In questo sorprendente anno di grandi eventi e di piccoli risultati, in cui tutto sembra ridursi a continui ed aspri confronti sull’orlo di un abisso oscuro, senza che emerga una linea di tendenza positiva e netta per un futuro meno incerto, lo scorso 10 settembre vi è stato un passaggio che sembrava poter imprimere un impulso decisivo verso una stabilizzazione possibile, almeno per quella parte di mondo che chiamiamo generalmente Europa. Apparteniamo ad essa certamente non solo per ragioni geografiche e storiche, ma per comuni caratteristiche sociali e politiche formate e consolidate in secoli di guerre e contrasti. Quel giorno con il suo discorso finalmente chiaro e deciso su “Lo stato dell’Unione” Ursula von der Leyen, (v.d.L), Presidente della Commisssione Ue da poco confermata per un secondo quinquennio, ha con chiarezza indicato un percorso possibile per un’Europa alla ricerca di se stessa. E lo ha fatto in un momento in cui i Grandi si muovono con apparente determinazione, ma privi di una precisa visione del mondo in cui dobbiamo tutti convivere.
Nel grande caos del tempo presente purtroppo l’eco è stato modesto, sovrastato dalle roboanti voci degli altri e da “distinguo” e divisioni dei Paesi del vecchio continente, comunitari e non, orfani di un grande obiettivo che stenta a concretizzarsi a 70 anni dalla nascita delle Comunità confluite nell’UE.
La situazione nel mondo e in Europa è confusa e fluida. Si percepisce forte la sensazione che gli equilibri mondiali si stiano sgretolando. Sono quelli creati alla fine della Seconda Guerra e tracciati dai vincitori preparati a imbarcarsi entro breve tempo nella possibile “terza”. Questo timore ne ha prolungato l’esistenza per circa 80 anni in cui la pace, anche a prezzo di numerosi focolai “minori”, è durata ed ha consentito sviluppo e crescita economica in una convivenza pacifica, ma con le armi al piede.
La caduta delle ideologie culminata con l’abbattimento del Muro di Berlino e la fase della globalizzazione che l’ha seguita sono due passaggi simbolo di un periodo che anziché segnare l’inizio di un futuro pacifico era sul punto di chiudersi anche a causa dei molti problemi irrisolti.
In campo occidentale la costruzione europea rappresenta il segnale che un cambiamento in meglio avrebbe potuto realizzarsi, ma si è arenata perché, pur ampliandosi e crescendo, non è stata in grado di approfondirsi poco oltre un grande “Mercato unico”. Una constatazione amara, ma necessaria e doverosa per comprendere che, se noi europei vogliamo letteralmente sopravvivere nel mondo che si profila dobbiamo superare indugi, vecchi rancori e nuovi dissapori rimanendo uniti nei valori fondanti. Anche perché l’altro pilone dell’alleanza transatlantica alla base del mondo occidentale appare sul punto di cadere in un’involuzione di durata e portata per ora imprevedibili.
La Presidente nel suo ampio discorso trae le conclusioni operative sul futuro della UE e lo fa in linea con quelle più volte espresse da Draghi e da molti altri europeisti del presente con esperienza dell’attuale Ue e conoscenza dei suoi limiti paralizzanti. Il discorso di v.d.L. per essere approfondito e tradotto nei fatti richiede uno sforzo di volontà immane e un deciso passo in avanti, un po’ come si è fatto in passato con i “salti in avanti” su alcune questioni chiave come il mercato unico o quella parte dell’unione economico-monetaria che ha condotto alla moneta unica. Ma occorrono ottimismo, volontà, concretezza e spirito comunitario. Lo dice la Presidente e lo confermano già le prime meschine scaramucce nel neoeletto Parlamento Europeo (PE) e nei Paesi membri, indicando che sarà una battaglia molto dura, specie nel momento in cui prevalgono le azioni contrastanti e i tempi inutilmente convulsi impressi dall’altro protagonista occidentale.
Il Discorso della Presidente è un vero programma per punti delle principali cose da fare, con una forte autocritica del passato e con idee concrete e realizzabili per un futuro che dobbiamo essere capaci di forgiare. I tempi hanno indotto v.d.L. ad occuparsi con forte realismo anche di questioni considerate sino ad ora tabù, come la difesa comune, oggi affidata per la nostra parte alla Nato, o come il voto a maggioranza degli Stati membri, presente nei Trattati ma di fatto inapplicata o la costruzione completa dell’Unione economica. Siamo consapevoli che si entra nel campo fittamente minato delle competenze e dei connessi poteri degli Stati membri su cui è difficile muoversi, ma non v’è alternativa se non vogliamo che l’attuale UE regredisca nel tempo ad una ristretta e parziale area di libero scambio, iper-regolata e fortemente vincolata dalle famose regole burocratiche che rendono invisa l’Europa di Bruxelles. Senza dimenticare che esse pesano più dei costosi dazi imposti da Trump.
Fra le aree su cui intervenire la Presidente inserisce anche l’agricoltura per il cui futuro e ruolo propone di agire in maniera allo stesso tempo innovativa e saldamente coerente con un passato costruito in 75 anni di politica comune nonché con la consapevolezza che in tempi di crisi come quelli attuali e di transizioni in corso non è solo una questione di protezioni o di sovvenzioni da mantenere.
Le connessioni con numerosi temi generali di portata strategica come l’Energia, le Materie prime, l’Ambiente, la Sanità oltre all’ implicita Produzione di base devono essere alla base della nuova Europa. La Presidente dimostra idee chiare in proposito, ma la quasi contemporanea presentazione delle linee della futura Pac per il prossimo settennio è molto deludente. Il documento illustrato il 26 settembre dal Commissario all’Agricoltura Hansen è molto lontano da quanto indicato dalla Presidente e comunque è stato accolto male sia dal mondo agricolo sia da quelli collegati ad esso. La confusione è tanta e richiede, più che una nuova Stresa, una scelta strategica coerente con le linee del discorso della Presidente.
La discussione in famiglia è aperta, ma i tempi sono stretti e non possiamo più permetterci, come europei, di continuare a considerare le nostre burocrazie come il massimo possibile di integrazione europea, serve un vero colpo d’ala.