Prospettive future per la sostenibilità delle produzioni animali

di Mauro Antongiovanni
  • 10 February 2021

La comparsa della pandemia da Coronavirus ci sta distogliendo dal problema del riscaldamento globale e delle sue cause, riconducibili in primo luogo all’eccessiva produzione antropica di gas serra, con l’anidride carbonica al primo posto. Ma prima o poi dovremo continuare a preoccuparcene: ne va della nostra sopravvivenza. Dando per scontato che presto ce la faremo a superare la pandemia, quali saranno le prospettive future per la sostenibilità, ad esempio, delle produzioni animali, in considerazione, in particolare, delle produzioni di gas serra ad esse collegate?
Se l’obiettivo da raggiungere è la sostenibilità delle produzioni animali, dobbiamo puntare su ingredienti alimentari innovativi, sulla digitalizzazione, su nuove tecniche di preparazione degli alimenti e tecnologie di alimentazione, che contribuiscano a ridurne l’impatto sull’ambiente.
C’è bisogno di nuove regole. In Europa esiste già una proposta di linee guida chiamata “Green Deal” che fa riferimento a pratiche definite “environmentally friendly”, che possano incrementare la cosiddetta green economy. La proposta prevede, fra l’altro, il raggiungimento del 25% di produzioni biologiche entro il 2030.
Le principali linee guida riguardano, in primo luogo, le limitazioni nell’impiego di proteine attraverso la formulazione accurata delle diete ed il ricorso a fonti proteiche alternative alla soia o alle farine di pesce. Fra le alternative, al primo posto si situano le farine di insetti. Si stima che in Europa l’industria mangimistica specializzata possa produrre fino a un milione di tonnellate di farine di insetti l’anno, entro i prossimi cinque anni.
La farina d’insetti più promettente, da impiegare non solo in acquacoltura, ma anche in suinicoltura e pollicoltura, è quella di larve di Black Soldier (Hermetia illucens), allevate su scarti alimentari che, altrimenti, andrebbero in discarica. L’Australia è all’avanguardia fra i produttori di farine di larve di insetti: la ditta “GoTerra” di Canberra raccoglie due tonnellate di scarti alimentari domestici la settimana, che destina all’alimentazione delle larve.
L’edizione 2020 del bollettino FAO indica le linee guida riguardo alla scelta degli ingredienti alimentari destinati alle produzioni animali, specificatamente a quelli che riducono il contributo della deforestazione, diretto o indiretto, alla produzione di gas serra.
Anche il documento “Feed Sustainability Charter 2030”, presentato lo scorso anno dalla European Feed Manufactureres’s Federation (FEFAC), indica cinque punti che definisce “cinque ambizioni” da realizzare affinché il settore della mangimistica europea possa divenire più sostenibile nei prossimi dieci anni. La prima e più importante ambizione è quella di mettere al bando la soia che proviene da aree deforestate, per cui sarà necessario mettere a punto sistemi di tracciabilità e certificazione.
Bollettini del WWF ci informano che nel periodo fra il 2004 e il 2017 un’area di 43 milioni di ettari è stata desertificata nel mondo, identificando 24 zone di desertificazione selvaggia in Asia, America Latina e Africa.
Il peso dell’Europa sulla importazione di soia è intorno al 10% del totale, mentre la Cina è il primo importatore con più di 90 milioni di tonnellate solo nel 2019.
Comunque, va detto che la deforestazione non è completamente illegale: in Amazzonia, ad esempio, le leggi ambientali permettono l’abbattimento del 20% delle foreste. Brasile, Argentina e Paraguay insieme hanno permesso finora la deforestazione legale di più di 100 milioni di ettari per impiego agricolo. Basterebbe, intanto, rispettare le leggi locali.
Al momento attuale, sono stati proposti ben 19 programmi che riguardano la produzione sostenibile di soia. Tutti hanno alla base la messa al bando della deforestazione illegale e alcuni anche la deforestazione legale. A questo proposito, all’inizio di febbraio la FIFAC pubblicherà le linee guida aggiornate sulla deforestazione illegale finalizzata alla produzione di soia.
Sappiamo per esperienza che le buone intenzioni per migliorare l’ambiente in cui viviamo spesso soccombono di fronte agli interessi particolari dell’industria e dei privati, ma ciò non deve limitare la nostra libertà di esprimere le nostre preoccupazioni, tenendo conto che da più parti vengono proposti programmi e linee guida finalizzati allo scopo.