antica tradizione, preparato e conservato come una volta … e tante altre simili dizioni sono sempre più usate dalla agricoltura convenzionale e dall’industria alimentare, dalla produzione degli alimenti alla loro trasformazione, fino alla produzione di piatti pronti e in ristoranti di tendenza in una mescolanza tra il nuovo e il nostalgico e che ha preso il nome di "newstalgia".

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“Gutta cavat lapidem”, ovvero questa autorizzazione paesaggistica non s'ha da fare

Un profluvio di commenti entusiastici in chiave liberatoria ha accolto l’equiparazione, sancita dal legislatore, dei boschi che oltre alla valenza paesaggistica presentano cospicui caratteri di bellezza naturale, memoria storica, valenza culturale, protetti da vincolo paesaggistico provvedimentale, ai boschi che sono privi di tali connotati, i quali sono automaticamente assoggettati a vincolo paesaggistico per legge esclusivamente in virtù della relativa essenza morfologica.

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L’impiego intelligente dei sottoprodotti agricoli aiuta a risparmiare acqua e terreno

Fa piacere quando accade che una pubblicazione di informazioni e novità in campo zootecnico, diffusa a livello internazionale, quale è All about Feed, segnali un lavoro prodotto da nostri colleghi italiani. È successo numero del 5 febbraio con “Preserving global land and water resources through the replacement of livestock feed crops with agricultural by-products”, (Nature Food, 2023, 4: 1047-1057).
Gli alimenti di origine animale rappresentano un’importante fonte di proteine nobili nella nostra dieta, ma le attività zootecniche sono messe in discussione perché accusate di inquinare, di usare ampie frazioni di terreno agricolo e grandi risorse di acqua.
Lo studio dimostra come la sostituzione con sottoprodotti agricoli dell’11-16% delle colture intensive, come quelle dei cereali attualmente usate per produrre alimenti per gli animali, può portare a far risparmiare fino a 27.8 Mha di terreno e fino a 19.6 km3 di acqua delle falde (blue water) e 137.8 km3 di acqua piovana utilizzata dalle piante (green water). Secondo i citati ricercatori milanesi, il risparmio di risorse naturali, come l’acqua ed il suolo, è una strategia appropriata per la loro sostenibilità. Ciò comporta che le produzioni animali possano competere, in quanto a sostenibilità, con quelle vegetali.
I sottoprodotti agricoli presi in considerazione nello studio hanno riguardato le crusche di cereali, la polpa di barbabietola, le melasse, i distillers e il pastazzo di agrumi.
La prima osservazione ha riguardato la disponibilità alimentare per l’uomo, che migliorerebbe in molti paesi dove l’impiego dei sottoprodotti agricoli porterebbe ad una più larga scelta di alimenti, insieme al maggior apporto di calorie, con diete più ricche, più sane e sostenibili. Anche per quanto riguarda l’alimentazione animale, l’uso di ingredienti alternativi a quelli classici porterebbe al miglioramento della sostenibilità con la riduzione dell’impatto ambientale, non solo a livello locale.
La seconda osservazione è stata quella che, limitando la necessità di importare mangimi e materie prime dall’estero, si ottiene la positiva conseguenza di benefici economici e sociali: la produzione di certi alimenti per gli animali comporta il colpevole ricorso alla deforestazione selvaggia e l’utilizzo di grandi volumi di acqua, con il conseguente effetto sulla concentrazione dei gas serra e sulla biodiversità. 

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Proteste degli agricoltori: cosa dice la ricerca?

Le proteste organizzate dagli agricoltori in tutta Europa, e spesso condivise da una buona parte della opinione pubblica, chiamano in causa anche i ricercatori, in particolare quelli che si occupano di discipline agrarie. I temi in causa sono infatti rilevanti per le politiche europee e l’economia agraria, l’agronomia e le scienze del suolo, la difesa fitosanitaria e le scienze ambientali. L’accademia può contribuire a fare chiarezza sulle criticità e indicare alcune possibili strade da percorrere.
Certamente la protesta degli agricoltori evidenzia un collasso dei redditi provenienti dalle attività produttive soprattutto dei piccoli imprenditori e più in generale lamenta poco interesse per la vita reale degli operatori agricoli da parte dei decisori politici ed economici europei e nazionali.
Una prima criticità che viene evidenziata da più parti è la mancanza di regole e certezze nella catena alimentare, dove i più forti hanno buon gioco per la scarsa capacità e possibilità di trattativa da parte dei produttori agricoli. Questa criticità fa sì che la grande distribuzione organizzata e i grandi gruppi delle industrie alimentari possano stabilire pressoché unilateralmente i prezzi di acquisto delle derrate alimentari prodotte dagli agricoltori, decidendo sostanzialmente della vita e della morte delle imprese agricole.
Sono poi messe sul banco degli imputati le politiche europee. Viene anzitutto denunciata la mancanza di reciprocità dei requisiti per le produzioni realizzate nei paesi extraeuropei. Non è possibile per i produttori comunitari sostenere la concorrenza di alimenti importati da paesi dove non valgono le norme europee in tema di uso di presidi chimici, OGM, sfruttamento del suolo e della mano d'opera. Il solo import dal Brasile di soia, per lo più OGM, proviene da un areale di produzione estenso quanto il Belgio, per lo più ricavato dal disboscamento della foresta amazzonica. Dati prodotti da USDA-ERS indicano che l’export di cereali causa nei paesi d’origine, quali Stati Uniti, Brasile e Argentina, una diminuzione importante di sostanza organica e di fertilità dei suoli. La stessa Missione Suolo della Unione Europea ritiene insostenibile questo continuo aumento dell'esportazione della degradazione del suolo al di fuori dei confini europei. Però non vengono emanati regolamenti che limitino le importazioni da Paesi che non considerano gli standard europei. Non si tratta di porre nuovi dazi, ma di esigere che vengano rispettati non solo i livelli qualitativi merceologici, ma anche quelli ambientali.

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La grande guerra dei trattori è finita a Sanremo

L’hanno chiamata la “guerra dei trattori” e anche noi usiamo questa definizione, anche se la parola guerra non ci piace e, nel gran circo mediatico che l’ha raccontata, i veri protagonisti non sono i trattori ma una parte del mondo agricolo. Ormai sappiamo che il Governo negli incontri ha confermato il regime agevolato per i carburanti, promesso il mantenimento delle riduzioni fiscali per i redditi più bassi e una moratoria di 6 mesi nell’obbligo dell’assicurazione per i mezzi circolanti su strada. Nell’attesa del voto in Parlamento col famigerato decreto “mille proroghe” che deve essere approvato entro il 28 febbraio, pena la decadenza del solito numero elevatissimo di correzioni e aggiunte alla legge di bilancio, non vorremmo tornare alle cronache, ma sviluppare qualche considerazione a margine di una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso inaspettatamente l’opinione pubblica nella speranza che possano ottenere quell’attenzione che il dibattito parlamentare non potrà concedere.
Il fronte agricolo si è mosso anche in Italia come nel resto dell’Ue. Era composito, ma unito sull’obbiettivo di agire in fretta e con clamore per ottenere alcune cose su cui non tutti convergevano. I protagonisti non erano unanimi. Le Organizzazioni ufficiali hanno tenuto un comportamento responsabile, quasi defilato, le forme “spontanee” invece, con modalità diverse erano più barricadere con l’intento di accreditare un’immagine battagliera, ma divise fra “neonate”, “rinate” e “ricostituite” con nuove sigle ma con volti già noti.
Dopo le molte parole corse nei giorni caldi vorremmo ragionare su tre temi e proporre una riflessione finale 
Il primo è quello degli scambi con altri Paesi e presentato con un duplice obiettivo: a) frenare importazioni agricole a basso costo e definite pericolose perché (si dice) ottenute con metodi pirata e insicuri di coltivazione; b) promuovere le esportazioni dei nostri prodotti. Ma il tema è destinato a non andare molto lontano. La materia è regolata da accordi internazionali ottenuti con negoziati lunghi e complessi e la sicurezza delle importazioni è garantita dai controlli in frontiera effettuati dall’Italia.  inoltre contiene un’evidente contraddizione: non si può pretendere di ridurre le importazioni e, al contempo, di esportare di più. Serve per tutta la materia quella reciprocità che invochiamo per frenare le importazioni e favorire le esportazioni, gli eventuali partner non accetterebbero uno scambio diseguale come vorrebbero i dimostranti. Infine non dimentichiamo che l’Italia ha bisogno di importare perché la sua produzione, non è sufficiente né al consumo interno né alla trasformazione di ciò che con tanto orgoglio esportiamo.

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Marco Polo e l’invenzione degli spaghetti

Come nasce la leggenda che Marco Polo avrebbe portato questo cibo in Italia e da qui diffusi in tutto il resto del mondo? E quale pasta conosce in Cina Marco Polo?

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Non solo la biodiversità, anche la geodiversità è fondamentale

La geodiversità fornisce la base su cui la biodiversità può prosperare. Senza questa diversità di elementi geologici e geografici, gli ecosistemi sarebbero privi di sostegno e le specie animali e vegetali che dipendono da essi si troverebbero in pericolo.

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L’invecchiamento del riso grezzo

L’invecchiamento, o stagionatura del risone, internazionalmente definito con il termine inglese aging, è tra i numerosi parametri che intervengono a determinare la qualità del riso perché ne perfeziona pressoché tutti i caratteri chimico-fisici ed organolettici.
Con il termine invecchiamento si intende stabilire o individuare il tempo necessario affinché il riso grezzo, greggio o risone, si può dire "maturi" con un lento processo volto a raggiungere la sua massima perfezione qualitativa.
Ai fini qualitativi, l’utilità dell’invecchiamento del riso era nota ed apprezzata fin dai tempi più antichi proprio da quelle popolazioni che del riso ne fecero il principale quando non l'unico alimento.
Un antico scritto sanscrito, in traduzione inglese, recita: “corns and grains, one year after their harvesting, are said to be wholesome” [I grani, un anno dopo il loro raccolto, si sa che sono sani perché il tempo li rende migliori per l’alimentazione]. (Chowkhamba Sanskrit Studies - Volume I - Sutra Sthana).
Non è solo l’antico testo sanscrito che scopre l’invecchiamento e che vanta l’invecchiamento del risone: ancora prima, nella non lontana Cina, poiché l’imperatore non poteva restare senza riso anche in caso di siccità, venivano conservati per lui tre anni di raccolto; semplicemente così si era venuto a scoprire che quello più vecchio era il migliore. Ancora oggi, il riso invecchiato tre anni è conosciuto come “il riso dell’imperatore”.
Nell’Asia del sud era consuetudine conservare una parte del riso raccolto nell’anno di nascita di un bambino, perché potesse essere consumato al momento del suo matrimonio. Oggi, continua ad essere considerato un regalo di pregio donare un sacchetto di riso invecchiato due anni.
In Italia, nelle zone tipiche di produzione, si è sempre saputo che il migliore era il “riso vecchio lavorato fresco” intendendo quello del raccolto precedente da consumare subito dopo la lavorazione.

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Il Piano Mattei: occasione di rilancio per l'Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze?

Presidente Vincenzini, Lei che rappresenta la più antica accademia del mondo ad occuparsi di agricoltura, ambiente e alimentazione, che cosa ne pensa del recentissimo vertice Italia-Africa e dell’approvazione del Piano Mattei con investimenti per 5,5 miliardi nei settori di istruzione, salute, agricoltura, acqua, clima?
Innanzi tutto, devo osservare positivamente che la presenza al vertice del nostro Presidente Mattarella e della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, hanno rappresentato una sorta di investitura ufficiale dell’Italia per rivestire il ruolo di catalizzatore e promotore delle iniziative di sviluppo per l’Africa, che si allontanino dai vecchi approcci di cooperazione unilaterale. Del resto, l’Italia, per la sua posizione geografica e per la sua storia rispetto ad altri, si presenta come protagonista ideale nei rapporti con il continente africano. Senza dubbio, il Piano Mattei potrà essere meglio definito, ma intercetta la necessità di affrontare le grandi sfide per lo sviluppo attraverso investimenti esteri in Africa. Potrebbe essere un’occasione importante per il nostro Paese, attraverso un cambiamento culturale che sfoci in un piano economico ed industriale strategico per tutti gli stati.

Il Ministro Lollobrigida ha però sottolineato che all’Africa manca ancora molto l’elemento della formazione, l’orientamento al mercato e la presenza delle tecnologie più semplici.
E’ purtroppo vero, ma è un problema certamente affrontabile. A dire la verità, i Georgofili ci avevano già pensato più di cento anni fa …

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Come migliorare l’approccio al tema cibo/ambiente

Nella Dichiarazione Universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948, così si legge (Articolo 25):
Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione…
In esso risulta implicito che obiettivo centrale è la salute (ma anche il benessere) cui, in primo luogo, contribuisce l’alimentazione; ora, per chi ha a cuore la salute dell’uomo, non v’è dubbio che la corretta nutrizione implichi cibo sufficiente, ma non solo. Infatti, nel Vertice mondiale sull’alimentazione della FAO (1996) si è affermato: “La sicurezza alimentare, a livello individuale, familiare, nazionale, regionale e globale, viene raggiunta quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti per soddisfare le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita attiva e sana.”. Quindi, cibo disponibile, acquisibile e utilizzabile e, per quest’ultima esigenza, non può mancare la disponibilità di acqua potabile (garanzia per la funzionalità del digerente = buona utilizzazione). 

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"Dialoghi sul suolo e l’acqua”: L’acqua: risorsa o calamità?

Pagliai – L’acqua è una risorsa preziosa e indispensabile e non va sprecata; talvolta, purtroppo, diventa calamità quando è troppa (alluvioni) o quando è troppo poca (siccità). A proposito di quando è troppa c’è da osservare che le cause delle catastrofi recenti, a parte la crisi climatica in atto con eventi piovosi sempre più estremi e la cementificazione incessante, vengono da lontano e precisamente intorno agli anni ’60 del secolo scorso in concomitanza del così detto “boom economico” quando il modello di sviluppo di allora portò all’abbandono di vaste aree di collina e montagna considerate marginali e quindi all’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia perché quelle braccia erano più redditizie se impiegate nello sviluppo industriale e edilizio. Con l’abbandono dell’agricoltura cessarono anche le opere di manutenzione del territorio e da qui, complici i cambiamenti climatici, sono iniziati quei fenomeni di forte erosione del suolo, con le relative catastrofiche conseguenze. Gli agricoltori rimasti nella bassa collina e nelle pianure furono indottrinati all’aumento delle produzioni, all’uso sfrenato di fertilizzanti chimici, alle monocolture con continue lavorazioni profonde con il risultato che nel tempo si è formato uno strato compatto al limite inferiore dell’aratura (“suola d’aratura”) che di fatto impedisce il drenaggio del terreno; da qui gli allagamenti di questi terreni quando piove in forma di nubifragio come ormai accade di regola.

Bottino – Condivido la tua introduzione, io suggerirei due parole: storia e scienza. Storia perché dobbiamo conoscere l’evoluzione del territorio nel suo complesso e trarne insegnamento. Ad esempio, se esaminiamo una foto aerea del 1954 di Campi Bisenzio vediamo tutti campi coltivati, ben sistemati e regimati; se esaminiamo una foto attuale vediamo tutte case. Scienza perché occorre una completa interazione con tutti gli operatori del settore. I modelli idraulici attualmente disponibili risalgono al 1960 dove, ad esempio, nell’alluvione del 1966 piovvero 170 mm in 24 ore, il 3 novembre scorso sono piovuti 200 mm in 4 ore. In questa situazione il reticolo idrico minore non ha retto e la cementificazione, su ricordata, ha fatto il resto. Per la messa in sicurezza di tale reticolo occorre una programmazione dettagliata e fondi certi. Proprio quest’ultimo è sempre il punto debole, tanto che i Consorzi di Bonifica nelle loro opere di manutenzione sono costretti ad andare avanti operando per lotti in base ai fondi disponibili; in occasione di eventi estremi il punto debole è rappresentato proprio dai lotti incompiuti. 

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La protesta agricola e la necessità di una nuova Pac

La protesta agricola cresce e si diffonde in tutta l’Europa comunitaria conquistando spazi sempre maggiori nell’informazione. È un fenomeno che attira attenzione e, come si dice, fa notizia. Ma non va confuso con quelli che dopo l’uscita in prima pagina poi scompaiono, travolti dal ritmo frenetico ed effimero dell’informazione. Questo evento è diverso e merita di essere esaminato.
Due osservazioni, innanzitutto. La prima: sui mezzi di informazione trova spazi ed audience, viene accolta quasi con simpatia, il pubblico è portato a condividere una protesta di cui non conosce bene la ragione, un po’ per il vezzo ormai inveterato di esaltare cortei, occupazioni, movimenti di protesta e un po’perché coglie il fatto che questa contiene qualche cosa di autentico, come autentica è l’agricoltura.
La seconda: è un fenomeno che coinvolge i paesi Ue, ma non tutti. È molto forte in Germania, meno e con connotazioni diverse in Francia, in Olanda, ancora meno in altri come l’Italia che è una potenza agricola in Europa. Ma molti Paesi non sono presenti Se si approfondisce il contenuto degli slogan e dei manifesti si scopre che le motivazioni sono diverse, come diverse sono le agricolture, le strutture produttive, le produzioni, le politiche agricole nazionali.
Se si esaminano le motivazioni ne emerge una prima considerazione: siamo di fronte a un problema sfaccettato, ma condiviso, il malessere agricolo nell’Ue. Quali sono le cause? Possiamo riassumerle dicendo che sono le ricadute delle crisi del primo ventennio degli anni 2000 sul settore agricole. L’ultima, la più forte e percepita in agricoltura ora, è l’inflazione con tutto il suo contenuto di incertezza: l’aumento dei costi di produzione, compresi energia e mezzi di produzione, seguiti dai prezzi agricoli ed alimentari. Ma gli andamenti ad un certo punto si sfasano. I prezzi dell’energia e di altre commodity iniziano a scendere e seguite dai mezzi di produzione. Ma quelli agricoli rimangono irregolari e più elevati che all’inizio delle crisi. L’offerta agricola è ridotta perché il clima ha provocato due annate di produzione ridotta. Le prime proiezioni sul 2023 la danno in calo Ue in quasi tutti i Paesi Ue, anche se in modo diverso in relazione alle singole agricolture. Paradossalmente la protesta è più forte nel Paese meno toccato dalla crisi, la Francia, dove però è molto condivisa ed evidente.

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Ai Georgofili l’Intelligenza Artificiale guida i visitatori della mostra “Le fattorie di Santa Maria Nuova al tempo dei Medici”

La mostra “Le fattorie di Santa Maria Nuova al tempo dei Medici”, allestita in questi giorni nella sede dell’Accademia dei Georgofili e visitabile con ingresso libero fino al prossimo 16 febbraio, usufruisce di una nuova tecnologia di supporto per la visita.
Questo sistema, denominato DIDA, permette di leggere le didascalie traducendole in ben 12 lingue: Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Portoghese, Giapponese, Cinese, Coreano, Indonesiano, Russo, Olandese. Pensato sul concetto di accessibilità universale, con l'ausilio anche dell’Intelligenza Artificiale, presenta tre diverse versioni: adulti, bambini e persone con disabilità fisiche e cognitive.
Usufruirne è molto semplice, basta inquadrare il QRcode che si trova all’inizio del percorso espositivo.
Abbiamo intervistato uno dei “creatori” di questa tecnologia: Fabio Mochi.

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Non bastava la carne “coltivata”, presto arriva anche il latte sintetico

Nel numero del 5 gennaio 2024 della pubblicazione “Dairy Global”, da una nota a firma del corrispondente europeo Vladislav Vorotnikov, apprendiamo che quella del latte sintetico è un’industria emergente con molte start up impegnate nelle fasi di ricerca e sviluppo delle tecniche di produzione.
Nell’articolo si fa riferimento specificamente alla compagnia californiana “Perfect Day” come esempio significativo di una start up impegnata nel progetto. 

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L’utilizzazione turistico-ricreativa del bosco e la difesa del suolo, tra opportunità e criticità. L’esempio del Monte di Portofino.

La funzione turistico-ricreativa è un importante servizio ecosistemico da sempre riconosciuto al bosco. Le attività ricreative sono sempre più importanti per scaricarsi dallo stress quotidiano e il bosco è un luogo ideale a tal fine, soprattutto quando è posto nei pressi dei centri abitati maggiori. In molti casi, la funzione ricreativa del bosco, includendo in essa anche quella salutistica, ha una rilevanza uguale se non maggiore a quella economica.
Come è noto, oltre alla funzione ricreativa e a quella economica, il suolo svolge anche altre importanti funzioni ecosistemiche, quali quella culturale, di mitigazione dei cambiamenti climatici, di tutela della biodiversità e protettiva nei confronti del suolo. Le varie funzioni ecosistemiche e sociali del bosco assumono particolare rilevanza nelle aree periurbane. E’ proprio in queste aree però che possono subentrare più di frequente conflitti tra funzione diverse. In particolare, più è intenso lo sfruttamento del bosco per le attività del tempo libero, più è probabile l'insorgenza di criticità nei confronti della sua funzione protettiva sul suolo.
Il bosco del Parco regionale del Monte di Portofino è in questo senso un esempio emblematico. Il parco è relativamente piccolo, circa mille ettari, ma è posto in una posizione strategica, tra i comuni di Santa Margherita Ligure, Portofino e Camogli ed attrae tutto l’anno decine di migliaia di turisti provenienti anche da fuori regione. Per la storia naturale ed amministrativa del Parco regionale di Portofino rimando a quanto scritto dalla collega Silvia Olivari in Georgofili info del 9 febbraio 2022.  Il parco dispone di circa 80 km di sentieri segnati e decine di piste di mountain bike, con diversa pendenza e livello di impegno agonistico. La massiccia frequentazione dei sentieri e soprattutto delle piste di mountain bike provoca fenomeni di erosione del suolo a volte anche intensa, non solo nei tratti più scoscesi. C’è da considerare infatti che molti dei suoli del parco sono ad erodibilità elevata e quindi soggetti ad essere facilmente asportati dalle acque correnti quando non protetti dalla vegetazione, dalle foglie e dai rami morti, come avviene lungo i sentieri e soprattutto le piste. 

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Locale contro globale

Locale contro globale. Contrapposizione non nuova, che, in questi ultimi giorni, offre nell’agroalimentare nuovi spunti di riflessione (e più di una preoccupazione). Da un lato, la crisi scatenatasi in poche ore nel Mar Rosso ha messo a nudo la delicatezza degli scambi mondiali (anche alimentari); dall’altro, l’ormai più che invadente uso di imitare i prodotti agroalimentari italiani con tutte le conseguenze economiche del caso, ha scatenato atteggiamenti che lasciano piuttosto perplessi. Le due situazioni, hanno in comune più di un elemento: la globalizzazione alla quale l’agricoltura e l’agroalimentare sono sottoposti, la complessità delle relazioni in gioco, le dimensioni economiche della questione (che molto spesso sfuggono al consumatore comune). Tutto mentre in mezza Europa le proteste degli agricoltori hanno dato il segno tangibile di quanto alta sia la tensione sui temi agricoli e agroalimentari.
Crisi del Mar Rosso. In poche ore, a seguito degli eventi scatenatisi dagli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi in arrivo dal Canale di Suez, il normale flusso via mare di merci è apparso a rischio. Stando ai primi dati diffusi, e solo per quanto riguarda l’ortofrutta, in difficoltà vi sarebbero vendite per centinaia di milioni di euro. Potenzialmente – è stato spiegato da Fruitimprese, che raccoglie una parte significativa della produzione del comparto -, il danno arriverebbe a 500 milioni di euro, a cui si devono aggiungere le ripercussioni causate da 150mila tonnellate di prodotto di altri paesi europei che potrebbero rimanere sul mercato locale. Per capire, basta sapere che per quanto riguarda il Medio Oriente le vendite valgono circa 350mila tonnellate di ortofrutta, per un valore di 400 milioni di euro. Mentre in India e Sud Est Asiatico arrivano mediamente 120mila tonnellate di frutta e verdura italiane per circa 100 milioni di euro a valore. Situazione difficile, quindi, anche senza tenere conto dell’aumento dei tempi e dei costi di spedizione. “Pirati” alla vecchia maniera che nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione, in poco tempo sono riusciti a mettere in crisi interi settori economici, anche a migliaia di chilometri di distanza.

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