Ferrucci: La politica ambientale internazionale, unionale e nazionale, sulle orme della Scienza, ha da tempo maturato la consapevolezza della duplice importanza della biodiversità, letta, sempre attraverso la lente dell’antropocentrismo, da un lato, in relazione alla gamma di servizi ecosistemici che la stessa fornisce all’uomo, dall’altro al gioco sinergico che la stessa gioca sulla scacchiera della One Health, nella reciproca interconnessione, positiva e negativa, con il climate change. I cultori del Diritto Ambientale hanno attribuito alla creazione degli organismi internazionali, ONU e a cascata, l’UNESCO, e al loro proficuo operare, il primato nelle diverse tappe nelle quali si è snodata la tutela dell’ambiente e della sua componente, la biodiversità. Ho pensato a Te, per la posizione che rivesti all’intero della Rete delle Cattedre UNESCO Italiane e nei contesti Internazionali e per il Tuo prezioso bagaglio di conoscenza della sua attività che lo stesso ha svolto e continua a svolgere per dialogare sui punti salienti del suo operare per la tutela della natura.
Rondinella: Sono onorata per questo invito, Nicoletta, e Ti ringrazio per l’attenzione verso il ruolo dell’UNESCO nella tutela della biodiversità. È importante ricordare che, pur non essendo un’agenzia ambientale in senso stretto, l’UNESCO ha svolto un ruolo pionieristico nel definire i principi e la cultura internazionale della sostenibilità, anticipando di decenni il dibattito globale sui rapporti tra ambiente, società e sviluppo. Già negli anni Settanta, con il Programma “Man and the Biosphere” (MAB), avviato nel 1971, e la creazione della Rete Mondiale delle Riserve della Biosfera, l’UNESCO introdusse un approccio innovativo fondato sull’integrazione tra conservazione della natura e sviluppo umano sostenibile. Un anno dopo, la Convenzione sul Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale (1972) sancì a livello giuridico l’importanza della protezione dei beni naturali di eccezionale valore universale, ponendo le basi di quella che possiamo considerare la prima architettura globale della conservazione. Successivamente, la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale (2003) ha ulteriormente ampliato questa visione, riconoscendo che la tutela della biodiversità passa anche attraverso la salvaguardia dei saperi tradizionali, delle pratiche agricole e delle tecniche artigianali che mantengono vivo il legame tra comunità e ambiente. Un esempio emblematico è proprio la vite ad alberello di Pantelleria, iscritta nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità nel 2014, simbolo di un sapere agricolo modellato sull’armonia con la natura.
Questo percorso si è poi consolidato attraverso strumenti successivi, come la 41 C/Resolution 30 (2021) della Conferenza Generale, che ha riconosciuto il contributo dell’UNESCO all’attuazione del Post-2020 Global Biodiversity Framework adottato a Montreal, e con la Strategia a Medio Termine 2022–2029 (41 C/4), che colloca la biodiversità tra le priorità globali dell’Organizzazione insieme alla transizione ecologica, alla scienza aperta e all’educazione per lo sviluppo sostenibile.
Oggi, attraverso le sue designazioni – dai siti Patrimonio Mondiale alle Riserve della Biosfera, dai Geoparchi Globali alle espressioni del Patrimonio Immateriale, – l’UNESCO contribuisce a tradurre in pratica l’Agenda 2030, promuovendo una visione che intreccia scienza, educazione, cultura e saperi tradizionali, anche grazie al Programma LINKS (Local and Indigenous Knowledge Systems). Un aspetto particolarmente rilevante riguarda i paesaggi culturali iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale, e in particolare quelli di carattere agricolo, che rappresentano l’incontro virtuoso tra biodiversità naturale e biodiversità coltivata. Penso, ad esempio, ai paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, alla Costiera Amalfitana e alle Cinque Terre, dove la struttura dei terrazzamenti testimonia secoli di equilibrio tra uomo e natura. In quest’ottica rientra anche il Parco Nazionale di Pantelleria, Riserva della Biosfera dal 2016, che tutela il paesaggio dei muretti a secco e dei giardini panteschi, simbolo di una coesistenza millenaria tra pratiche agricole e conservazione ecologica. La biodiversità, per l’UNESCO, non è dunque solo un patrimonio biologico da proteggere, ma un elemento di identità, memoria e resilienza: il cuore stesso della relazione equilibrata tra uomo e ambiente.
Ferrucci: Si sta avvicinando il tempo di una importante Conferenza delle Parti, la 30th UN climate conference che si terrà nei giorni 10-21 Novembre 2025 a Belém, Brazil. L’UNESCO parteciperà? E che cosa, a Tuo parere, possiamo aspettarci da questo incontro?
Rondinella: L’UNESCO partecipa regolarmente alle Conferenze delle Parti come agenzia delle Nazioni Unite, in stretta collaborazione con la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e con le altre agenzie del sistema ONU. In occasione della 30ª Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP30), che si terrà a Belém, in Brasile, nel novembre 2025, l’attenzione sarà rivolta in particolare al ruolo delle conoscenze locali e indigene nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici — un tema su cui l’UNESCO vanta una lunga esperienza grazie alla Rete Man and the Biosphere (MAB) e ai programmi sull’educazione allo sviluppo sostenibile. Riconoscere i siti designati dall’UNESCO – dai Patrimoni Mondiali alle Riserve della Biosfera e ai Geoparchi Globali – come piattaforme efficaci per mettere in pratica e testare le misure di attenuazione e adattamento ai cambiamenti climatici sarà un aspetto chiave della COP30. Questi territori rappresentano veri e propri laboratori di resilienza, dove comunità, scienza e governance locale sperimentano soluzioni replicabili su scala globale.
Tra i temi di rilievo del vertice di Belém, oltre alla biodiversità, spiccano anche l’acqua e il caffè, due risorse fortemente simboliche per il Sud del mondo. L’acqua, come elemento vitale e diritto umano universale, è al centro dell’impegno dell’UNESCO attraverso il Programma Idrologico Intergovernativo (IHP) e i World Water Assessment Reports, che promuovono una gestione sostenibile delle risorse idriche in chiave di sicurezza climatica. Il caffè, invece, sarà protagonista come coltura identitaria e paesaggio culturale in diversi Paesi del Sud globale: un prodotto che unisce economia, cultura e biodiversità. L’UNESCO ne valorizza la dimensione sociale e ambientale attraverso le sue Riserve della Biosfera e i Paesaggi Culturali del Patrimonio Mondiale, come nel caso del Paesaggio culturale del caffè in Colombia, esempio emblematico di equilibrio tra produzione, tutela ambientale e identità locale.
In questa prospettiva, è particolarmente significativa l’azione della Principessa Dana Firas di Giordania, Goodwill Ambassador dell’UNESCO per il Patrimonio Culturale e Special Envoy della Climate Heritage Network, che promuove una visione integrata tra tutela del patrimonio, sviluppo sostenibile e azione climatica. Il suo impegno testimonia come la diplomazia culturale possa contribuire a costruire alleanze efficaci nella risposta al cambiamento climatico, riconoscendo il ruolo del patrimonio come risorsa attiva per la resilienza delle comunità.
Mi aspetto che la COP30 di Belém possa segnare un avanzamento concreto nella connessione tra politiche climatiche e tutela della biodiversità, in linea con la visione “One Health – One Planet”. L’auspicio è che si rafforzi il legame tra scienza, educazione e governance territoriale: tre pilastri su cui l’UNESCO ha molto da offrire.
Ferrucci: Nella Sessione romana della COP 16 della Convenzione sulla diversità biologica, tenutasi lo scorso febbraio, si è focalizzata l’attenzione sui meccanismi finanziari necessari a supportare le politiche di intervento sulla biodiversità e realizzare gli ambiziosi obiettivi previsti per il 2030 e per il 2050: in quest’ottica si è evidenziata l’importanza di attivare una sinergia pubblico-privato. L’UNESCO ha fatto mai ricorso a queste forme di parternariato per la protezione dei beni che ha inserito nel patrimonio mondiale dell’umanità?
Rondinella: Assolutamente sì. I partenariati pubblico-privati sono diventati uno strumento fondamentale per mobilitare risorse, innovazione e competenze. L’Organizzazione incoraggia da tempo la cooperazione con attori economici che condividano principi di sostenibilità e responsabilità sociale, riconoscendo che la tutela del patrimonio richiede non solo norme, ma anche alleanze concrete tra istituzioni, imprese e comunità. Tra le iniziative più recenti spicca la UNESCO Earth Network, lanciata nel 2021, che riunisce scienziati, gestori e comunità dei siti naturali del Patrimonio Mondiale, delle Riserve della Biosfera e dei Geoparchi Globali. Si tratta di una piattaforma di cooperazione che promuove soluzioni basate sulla natura, rafforza la resilienza climatica e sostiene la formazione di giovani esperti ambientali in collaborazione con fondazioni private e centri di ricerca. È un modello innovativo di diplomazia scientifica che trasforma la tutela in azione collettiva e partecipata.
Un altro ambito di collaborazione rilevante è quello delle Riserve della Biosfera, dove le partnership pubblico-private favoriscono l’innovazione energetica, la bioeconomia e il turismo sostenibile.
Penso, ad esempio, alla Riserva della Biosfera dell’Appennino Tosco-Emiliano, che ha sviluppato reti di imprese agricole e cooperative per valorizzare produzioni a basso impatto ambientale e promuovere modelli locali di economia verde e autonomia energetica, o alla Riserva del Delta del Po, dove la collaborazione tra istituzioni locali e settore privato sostiene progetti di adattamento climatico e riforestazione delle zone umide. Sul piano internazionale, un caso emblematico è quello del Parco Nazionale di Doñana in Spagna, Patrimonio Mondiale e Riserva della Biosfera, dove la cooperazione tra governo, imprese e centri di ricerca ha portato alla riduzione dei prelievi idrici e all’adozione di modelli di agricoltura sostenibile. In Africa, analoghe iniziative nel Kenya Lake System, sostenute da fondazioni private e organizzazioni locali, hanno dimostrato come la tutela della biodiversità possa generare occupazione, formazione e sviluppo locale.
Ma tra i siti più evocativi e simbolici vorrei ricordare le Dolomiti, Patrimonio Mondiale dal 2009, dove il modello di gestione si fonda su una governance interprovinciale e multilivello, coordinata dalla Fondazione Dolomiti UNESCO, che riunisce Regioni, Province, Parchi e comunità locali. Qui la tutela del paesaggio si intreccia con la ricerca scientifica, la promozione culturale e l’economia della montagna, mostrando come la biodiversità possa convivere con la vita quotidiana e con la presenza umana. Le Dolomiti sono un paesaggio vivente: un esempio straordinario di come l’armonia tra natura e cultura possa trasformarsi in un progetto di futuro condiviso.
L’obiettivo, per l’UNESCO, non è soltanto proteggere, ma rigenerare: fare della biodiversità e del patrimonio strumenti di sviluppo territoriale, coesione sociale e diplomazia ambientale, in cui la collaborazione tra istituzioni, ricerca e impresa diventa una leva di pace e di progresso sostenibile.
Come ha ricordato António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, aprendo la COP16 sulla Biodiversità a Cali nel 2024, “Nature is life — and yet we are waging a war against it. A war where there can be no winner” . È una riflessione che riassume con forza il senso del nostro impegno comune: riconciliare l’uomo con la natura per garantire un futuro possibile alle generazioni che verranno.
Fonte foto: Unesco