Non dimentico il caro Prof. Pietro Catizone, ordinario di agronomia generale e malerbologia all’Università degli Studi di Bologna, che, tanti anni fa, ripeteva a noi, giovani laureandi, queste parole: “Tornate a sfogliare i libri del passato e cercate di applicare le vecchie nozioni in un ottica moderna, perché tutto è stato già detto”.
Conservo sempre questo insegnamento, e in questo semplice scritto che segue mi piace riportare, relativamente alla coltivazione dell’olivo, alcune “vecchie” considerazioni di valenti tecnici del passato. Considerazione che, io per primo, prendo alla lettera ogni qual volta devo coltivare l’olivo o insegnar qualcosa su di esso.
Non nascondo al lettore, inoltre, che, molto spesso, per capire scritti del presente faccio affidamento su libri del passato che, anche se potrebbero sembrare prolissi, sono, invece, particolarmente chiari e “immediati”, a differenza di tanti moderni trattati.
Per parlare di fertilità del suolo, molto bella è la frase dell’agronomo Vincenzo Tanari, nato a Bologna nel 1591 e autore di un trattato di agricoltura (L’economia del cittadino in villa): “La sua misura è data dagli animaletti che vivono nella sua pinguedine e che attirano corvi, storni e piche quando s’ara”. È evidente come il Tanari facesse riferimento alla sostanza organica che, oggi come allora, mancava e manca nel terreno. Dietro gli aratri oggi non ci sono più uccelli che si nutrono di vermetti presenti nella sostanza organica, ma si vede solo polvere come segno tangibile di una sterilità “perpetua” dei terreni.
Sempre rimanendo a parlar di terreno e di fertilità, significativo è un tratto di un volume (La potatura dell’olivo in Toscana, ARSIAL 1999) dell’agronoma toscana Fiammetta Nizzi Grifi, la quale ci ricorda: “Concimare l’oliveto non significa dare solo azoto, fosforo e potassio indistintamente, quanto piuttosto scegliere di distribuire gli elementi che sono necessari per quella realtà olivicola, meglio se in relazione all’annata e, soprattutto, alle altre operazioni effettuate o che si intendono effettuare. E’ un errore non concimare, esattamente così come è un errore concimare tutti gli anni con gli stessi prodotti e con le stesse dosi anche negli oliveti dove è stato effettuato un intervento di potatura, magari di riforma”.
Il rapporto potatura-concimazione è ancora più evidente in un vecchio detto del passato, che così recita: “Fra i due errori- niente potatura con una buona concimazione, niente concimazione con una buona potatura-è preferibile il primo, così come è preferibile il non potare al potate male”.
Rimanendo nel grande capitolo della potatura, è bello iniziare con una frase dell’agronomo algerino Henry Rebour, che ci ricorda: “Il cervello del potatore lavora più del suo braccio”. Oggi, in molte zone olivicole, mancando operai specializzati, si vedono potature effettuate senza cervello e senza braccia!!
E qui non può non venire in mente una riflessione sulle scuole agrarie italiane, ossia se conviene continuare a pensare di creare Istituti Tecnici Superiori o “buone scuole professionali di agricoltura” che preparano validi potatori per questa pianta, destinata, altrimenti, all’abbandono.
Sempre bello l’aforisma del Savastano: “A parte l’andamento delle stagioni, ogni olivicoltore ha l’annata che si prepara”. Il Marinucci (1952), Maestro insigne di olivicoltura, sentenzia: "La potatura non deve essere trascurata: per ogni anno di trascuratezza il danno aumenta di quattro volte”.
Tante sarebbero le cose affascinanti da raccontare su questa pianta, ma, purtroppo, si rischia, poi, di annoiare il lettore. Voglio però concludere questa mia riflessione, dedicata in particolare ai “nuovi” tecnici, con un tratto molto significativo di un piccolo volumetto (“Note sulla potatura dell’olivo”, 1958) del Dott. Italo Iannetti, dell’ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Pescara.
Il buon tecnico Iannetti scriveva: “Come tutte le cose create in natura anche l’olivo ha una sola meta: l’equilibrio. A ogni azione della mano dell’uomo e degli agenti atmosferici esso reagisce soltanto per tal fine, poiché vi tende con tutte le sue energie e perfino accumulando riserve per far fronte a ogni eventuale danno che lo devii dalla linea prefissata. La pianta dell’olivo dicesi ben equilibrata quando raggiunge la sua naturale altezza e le condizioni di equilibrio sono: cime che raggiungono lo stesso livello, uniformità di apparato fogliare su tutta la superficie della chioma, leggerezza di chioma proporzionale alla sua vigorosità e sufficiente legno per la sua impalcatura. Distogliere la pianta dalla sua intima tendenza all’equilibrio significa apportare un tale disagio, per cui essa reagisce perdendo ogni limite di controllo di se stessa e impazzisce fino a squilibrarsi completamente. Dopo tale reazione ritorna cosciente e, quindi, alla sua intima tendenza all’equilibrio e alla sua produttività, impiegando un tempo da cinque a sette anni. Soltanto il malaccorto agricoltore ha la capacità di inveire ancora sulla povera pianta prolungando così il periodo di assestamento e procaccia solo legna da ardere, provocando l’invecchiamento precoce della pianta stessa, se sfruttata in questo senso…”.
Forse è proprio vero che “il giovane corre veloce, ma l’anziano conosce la strada”!!!!