I ratti sono un alimento base in Cambogia, Laos, Myanmar, parti delle
Filippine e Indonesia, Tailandia, Ghana, Cina e Vietnam. In Sud e Centro
America diverse specie di roditori sono molto apprezzate in cucina
anche in preparazioni gastronomiche e alcune specie sono allevate in
modo simile a maiali, bovini e altri animali domestici. In alcuni paesi
asiatici la carne di roditori è nei supermercati e nelle Filippine le
carni di ratti in scatola sono venduti con la sigla STAR (rats scritto al contrario).
Agli inizi del mese di luglio l’industria dell’acqua minerale e delle bevande gassate si è trovata a corto di anidride carbonica di grado alimentare e alle crisi e carenze che hanno caratterizzato l’estate 2022 si è aggiunto l’allarme per l’acqua gassata.
Sembra una piccolezza e per certi versi di fronte a difficoltà ben più importanti lo è sicuramente, ma la storia delle bevande gassate e delle bollicine ha radici antiche e come è avvenuto anche per molti altri “piaceri” mascherati da benefici, si è intrecciata ai suoi esordi con quella della farmacia.
Negli ultimi mesi il legislatore nazionale ha emanato due diverse leggi
con l’intento di arricchire la disciplina normativa in tema di “filiera
corta”, agevolando e valorizzando, da un lato, l’acquisto dei prodotti
agroalimentari locali e, dall’altro, i prodotti “a chilometro zero”.
Dapprima,
in data 22 aprile 2022, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale (G.U.
Serie Generale n. 94 del 22.4.2022) la nuova legge n. 30 del 1 aprile
2022, recante “Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale” (
“P.P.L.”) composta da quattordici articoli, volta a promuovere e
valorizzare la produzione, la trasformazione e la vendita, da parte
degli imprenditori agricoli e ittici, di limitati quantitativi di
prodotti alimentari primari e trasformati, di origine animale o vegetale
“ottenuti a partire da produzioni aziendali, riconoscibili da una
specifica indicazione in etichetta”, fatte salve le disposizioni già
vigenti in materia di vendita diretta al dettaglio da parte degli
imprenditori agricoli.
Con la dizione PPL, in particolare, si definiscono
“i prodotti agricoli di origine animale o vegetale primari o ottenuti
dalla trasformazione di materie prime derivanti da coltivazione o
allevamento svolti esclusivamente sui terreni di pertinenza
dell'azienda, destinati all'alimentazione umana, ottenuti presso
un'azienda agricola o ittica, destinati, in limitate quantità in termini
assoluti, al consumo immediato e alla vendita diretta al consumatore
finale nell'ambito della provincia in cui si trova la sede di produzione
e delle province contermini”.
Le PPL, per essere definite tali, devono rispettare un insieme di principi cardine, dettagliatamente individuati all’art. 1. In particolare:
a) il principio della salubrità, in quanto tali produzioni devono attenersi ai requisiti di sicurezza igienico-sanitaria per l’alimento prodotto. In quest’ottica, è interessante rilevare che, ai sensi dell’art. 1, co. 3 della medesima normativa, i prodotti ottenuti da carni di animali provenienti da aziende agricole devono derivare da animali regolarmente macellati in un macello registrato o riconosciuto che abbia la propria sede nell’ambito della provincia in cui si trova la sede di produzione e delle province contermini.
b) il principio della localizzazione, secondo cui è possibile commercializzare, in ambito locale, i prodotti che derivano esclusivamente dalla propria produzione primaria;
c) il principio della limitatezza, secondo cui è possibile produrre e commercializzare esclusivamente ridotte quantità di alimenti in termini assoluti;
d) il principio della specificità, che consente di produrre e commercializzare esclusivamente le tipologie di prodotti individuate per mezzo del decreto MIPAAF, rientranti nel c.d. “paniere PPL”.
Dott. Pecchioni, il grano è diventato un elemento chiave del
conflitto scoppiato il 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina.
Si rischia una tragedia mondiale, a partire dai Paesi in via di
sviluppo. In Italia, anch'essa dipendente dalle importazioni di cereali
dall'Est, non sarà facile sopperire alle limitazioni dell’import da
Ucraina e Russia, anche perché mancano terreni e i costi dei
fertilizzanti sono alti. Potrebbe dirci se lo stato della ricerca
attuale nel settore cerealicolo è tale da permetterci di aumentare la
nostra produttività e in quali tempi?
In questo momento anche
l'opinione pubblica e i media si stanno accorgendo di quanto sia noto
da molto tempo agli addetti ai lavori, cioè che la sicurezza alimentare
intesa come "food security", cioè sicurezza di approvvigionamento, sia
un asset strategico molto delicato per l'Italia e per l'Europa. Questo è
un bene da un certo punto di vista, perché noi tutti ricercatori e
addetti ai lavori speriamo che il decisore politico si accorga sia
dell'importanza del comparto agri-food, e non solo per la sua parte
industriale, che della gravità del continuo consumo di suolo, che deve
essere arrestato definitivamente nel nostro paese.
La ricerca oggi ci
può consentire di aumentare la produttività cerealicola senza pesare
sulle risorse energetiche e ambientali. Per arrivare al risultato è
necessario integrare e trasferire un'ampia serie di risultati ottenuti
negli ultimi dieci anni dalle diverse discipline scientifiche.
Trasferire alle aziende la capacità di intensificazione sostenibile,
grazie ad un uso preciso degli input nella coltivazione, non esclusa
l'acqua, trasferire al miglioramento varietale tecnologie di "speed
breeding", o di generazione accelerata, per raggiungere in minor tempo
successi genetici, nonché tecnologie di selezione genomica e di guida
molecolare alla selezione che si basano su conoscenze del genoma dei
cereali; nonché trasferire al miglioramento varietale le potenzialità
del genome editing, o inserimento di mutazioni mirate, oggi chiamate in
Italia con il nome di TEA o Tecnologie di Evoluzione Assistita.
Tom Gleeson et al. (2020) in un recente articolo intitolato “La
dimensione planetaria dell'acqua: analisi e revisione” afferma che il
quadro dei confini planetari propone delle barriere quantificate alla
modifica umana dei processi ambientali globali che regolano la stabilità
del pianeta. Detto quadro d’insieme è stato considerato in termini di
sostenibilità, nella governance e nella gestione aziendale. Il limite
all'uso umano dell'acqua dolce è stato criticato come singolare misura
che non tiene conto di tutti i tipi di interazione umana con il
complesso ciclo globale dell'acqua e il Sistema Terra. Si suggerisce che
il confine planetario dell'acqua renderà questo limite scientificamente
più solido e più utile nei quadri decisionali se viene riprogettato
considerando più specificamente come il clima e gli ecosistemi viventi
rispondono ai cambiamenti nelle diverse forme terrestri di acqua: acqua
atmosferica, acqua ghiacciata, acque sotterranee, umidità del suolo e
acque superficiali. Lo studio di Gleeson et al. fornisce un'ambiziosa
roadmap scientifica per definire un nuovo confine planetario dell’acqua
composto da sottoconfini che rappresentano una varietà di cambiamenti
nel ciclo dell'acqua.
Si consiglia la lettura di questo articolo per avere un’idea della complessità della questione “acqua”.
Ai sensi del regolamento UE sui Novel Food, il 10 febbraio scorso la Commissione europea ha autorizzato anche la commercializzazione del Grillo domestico, Acheta domesticus (Linnaeus, 1758), e il suo utilizzo per l’alimentazione umana.
Il Grillide era ritenuto in passato una sorta di nume tutelare della casa e la sua presenza era di buon auspicio in quanto incarnazione delle anime dei defunti; è stato oggetto di leggende e credenze popolari; inoltre ha ispirato importanti scrittori, come Dickens, ed è noto soprattutto grazie al Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi che, nel libro Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, gli fa impersonare la voce della coscienza che tenta di guidare Pinocchio il quale, stufo dei suoi rimproveri, gli lancia un martello schiacciandolo.
I polli preferiscono mangiare in piena luce perché riescono a riconoscere e, quindi a scegliere, gli alimenti migliori, valutandone visivamente le caratteristiche di colore, forma e consistenza. E non solo i polli. Lo sanno bene gli allevatori che regolano la durata e l’intensità dell’illuminazione nei capannoni per la massima efficienza di conversione alimentare e prestazioni produttive.
Ma è della massima importanza anche il tipo ed il colore della luce, come dimostrano alcune prove sperimentali (Kim et al., 2013. Poultry Sci., 92: 1461; Parvin et al., 2014. World’s Poultry Sci. J., 70: 542 e 557).
Dottoressa Mammuccini, il recente rapporto Onu “Global Land Outlook 2” sull’uso del suolo, lancia un chiaro allarme e sottolinea il ruolo, tutt’altro che positivo, del sistema della produzione alimentare sul degrado delle terre. Ad oggi, l’uomo avrebbe alterato il 70% del suolo su cui ha messo piede e ne avrebbe degradato fino al 40%, in tanti modi: la deforestazione, l’agricoltura intensiva, gli incendi, il consumo di suolo, l’inquinamento chimico, le guerre, la costruzione di infrastrutture. Ma senza un suolo sano non si può produrre alimenti. Siamo veramente a un punto di non ritorno?
Senza un suolo sano non c’è agricoltura. Nel momento in cui la crisi internazionale mette al centro il tema dell’approvvigionamento del cibo, occorre riportare l’attenzione su questa risorsa necessaria e non rinnovabile da cui dipende oltre il 95% della produzione agroalimentare. Il suolo è fonte di vita. Rappresenta una risorsa preziosa dove si concentra il 90% della biodiversità del pianeta in termini di organismi viventi. Senza un suolo sano non è possibile avere cibi sani e acqua pulita.
Il suolo impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa per inquinamento o desertificazione e la FAO avverte che la vitalità del suolo, che si traduce soprattutto nella presenza di miliardi di microrganismi per centimetro quadrato, è messa a rischio anche dalle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in agricoltura.
A questo proposito nell’ultimo anno FederBio ha avviato una campagna di sensibilizzazione patrocinata dall’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – che ha attraversato l’Italia per verificare il contenuto di sostanze chimiche di sintesi nei campi coltivati, mettendo a confronto suoli convenzionali con suoli biologici. Da nord a sud sono stati analizzati 12 terreni agricoli convenzionali comparandoli con altrettanti suoli biologici contigui e adibiti alle stesse colture, in un monitoraggio a carattere dimostrativo.
I risultati della campagna dimostrano che i campi coltivati con il metodo biologico in termini di residui di sostanze chimiche sono decisamente migliori rispetto a quelli coltivati in convenzionale a conferma che il bio è un metodo di produzione che contribuisce alla tutela del suolo e della biodiversità. Per questo è importante non solo far crescere i terreni coltivati con il metodo bio ma anche diffondere le pratiche agroecologiche di cura del suolo al resto dell’agricoltura supportando gli agricoltori nell’adozione di tali innovazioni.
È opinione comune che le cucine dei paesi caldi facciano largo uso di spezie e ci si sta chiedendo se il cambiamento climatico in atto possa portarci a cucine più speziate. Considerazione non oziosa pensando che in Italia il maggior consumo di spezie si ebbe durante il periodo caldo romano (optimum climatico romano tra il 250 a. C. circa al 400 d. C.) e nel periodo medievale fino al Quattrocento quando un clima permise la coltivazione soprattutto nell’Europa settentrionale e l’espansione verso Nord di foreste là dove prima c’erano solo ghiacciai.
La Prof. Maria Lisa Clodoveo del Dipartimento Interdisciplinare di Medicina dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro è stata incaricata dall’ Associane Italiana Frantoiani Italiani – AIFO e dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa- CNA di rappresentarli, il 6 Luglio 2022, nell’Audizione presso la Commissione 9^ Agricoltura e produzione agroalimentare del Senato della Repubblica sulle problematiche connesse alla realizzazione di un nuovo piano per l’olivicoltura.
In questi mesi l’università degli Studi di Firenze, nello specifico i Dipartimenti di Biologia e di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari e Ambientali e Forestali (DAGRI) e il Consorzio di Bonifica 3 Medio Valdarno, hanno dato vita ad un progetto che prevede il recupero di aree perifluviali con due finalità principali: aumentare la biodiversità delle aree perifluviali nel reticolo di competenza del Consorzio e creare un habitat più consono per gli insetti impollinatori e, in particolare, per le api selvatiche.
La sperimentazione, che durerà almeno tre anni, è la prima di questo tipo in Europa, in particolare perché i ricercatori si impegnano a valutarne gli effetti, mettendo a disposizione uno sforzo scientifico ingente, sia sul campo che in laboratorio, grazie al coordinamento della Prof.ssa Francesca Romana Dani e di Oana Catalina Moldoveanu, dottoranda presso il dipartimento di Biologia aiutata da Martino Maggioni, tesista di Laurea magistrale.
La presenza di api selvatiche si è molto ridotta negli ultimi anni e sono necessari ancora studi specifici che ne rivelino la presenza nei nostri ambienti. “In Europa ci sono ben 2.000 specie e solo in Italia” – afferma la professoressa Dani – “dove le biodiversità tendono ad essere più numerose, ne abbiamo quasi 1.100. Riuscire ad avere dati sui trend di popolazione diventa complicatissimo. Per molte specie addirittura non abbiamo nessun dato. Bisogna fare molta attenzione quindi prima di affermare che ci sono specie in via di estinzione. Va detto anche che, studiando le informazioni di alcune specie più conosciute, il fenomeno della diminuzione è evidente e innegabile. Questa è causata da vari fattori, quali i cambiamenti nell’uso del suolo, dalla riduzione di aree aperte dovuta all’espansione delle aree urbanizzate e, paradossalmente, dall’abbandono delle superfici coltivate e conseguente crescita di una copertura arbustiva e arborea che le api non amano, perché a loro servono spazi aperti con fioriture”.
Si è provveduto ad un’accurata indagine sull’andamento delle colture agrarie nelle tre regioni, Puglia, Basilicata e Molise, afferenti alla sezione Sud-Est. È da premettere che per le differenti condizioni pedoclimatiche, le tre regioni sono molto diverse tra loro nell’andamento climatico e quindi negli ordinamenti colturali. In linea di massima questa annata è stata caratterizzata non solo da una limitata piovosità nel periodo autunno-primaverile, ma anche da preoccupanti problemi di mercato nell’acquisizione dei mezzi tecnici, come l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti e dei costi energetici delle operazioni colturali. Attualmente, la carenza idrica è in parte risolta dalla discreta presenza di dighe come quelle del Fortore in provincia di Foggia e di Monte Cotugno in Basilicata. Ovviamente è norma l’irrigazione delle colture primaverili-estive, mentre sarebbe stato opportuno eseguire degli interventi di soccorso ai cereali autunno-primaverili. Le colture prese in esame sono frumento e cerali minori, leguminose da granella a ciclo autunno primaverile, pomodoro da industria, girasole e mais, a ciclo primaverile estivo. Nell’ambito delle colture arboree sono diffuse olivo, vite, da tavola e da vino, ciliegio, mandorlo. Altri fruttiferi, come il pesco, il susino e l’albicocco, sono tipici di alcune zone irrigue. In particolare è da tenere presente che le fasce costiere regionali sono interessate da colture orticole protette.
L’immunità vegetale indica la capacità di una pianta di difendersi dai
potenziali bioaggressori esterni. In campo agronomico questo concetto
vede la sua diretta applicazione nella selezione genetica e
nell’utilizzo di induttori di resistenza.
Il polpo spopola sulle tavole dei ristoranti e quarantaquattro sono
le ricette presentate su un sito informatico, dalle insalate e “carpacci”
ai condimenti per paste e via dicendo, divenendo uno dei più popolari
tra i cinquecentocinquanta animali acquatici. Diversi i motivi di questo successo in
tavola e tra questi vi sono quelli di poter trasformare il polpo in
diversi modi senza mostrare le sue forme tanto da non sembrare un pesce
che pertanto è ben accettato anche dai vegetariani.
Quelli che, come me, sono nati prima della seconda guerra mondiale,
devono fare i conti con tanti neologismi o con vecchi termini dei quali è
cambiato o è stato aggiornato il significato. Ci dobbiamo adeguare
pressoché in continuazione e, spesso, non è facile. Uno degli esempi più
comuni è il significato del sostantivo “sostenibilità” e del relativo
aggettivo “sostenibile”. Vado a cercare le due voci sul vocabolario Zingarelli del 1995. Mi si rimanda al verbo “sostenere”, per il quale si danno ben dieci significati: reggere un peso, prendere un impegno, mantenere alto qualcosa (i prezzi, la voce), aiutare qualcuno, nutrire, affermare un’idea, resistere, soffrire, indugiare, trattenere. Wikipedia mi aggiorna aggiungendo un undicesimo significato, riuscendo così a colmare la mia lacuna culturale. La precisazione di Wikipedia recita: “la sostenibilità è il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell'uomo”.
La recente tragedia della Marmolada ha portato alla ribalta mediatica un tema che gli studiosi del clima già da molti anni stanno monitorando con preoccupazione. Aumento o perdita di massa per i ghiacciai sono infatti processi normali su scale temporali molto ampie, ovvero di secoli. Ma se le temperature crescono più rapidamente, come sta avvenendo da alcune decine di anni a questa parte, anche la velocità di fusione del ghiaccio aumenta, ed è questo il problema attuale. È da ricercare su questa linea il collegamento fra il distacco sul ghiacciaio della Marmolada e i cambiamenti climatici in corso. Ne parliamo con il professore Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr.
Professore, alcuni hanno parlato di "tragedia «imprevedibile", almeno in queste dimensioni. Glaciologi, nivologi, volontari del soccorso alpino e habituée della Marmolada sembrano tutti d’accordo nel considerare il crollo del seracco di ghiaccio sommitale di Punta Rocca – che ha interessato la via normale sulla quale alcune cordate erano impegnate per salire – un evento fuori dalla portata di previsione di cui si dispone attualmente. Ma è davvero così?
Certamente, come per tutti i fenomeni fisici “a soglia”, anche un crollo di questo tipo non è prevedibile in maniera deterministica. Ciò significa che non siamo in grado di prevedere il distacco del seracco per una certa ora o neanche per un certo giorno. Questo non vuol dire, però, che non si possano prevedere le condizioni favorevoli a fenomeni di questo tipo. Nel nostro caso attuale, la poca neve invernale e il fatto che per il riscaldamento globale nevichi sempre a quote più elevate hanno fatto sì che questo seracco non sia stato protetto da uno strato di neve fresca, ma si sia trovato “nudo” a risentire della forte radiazione solare in un lungo periodo di “bel tempo”, con punte di temperatura giornaliera estreme, mai osservate a quelle quote, ma soprattutto con la persistenza duratura di un forte anticiclone africano che ha portato per almeno due mesi a temperature elevate. In queste condizioni, rotte alpinistiche generalmente sicure sono diventate pericolose. In inverno il Meteomont fa un ottimo lavoro di previsione delle condizioni di rischio per le valanghe. Io credo che ora, con l’aggravarsi del riscaldamento, occorra studiare a fondo le situazioni che si vengono a creare nel semestre caldo, affinché si possa arrivare a bollettini di quel tipo anche per la stabilità dei ghiacciai o almeno delle loro parti più a rischio. Ciò necessiterà di una stretta collaborazione tra scienziati ed esperti locali per il monitoraggio, anche con strumenti innovativi, e lo sviluppo di modelli di rischio.
Il giurista Paolo Grossi, rinnovatore degli studi della storia del diritto italiano, presidente emerito della Corte costituzionale, che ha guidato tra il 2016 e il 2018, è morto a Firenze lo scorso 4 luglio, all'età di 89 anni.
Era professore emerito di Storia del diritto medievale e moderno dell'Università di Firenze, dove ha svolto quasi tutta la sua prestigiosa carriera accademica.
Accademico dei Georgofili dal 1965, emerito dal 2002, lo ricordiamo con la prolusione da lui svolta in occasione della inaugurazione del 250 anno accademico dei Georgofili, nel 2003.
Aspetti giuridici della globalizzazione economica
Il tema della prolusione segnala la lungimiranza del nostro impareggiabile Presidente, autentico rifondatore di questo plurisecolare sodalizio; si tratta, infatti, di un tema immerso nel presente ma proiettato nel futuro.
È un privilegio non nuovo per la nostra Istituzione: da giurista, mi piace almeno ricordare le ricche dispute sul contratto basilare della vecchia economia agraria toscana, la mezzadria classica, dispute antesignane che si orìginano e si sviluppano nel clima culturalmente vivacissimo della prima metà dell’Ottocento, quando le aule dei Georgofili costituivano – nella completa assenza di un polmone universitario – il centro della intiera cultura fiorentina.
È una vivacità culturale, di cui oggi gode la Accademia sotto la vigile ma insieme coraggiosa Presidenza di Franco Scaramuzzi, ed è per ciò che ho ritenuto un autentico onore per me l’invito a tenere la prolusione in una ricorrenza celebrativa di tanto rilievo.
Vorrei aggiungere che il tema del presente discorso è tutt’altro che isolato: era sostanzialmente il nucleo della prolusione dell’allora Ministro Dini, del 1998, su “L’agricoltura di fronte alle sfide dell’economia globale” e ha costituito l’oggetto formale di quelle tenute nel 2000 dall’ambasciatore Renato Ruggiero su “Globalizzazione e interdipendenza” e dal Presidente Alfredo Diana nel 2002 su “Problemi attuali della globalizzazione e della fame nel mondo”.
Si dirà, piuttosto, da qualcuno: perché questa insistenza? Non se ne
parla abbastanza dappertutto e perfino sulla stampa quotidiana, tanto da
far scivolare il tema nella bassa corte dei luoghi comuni?
Una prima
risposta è che se ne parla troppo spesso senza cognizione di causa e
che occorre da parte dell’uomo di cultura munirsi di coscienza
rigorosamente critica verso un fenomeno che sempre più ingigantisce. Una
seconda risposta – e che mi riguarda da vicino – è che se ne è parlato
analizzando soprattutto le dimensioni economica e sociologica, mentre è
rimasta finora in ombra la sua dimensione strettamente giuridica.
Eppure,
v’è la sentita esigenza di una ‘governabilità’, di una ‘migliore
governabilità del sistema globale’, e proprio nella sopramenzionata
prolusione di Ruggiero è scritto e sottolineato l’auspicio di «una
strategia comune (...) per rafforzare un sistema internazionale basato
sul diritto».
Oggi, la globalizzazione, quale enorme fenomeno in
corso soggetto a continui sviluppi e a rilevanti continue
trasformazioni, appare ancora come un terreno di sabbie mobili
estremamente bisognoso di un intervento da parte della scienza
giuridica, scienza tipicamente ordinante, l’unica che possa orientare,
definire, insomma ordinare una realtà per sua natura magmatica,
straboccante, spesso incontenibile.
Per cominciare subito il nostro
cammino ordinativo, è opportuno sgombrare il passo da equivoci,
domandandoci il significato primo della globalizzazione: il riferimento è
a un tempo storico – l’attuale – che si connota per un primato della
dimensione economica quale risultato ingombrante del capitalismo maturo
che stiamo vivendo; un primato che dà alle forze economiche una
virulenza mai sperimentata fino a ora e una insopprimibile tendenza
espansiva. Il mercato appare, come non mai, insofferente a confinazioni
spaziali, forte di una sua vocazione globale e determinato a
realizzarla. Con un corroboramento ulteriore: l’alleanza e l’ausilio,
pronti ed efficaci, delle recentissime tecniche info-telematiche.
Anch’esse sono insofferenti a delimitazioni territoriali, si misurano
non con i vecchi cànoni spaziali ma campeggiano in uno spazio virtuale a
cui è estranea, avversa, innaturale una qualsiasi demarcazione
territoriale.
L’Accademia dei Georgofili ha compiuto un nuovo e sostanziale passo
nella valorizzazione degli studi storici dedicati all’agricoltura e al
mondo delle campagne. Si tratta di un progetto che parte da lontano, con
la digitalizzazione realizzata negli scorsi anni di tutti i fascicoli
della Rivista fin dalla fondazione (1961), realizzata mediante
acquisizione digitale, OCR e verifica degli errori per assicurare la
migliore riuscita e l’efficacia delle ricerche full text. La
nuova iniziativa, intrapresa grazie all’impegno finanziario dei
Georgofili, mira oggi non solo a migliorare la fruizione di questo
originale patrimonio culturale, ma anche al raggiungimento dei più alti
livelli di accreditamento tra le riviste scientifiche dell’area storica.
La SIGA (Società Italiana di Genetica Agraria) ha ritenuto opportuno pubblicare una risposta ad un articolo intitolato “L’Ue valuta nuovi alimenti: arrivano gli NGT per sostituire gli OGM” , pubblicato su La Repubblica lo scorso 1 giugno a firma di Giorgio e Caterina Calabrese.
(Leggi QUI.pdf l’articolo in PDF)
La
SIGA condanna l’approssimazione del messaggio e i numerosi errori di
carattere scientifico che rendono l’articolo un “pessimo esercizio di
divulgazione”. E sottolinea: “Come è è possibile che uno dei quotidiani
più letti ed autorevoli ospiti interventi di questo genere, dove il dato
scientifico si mescola in maniera indistinguibile con il sentito dire e
con spiegazioni tecniche inadeguate, producendo messaggi ingannevoli?”.
L’Accademia
dei Georgofili condivide pienamente quanto sostenuto dalla SIGA e per
tale motivo pubblica anche su “Georgofili INFO” il suo messaggio,
facendo tesoro di quanto sostenuto da Luigi Einaudi durante la prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico dei Georgofili nel 1957: “sono
persuaso che la figura retorica della ripetizione sia una delle
pochissime armi consentite agli studiosi per combattere l’errore”.
La coltivazione del nocciòlo rappresenta un'importante filiera
agroalimentare in Italia ed in molti altri Paesi del mondo. Tra le più
temute e dannose avversità biologiche che minacciano questa
coltivazione, vi è sicuramente la cosiddetta “necrosi batterica del
nocciolo, causata da Xanthomonas arboricola pv. corylina (Xac),
batterio fitopatogeno della lista A2 della European and Mediterranean
Plant Protection Organization degli organismi nocivi per i quali è
raccomandata una regolamentazione quale patogeno da quarantena. Ad oggi,
la lotta a Xac e il contenimento della malattia sono affidati a
trattamenti fitoiatrici tradizionali a base di rame e all’applicazione
di opportune pratiche agronomico-colturali. Ma è ben noto che il rame è
stato definito dall'UE come “candidato alla sostituzione” a causa dei
rischi ambientali associati al suo utilizzo. Pertanto, la ricerca di
alternative efficaci è una priorità ogni giorno più urgente. Tra
queste sono da citare l’estrazione ecosostenibile di principi
antimicrobici da residui vegetali, sempre più spesso abbinata
nell’applicazione a strumenti nanotecnologici.
"Nuova PAC e strategie correlate", questo il tema affrontato in una tavola rotonda che si è svolta a Firenze lo scorso 27 giugno, organizzata dall'Accademia dei Georgofili. Alla luce delle conseguenze della guerra in Ucraina e di una delle più severe siccità degli ultimi anni, è necessario interrogarsi ed analizzare realisticamente le due strategie del Green Deal europeo, ovvero la strategia Farm to Fork e Biodiversity, per capire se gli obiettivi prefissati sono realizzabili e, soprattutto, come andranno ad impattare sulla produzione agricola e zootecnica. Alla tavola rotonda sono intervenuti Aldo Ferrero dell'Università di Torino, Massimo Tagliavini della Libera Università di Bolzano e Presidente AISSA, Giuseppe Bertoni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e Davide Viaggi dell'Università di Bologna. Ha moderato Ivano Valmori, Ceo di Image Line, con il quale facciamo il punto su quanto emerso dal dibattito.
Il 23 giugno scorso è stato presentato a Roma in anteprima, alla Assemblea del CL-USTER A.GRIFOOD NAZIONALE, il Position Paper “Genome Editing”, frutto del lavoro di un gruppo congiunto CL.A.N, Cluster SPRIN, e ASSOBIOTEC e redatto da Simona Baima, Lugi Cattivelli, Alessia Fiore, Michele Morgante e Silvio Salvi.
Il documento fa il punto sul delicato argomento dell’uso delle nuove tecniche genomiche (NGT, genome editing e cisgenesi), la cui applicazione potrebbe aprire scenari promettenti sia per il miglioramento delle produzioni e dei prodotti sia per l’applicazione degli obiettivi pressanti di sostenibilità ambientale. Il genome editing consente di indirizzare modifiche genetiche in modo controllato in uno o più punti precisi del genoma, anche attraverso la sola correzione di una “lettera” (nucleotide) nella sequenza di un gene, e consente di introdurre nuovi caratteri senza ricorrere all’inserimento di geni provenienti da altre specie (come accade invece con le tecniche di trasformazione genetica che generano OGM). Essendo in grado di modificare un solo carattere, magari quello della resistenza a un parassita, resilienza verso un fattore ambientale sfavorevole, miglioramento del prodotto, il genome editing mantiene inalterato il patrimonio genetico, ed è tecnologia relativamente semplice ed economica, applicabile anche a varietà e razze tipiche e colture “di nicchia”.
Allo stato attuale, però, varietà e ibridi ottenuti in questo modo sono soggette alle stesse normative restrittive dei cosiddetti OGM e, in assenza di specifica normativa, è in corso un dibattito anche piuttosto acceso nell’opinione pubblica, con posizioni favorevoli (scienza e larga parte del comparto produttivo) e contrarie (associazioni ambientaliste e associazioni biologiche). Certamente è opportuno che si operi per applicazioni che dimostrino un impatto positivo sul consumo, la tolleranza allo stress, la redditività, e il settore importantissimo della sicurezza alimentare, assenza di patogeni e tossigeni. E’ interessante sapere che già esiste, nel mercato giapponese, un pomodoro commerciale proveniente da genome editing, il “Sicilian Rouge High GABA”, caratterizzato da un maggior contenuto di acido- gamma-amminobutirrico”, funzionale a contrastare l’ipertensione. Uno degli esempi più eclatanti, e raggiungibili, è legato al miglioramento dei profili di sostenibilità ambientale delle varietà tradizionali della viticoltura nazionale, riducendo l’uso dei fitofarmaci senza alterare i caratteri organolettici dei vini. E ci sono prospettive interessanti nel settore zootecnico, anche sul benessere animale (ad es. la introduzione della assenza di corna nelle linee da latte più produttive, utile per la sicurezza degli animali e degli operatori), e soprattutto, sulla valorizzazione dei comparti lattiero-caseari e la produzione di carni, carni trasformate, uova. In questo caso, si tratta del migliorare l’efficienza degli allevamenti riducendone l’impatto ambientale e limitando le emissioni, inserire resistenze genetiche a malattie, riducendo l’uso di antibiotici e l’insorgenza di resistenze ad essi, modificare la composizione di alcuni prodotti (ad es. latte con assenza di proteine allergeniche) per mettere a disposizione dell’industria prodotti innovativi ma anche rispettosi delle tradizioni. Nel settore microbiologico, ci sono prospettive importanti sulla produzione di peptidi bioattivi ed enzimi da parte di ceppi fungini (es. Thricoderma reesei) per produrre quantità elevate di proteine ricombinanti ad alto valore tecnologico, o per ottenere ceppi avirulenti e atossigenti di specie patogene per applicazioni di lotta integrata o biologica.
“Chi più sa più vale” affermava Randolph Frederick Pausch (1960-2008)
informatico e accademico statunitense presso la Carnegie Mellon
University di Pittsburgh, Pennsylvania. Una asserzione quanto mai valida
oggi dato il periodo di radicale cambiamento cui siamo sottoposti. Per
reggere al meglio ad un tale sconvolgimento di ruoli, innovazioni e
saperi è indispensabile cercare di allinearsi con delle nuove esigenze
culturali e lavorative; occorre cioè fare formazione, meglio se
continua. I convegni SIA (Società Italiana di Agronomia) hanno
contribuito e contribuiscono tutt’ora allo sviluppo della formazione
degli Agronomi giovani e diversamente giovani. Considerata la cadenza con cui vengono organizzati, i convegni SIA fanno parte della formazione continua e dato che fino ad ora ne sono stati celebrati 50, merita fare il punto anche sotto questo profilo.
Messaggio schematico, in pillole, ma forte, sulle ragioni che rendono
impellente la necessità di invertire la rotta nella gestione del verde
urbano nelle nostre città e portare questo tema alla ribalta dell’azione
amministrativa.
Sul tema si registrano in generale, sui social e
altrove, atteggiamenti diversi, ma tutti stigmatizzabili: indifferenza,
talvolta condita da superficiale ironia, come se chi li scrive vivesse
su una rampa di lancio pronto a salpare per altri pianeti, e ciò che
accade in questo proiettato nel microcosmo delle nostre città non lo
toccasse, o messianici messaggi filoambientalisti, che nascondono dietro
una parvenza di green il grigio della filo cementificazione; oppure si
identifica il verde urbano con qualche aiuola i cui fiori sono
costantemente cambiati sulla base di canoni puramente estetici o con una
visione ottocentesca dei nostri orti botanici museale mummificatoria
che trascura la straordinaria valenza ecosistemica che lo connota.
È
necessario andare oltre: si deve parlare di verde urbano, o meglio,
della foresta urbana per usare un termine ormai consolidato nel
linguaggio degli addetti ai lavori, solo sulla base di due elementi:
conoscenza dei dati scientifici e conoscenza delle norme giuridiche, che
esistono da tempo, e che disegnano i binari che guidano l’azione della
pubblica amministrazione in questo settore, costruite sulla base di quei
dati scientifici.
Partiamo dal dato scientifico.
La scienza da
tempo, in modo compatto, univoco e consolidato, ha lanciato un
messaggio forte, un grido d’allarme legato anche alle proiezioni
sull’aumento della densità abitativa dei contesti urbani e periurbani:
il consumo di suolo, la impermeabilizzazione del suolo, in ambito urbano
e periurbano va fermato perché innesca nella città una escalation
esponenziale di altre criticità di matrice ambientale, tutte
strettamente interconnesse tra loro, nel senso che l’una genera e
potenzia l’altra: perdita di stabilità idrogeologica, aumento del tasso
di inquinamento, perdita o erosione di biodiversità, habitat e specie,
con conseguenze devastanti, in un’ottica antropocentrica, in termini di
perdita di servizi ecosistemici, incremento dei consumi energetici,
artefici del fenomeno delle isole di calore che, a sua volta, potenzia
il cambiamento climatico che poi si ripercuote negativamente su tutti
questi fattori negativi fungendo all’interno della città da
moltiplicatore di insostenibilità: questo gioco perverso di reciproci
condizionamenti ha un’incidenza significativa e scientificamente
acclarata sul benessere e sulla salute umana, come dimostrano i dati
dell’ONU e dell’OMS, contribuendo ad incidere anche sulla diffusione e
radicazione di nuove epidemie e pandemie.
Secondo vari studi di alcune università americane, gli alimenti
destinati alle bovine da latte negli Stati Uniti contengono dal 20 al
30% di avanzi alimentari di varia origine, con punte del 40%. I
risultati in termini qualitativi e quantitativi di produzione di latte
sono in tutto confrontabili con quelli ottenibili con cereali e semi di
leguminose tradizionali. I sottoprodotti più comuni sono i residui
dell’industria di panificazione e dolciaria, i residui di distilleria,
scarti di frutta ed i ritagli delle verdure.
Le statistiche della “Northwest Dairy Association” riferite al 2015
indicano che circa 140 tonnellate di scarti alimentari vengono impiegate
ogni giorno nell’alimentazione delle bovine da latte negli Stati Uniti.
Uno studio dell’Università di Wisconsin-Madison ha identificato ben 41
diversi tipi di scarti e sottoprodotti.
L'emergenza sanitaria che stiamo affrontando a causa di un virus non
deve farci dimenticare che le malattie non trasmissibili sono le
maggiori responsabili del carico globale di malattie: uccidono 40
milioni di persone ogni anno, pari a circa il 70% di tutti i decessi a
livello mondiale. Sono malattie che spesso coesistono con depressione,
schizofrenia e disturbo bipolare: i due gruppi di disturbi entrano in
sinergia. Da una parte il malessere psichico aumenta il rischio
dell’incidenza delle malattie non trasmissibili a causa dello sviluppo
di comportamenti negativi e della scarsa ricerca di aiuto. D'altra una
condizione di salute fisica carente tende ad aumentare depressione e
ansia.
I fattori di rischio modificabili come quelli legati agli
stili di vita sono elementi chiave delle malattie non trasmissibili, ma
anche le esposizioni ambientali svolgono un ruolo importante, in
particolare l’inquinamento atmosferico e il rumore. C'è infatti un
crescente interesse nello studio del rapporto tra il contatto con
l'ambiente naturale e le condizioni di salute a lungo termine.
Il 4 marzo scorso il Ministero del Commercio russo ha dichiarato lo stop
all'esportazione di fertilizzanti di sintesi, di cui anche l'Italia era
una forte utilizzatrice. Eppure ci sono delle soluzioni alternative che
è forse arrivato il momento di incentivare.
Una di queste è
l'acquaponica, ne parliamo con la Professoressa Giuliana Parisi,
accademica dei Georgofili e Ordinario di Acquacoltura all'Università di
Firenze.
Professoressa Parisi, come funziona l'acquaponica e come i pesci possono aiutare le piante a crescere?
Si
tratta di un approccio moderno, che può raggiungere anche livelli di
estrema complessità, a sistemi integrati applicati anche in epoche
storiche remote. Infatti un approccio del tutto simile nel concetto
veniva applicato anche dagli Aztechi e nell’antica Cina. Il principio
sul quale si basa l’acquaponica consiste nell’accoppiare l’allevamento
dei pesci, e quindi l’acquacoltura (acqua-), con la coltivazione dei vegetali in sistemi idroponici (-ponica),
mettendo in circolo i reflui derivanti dall’allevamento dei pesci che
contengono sostanze azotate e fosfatiche che, una volta mineralizzate
dai microrganismi inseriti nel sistema, rappresentano nutrienti che le
piante possono utilizzare. Insomma, l’acquaponica consente di
trasformare un problema (quello dello smaltimento delle acque reflue,
derivanti dall’allevamento dei pesci) in una opportunità, cioè il
recupero dei nutrienti che possono essere sfruttati per la coltivazione
dei vegetali. L’acquaponica risponde appieno a uno degli obiettivi per
lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) dell’ONU
(l’obiettivo n. 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo),
obiettivi ai quali tutte le nostre attività devono conformarsi.
L’acquaponica rappresenta uno splendido esempio di economia circolare
che valorizza gli scarti di un processo produttivo, rimettendoli in
circolo. Il principio su cui si basa l’acquaponica può essere declinato a
vari livelli, passando da sistemi estremamente semplici (low-tech
aquaponics), che potrebbero trovare applicazione anche in contesti
economici poco evoluti, per arrivare a sistemi altamente tecnologici,
potenzialmente capaci di alte produttività che possono però essere
ottenute attraverso un accurato controllo di tutti i fattori convolti e
di tutte le fasi in cui il sistema si articola.
“Sangorache” è il marchio denominativo recentemente registrato
dall’Università di Firenze per identificare la prima bevanda a base di
amaranto coltivato in Italia, utilizzando una varietà di questo
pseudocereale selezionata dall'Ateneo fiorentino come risultato di una
sperimentazione promossa dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie
Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI). Ne parliamo con il
Prof. Paolo Casini, impegnato da anni in questa ricerca.
Professore, innanzi tutto, ci ricorda che cos'è l'amaranto?
L'amaranto,
con le sue diverse specie, è originario del Messico e delle zone andine
dell'America del Sud. Estesamente coltivato principalmente per scopi
alimentari fino all'arrivo dei Conquistadores, per secoli la sua
coltivazione è stata vietata da quest'ultimi poiché legata ad alcuni
riti pagani; con i semi si facevano figure antropomorfe che poi venivano
consumate in occasioni rituali. Le indiscusse proprietà alimentari di
questa pianta sono state riscoperte negli anni Settanta dello scorso
secolo contribuendo al crescente interesse per questo pseudocereale nel
settore alimentare e della ricerca anche ai fini di una sua proficua
coltivazione al di fuori delle aree di origine. Le utilizzazioni
dell'amaranto sono moltissime. Le principali caratteristiche di questa
specie sono l’elevato contenuto di proteine (13-21%), di lisina e di
calcio, oltre a essere caratterizzata dall’assenza di glutine e quindi
idoneo all’alimentazione dei celiaci. Le proteine, con una digeribilità
vicina al 90%, costituiscono un altro degli elementi caratterizzanti.
Infatti, oltre alla già citata ricchezza in lisina, i semi di amaranto
costituiscono una preziosa fonte di triptofano ed in genere di
aminoacidi solforati.
I semi contengono in media 6-8% di lipidi. Una
delle caratteristiche più importanti dell’olio di amaranto è il suo
elevato contenuto di squalene (4-8%), un triterpene, composto
strutturalmente molto simile al β-carotene, metabolita intermedio nella
sintesi del colesterolo. Si tratta quindi di un’importante fonte di
questa sostanza superiore a quella contenuta in altri vegetali come la
crusca di riso, il germe di grano e l’olio di oliva. Recenti studi hanno
messo in evidenza come lo squalene possa rientrare nella composizione
di farmaci per la riduzione del colesterolo ematico. Quest’ultima
proprietà, unita a quella antiossidante dei tocoferoli, composti
generalmente indicati come vitamina E, viene sfruttata dall’industria
cosmetica soprattutto nel settore della cura della pelle e dei capelli
e, più genericamente, nei formulati anallergici. Le proprietà
riconosciute sono attribuite all’elevato potere antiossidante “anti
invecchiamento”.
L’amaranto, oltre a costituire la base di un gran
numero di preparazioni alimentari, viene impiegato soprattutto
utilizzando i semi soffiati per la formulazione di barrette, snack vari,
muesli, granola, estrusi e, ridotti in farina, nell’ambito della
pasticceria secca o fresca. Altra particolare utilizzazione sia nel
settore non alimentare che alimentare, è quella dell’impiego dell’amido,
caratterizzato da granuli molto piccoli (in media inferiori a 1 μm) in
confronto a quelli del riso (3-8 μm), del frumento (3-34 μm) e del mais
(5-25 μm) e di forma poliedrica. A causa delle loro dimensioni, e quindi
della grande superficie specifica (rapporto superficie
sviluppata/volume) per unità di peso, le particelle di amido di amaranto
possiedono un’elevata capacità di assorbimento e possono essere
utilizzate come base per aerosol anallergici e anche come sostituto del
talco in cosmesi. Inoltre, questo tipo di amido, riduce la temperatura
di gelatinizzazione e la resistività. L’insieme di queste
caratteristiche conferiscono all’amido di amaranto ottime proprietà
gelatinizzanti ed una buona stabilità congelamento/scongelamento molto
apprezzata nell’industria alimentare ultimamente anche orientata per
quella degli animali domestici.
L’assenza del glutine nei semi di
amaranto e l’elevata digeribilità, ne consiglia l’impiego
nell'alimentazione delle persone affette non solo da celiachia ma anche
da problemi digestivi e intestinali, e utile nei bambini in fase di
svezzamento, di convalescenti e di anziani; sono inoltre stati rilevati
benefici nelle persone affette da artrite, diabete, gotta e reumatismi,
oltre che nelle donne in gravidanza.
Qualche cenno merita anche
l’amaranto da ortaggio consumato alla stessa stregua degli spinaci. Ha
un valore alimentare molto alto per la ricchezza di proteine, vitamina
C, carotene ed elementi minerali. Il consumo deve prevedere però
l’allontanamento dell’acqua di cottura ricca di ossalati e di nitrati.