Notiziario


La fitochimica, settore in espansione da guardare con interesse

"Multidisciplinarietà, internazionalizzazione, educazione e formazione, rapporto con il mondo delle imprese e della produzione, queste sono le linee guida che la Società di Fitochimica si è data per il futuro.  La mia attività di Presidente è quindi quella di promuovere la società in tutti questi ambiti, contribuendo alla crescita sia del numero dei soci che della attività promosse, che vanno dall’organizzazione di congressi, prima nazionali ora sempre più internazionali (ICEMAP- International Conference of Edible, Medicinal and Aromatic Plants, che nel 2022 sarà alla terza edizione), alla Scuola di Fitochimica, dedicata alla formazione di studenti e giovani ricercatori su argomenti che di volta in volta approfondiscono grandi famiglie di piante, oppure piante di rilevanza medicinale/salutistica o specifiche classi di composti fitochimici sempre con un approccio multidisciplinare."

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Produzione e sostenibilità non sono percorsi antitetici

Ogni intervento sull'agricoltura italiana non può prescindere dal quadro generale che l'Unione Europea fa di questa attività. All'interno della programmazione delle attività produttive prevista sino al 2050 e denominata Green Deal (chiamato anche Patto Verde europeo), si riservano attenzioni particolari allo specifico settore agricolo tramite la codificazione di una serie di obiettivi contenuti in due documenti strategici: Farm to Fork e Biodiversity.
L'impegno è notevole perché le previsioni dell'incremento demografico dell'intero pianeta sono state, già da qualche anno, corrette al rialzo, prevedendo per la metà del secolo il raggiungimento -impressionante- di 10 miliardi di abitanti. Tale incremento ha fatto scattare le previsioni delle necessità globali dei prodotti alimentari, tanto è vero che la FAO ritiene indispensabile un incremento di produzione agricola di circa il 70%.
Anche l'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ha fatto varie previsioni; una tra queste colpisce la nostra attenzione: la riduzione della superficie coltivabile, disponibile per ogni abitante del pianeta, che scenderà dagli 0,4 ettari del 1960 al valore di 0,1 ettaro previsto per il 2050.

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“Le nostre risorse al servizio del territorio”. Intervista a Luigi Salvadori, Presidente della Fondazione CR Firenze

Presidente Salvadori, la Fondazione CR Firenze che lei presiede dall’estate del 2019, è sempre stata vicina all’Accademia dei Georgofili, una presenza che ha origini antiche vero ?
E’ proprio così. La nostra Fondazione prosegue infatti gli ideali e lo spirito dell’ Istituzione da cui siamo nati, quella Cassa di risparmio di Firenze che è stata istituita nel 1829 grazie alla volontà di 12 fiorentini illustri (tra i quali Cosimo Ridolfi, Gino Capponi e Piero Rinuccini), in buona parte membri dell'Accademia dei Georgofili, la più antica al mondo ad occuparsi dei temi legati all’agricoltura. Queste persone, sensibili allo sviluppo economico e sociale della città, decisero di fondare una banca in grado di consentire un aiuto economico sicuro anche alle classi meno agiate. Oggi noi proseguiamo questo percorso e siamo molto orgogliosi di poter mettere al servizio del territorio e dei suoi abitanti le nostre competenze e le nostre risorse. In questi ultimi anni abbiamo intensificato la collaborazione e il rapporto con l’Accademia perché questi temi hanno oggi, molto più che in passato, una particolare rilevanza.

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Il vero e il falso sulla fertilizzazione azotata del grano

La qualità del grano alla raccolta dipende principalmente dal suo contenuto proteico. La gestione ottimale della fertilizzazione azotata è essenziale per raggiungere questo obiettivo. Risultano fondamentali il numero degli apporti e i momenti di applicazione, le dosi, le forme chimiche del concime, ecc. È altresì importante il rispetto delle norme legislative (es. direttive nitrati) per ridurre il potenziale inquinamento delle acque.
In linea generale, il fabbisogno in azoto del cereale dipende dal livello produttivo prefissato, dalle condizioni pedoclimatiche e dalle diverse cultivar. Indipendentemente dal potenziale di rendimento, queste hanno fabbisogni azotati differenti.
L’impennata del prezzo dei concimi obbliga agricoltori e tecnici a valutare attentamente le possibili vie di “contrazione” delle dosi dei fertilizzanti. Ciò è possibile se al concetto “assoluto” di DOSE si legano importanti e basilari nozioni multidisciplinari di agronomia, coltivazioni, chimica agraria, “agricoltura di precisione”, ecc.
Manifestare nelle piazze non risolve assolutamente i problemi, a maggior ragione quando alcune materie prime (es. fosforo) sono “naturalmente” vicine all’esaurimento. Non si tratta, cioè, di “capricci” politici, ma di “fine” naturale di prodotti utilizzati, negli anni, in modo esagerato e non razionale.
È necessario applicare quei principii tecnico-scientifici che sappiamo e conosciamo bene ormai da anni, ma che sistematicamente ignoriamo tutte le volte che le cose “vanno bene” e i prezzi delle materie prime risultano ridotti, così da condurci all’uso/abuso dei mezzi di produzione senza effettivi ritorni economici e senza pensare a possibili periodi di “carestie”.
Importante, inoltre, non cadere nelle “false” credenze sulla concimazione, spesso “avallate” da tecnici poco aggiornati o restii ad accertare le novità/indicazioni provenienti dalla ricerca scientifica.
Da non dimenticare, poi, le normative/obblighi della Politica Agraria Comunitaria (PAC) relativamente agli avvicendamenti e rotazioni colturali. Le colture miglioratrici (Leguminose) sono la migliore “arma” preventiva contro il “caro concimi”.
In questo contesto sono proponibili alcune indicazioni operative per sfruttare al meglio l’efficacia/efficienza dei concimi azotati, così da poterne razionalizzarne l’uso e ridurne, possibilmente, le dosi.

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I “colouring foods”: un paradigma di incertezza normativa

Tutta la cosiddetta “ingredientistica innovativa” presenta aspetti non regolati, sui quali gli operatori si trovano privi di un quadro normativo di riferimento, sia europeo che nazionale. Ne deriva una scarsa propensione a utilizzarli e, soprattutto, a “fare business” in un segmento produttivo che potrebbe portare a miglioramenti qualitativi di importanti alimenti e interessanti opportunità di mercato, se regole più definite consentissero maggiore certezza di legalità.
Un esempio è rappresentato dai cosiddetti “colouring foods”, ingredienti con proprietà coloranti, i quali non sono additivi ma in qualche misura ne condividono la funzione: «coloring food with foods». La tendenza è globale. Secondo lo US Institute of Food Technologists, oltreoceano «major food companies are removing synthetic color additives from their products and replacing them with natural colors to appeal to consumer demand» [N. H. Mermelstein, Coloring Foods and Beverages, in Food Technology Magazine, 1 January, 2016]. Gli USA rispondono a tale domanda del mercato (a) classificando tutte le sostanze aventi proprietà coloranti come “additivi” a prescindere dalla loro natura, origine e modalità di ottenimento; (b) prevedendo per quelle derivate da vegetali, animali o minerali una disciplina “semplificata” che, in luogo della “certificazione” della FDA richiede solo la loro conformità a specifiche generali stabilite dalla legge (Section 21, part 73, del Code of Federal Regulation). In sostanza, negli USA la disciplina degli ingredienti con proprietà coloranti è particolarmente rigorosa, ma anche ben definita, qualificandoli tutti come additivi ma con minori oneri per quelli di derivazione naturale.
L’approccio europeo è decisamente differente, e alquanto confuso. 

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La Strategia Forestale Nazionale

E’ stata pubblicata il 9 febbraio 2022, in Gazzetta Ufficiale, la Strategia Forestale Nazionale (SFN), promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in concerto con i Ministeri della Transizione Ecologica, della Cultura, dello Sviluppo Economico e della Conferenza Stato-Regioni, in ottemperanza del Testo Unico in Materia di Foreste e Filiere Forestali (D.lgs 34/2018).
Si tratta di un documento strategico di validità ventennale, primo nel suo genere a livello italiano, e deve la sua realizzazione al percorso iniziato nel 2017 con la nascita della Direzione generale delle Foreste del Mipaaf e con l’emanazione nel 2018 del Testo unico delle foreste e filiere forestali ( D lgs 34 del 2018), cui sono seguiti otto decreti Ministeriali di cui la Strategia costituisce la cornice e l’asse portante. La Strategia si pone quale strumento essenziale per delineare le politiche forestali nazionali nel contesto di quelle europee e degli accordi internazionali ma anche come vertice della “piramide” della pianificazione forestale, recentemente innovata grazie al Decreto attuativo in materia, pubblicato nel dicembre 2021.
La Strategia dà inoltre attuazione a parte della Strategia europea per la biodiversità 2030 e alla Strategia forestale 2030, come previsto dal TUFF ed integra la Strategia nazionale per la bioeconomia per la parte fondamentale legata al sistema foresta-legno.

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Non nuovi ma novel

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Attività biologica del suolo: le conoscenze attuali partendo dalle sette domande di Waksman

Salem A. Waksman vinse il premio Nobel nel 1952 perché aveva scoperto la streptomicina, un antibiotico efficace contro la tubercolosi e prodotto da un microorganismo del suolo Streptomyces grisues. Tra gli scienziati del suolo, Waksman è conosciuto per i suoi studi di microbiologia e biochimica del suolo.

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Uniti per affrontare le sfide dell’agricoltura

Perché è nata Agrinsieme e come si articola sul territorio? Come si svolge il suo lavoro?
Agrinsieme rappresenta le imprese aderenti a CIA, Confagricoltura, Copagri e Alleanza Cooperative Italiane – Settore Agroalimentare. Dalla sua costituzione, Agrinsieme ha avuto come obiettivo la dimensione territoriale dell’esperienza, tenendo conto dei diversi modelli e delle specificità delle singole aree.
Il Coordinamento integra diverse storie e patrimoni di valori che vengono esaltati in una sinergia fortemente orientata verso il futuro. Proprio per questo, Agrinsieme non annulla la storia delle singole organizzazioni, ma costituisce un valore aggiunto rispetto a ciò che ognuna realizza autonomamente.
Rappresentando i 2/3 dell’Agroalimentare italiano, Agrinsieme si impegna nella creazione di un sistema orientato al mercato, promuovendo politiche che rafforzano le imprese e favoriscono le integrazioni tra le varie componenti della filiera Agricola e Agroalimentare. Inoltre, crediamo nell’innovazione, nella ricerca e nelle giovani generazioni come legame tra la tradizione e il futuro. 

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La scomparsa del Prof. Paolo Sequi: un Maestro della Chimica Agraria moderna

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Le foreste sempre più al centro dell’attenzione nazionale

Negli ultimi anni il ruolo delle foreste e del settore forestale è stato significativamente riconosciuto sotto il profilo politico a livello globale, come recentemente ribadito al G20 di Roma e alla COP26 di Glasgow: i risultati di questi incontri possono essere considerati come positivi o insufficienti, a seconda delle aspettative e delle azioni concrete intraprese o previste, ma rimane il fatto che le foreste sono sempre più al centro del dibattito e dell’attenzione mondiale.
Tra le più recenti iniziative c’è, a livello europeo, la Strategia Forestale 2030 e, a livello nazionale, i decreti attuativi del Testo Unico Forestale (d.lgs. 34/2018) in tema di: formazione professionale e albo degli operatori forestali, esenzioni dagli obblighi di compensazione forestale e sulle aree ex agricole, viabilità forestale, pianificazione forestale, boschi vetusti. A breve avremo anche la pubblicazione del decreto riguardante la Strategia Forestale Nazionale, per la cui attuazione l’ultima legge di bilancio dello Stato, approvata a fine dicembre, ha istituito un fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2032.

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La Ue apre all’utilizzo delle denominazioni di origine anche per i vitigni da incrocio tra Vitis vinifera ed altre specie del genere Vitis. Quali conseguenze per la viticoltura italiana?

Nella seduta del 2 dicembre 2021 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato il Regolamento 2021/2117, che ha modificato il vecchio Regolamento 1308/2013 relativo ai prodotti vitivinicoli, in cui si stabiliva che la “denominazione di origine” serve a designare un vino ottenuto “da varietà di viti appartenenti alla Vitis vinifera”. La nuova disposizione comunitaria stabilisce ora che la “denominazione di origine” serve a designare un vino ottenuto “da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis”
 Sotto il profilo normativo, le conseguenze in Italia della modifica del Regolamento Ue dovrebbero essere la abrogazione del D. L. 61/2010 e della legge 238/2016, secondo cui i vitigni da incrocio tra la Vitis vinifera ed altre specie di vite possono essere utilizzati solo per la produzione di vini da tavola e di vini a denominazione geografica tipica (Igt). Scomparirebbe quindi la discriminante che ha finora limitato l’impiego enologico di tali vitigni, e per quelli già iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite dovrebbe essere cancellata la annotazione “uve non utilizzabili per i vini a denominazione di origine”.
Il nuovo Regolamento Ue è certamente in linea con il principio della sostenibilità ambientale voluto dalla Pac, ed ha lo scopo di consentire ai produttori un più ampio utilizzo delle varietà di viti incrociate con la vinifera, che presentano una maggiore resistenza alle malattie. E’ quindi opportuno chiedersi quale sarà l’impatto di questa liberalizzazione sulla sostenibilità della viticoltura italiana nel suo complesso, tenendo conto anche delle esperienze che l’Italia ha già fatto e sta facendo con i vitigni ibridi di nuova generazione nelle aree che producono vini da tavola e Igt.

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Dopo la pandemia, occorrono nuove politiche agrarie

La ripresa, finalmente, sembra essersi messa in movimento. I principali dati del 2021 mostrano che il Pil mondiale cresce così come avviene nelle principali economie avanzate. L’Italia appartiene al gruppo di testa, con incrementi davvero importanti del Pil salito del 6,5%, del saldo con l’estero in attivo record nonostante il peso delle importazioni e persino dell’occupazione che, per la prima volta, da tempo, cresce. Ma tutto ciò avviene in un contesto minato dall’imprevedibilità della pandemia e da una serie di incertezze sul futuro dell’economia.
La principale serie di dubbi è suscitata dall’impennata dell’inflazione. Se, entro certi limiti attorno al 2%, essa era attesa come effetto dell’accresciuta necessità di materie prime per la ripresa della produzione in tutti i settori, per scongiurare cioè il timore che ci si fermasse ad un semplice rimbalzo tecnico senza che si avviasse un nuovo ciclo di crescita, la dimensione degli incrementi induce a ritenere che un’inflazione più elevata, almeno per un certo periodo (un anno o due?) sia inevitabile.
Nel caso in cui questa tendenza fosse confermata bisogna disporre di strumenti di contrasto sul piano delle politiche monetarie ed economiche, tenendo conto che l’enorme massa del debito accumulato dagli Stati per fronteggiare i costi della pandemia diverrebbe insostenibile senza una poderosa ripresa economica.
Le riflessioni non mancano e ad esse se ne affiancano altre, in particolare quelle relative alle politiche di “transizione” che l’Ue e gli altri principali Paesi stanno lanciando per accompagnare la crescita e favorire la formazione di un nuovo ciclo economico espansivo per i prossimi decenni sino al 2050. Da noi queste sono contenute negli strumenti come il Pnrr che puntano in particolare sulla transizione digitale, su quella energetica e, per quanto riguarda l’agricoltura, su quella Green. A parte l’osservazione, pedante, che il concetto di transizione prevede di conoscere bene le condizioni da cui si parte e, soprattutto, quelle a cui si vuole arrivare, non è chiaro quali significati concreti vengano attribuiti ad esse e quali conseguenze dirette ed indirette abbiano. Se pensiamo ad esempio a quella energetica ci rendiamo conto che essa è frenata dall’impennata inflativa specie dei prezzi del petrolio e del gas e resa difficile dalla carenza di fonti energetiche continuative e gestibili. Il rallentamento dell’economia fra fine 2021 e inizi 2022 è dovuto all’effetto prezzi (inflazione da costi) ma non solo. I colli di bottiglia, la mancanza di materie prime, semilavorati e prodotti finiti che blocca la catena produttiva, esalta la frenata. Se da un lato non abbiamo previsto nella misura giusta il tasso di inflazione, dall’altro abbiamo sottovalutato questi elementi che pure erano noti e considerati, forse con eccessiva frettolosità.

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Noi e il lupo

Professore La Marca, che cosa è attualmente previsto dalla Direttiva europea che tutela i lupi e come potrebbe essere modificata per tutelare anche gli allevatori europei?
In Italia il lupo per secoli è stato considerato un animale nocivo e per questo è stato oggetto di lotta con ogni mezzo: dalla braccata, alla cattura con trappole, all’adescamento con bocconi o con intere carcasse di animali avvelenati. Con l’approvazione del cosiddetto “decreto Natali”, del 23 luglio del 1971, il lupo è stato depennato dall’elenco delle specie nocive e inserito in quello delle specie protette. In quell’epoca in Italia si stimava che la popolazione di questo predatore, fosse ridotta a circa un centinaio di esemplari concentrati in Abruzzo e in Calabria, mentre in tutte le altre regioni si considerava eradicato. In definitiva il lupo si è salvato nei distretti zootecnici montani dell’Italia centrale e meridionale, grazie alla presenza della pastorizia.
Il primo atto di tutela del lupo, nato sotto l’egida del Consiglio d’Europa, è la Convenzione di Berna del 19/9/1979 e recepita dall’Italia con L. 5 agosto 1981, n. 503. In questo modo il lupo viene inserito nell’allegato II ("specie strettamente protette"), per cui viene stabilita una protezione speciale e se ne proibisce specificamente la cattura, l’uccisione, la detenzione ed il commercio.
Successivamente, la tutela del lupo è stata sancita dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE ), recepita dall’Italia con DPR dell’8 settembre 1997, n. 357, la quale inserisce il lupo negli allegati B ("specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione") e D ("specie prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa"). L'art. 12 della direttiva europea stabilisce il regime di rigida tutela della specie con il divieto di qualsiasi forma di cattura e di uccisione deliberata nell'ambiente naturale. L'art. 16 della direttiva stabilisce che, ai fini della prevenzione di danni gravi all'allevamento, alla fauna, nell'interesse della sanità e sicurezza pubblica, è prevista la possibilità di deroga ai divieti di abbattimento e cattura del lupo. In Italia il DPR 357 del 1997, che recepisce la direttiva Habitat, prevede l'attuazione della deroga dietro autorizzazione del Ministero, sentito il parere dell'Infs (oggi Ispra), a condizione che non esistano altre condizioni praticabili e che la deroga non pregiudichi lo stato di conservazione sufficiente delle popolazioni di lupo.
Anche la Convenzione di Washington, rivolta al commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione (CITES: Washington, 1973), recepita in Italia con legge 19 dicembre 1975, n. 874, riguarda particolari misure di tutela del lupo in quanto “specie potenzialmente minacciata".
Bisogna rilevare che si è trattato di atti appropriati e tempestivi per salvare una specie seriamente minacciata di estinzione. 

Perché si dice che il lupo "torna" in Europa, dove è stato negli ultimi anni?
L’espansione della specie è avvenuta sia in conseguenza del regime di tutela della specie, sia per il verificarsi di condizioni favorevoli alla diffusione del lupo in termini di disponibilità di ampi spazi conseguenti all’esodo delle popolazioni dalle campagne e all’istituzione di aree protette, sia per l’incremento di risorse trofiche allocate prevalentemente nella fauna ungulata selvatica, in particolare nella diffusione del cinghiale sull’intero territorio nazionale e del capriolo e del cervo in diverse Regioni italiane. Nel contempo però, con l’incremento della popolazione del predatore, sono gradualmente aumentati i casi di predazione tra gli animali in produzione zootecnica.
In Europa esistono deroghe allo stretto regime di protezione: gli abbattimenti sono stati consentiti per alcune zone della Spagna e della Grecia in cui era documentata l’eccessiva presenza del lupo; risulta che in Francia, a seguito di pesanti predazioni di pecore, gli abbattimenti autorizzati riguardino circa il 19% della popolazione, e anche in Germania recentemente è stato autorizzato qualche abbattimento. In tutti i casi sopra riportati evidentemente è risultato che non esistevano altre condizioni praticabili e che la deroga non pregiudicava lo stato di” conservazione sufficiente” delle popolazioni di lupo. Allora andrebbe chiesto alle singole Regioni e all’ISPRA se esistono specifiche richieste di gestione del lupo e in questo caso sarebbe oltremodo interessante conoscere il contenuto dei pareri. Nel caso invece manchino richieste in questo senso c’è da ritenere che il problema non sia tale da richiedere un intervento in deroga, oppure che il lupo non sia ancora in condizioni di ” conservazione sufficiente “.

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Linee guida di progettazione per la cosiddetta transizione ecologica

Il tema della transizione ecologica (e cioè il passaggio da un sistema di approvvigionamento energetico basato sui combustibili fossili ad uno strutturato su fonti rinnovabili) è questione di grande attualità ed attenzione mediatica.
Sull’argomento è però opportuno riflettere sul fatto che tale transizione, oltre a comportare pesanti conseguenze di tipo socio-economico (ad esempio conversione delle fabbriche di motori endotermici per il settore automobilistico, adeguamento delle reti infrastrutturali di fornitura di energia elettrica), avrà significative conseguenze sul paesaggio e sulle aree “naturali” ed agricole.

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Valutare l’agroecosistema vigneto attraverso le piante bioindicatrici

I primi lavori sulle piante Bioindicatrici risalgono a circa 100 anni fa in Francia, dove l’argomento era addirittura disciplina scolastica. In generale, tutte le piante spontanee possono dare interessanti indicazioni sugli aspetti pedoclimatici e agrocolturali riferiti a una determinata coltura e per uno specifico territorio. Lo studio scientifico, ossia mediante l’utilizzo della fitosociologia e della fitoecologia, delle piante bioindicatrici, abbinato anche ad altre tecniche di indagine (analisi fisico chimiche di laboratorio, “prova della vanga”, ecc.) può diventare un utile mezzo diagnostico per l’agricoltore e il tecnico, che avranno a disposizione un “metodo biologico” atto anche a verificare gli effetti positivi o negativi di determinate pratiche agrarie.

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Mentalità 4.0 per l’innovazione tecnologica in agricoltura

Il settore delle macchine agricole ha avuto nel corso di questi due anni un incremento sorprendente nelle vendite di macchine ed attrezzature sempre più dotate di dispositivi di controllo e quindi appartenenti alla categoria oggi denominata 4.0.
In effetti, l’innovazione tecnologica indotta da oltre 20 anni di ricerche nel campo della agricoltura di precisione sta finalmente raggiungendo livelli di “maturità tecnologica” (si faccia riferimento al TRL Technological Readiness Level) che ne consente l’impiego proficuo in una impresa agraria adeguata ai tempi odierni.
La transizione digitale, ecologica e generazionale rappresenta ormai la prossima svolta anche nelle imprese agrarie ed utilizzo tale termine “impresa” proprio per sottolineare il passaggio epocale dall’azienda dedicata solo alle pratiche convenzionali ad una attività articolata, orientata al mercato, sensibile nell’operare in accordo con gli obiettivi di ecocompatibilità, di rispetto dei consumatori e consapevole delle nuove difficoltà derivanti dai cambiamenti climatici.
La tecnologia nelle sue caratteristiche abilitanti è in grado di dare agli operatori conoscenze e capacità di gestione aumentate per monitorare, valutare, decidere, attuare in maniera puntuale le migliori scelte e pratiche. Tutto ciò d’altronde non può essere demandato al semplice acquisto di una macchina o dispositivo 4.0 ma deve rappresentare una, seppur graduale e progressiva, trasformazione aziendale nell’adeguamento di strutture e infrastrutture e nell’aggiornamento del capitale umano aziendale, dei protocolli operativi, dei rapporti con i soggetti esterni di supporto alla digitalizzazione ed alle nuove tecnologie da introdurre.

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Acquacoltura, zootecnia del futuro

Professoressa Parisi, sulla base delle proiezioni di crescita della popolazione, la FAO ha stimato che fino al 2030 saranno richiesti ogni anno almeno 40 milioni di tonnellate aggiuntive di prodotti ittici per mantenere l’attuale consumo pro capite annuo mondiale, eppure l'acquacoltura è una disciplina piuttosto recente: quando si è diffusa? 
La forma moderna dell’acquacoltura, nei Paesi occidentali, è iniziata intorno agli anni ’70 del secolo scorso, anche se forme di acquacoltura molto semplici, spesso limitate ad una semplice stabulazione degli animali di origine selvatica, risale ad epoche ben più lontane.

Che tipo di impatto ha sull'ambiente l'acquacoltura intensiva?
L’acquacoltura è in tutto e per tutto un’attività zootecnica, quindi l’acquacoltura intensiva potrebbe essere responsabile di varie tipologie di impatti. A cominciare da quello prodotto sulla qualità dell’acqua, che in acquacoltura è oggetto di elevata attenzione dal momento che i pesci, soprattutto delle specie allevate nel mondo occidentale, sono molto sensibili alla qualità dell’acqua in cui vivono. Gli allevamenti a terra della tipologia flow‐through prevedono il ricambio dell’acqua contenuta all’interno delle vasche, la cui entità tiene conto della biomassa presente, così da garantire adeguati livelli di ossigeno e da contenere la presenza dei cataboliti azotati. Le acque reflue dagli impianti di allevamento devono subire adeguati trattamenti, nel rispetto delle normative, prima di essere reimmesse nei corpi idrici naturali. In questo modo si contiene il rischio di eutrofizzazione delle acque naturali e si riduce significativamente l’impatto ambientale associato agli allevamenti a terra. Un altro aspetto da considerare, dal punto di vista della sostenibilità dell’acquacoltura, è la tipologia di ingredienti che si utilizzano nelle formulazioni mangimistiche. Le specie allevate in Italia e in Europa sono per lo più carnivore, con fabbisogni proteici particolarmente elevati. Un tempo i mangimi utilizzati in acquacoltura erano formulati utilizzando fonti proteiche e lipidiche di origine marina, cioè farine e oli di pesce. La condizione di sovrasfruttamento di molti degli stock ittici selvatici e lo sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni l’acquacoltura, che manterrà il suo trend in crescita anche nei decenni futuri, non consentono più di fare affidamento su questa tipologia di ingredienti. Di conseguenza, ormai da decenni si stanno utilizzando fonti proteiche e lipidiche alternative. 

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Cordoglio dei Georgofili per la scomparsa del Prof. Pisani

Si è spento lo scorso 19 gennaio L’Accademico Emerito Prof. Piero Luigi Pisani Barbacciani. Il Prof. Pisani Barbacciani conseguì la laurea in scienze agrarie con il massimo dei voti e la lode e con l’assegnazione del “Premio Iginio Moretti” per il migliore laureato dell’anno accademico 1955-56. Fu poi Assistente volontario presso l’Istituto di Coltivazioni arboree dell’Università di Firenze e Borsista del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Dal 1961 svolse la propria attività come assistente di ruolo presso l’omonimo Istituto della Università di Bologna. Nel 1964 conseguì la Libera Docenza e, nello stesso anno, vinse il concorso per Professore di ruolo. Dal 1966 ottenne la cattedra di Coltivazioni Arboree dell’Università di Padova che diresse fino al 1979, anno in cui si trasferì presso il Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze. Direttore della “Rivista dell’Ortoflorofrutticoltura italiana” dal 1984 al 1987 e della rivista “Advances in Horticultural Sciences” dal 1987 al 1999, ha diretto anche il “Notiziario di Ortoflorofrutticoltura”, il periodico “Olivicoltura-Elaiotecnica – Olio di Oliva” dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, nonché gli “Atti dell’Accademia Italiana della vite e del vino”. È stato membro attivo di diverse Accademie e ha pubblicato oltre 220 lavori collaborando a enciclopedie, trattati scientifici, collane tecniche nonché a periodici culturali.
Tutti lo ricordano con profondo affetto, stima e gratitudine per l’impegno profuso in diversi atenei universitari ai quali ha dedicato tutto il suo impegno professionale e umano, senza mai risparmiarsi e, come diceva lui, “senza guardare l’orologio”.
Ha saputo trasmettere agli allievi dei diversi Atenei in cui ha prestato servizio la sua passione, la sua rigorosità e il senso del dovere verso la formazione degli studenti e la ricerca in Università. E a queste passioni totalizzanti ed esclusive ha dedicato tutto sé stesso, senza risparmiarsi, agendo sempre per il bene dell’Istituzione pubblica.

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Il grande potenziale della cicoria

In alimentazione umana le radici, foglie e fiori sono le parti di cicoria più popolari per applicazioni culinarie e industriali. L'uso della radice di cicoria come sostituto del caffè risale al XVI secolo, è attribuita al giardiniere reale Timme di Tubinga e in Italia la radice della cicoria, tostata per preparare un infuso terapeutico, sembra sia stata proposta per la prima volta dal Prospero Alpini (1553 – 1617), continuando fino al XVIII secolo con particolare vigore presso le popolazioni più povere e in Europa durante le ultime due Guerre Mondiali.

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Modellistica e dati di campo per il supporto all’ adattamento ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità degli oliveti del Mediterraneo

Un lavoro pubblicato all’inizio del 2022 (Enhancing the sustainability of Mediterranean olive groves through adaptation measures to climate change using modelling and response surfaces- Lorite I.J., Cabezas J.M., Ruiz-Ramos M., del a Rosa R., Soriano M.A., Leon L, Santos C., Gabaldon-Leal C; Agricultural and Forest Meteorology, 313,2022) ha come oggetto lo studio delle potenziali vulnerabilità dei sistemi olivicoli mediterranei ad eccessi di calore e  stress idrico durante stadi fenologici critici e a problemi di fioritura conseguenti a ridotti accumuli di freddo, cercando vie di adattamento e di supporto alla sostenibilità.

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Vivaismo pistoiese: l’aumento dei costi di produzione rischia di frenare la crescita

Qualche mese fa Filippo Roda pubblicò un articolo sul Sole24ore nel quale analizzava i motivi che stanno spingendo i costi delle materie prime e, di conseguenza, delle produzioni, a livelli quasi insostenibili.
L’analisi si può applicare, seppur con i dovuti distinguo, al vivaismo pistoiese che ha visto, come riporta Confagricoltura, un incremento dei costi di produzione nel 2021 superiore al 20%, rispetto al 2020, mentre l'aumento previsto per il 2022 è del 30-35% sul 2021. L’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 950 euro a tonnellata, il fosfato biammonico più che raddoppiato da 350 a 850 euro a tonnellata, mentre prodotti di estrazione come il perfosfato minerale registrano aumenti di oltre +65% (Fonte Coldiretti, gennaio 2022).

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Le sfide della viticoltura si vincono con innovazione e formazione

Professore Moio, tra le sfide della viticoltura mondiale, il riscaldamento climatico è una delle principali perché ha impatto diretto sulla vite e sul vino. Come pensa di affrontarla l’OIV?
L’attenzione all’ambiente è una richiesta che viene da tutti i 48 stati membri. Il tema, già fa parte del piano strategico 2020-2024, ma il percorso lo abbiamo iniziato nel 2004 con la prima risoluzione sulla viticoltura sostenibile. Nello specifico, è già operativo il gruppo di esperti Enviro (Sviluppo sostenibile e cambio climatico) presieduto dal prof. Hans Schultz, presidente dell’Università Hochschule di Geisenheim, che se ne sta occupando in modo interdisciplinare (con esperti di clima, suoli, viticoltura, enologia, patologia vegetali, ecc.) per elaborare un approccio completo e coerente. L'ultima risoluzione approvata (OIV-VITI 640-2020) sui criteri e sulle metodologie di valutazione dell’impronta ambientale complessiva della produzione vitivinicola, è un primo risultato del lavoro del gruppo Enviro che fornisce a tutti gli stati membri degli strumenti comuni per analizzare e intervenire sulla propria realtà. Oggi se non coinvolgiamo in un confronto a tutto campo esperti con competenze diverse, non ne usciamo. Il futuro è questo, ma i tempi di transizione sono lunghi per questo bisogna avere le idee molto chiare e confrontarsi continuamente in modo da non commettere errori che potrebbero ancora di più allungare i tempi necessari ad operare un cambiamento radicale.

Che cosa si sta facendo in viticoltura per ottenere una produzione più sostenibile?
Un’azione prioritaria è quella di favorire la filiera vitivinicola nel percorso di innovazione dei processi di produzione, utilizzando al meglio i nuovi strumenti tecnologici e digitali. Il transito verso la digitalizzazione è fondamentale. Oltre agli aspetti produttivi legati, ad esempio, ai calcoli previsionali sul clima, per una viticoltura sempre più di precisione, la digitalizzazione è importante anche per favorire gli scambi internazionali del vino. 

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Il Bostrico tipografo e la protezione dell’Abete rosso dopo la tempesta Vaia

  • 19 January 2022
  • Pio Federico Roversi , Bruno Caio Faraglia , Valerio Finozzi, Fabrizio Pennacchio

La tempesta Vaia dell’ottobre 2018 oltre a causare danni ad abitazioni ed infrastrutture ha rappresentato un evento devastante di grande impatto diretto su molte formazioni di Abete rosso dell’arco alpino centro orientale, con ricadute sui patrimoni arborei delle Regioni Friuli Venezia. Giulia, Veneto e Lombardia e delle province autonome di Bolzano e Trento. Basti pensare al riguardo ai più di 4 milioni di mc di legname abbattuto in 24 ore nella sola Provincia di Trento, ai 780.000 mc del Friuli Venezia Giulia ed ai 2.700.000 mc del Veneto.
La grande quantità di schianti e la conseguente diffusa presenza  di piante atterrate o stroncate idonee a sostenere forti incrementi demografici di insetti che si sviluppano negli strati sottocorticali, in grado colonizzare non solo piante morte di recente o fortemente debilitate ma anche di riversarsi su piante sane, ha indotto le autorità e le comunità presenti nei territori forestali colpiti ad attivarsi prontamente con impegnativi piani di esbosco, non solo per recuperare quanto possibile del materiale legnoso a terra e ma anche per evitare pericolosi incrementi massali delle popolazioni di questi artropodi e in particolare del Coleottero Scolitide noto con il nome comune di Bostrico tipografo dell’abete rosso (Ips typographus L.).
A causa dei danni che può provocare, il Bostrico tipografo è considerato uno degli insetti di interesse forestale più importanti in Europa per il suo ruolo nella dinamica degli ecosistemi forestali e il temibile impatto delle sue gradazioni capaci di determinare morie su estese superfici boschive. Nel solo periodo compreso tra il 1940 e il 1951 uno dei più estesi focolai d’infestazione registrati nel nostro continente ha provocato in Europa centrale l’abbattimento di piante per un totale di 30 milioni di mc, con 100.00 ha completamente devastati nel solo nord-est della Polonia.

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Economia circolare nella filiera della birra

La birra è la bevanda alcolica maggiormente consumata a livello globale (circa 1,91 miliardi di hL nel 2019), con un mercato globale pari a 623,2 miliardi di $ USA nel 2020. In Italia la produzione complessiva di birra è stata di circa 15,8 milioni di hL nel 2020, di cui circa il 71% prodotta da soli cinque grandi player, come Heineken Italia, Birra Peroni, Anheuser-Busch InBev, Birra Castello e Carlsberg Italia. Nel 2020, 756 birrifici artigianali hanno prodotto 361.000 hL di birra, ossia il 3,1% della produzione di birra italiana. La birra lager è la tipologia di birra più diffusa, rappresentando l'84,2% del consumo complessivo di birra, seguita dalle birre speciali (14,5%) e da quelle a bassa o analcolica (1,3%). Il formato di confezionamento della birra è dominato dalle bottiglie di vetro (80,8%), seguito dai fusti in acciaio (11,7%) e infine dalle lattine di alluminio (7,5%). La maggior parte dei consumatori acquista birra in bottiglie di vetro (di cui il 73,0% a perdere ed il 7,8% a rendere) o lattine di Al, mentre la birra confezionata in fusti d'acciaio è principalmente per uso commerciale. 

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Il mentastro, lamiacea dalle proprietà tossiche da recuperare in una prospettiva di economia circolare

Mentha pulegium L., nota come mentastro o menta romana, è una emicriptofita scaposa, diffusa in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo e ampiamente distribuita su tutto il territorio italiano, dove cresce generalmente su terreni umidi, da 0 a 1200 m. Il nome del genere deriva dal nome greco 'Mínthe', ninfa che abitava il regno di Ade, mentre l’epiteto specifico deriva dal latino ‘pulex’, in relazione al suo antico uso di repellente contro insetti nocivi.

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Cambiamenti climatici e società: il ruolo delle Università

Professoressa, ci può aggiornare sull’impatto del cambiamento climatico sulla nostra società?
Possiamo prendere spunto dai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel 2015 dai quasi 200 Paesi membri dell’ONU. Essi sono “Obiettivi comuni”, vale a dire che riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. Ebbene, è facile dimostrare che ben oltre la metà di questi temi presentano interazioni importanti con il cambiamento climatico. E, ovviamente prescindendo dal Goal 13 (“Climate action”) totalmente dedicato a tale problema, sfide quali il contrasto alla povertà e alla fame, il perseguimento di salute e benessere, la qualità dell’ambiente e delle forme di vita terrestri e marine, la sostenibilità delle aree urbane, la giustizia sociale, si trovano a confrontarsi quotidianamente con le problematiche connesse proprio con i mutamenti climatici in atto. La temperatura è un fattore fondamentale nel condizionare le funzioni biologiche, dalle più semplici, come una attività enzimatica, alle più complesse, come quelle relative a un ecosistema. Al variare dei parametri termici si innescano modificazioni che comportano lo stabilirsi di nuovi equilibri biologici, migrazioni di popolazioni, riassortimento di biocenosi. Particolarmente delicato è il rapporto tra piante e organismi nocivi: assistiamo con frequenza sempre maggiore a preoccupanti recrudescenze di malattie note da tempo ma sinora poco importanti. Il clima è in costante divenire, ma mai nella storia dell’umanità l’azione antropica ha introdotto fattori di pressione con velocità e intensità paragonabili a quelli ai quali stiamo assistendo, per non parlare dei modelli predittivi, di cui la comunità scientifica sta discutendo da tempo. Si tratta di un fenomeno epocale, a cui nessun essere vivente ha mai assistito prima, che rischia di sconvolgere il nostro ordine naturale, politico e sociale. Interi capitoli dei nostri libri di testo dovranno ben presto essere riscritti per aggiornarli ai nuovi scenari. Non è un caso che questi argomenti si trovino ai primi posti dell’agenda politica di tutti i governi; purtroppo, però, anche in questo caso, … tra il dire e il fare…

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