Un esempio ancestrale di conoscenza: il leccio produttore di ghiande dolci

L'analisi del metaboloma ha rivelato composti con elevato valore nutraceutico. L’elevato contenuto fenolico riscontrato, poiché correlato all'attività antiossidante, conferma le potenzialità in termini di effetti cardioprotettivi, antitumorali, antiallergici, antimicrobici e antinfiammatori.

di Michele Puxeddu
  • 22 October 2025

Un recente studio pubblicato sulla rivista "Future foods" (Tienda-Parrilla M. et al., 2025, Phytochemical and metabolomics analysis of Quercus ilex acorns reveals substantial intraspecific variation, high nutritional and nutraceutical potential and rich associated microbiome. https://doi.org/10.1016/j.fufo.2025.100754), condotto attraverso analisi di tratti dimensionali, di analisi fitochimiche nonché metabolomiche di ghiande di leccio (Quercus ilex L.), raccolte su singole piante in differenti regioni della Spagna, ha consentito di individuare due gruppi principali di queste di cui il primo caratterizzato da frutti (acheni) di grandi dimensioni (subsp. ballota (Desf.) Samp) e da un leggero sapore amaro, così come valutato soggettivamente in base alle conoscenze tradizionali fornite dalla popolazione locale, mentre il secondo tipizzato da frutti di medie dimensioni (1,5 – 2 cm) e con un elevato sapore amaro.
Tra le caratteristiche degne di nota figurano l'elevato contenuto di amido, la predominanza di acidi grassi insaturi e livelli elevati di calcio e sodio. L'analisi del metaboloma, tecnica di elezione per gli studi sulla frutta secca e altri alimenti di origine vegetale, ha rivelato composti con elevato valore nutraceutico. L’elevato contenuto fenolico riscontrato, poiché correlato all'attività antiossidante, conferma le potenzialità in termini di effetti cardioprotettivi, antitumorali, antiallergici, antimicrobici e antinfiammatori. Uno dei risultati più sorprendenti dell'analisi metabolomica, è stata l'identificazione di numerosi metaboliti complessi provenienti da funghi o batteri. Un numero considerevole di metaboliti di origine microbica rivela inoltre un microbioma associato ai semi diversificato che conferma l’importante ruolo nella germinazione, nella crescita, nelle risposte allo stress e, in ultima analisi, nella sopravvivenza delle piante.
Questi risultati evidenziano il potenziale nutrizionale delle ghiande di leccio peraltro ben conosciuto fin dalla preistoria e tutt’ora in uso in popolazioni mediterranee e caucasiche.
In Sardegna, per esempio, un altro recente studio pubblicato sulla rivista "Environments" (Soddu Pirellas A. et al., 2024, Collaborative Monitoring of Plant Biodiversity and Research on Sweet Acorn Oaks within Paths of Knowledge and Sustainability Education. https://doi.org/10.3390/environments11030059) e sviluppato attraverso campionamenti  random su transect in foreste in uso collettivo, nei Comuni di Baunei ed Urzulei (OG), ad alta naturalità, rientranti nella serie sarda dell’Aceri monspessulani-quercetum ilicis, e concentratosi sulla variabilità di tratti somatici e biochimici di foglie e frutti di leccio, ha rivelato la presenza di piante caratterizzate da ghiande così dette ”dolci”  a maturazione precoce (viraggio del colore da verde a bruno marrone)  e da foglie di dimensioni ridotte rispetto ai valori medi della popolazione (3 – 7 cm). Queste ghiande si distinguono anche per l’elevato quantitativo di antiossidanti, di acidi grassi essenziali e metaboliti secondari, preziosi per la nutrizione e per la salute a conferma, dunque, dell’uso storico della raccolta delle ghiande “dolci” a scopo alimentare da parte dell’uomo al di là del suo utilizzo primario nell'alimentazione animale destinato soprattutto ai suini e caprini di razze indigene.
Questo uso, noto alle popolazioni locali e regolato, in Sardegna,  fin dal 1392 nella Carta De Logu, promulgata dalla Giudicessa Eleonora d’Arborea, era rivolto in particolare alla preparazione di un pane (cosidetto “pan’e ispeli ”) che le famiglie, nei periodi di maggiore carestia, confezionavano aggiungendo piccole quantità di terra rossa (“troccu” in lingua sarda), residuo insolubile delle rocce calcaree proveniente da idrogeli di Fe ed Al  ma anche da argille illitiche e caolinitiche già contenute nella roccia madre (Typic Rodoxeralf e Lithic Rodoxeralf) che veniva impiegata soprattutto in funzione di tampone all’eccesso di tannini e per assicurare un senso di relativa sazietà dopo il pasto. Il contemporaneo utilizzo di ghiande e terra rossa a fini alimentari si caratterizza di fatto anche quale particolare esempio di geofagia proprio di antiche civiltà che d’altra parte oggi resiste in questi comuni ormai solo a scopi rievocativi.
Del resto, questo uso tradizionale delle ghiande dolci è stato messo in relazione anche con l’età avanzata della popolazione nell’ambito di sistemi alimentari tipici della dieta mediterranea. L’area della Sardegna centro-orientale, l’Ogliastra, già da diversi anni ricompresa tra le Blue Zones, con un indice altissimo di longevità, è stato ricondotto anche alla dieta alimentare. La longevità veniva confortata in primis da dati documentali dei registri custoditi negli archivi ecclesiastici dal XVI secolo in poi e, a partire dalla seconda metà del XIX, negli archivi dei comuni di Arzana, Baunei, Talana, Urzulei e Villagrande. E’ emerso in particolare che l’alimentazione era associata all’elevatissima biodiversità vegetale naturale e quindi ad usi alimentari di molte specie, apprezzate da parte delle popolazioni, che oggi, a maggior ragione, potrebbero svolgere un ruolo cruciale nel migliorare la sicurezza alimentare e la resilienza contro gli stress biotici e abiotici.
E’ evidente l’importanza di ciò sia come esempio ancestrale di conoscenza delle loro proprietà funzionali e bioattive, sia per la rilevanza ecologica che le strategie di conservazione dovrebbero considerare nell’ambito di una gestione sostenibile del territorio al fine di preservare i popolamenti vegetali più significativi da questo punto di vista.