Dove va l’agricoltura?

di Dario Casati
  • 08 January 2014
Produrre, innovare e competere: perché tornare a ragionare su queste che sono le esigenze ovvie di ogni impresa, e non solo di quelle agricole?  Oggi, fra malessere per il presente e incertezza sul futuro, si sente viva la necessità di ritornare su questi concetti. Lo faremo, senza dimenticare che il primo esempio “ante litteram” di sostenibilità è la storia dell’agricoltura.
La più lunga e grandiosa storia di successo che abbia accompagnato l’umanità fornendo cibo in quantità crescente, garantendo la sopravvivenza e la diffusione dell’umanità, accompagnando l’uomo nella sua crescita e facendo aumentare la popolazione, migliorando le condizioni di vita, allungando la vita media  e consentendo livelli di consumi più elevati. 
Fra disponibilità di alimenti e popolazione si è creato un equilibrio dinamico, spesso drammatico, che si è gradualmente spostato a livelli sempre più avanzati sino a quelli attuali. L’agricoltura ha fornito cibo in quantità sempre maggiori e con crescente regolarità grazie allo sviluppo delle conoscenze scientifiche. La stessa quantità di terra coltivata con le tecnologie dei primi millenni della storia agricola non avrebbe potuto sostenere una popolazione superiore a quella di allora. 
Oggi il ruolo dell’agricoltura sembra ridotto quasi solo a produrre alimenti, a svolgere non ben definite attività ambientali. In passato produceva anche fibre tessili, attrezzi e abitazioni, energia, manufatti. Poi la specializzazione produttiva ha determinato il distacco delle altre attività. Il risultato è un contributo calante al Pil ed all’occupazione e la perdita di peso politico e sociale.
Un problema non minore, perché l’agricoltura è frenata da numerosi vincoli legati alla sua natura biologica, ai cicli produttivi, alla sensibilità alle avversità, alla strategicità del settore che lo penalizza con ammassi, quote di produzione, stoccaggi strategici, calmieri sui prezzi, forniture ai poveri e così via
Il problema oggi è quello delle risorse naturali senza le quali non potrebbe aver luogo la produzione. In passato ciò era implicito e accettato, oggi si pone in parallelo alla preoccupazione per il loro futuro. Insostituibili per la produzione agricola, ma limitate, esauribili, sempre più contese dalle altre attività. Affidare alla semplice logica economica del prezzo la loro gestione non è possibile. La preoccupazione per uno sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’agricoltura  conduce all’imposizione di vincoli ricalcati su altri settori. Ma in realtà è l’agricoltura stessa a non potersi permettere il degrado delle risorse produttive.  
Oggi essa non produce solo beni, ma anche servizi, un tempo impliciti. In questa veste è vista come un settore arretrato, parassitario, protetto senza ragione. Al contrario l’immagine diventa positiva nella produzione di alimenti e servizi riconducibili ad un’immagina stereotipata dell’agricoltura che non ha riscontro. 
Ecco perché una riflessione ampia e pacata sulle sue esigenze si impone, ma su ciò ritorneremo.

(L’articolo è tratto da una delle relazioni svolte all' Assemblea generale dei Georgofili - Firenze, 17 dicembre 2013 )