Sud chiama Nord: acqua e agricoltura

di Silverio Pachioli
  • 17 April 2024

Se al Nord sono arrivate le tanto desiderate piogge e nevicate, al Sud permane una situazione meteorologica tragica di siccità, ormai giunta a condizioni non più sostenibili.
Non si tratta semplicemente di rinnovare le solite raccomandazioni per un uso ragionato e razionale delle risorse idriche, ma di implementare una serie di riflessioni e programmazioni, a tutti i livelli, per cercare di arginare un problema che sembra, ormai, sfuggito a ogni forma di gestione e controllo.
Sicuramente il cambiamento climatico è un problema mondiale e va affrontato a livello globale, senza però dimenticare che i primi passi vanno fatti coinvolgendo dapprima le comunità locali.
Tutti siamo chiamati in causa: agricoltori, tecnici, cittadini, politici locali, regionali e nazionali, commissari ad acta, ecc.
Negli ultimi anni sono stati scritti fiumi di inchiostro e tante le parole “disperse” al vento, ma l’Italia continua a perdere acqua da un immenso “colabrodo” di acquedotti sui quali nessuno ha mai avuto il coraggio di mettere seriamente le mani.
Non basta risparmiare acqua, ma bisogna riciclarla e accumularla quando e dove il terreno non è in grado più di tesaurizzarla.
Il modello da cui prendere esempio è, ancora una volta, quello israeliano.
Se Israele, agli inizi degli anni ’60, con l’irrigazione a goccia, ha compiuto un “salto quantico”, oggi la stessa Nazione è un sistema organizzato per il riciclo delle acque reflue. Oltre all’uso parsimonioso dell’acqua disponibile (vedi scienza e tecnica dell’irrigazione), in Israele ci si organizza per uno stoccaggio delle acque nelle stagioni (e nelle zone) in cui queste cadono abbondanti. Tramite una rete sofisticata di tubazioni e molta energia le acque in eccesso vengono pompate e accumulate in grossi bacini fino a 1.000 s.l.m.
Per ridurre i costi delle stazioni di pompaggio si ricorre all’energia prodotta da impianti eolici e alla copertura della superficie dell’acqua contenuta nei bacini di raccolta con pannelli fotovoltaici galleggianti su cuscini di aria. Una delle riserve più grandi del Paese (alture di Golan) è in grado di stoccare 65 milioni di m3 di acqua.
In Israele le acque reflue, dopo un graduale processo di depurazione, vengono utilizzate a scopo agricolo sfruttando anche i componenti nutritivi in esse contenute. L’assegnazione della quantità di acqua si stabilisce sulla base della superficie coltivata, ma il costo è determinato dal suo effettivo consumo.
Non serve, però, andare fino in Israele, poiché basta rileggere attentamente le pagine scritte, in tema di irrigazione, da Giuseppe Medici quasi un secolo fa.
L’illustre professore emiliano, allievo dell’economista Giuseppe Tassinari, aveva già intuito, fin dagli anni ’50, il grave problema acqua per il nostro Paese. Egli proclamava, con fermezza, i propri convincimenti sulla necessità di assicurare l’acqua al Mezzogiorno perché, come amava ripetere, “aridità è sinonimo di povertà, mentre irrigazione è sinonimo di sviluppo”. E aggiungeva: “negare l’irrigazione ai comprensori meridionali equivarrebbe a negare a intere regioni il presupposto essenziale della crescita agraria, economica e civile”.
In una relazione degli anni ’60, alla Conferenza Nazionale delle acque, Egli prevedeva un incremento di proporzioni ingenti delle necessità idriche che “impone l’apprestamento di nuove disponibilità, che potranno essere assicurate solo mediante un’accorta strategia di riciclo, da sola insufficiente, e la realizzazione di nuovi invasi capaci di accumulare le acque quando queste risultano in eccesso per quantità e/o momenti di eccessiva pioggia”.
La strada da percorrere oggi è la stessa di “ieri”, ossia accumulare e riciclare. É semplicemente necessario accumulare acqua quando questa è in eccesso o “trasportarla” dalle zone dove piove o nevica di più alle zone dove questa risorsa è carente. Non si tratta di “rubare” acqua a un territorio per darlo a un altro, ma di evitare che questa finisca in mare divenendo salata.
Dove l’irrigazione c’è, è necessario pagare questa risorsa in modo equo e basandosi su diversi parametri “moderni” (economico, ambientale, sociale) che vanno oltre il semplice costo per metro cubo o, peggio ancora, per ettaro.
Il tempo a disposizione e, principalmente, i contributi per “ammodernare” questo Paese sono alla fine!
Se non sarà più l’acqua a bagnare i nostri campi saranno le lacrime degli agricoltori e dei consumatori che continueranno a pensare, ahimè, che la colpa di tutto questo è solo ed esclusivamente dei cambiamenti climatici.