Il “debeccaggio” delle galline ovaiole è una pratica indispensabile?

di Mauro Antongiovanni
  • 18 March 2020

In questi tempi di rinnovato interesse verso il benessere animale nei suoi molteplici aspetti, c’è chi si chiede che cosa sia il “debeccaggio” dei pulcini destinati a diventare galline ovaiole e perché viene praticato.
Il debeccaggio è una pratica, sicuramente dolorosa per il pulcino, che consiste nel tagliarne la parte distale del becco. La mutilazione viene effettuata entro i primi dieci giorni di vita con tecniche varie che vanno dal taglio con una lama cauterizzante riscaldata a circa 700°C, al taglio a freddo, dall’uso dei raggi laser ai raggi infrarossi, dalle bassissime temperature con azoto liquido alla corrente elettrica.
Si tratta di una vera e propria mutilazione, disciplinata per legge (decreto Legislativo 267/200337, in attuazione delle Direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE), peraltro significativamente invalidante, in quanto il becco dei polli è un organo altamente specializzato, sede di organi di senso, che l’animale usa per la ricerca e l’assunzione di cibo, per distribuire sulle penne il grasso della ghiandola della coda e come arma per la difesa e l’offesa.
Se il taglio del becco è una mutilazione dolorosa e invalidante, perché allora viene praticata?
Tutto nasce dalla necessità di allevare le galline adottando sistemi industriali intensivi, allo scopo di produrre le ingenti quantità di uova che il mercato richiede. Nel 2018 nel nostro Paese si sono prodotte più di 12 miliardi di uova, con una tendenza a crescere. Il nostro consumo interno, inferiore alla media europea, è di circa 220 uova pro capite all’anno, direttamente o indirettamente sotto la forma di prodotti dell’industria alimentare.
I sistemi intensivi di allevamento in uso sono i seguenti:
    • In gabbie metalliche di 45 cm di altezza e 750 cm2 di superficie, con almeno 12 cm di mangiatoia disponibili per capo;
    • a terra, con le galline libere in capannoni. Il pavimento è grigliato e lascia cadere le deiezioni nella fossa biologica sottostante. La densità deve essere di 10 capi per m2.
In condizioni fisiologicamente naturali le galline seguono l’istinto di “razzolare” nel terreno, allo scopo di trovare piccoli animaletti di cui cibarsi, oltre all’istinto di stabilire dei rapporti gerarchici fra loro. Se tutto questo risulta impedito dalla cattività in gabbia o dalle elevate densità di animali nei capannoni, le galline vengono fortemente stressate e tendono ad assumere atteggiamenti aggressivi verso sé stesse e verso le altre. In particolare, si verificano episodi di pica delle piume seguiti da cannibalismo. Gli animali si beccano a vicenda sulla testa, sul collo, sul dorso e nella zona della cloaca, provocando ferite sanguinanti che le eccitano ancora di più. Se poi una gallina presenta il prolasso dell’ovidotto, le altre le si accaniscono contro e non le lasciano scampo.
Il taglio del becco è un rimedio non tanto allo stato di stress delle galline, che probabilmente peggiora, quanto alla possibilità di ferirsi l’un l’altra a morte.
Perché, allora, non adottare dei sistemi di allevamento più naturali, meno stressanti, come:
    • l’allevamento all’aperto, nel quale le galline hanno a disposizione un ricovero con mangiatoie e abbeveratoi ed uno spazio aperto dove razzolare. La densità è minore, ma la mortalità è leggermente più alta rispetto all'allevamento in gabbia con un minore produzione di uova;
    • l’allevamento biologico, che segue un proprio disciplinare di produzione e prevede l'utilizzo di razze di galline rustiche. La densità non deve essere superiore i 6 animali per m2 nel ricovero con accesso ad un parchetto esterno (4/m2 per capo) per almeno 1/3 della loro vita. L'alimentazione deve essere effettuata con mangimi biologici.
Evidentemente perché meno produttivi e perché richiedono maggiori investimenti di gestione.
E veniamo ad un'altra curiosità che riguarda le uova: il colore del guscio ha a che fare con la qualità dell’uovo?
Le uova che troviamo sugli scaffali dei mercati nel nostro Paese sono di colore scuro, mentre quelle che troviamo in altri Paesi, sono di regola, bianche. Diciamo subito che non risulta che fra i due tipi di uova ci siano differenze di valore nutrizionale. La preferenza dei consumatori nostrani verso le uova colorate è dovuta alla credenza, ingiustificata, che queste siano più genuine, più naturali e, quindi, più sane. Non è vero ma, stando così le cose, il mercato si adegua.
Il colore del guscio dipende solo ed esclusivamente dalla razza: le galline con piumaggio bianco, come le nostre Livornesi, depongono uova bianche, le galline con piumaggio colorato, come le Rhode Island, depongono uova colorate e, in genere, più pesanti.
Quindi, niente a che fare con la qualità. Però anche il colore del guscio ha a che fare, indirettamente e in parte, con l’argomento “taglio del becco”. Infatti, se il consumatore del nostro Paese predilige le uova colorate, il mercato si adegua e gli allevamenti utilizzano le ovaiole appartenenti a razze dal piumaggio colorato. Questi animali sono più suscettibili di stress da “clausura” rispetto alle galline delle razze bianche e, quindi, più facilmente inclini alle degenerazioni di comportamento come la pica delle piume e il cannibalismo. Da qui la necessità di praticare il taglio del becco negli allevamenti intensivi, cui non si può rinunciare se si vogliono mantenere i livelli produttivi richiesti dal consumo e limitare i costi di gestione.
In conclusione, se vogliamo evitare alle nostre galline la mutilazione del becco, a nostro giudizio si dovrebbe:
    • portare i consumatori a preferire le uova bianche, ovvero gli allevatori a preferire animali dal piumaggio bianco, meno suscettibili di stress da sovraffollamento;
    • adottare, nei limiti delle disponibilità di spazi adeguati, i sistemi di allevamento all’aperto o biologico, anche se più costosi e meno produttivi.
Tutto ciò nei limiti imposti dalle esigenze di mercato e di livelli quantitativi di produzione richiesti.