La mosca delle olive, Bactrocera oleae (Diptera Tephritidae) è, come largamente noto, il principale fitofago limitante le produzioni olivicole nella maggior parte delle aree circummediterranee e per tale motivo è spesso definita “specie chiave” per la difesa fitosanitaria in olivicoltura.
Polivoltina, avente da noi una prima generazione primaverile a carico dei frutti rimasti sulle piante dall’anno precedente e una-tre generazioni estivo-autunnali sui frutti di nuova produzione, B. oleae, che in aree particolarmente favorevoli per clima e disponibilità di olive può avere uno sviluppo continuo durante tutto l’anno, è in grado di causare, in assenza di idonee misure di controllo, perdite di produzione fino al 60-70% ed oltre, tra cascola pre- e post-invaiatura e olive della chioma pesantemente infestate alla raccolta.
La sua dannosità, nota fin dall’antichità e documentata in centinaia di pagine già nel secolo scorso, è sinteticamente ben rappresentata in un articolo di Anna Foà dal titolo emblematico “Una mosca che divora milioni” pubblicato il 7 marzo 1907 sul mensile Il Secolo XX.
La mosca delle olive, nella sua forma adulta, è stata descritta per la prima volta dal nostro Pietro Rossi nel 1790 con il binomio linneano Musca oleae, descrizione pubblicata nel secondo volume della mirabile opera “Fauna Etrusca”.
La bio-eco-etologia e i metodi di controllo di questo dittero tefritide, per lungo tempo ascritto al genere Dacus (da cui l’espressione “infestazione dacica”), trovano ampia trattazione in tutta la letteratura entomologica prodotta dalla fine dell’800 ad oggi. A questo riguardo, oltre a segnalare il database bibliografico Scopus, si ricordano per brevità solo le opere di Berlese (1907), Silvestri (1908), Neuenschwander et al. (1986), Tremblay (1994), AA.VV. (2016) e Petacchi et al. (2023).
La campagna olivicola 2025, analogamente a quella di altre annate (2007, 2014, 2016, 2018) è stata caratterizzata, almeno in Italia centrale, da due scenari congiunti a livello territoriale: produzione di olive relativamente ridotta e pressione dacica relativamente elevata. Quest’ultima ha richiesto per una sua soddisfacente regolazione ripetuti interventi fitosanitari sia in “integrato” che in “biologico”. Nel primo ambito le misure più frequentemente adottate sono consistite in due-tre trattamenti a carattere “curativo” con insetticidi organici di sintesi ad azione ovi-larvicida quali: acetamiprid e flupyradifurone. Nel secondo contesto le più frequenti misure di difesa dalla mosca hanno avuto carattere “preventivo” e sono state rivolte contro gli adulti mediante la ripetuta applicazione di prodotti “deterrenti”, quali: sali di rame, caolino e zeolite, o di mezzi “attract & kill” (A&K), come esche proteiche avvelenate e/o dispositivi ad hoc per il “mass trapping”.
L’utilizzazione in una stessa area olivicola di prodotti deterrenti e di mezzi A&K può sembrare una contraddizione in termini, ma aldilà del fatto che l’impiego in una prima fase estiva dei primi e successivamente dei secondi costituisce da tempo un sistema collaudato di controllo delle popolazioni di mosca, l’uso contemporaneo anche in uno stesso oliveto dei due metodi di lotta contro gli adulti del tefritide appare oggi una strategia di grande interesse per la sua versatilità, in considerazione della variabilità di produzione e di pressione dacica anche all’interno di uno stesso comprensorio olivicolo.
Quest’ultima strategia prende il nome di “push-pull” e tende a sfruttare a nostro favore il comportamento degli adulti, e delle femmine in particolare, che rifuggono da chiome di olivi “coperte” da formulati ad azione deterrente o antideponente o antifeeding e che invece sono richiamati da chiome trattate con sostanze attrattive a base ammoniacale e/o feromonica.
Il sistema push-pull è stato originariamente escogitato e applicato per altri insetti potenzialmente dannosi in altre colture (Pike et al. 1987; Cook et al. 2007; Balaso et al. 2019; Bhattacharyya 2019; Abatea et al. 2024) ed è approdato all’agro-ecosistema oliveto solo di recente (Delrio et al. 2010; Petacchi et al. 2021; Animobono et al. 2025).
Il termine push-pull è stato concepito per la prima volta, per indicare una nuova strategia in seno alla gestione integrata degli insetti nocivi (IPM), da Pyke et al. in Australia nel 1987. Questi autori studiarono l’uso di stimoli repellenti e attrattivi, impiegati in tandem, per manipolare la distribuzione di Helicoverpa spp. (Lepidoptera Noctuidae) nel cotone, e ridurre così la dipendenza dagli insetticidi, a cui le nottue stavano diventando resistenti.
Negli anni ’90 l’International Centre of Insect Physiology and Ecology e la Rothamsted Research definirono e svilupparono questo approccio principalmente a favore dei piccoli agricoltori dell’Africa. Qui la tecnica push-pull risulta focalizzata su una combinazione di consociazioni per allontanare gli insetti dannosi dalla coltura principale e attirarli verso una coltura trappola, riducendo al minimo la necessità di insetticidi organici di sintesi. In questo sistema di interrelazioni, la componente “push” è costituita da una pianta repellente coltivata tra le file della coltura principale al fine di respingere gli insetti target dannosi, mentre la componente “pull” è rappresentata da una pianta attrattiva distribuita lungo il bordo della coltura principale al fine di agire come una pianta trappola. L’azione della pianta repellente, come quella della pianta trappola, è essenzialmente dovuta a sostanze volatili naturali (VOCs) diversamente percepite e interpretate dagli insetti fitofagi e dai loro antagonisti (predatori e parassitoidi). In termini applicativi la strategia push-pull combina una progressiva serie di conoscenze sulle interazioni “pianta ospite / specie fitofaghe / specie antagoniste” con tradizionali pratiche agronomiche come le consociazioni.
Negli ultimi 30 anni il concetto in questione, pur rimanendo parte integrante delle strategie IPM, si è arricchito di nuovi contenuti, obiettivi e ambiti di applicazione, come pure di nuove esigenze di conoscenza degli agro-ecosistemi e della mobilità in essi delle popolazioni entomatiche.
Tornando alla mosca delle olive, mentre il metodo deterrente funziona al meglio quando applicato in oliveti non isolati di dimensioni relativamente modeste e il metodo A&K esprime il massimo delle sue potenzialità in oliveti di grandi dimensioni aventi un basso rapporto tra perimetro e superficie, la strategia push-pull, nella sua polivalenza garantisce un buon controllo della mosca sia in impianti ridotti che estesi. Inoltre, quest’ultimo sistema di lotta, ideale per l’ambito “biologico” grazie all’ammissibilità in esso dei prodotti e mezzi utilizzabili allo scopo, può trovare opportunità di applicazione anche in “integrato”, con il vantaggio di poter qui eseguire anche trattamenti ovi-larvicidi non ammessi in “bio”.
Tale duttilità si estende anche ai diversi modelli olivicoli, nel senso che la strategia push-pull può essere utilmente applicata in impianti a bassa, media, alta e altissima densità. In questi due ultimi casi, il sistema deterrente e quello A&K possono essere distribuiti su fasce alterne più o meno estese.
Ciò detto, siccome gli adulti, e specificatamente le femmine, sanno scegliere in particolare durante i primi voli estivi su quali piante dirigersi in funzione delle cultivar, della carica produttiva delle piante e del grado di sviluppo, dimensione, forma e colore delle drupe, ovvero in funzione della suscettibilità dei frutti all’ovideposizione e allo sviluppo delle larve, in linea generale emerge la convenienza ad applicare alle piante più appetite il metodo A&K e alle piante meno attrattive il metodo deterrente.
Se quest’ultimo metodo ha il limite di non abbattere la popolazione adulta di mosca che per reazione tende a dirigersi su piante non così difese, ovvero più attrattive, il metodo A&K ha il problema che fra l’attrazione degli adulti e il loro abbattimento da parte dei mezzi applicati allo scopo sulle chiome delle piante, c’è una soluzione di continuità temporale durante la quale una frazione di adulti può accoppiarsi e una parte di femmine fecondate può iniziare a ovideporre nei frutti prima di essere uccise o catturate.
In altri termini, l’inibizione del processo di ovideposizione, che rimane l’obiettivo finale, dipende da svariati fattori che nel caso della deterrenza attengono principalmente alle caratteristiche quali-quantitative del formulato utilizzato e alle possibilità di scelta da parte degli adulti di mosca, e nel caso del sistema A&K dal rapporto di attrazione fra mezzi impiegati e frutti idonei all’ovideposizione.
In considerazione dell’importanza demografica della generazione primaverile della mosca, sulle olive rimaste sulle piante dall’anno precedente, in questi ultimi anni è stata presa in considerazione, sia dal punto di vista concettuale che applicativo, l’opportunità di far ricorso a mezzi A&K contro gli adulti (svernanti o provenienti da pupe svernanti) all’origine di detta generazione.
I cambiamenti climatici con i loro molteplici effetti tanto sulla coltura quanto sulle popolazioni di mosca, unitamente alla compresenza in uno stesso territorio di oliveti assai diversi per densità d’impianto e cure colturali, impongono una razionalizzazione del controllo di B. oleae che passi prima di tutto attraverso un monitoraggio accurato e costante sia della popolazione adulta che preimmaginale. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono proprio i sistemi di lotta preventivi, rivolti contro gli adulti, quelli che richiedono maggiore competenza e precisione di rilevamento.
Come tutte le strategie IPM a carattere preventivo, anche la tecnica push-pull potrebbe trovare ampi spazi di verifica fitosanitaria, applicazione e sviluppo in contesti di Area Wide Pest Management, a livello di olivicoltura comprensoriale.
Concludendo si può dire che se da una parte vi è la consapevolezza che nessun metodo di controllo della mosca è universalmente perfetto (zero costi per interventi diretti; zero danni economici), dall’altra dev’esserci la fiducia e l’impegno nella ricerca per il raggiungimento di strumenti di gestione delle sue popolazioni, ecologicamente compatibili ed economicamente sostenibili.
In quest’ottica la tecnica push-pull può, quanto meno nel periodo presente e in contesti olivicoli dell’Italia centrale, contribuire a razionalizzare il controllo del tefritide, limitando nel contempo le ferite di ovideposizione e conseguentemente l’eventuale sviluppo del marciume della drupa causato dal fungo Botryosphaeria dothidea.
Foto: Femmina ovideponente di Bactrocera oleae