Ranalli: Sono consapevole, Massimo, di rivolgerti una domanda tranchant e che la risposta si collochi tra le due opzioni. Cerchiamo, allora, di delineare un quadro aggiornato delle filiere di questo comparto. Indubbiamente, le biomasse agricole rappresentano una realtà con un potenziale significativo, ma la loro piena integrazione nel sistema energetico italiano non è priva di sfide: non può essere considerata una soluzione "magica" e neppure una "chimera" irraggiungibile. Cosa ne pensi?
Iannetta: Le biomasse sono una opportunità che ha avuto grande attenzione a partire dagli anni ‘80, ma se escludiamo il parziale successo della filiera del biogas e lo sviluppo di alcune filiere legno-energia, non hanno trovato nel nostro paese lo sviluppo che i potenziali in gioco lasciavano presupporre. Nonostante gli investimenti in ricerca e le misure specifiche dei PSR delle precedenti programmazioni, le biomasse per energia hanno visto uno sviluppo limitato ad alcune iniziative e ad alcune tipologie aziendali. Sono tre i pilastri che possono contribuire positivamente al connubio agricoltura-energia:
- Le bioenergie, se ottenute dalla valorizzazione di residui agricoli, zootecnici e agroindustriali, rappresentano un esempio concreto di economia circolare.
- L'agrivoltaico, che, integrando impianti fotovoltaici con l’attività agricola, permette di ottimizzare l’uso del suolo, combinando la generazione di energia rinnovabile con la coltivazione di piante o l’allevamento.
- Le comunità energetiche, modelli di autogestione che coinvolgono cittadini, imprese e agricoltori nella produzione e condivisione di energia rinnovabile a chilometro zero.
Le tecnologie di evoluzione assistita (TEA) rappresentano un’opportunità per tutto il comparto agricolo grazie alla loro potenzialità di intervenire in maniera puntuale nelle regioni del DNA che sono responsabili del controllo di caratteri di interesse agrario, mimando ciò che può avvenire naturalmente.
Dal 2012, quando Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna sfruttarono il sistema di difesa naturale dei batteri per introdurre modifiche specifiche nel genoma di organismi più complessi, come animali e piante, al 2020, quando la loro grande intuizione venne riconosciuta attraverso il conferimento del premio Nobel per la Chimica, ad oggi, le TEA hanno fatto rilevanti progressi: sono diventate tecnologie di uso comune in numerosi laboratori di genetica e sono applicate a piante di interesse agrario, industriale ed ornamentale.
Ciononostante, le TEA non sono né saranno la panacea di tutti i mali, né tantomeno sono applicabili a qualsiasi specie, con la stessa semplicità ed efficienza. La sequenza genica responsabile del carattere da migliorare non è sempre nota, così come non è detto che la varietà di interesse, una volta che alcune sue cellule sono state editate, sia capace di rigenerare e dar vita ad una pianta completa. Se da un lato non si può generalizzare sostenendo che le specie erbacee ed ortive siano più facili, dall’altro è certo che le specie arboree da frutto, come agrumi e vite, presentino alcuni fattori che rallentano l’utilizzo delle TEA. Quando l’obiettivo è migliorare la qualità dei frutti e si deve usare materiale proveniente da espianti giovani da coltura in vitro (es. epicotili, foglie, protoplasti), i tempi di attesa possono essere davvero lunghi. Questo perché le specie arboree possono mantenere caratteri di giovanilità (incapacità di passare alla fase riproduttiva) fino a 10 anni. Inoltre, non è possibile ricorrere al reincrocio per segregare (quindi, eliminare) la cassetta contenente la Cas (elemento cardine del genome editing insieme al CRISPR), la cui permanenza dentro la pianta la renderebbe un organismo geneticamente modificato (OGM).
Ma facciamo un po’ di chiarezza: non che sia materialmente impossibile reincrociare due piante di agrumi oppure di vite; in realtà è un processo fattibile, e non sarebbe tanto diverso da un comune altro incrocio su cui si basa il miglioramento genetico tradizionale. Il problema è che si darà vita ad una pianta molto diversa da quella originaria, tanto da perdere l’identità genetica con, inoltre, tempi di attesa molto lunghi.
In un’epoca segnata dalla crescente consapevolezza dell’urgenza ecologica, stupisce – e al tempo stesso addolora – osservare come la questione del verde urbano, anziché rappresentare un terreno fertile per il dialogo e la co-costruzione di politiche pubbliche lungimiranti, si trasformi sempre più frequentemente in un’arena di scontro ideologico e strumentale.