“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: Le conseguenze delle recenti e ripetute catastrofiche alluvioni

Dialogo con Gilmo Vianello – Professore Ordinario, Università di Bologna, Vice Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura

di Marcello Pagliai e Gilmo Vianello
  • 01 October 2025

Pagliai – Dalle colonne di questo notiziario abbiamo più volte sostenuto che l’abbandono delle aree marginali collinari e montante e il conseguente abbandono di quelle pazienti e faticose opere di manutenzione del territorio e di regimazione delle acque e la crisi climatica in corso sono le cause scatenanti delle catastrofiche alluvioni, ormai non più eccezionali ma drammaticamente continue e diffuse su tutto il territorio nazionale. Abbiamo più volte ribadito che l’agricoltura è l’ultimo baluardo per il presidio del territorio. Anche la tua regione, caro Gilmo, l’Emilia Romagna ne è stata duramente colpita e ha veramente messo in ginocchio gli agricoltori, già vittime della crisi del settore, tanto che non si riesce a rimarginare le ferite prodotte da quelle inondazioni di fango. Proprio per questo credo sia opportuno capire le dinamiche di questi processi erosivi che si innescano dalla montagna e dalla collina con peculiari caratteristiche pedologiche e litologiche. So che tu sei molto attivo su queste tematiche, puoi illustrarci queste dinamiche strettamente legate al suolo, o meglio, ai tipi di suolo? 

Vianello – In concomitanza degli eventi degli ultimi anni, oltre alle città gravemente danneggiate, numerose frane sono avvenute nei terreni collinari e gli allagamenti hanno colpito enormi distese di terreni agricoli, aumentando le preoccupazioni degli agricoltori, ormai soggetti sia alla siccità che alle alluvioni, con rilevantissime perdite di produzioni. Per spiegare tali fenomeni vengono spesso utilizzati termini non appropriati del tipo “cambiamenti climatici” ed “eventi eccezionali”; in realtà, a meno di cataclismi geotettonici, il clima non “cambia”, bensì “varia” nel tempo regolato dai cicli terrestri. Oggi, come già avvenuto nei precedenti intervalli interglaciali pleistocenici, le temperature stanno aumentando e non si è in grado di prevederne i picchi temporali, ma tale incremento, concatenato all’Effetto Serra e al riscaldamento di aria e oceani, sta modificando il regime delle piogge. Questo porta, dunque, al ripetersi di fenomeni avvenuti anche in tempi relativamente recenti: tra i più disastrosi le inondazioni del 1917 in Lombardia e i dissesti del 1939 che colpirono molte zone della Romagna e delle Marche, l’alluvione del 1951 causata dalle acque del fiume Po che interessò i due terzi della provincia di Rovigo e quella di Firenze nel 1966 per la tracimazione dell’Arno; gli eventi che si sono verificati nel 2023 e nel 2024 vanno considerato devastanti, ma non eccezionali. In Italia, dal dopoguerra a oggi, la popolazione è cresciuta e con essa l’esigenza di insediamenti residenziali e produttivi, il che ha incautamente portato ad occupare luoghi a rischio idrogeologico, a ridurre la sezione degli alvei fluviali, nella errata convinzione che gli argini fossero in grado di contenere le piene dei corsi d’acqua, riducendone la manutenzione. Oggi le soluzioni idrauliche proposte puntano al consolidamento degli argini e alla realizzazione di nuove opere di laminazione, tuttavia, viene tenuto in scarso conto il fatto che i depositi legnosi che ingombrano gli alvei dei corsi d’acqua, di cui si fa divieto di asporto durante i periodi di secca, vengono riversati a valle nei momenti di piena creando spesso delle vere e proprie dighe, per lo più in corrispondenza delle arcate dei ponti, tali da modificare il regolare deflusso delle acque con il risultato di provocare tracimazioni e rottura delle arginature. Dunque, la forte antropizzazione e il consumo di suolo avvenuti in Italia, si sono andati ad unire alla fragilità di molte zone, in particolare della Pianura Padana (storicamente alluvionale), che hanno fatto collassare le opere di salvaguardia del territorio ormai inadeguate su tutto il territorio nazionale. 

Pagliai – Si, la fragilità di molte zone è stata troppo spesso sottovalutata soprattutto per la scarsa attenzione che si è dato all’importanza del suolo e alle sue caratteristiche peculiari; poi, certo, la forte antropizzazione e il consumo di suolo che, nonostante tutti gli allarmi lanciati sui suoi effetti deleteri, non si riesce in alcun modo ad invertire la tendenza. È del tutto evidente che in questa situazione gli eventi estremi non sono più eccezionali ma stanno diventando la regola e allora quali sono le conseguenze in quel particolare areale vista anche la peculiarità della composizione dei sedimenti che arrivano in pianura?

Vianello – Nelle zone collinari e montane, si è potuto osservare come il suolo sia soggetto a preoccupanti forme dapprima di erosione diffusa, e successivamente incanalata, che si sviluppano su terreni agricoli acclivi lavorati a seminativo e di conseguenza per lunghi periodi non coperti da vegetazione. Tutto ciò è il risultato di una errata politica contro la zootecnica, con la progressiva perdita di prati inerbiti e prati–pascoli permanenti.
I sedimenti rimossi dall’erosione delle formazioni litologiche dei versanti collinari sono stati riversati negli alvei dei corsi d’acqua aumentandone la portata torbida. Generalmente i sedimenti di torbida presentano una tessitura limosa preponderante e significativi contenuti in carbonati a conferma della loro origine marnosa e pelitica. I sedimenti che si sono depositati sui suoli agrari della pianura hanno variato di spessore a seconda della distanza dal luogo di esondazione e in funzione della micro morfologia; in molti casi le deposizioni hanno superato i 10 cm di spessore specialmente in corrispondenza di aree morfologicamente depresse. Allo stato di secchezza creano una crosta superficiale, mentre allo stato umido formano una fanghiglia con capacità di drenaggio molto limitato che provoca ristagni idrici consistenti durante le forti piogge e nel caso di irrigazione. La mancanza di linee guida, che avrebbero dovuto consigliare l’asporto di tali sedimenti, ha indotto gli operatori agricoli a rimescolare i sedimenti con i suoli agrari sepolti mediante arature mediamente profonde. Il risultato è che questi nuovi antrosuoli (suoli nei quali l'attività umana si manifesta attraverso una profonda modificazione o seppellimento degli orizzonti del suolo stesso) mostrano a tutt’oggi difficoltà di drenaggio, impedimento all’infiltrazione, incrostamento e carenza di sostanza organica. Ancora una volta il suolo è stato ingiustamente considerato una superficie “anonima”, caso mai in attesa di utilizzazione urbanistica, senza comprendere che un suolo interessato da eventi alluvionali è soggetto a perdita di stabilità strutturale, il che comporta un degrado della sua fertilità naturale che si riflette su un progressivo calo delle produzioni agricole. 

Pagliai – Noi pedologi abbiamo sempre sottolineato che i processi nel suolo avvengono nel lungo termine e per questo citiamo il detto che “il suolo non è nostro ma l’abbiamo in prestito dalle nuove generazioni”. Ma in questo caso urgono quanto mai azioni di rapida efficacia e allora cosa fare nell’immediato futuro?   

Vianello – Un contrasto efficace all’erosione dei versanti dovrebbe riguardare la regolamentazione delle attività agricole su territori che superano il 20/25% di acclività, limitando la profondità delle lavorazioni meccaniche, ripristinando coltivazioni che assicurino la copertura vegetale e, dove possibile, reintroducendo una zootecnia a pascolo libero. Nei casi di coltivazioni arboree, prive di sistemazioni adeguate (muretti a secco, viminate, drenaggi, ecc.), si dovrebbero prevedere interventi sistematori dei pendii con l’ausilio di tecniche di ingegneria naturalistica tali da evitare ristagni idrici e, nel caso di nuovi impianti, valutare il grado di vocazionalità dei suoli ad una determina coltura. Sotto copertura arborea e su versanti inerbiti una buona gestione del suolo ne migliora l’attività microbiologica, ne favorisce il sequestro del carbonio, contribuisce alla sua stabilità di struttura essenziale per contrastare le forme di erosione superficiale. Nel caso di nuove deposizioni di sedimenti di torbida nei territori di pianura sarà necessario o asportare tali materiali oppure procedere alla loro ricostituzione mediante pedotecniche innovative che già sperimentate hanno fornito significativi risultati di recupero agronomico e produttivo. Come esempio l’utilizzo di fanghi di cartiera come ammendanti di suoli e sedimenti i cui risultati sono stati illustrati nell’ambito del convegno “From the floods impact to alluvial soils reclamation” (Imola, 2-4 luglio 2024) dalla Dott.ssa Bretzel del CNR-IRET di Pisa e dal Dott. Manfredi di MCM Ecosistemi di Piacenza; nel primo caso per migliorare la fertilità di suoli dedicati alla floricoltura di serra, nell’altro per il recupero di vaste aree degradate per coltivazioni estensive. I danni causati dalle esondazioni non devono far dimenticare che già da tempo la maggior parte dei suoli delle pianure italiane, come del resto quelle europee, presentano contenuti in carbonio organico ben al di sotto dell’1 per cento, soglia minima per garantire una produttività agricola sostenibile. Di conseguenza l’opportunità di tecniche in grado di migliorare la struttura del suolo e di incrementarne il contenuto in sostanza organica dovrebbe venire sperimentata più diffusamente con i dovuti controlli di sicurezza e di qualità.